Agriculture certainly stands convicted on the count of its lack
of direct stimulus to the setting up of new activities through
linkage effects: the superiority of manufacturing in this respect
is crushing
Albert O. Hirschman (1958)
An agricultural revolution - a marked rise in productivity per
worker in agriculture - is a pre-condition of the industrial
revolution in any sizeable part of the world
Simon Kuznets (1957)
Introduzione
L’analisi del ruolo dell’agricoltura nel processo di sviluppo ha rappresentato da sempre, pur con alti e bassi e con interpretazioni alquanto differenziate, un tema di ricerca prioritario negli studi di economia dello sviluppo.
Negli anni d’oro dell’economia dello sviluppo (dal dopoguerra agli shock petroliferi degli anni settanta), tutti i maggiori economisti dello sviluppo si sono cimentati con questo tema, anche se da angolazioni diverse: Johnston e Mellor (1961) e Kuznets (1964) disegnando il quadro teorico tradizionale del contributo dell’agricoltura alla crescita economica, Lewis (1954) e Chenery (1960) evidenziando le relazioni tra settore agricolo e altri settori del sistema economico nell’ambito degli studi sulle economie dualistiche e sul cambiamento strutturale, Hirschman (1958) analizzando la dinamica intersettoriale del processo di crescita e proponendo la sua strategia di sviluppo sbilanciato a favore dell’industria, Prebisch (1951) e Singer (1950) ipotizzando che i cambiamenti dei termini di scambio sfavorissero i paesi che basavano la propria strategia di sviluppo sull’agricoltura.
Viceversa, a partire dagli anni settanta e fino agli anni novanta (l’epoca, cioè, della cosiddetta “controrivoluzione neoclassica”) l’analisi del ruolo dell’agricoltura nel processo di sviluppo è passata in secondo piano, essendo stati favoriti studi che privilegiavano l’analisi degli scambi internazionali, la progressiva globalizzazione del sistema economico mondiale ed il ricorso ai mercati internazionali come strumento per assicurare la sicurezza alimentare. In questo quadro, l’agricoltura veniva toccata solo indirettamente, ad esempio evidenziando come la struttura protezionistica degli scambi internazionali fosse tale da sfavorire le esportazioni agricole (Krueger et al., 1991).
Infine, più recentemente, con l’attenzione posta dai principali organismi internazionali al raggiungimento dei Millennium Development Goals e l’enfasi sulla lotta alla povertà, il ruolo dello sviluppo agricolo come strumento per favorire la crescita economica e distribuire il dividendo della crescita a fasce sempre più ampie della popolazione, e segnatamente agli strati più poveri della società, è tornato ad essere prioritario nell’agenda dello sviluppo (World Bank, 2007).
Come si vede, non si tratta di un corpus omogeneo di contributi e le implicazioni politiche che da essi sono derivate non sono state univoche. Da qui le domande a cui questa nota cerca sinteticamente di rispondere: (i) cosa sappiamo della trasformazione dell’agricoltura nel processo di sviluppo? (ii) in che modo l’agricoltura contribuisce al processo di crescita economica? (iii) perché l’agricoltura può giocare un ruolo cruciale nel processo di sviluppo?
Cosa sappiamo della trasformazione dell’agricoltura nel processo di sviluppo economico?
Se dovessimo provare a sintetizzare i principali risultati dell’analisi del ruolo dell’agricoltura nel processo di sviluppo, potremmo ricordare una serie di proposizioni su cui esiste un ampio consenso, la prima delle quali fa riferimento alla progressiva riduzione del peso dell’agricoltura nell’economia, sia in termini di PIL, che di occupazione1.
Una seconda proposizione su cui esiste accordo tra gli economisti dello sviluppo è che il ruolo dell’agricoltura cambia nel corso del processo di sviluppo; anzi, l’apparente contrasto di interpretazione circa il ruolo dell’agricoltura nel processo di sviluppo dipende proprio dal fatto che i vari autori hanno preso come riferimento economie a diversi stadi di sviluppo (Timmer, 1988; figura 1).
Figura 1 - Evoluzione del ruolo dell’agricoltura nel processo di sviluppo e suo contributo alla crescita economica
Fonte: Timmer, 1988, Fig. 8.1
L’evoluzione delle caratteristiche dei sistemi agricoli che si manifesta nel corso del processo di sviluppo (Pingali, 2007) procede attraverso una serie di “ideal-tipi”, che consentono di descrivere la trasformazione di tali sistemi dall’agricoltura “tradizionale” a quella “globalizzata”, passando attraverso un processo di “modernizzazione” (tabella 1).
Tabella 1 - Evoluzione delle caratteristiche dei sistemi agricoli
Le forze-guida della trasformazione agricola sono diverse nei diversi stadi: inizialmente agiscono soprattutto la densità della popolazione e le potenzialità agro-climatiche del luogo di produzione; con la modernizzazione dell’agricoltura, a questi fattori si aggiungono l’urbanizzazione, le infrastrutture di mercato e le tecnologie produttive; nell’agricoltura globalizzata, pur continuando ad agire tali forze, diventano preponderanti i flussi di commercio internazionale e gli investimenti diretti dall’estero, le tecnologie post-raccolto e la gestione dei flussi informativi.
Infine, c’è sufficiente accordo sul fatto che l’agricoltura storicamente abbia fornito un contributo cruciale alla crescita economica, sia in epoca moderna (cfr. la rivoluzione agraria in Inghilterra prima della rivoluzione industriale), che contemporanea (cfr. la Green Revolution in Asia meridionale). Ciò implica la necessità di investimenti per aumentare la produttività agricola come pre-condizione per un’estrazione delle risorse (capitali e lavoro) dal settore agricolo verso gli altri settori dell’economia (cfr. i modelli dualistici).
Questa considerazione consente anche di spiegare il fallimento di alcune strategie di sviluppo che hanno cercato di saltare la fase di sviluppo dell’agricoltura prima di puntare allo sviluppo del settore industriale, nel tentativo di velocizzare il processo di crescita economica (cfr. ad esempio il caso della NEP sovietica negli anni venti): generalmente, il perseguimento di “jump strategies” (figura 1), che estraggono cioè risorse dal settore in assenza di aumenti di produttività agricola, è destinato al fallimento.
Ovvio, infine, che il mix di benefici generati dall’agricoltura (buffer occupazionale in funzione anti-ciclica, sicurezza alimentare, economia rurale e servizi ambientali) si modifichi nelle diverse situazioni di sviluppo (figura 2).
Figura 2 - Evoluzione del mix di benefici generati dall’agricoltura nel processo di sviluppo
In conclusione, la dinamica del cambiamento strutturale determina una situazione che si presenta estremamente differenziata sia a livello globale che all’interno delle diverse regioni e di un singolo paese2.
In che modo l’agricoltura contribuisce alla crescita economica?
La tradizionale analisi del ruolo dell’agricoltura nel processo di sviluppo (Johnston e Mellor, 1961; Kuznets 1964) ci dice che il settore agricolo è capace di contribuire alla crescita dell’economia nazionale secondo quattro diverse modalità: in termini di prodotto, in termini di risorse, in termini di mercato e in termini di scambio con l’estero.
Il contributo dell’agricoltura alla crescita del PIL dipende dall’importanza relativa dell’agricoltura e dai saggi di crescita relativi del settore agricolo e di quello non-agricolo. In generale, esso sarà tanto più grande quanto maggiore è il peso iniziale del settore agricolo e, quindi, tale contributo è più importante per le economie ai primi stadi di sviluppo. Viceversa, man mano che un sistema economico si diversifica, il peso dell’agricoltura (e, quindi, il suo contributo alla crescita economica) diminuisce.
Ci sono almeno tre ragioni per cui ci si attende che il settore agricolo diminuisca il proprio peso nel corso del tempo: (a) la domanda alimentare (e quella per i prodotti agricoli in genere) è meno elastica al reddito, rispetto alla domanda per beni non-agricoli (Engel effect); (b) a seguito dello sviluppo agricolo, la domanda di input non-agricoli da parte del settore agricolo aumenta (changing resources structure of agriculture effect); (c) la domanda di servizi extra-aziendali è più elastica al reddito della domanda agricola all’azienda e perciò la quota di valore aggiunto agricolo (in senso stretto) sul prezzo finale dei prodotti agro-alimentari è decrescente (urbanization effect).
Ma non bisogna commettere l’errore di sottovalutare l’importanza del contributo dell’agricoltura alla crescita economica. Infatti, la diversificazione strutturale delle economie meno sviluppate è condizionata dal tasso di crescita dell’agricoltura per almeno due ragioni: (i) il settore agricolo è una fonte importante di materie prime e fattori produttivi (capitali e lavoro) per l’industria e di beni alimentari per il consumo3, e (ii) il non trascurabile effetto moltiplicatore della produzione e dei redditi agricoli sulla crescita complessiva.
Riguardo al primo punto, l’esperienza dello sviluppo contemporaneo ha mostrato come sia necessario che l’offerta dei prodotti agricoli e alimentari avvenga a prezzi relativi decrescenti, in modo da contribuire a mantenere competitive le produzioni (agricole e non) del paese. D’altra parte, il problema chiave di qualunque strategia di sviluppo nelle fasi iniziali del processo di crescita economica è come estrarre risorse dall’agricoltura da trasferire ai settori non-agricoli senza pregiudicare la sostenibilità di tale processo di estrazione. Da qui la necessità di investimenti per aumentare la produttività dei fattori agricoli, al fine di generare un marketed surplus (Morrison e Thorbecke, 1990). Come suggerito dai modelli dualistici (Lewis, 1954; Fei e Ranis, 1961), ciò consente di estrarre risorse (capitali e lavoro) dal settore agricolo senza che vi siano effetti negativi in termini di offerta agricola aggregata.
Peraltro, l’importanza di un aumento della produttività agricola come determinante della crescita aggregata è stata di recente corroborata econometricamente da Tiffin e Irz (2006)4, che hanno dimostrato come il valore aggiunto agricolo pro-capite sia la variabile causale nei paesi in via di sviluppo, mentre il senso della causalità non è chiaro nei paesi sviluppati. Purtroppo, gli investimenti che sarebbero necessari per questo aumento di produttività mancano drammaticamente in molti paesi in via di sviluppo e attualmente rappresentano il principale vincolo alla crescita del settore agricolo5.
Riguardo al secondo punto, tradizionalmente l’analisi fa riferimento ai cosiddetti collegamenti all’indietro (backward linkages) e in avanti (forward linkages) con i quali si cerca di stimare quale sia il livello di integrazione di un dato settore nell’economia nazionale (Chenery e Watanabe, 1958). Sulla base di quest’analisi, è ragionevole supporre che l’agricoltura tradizionale presenti un valore prossimo allo zero per i backward linkages e comunque piuttosto basso per i forward linkages, da cui l’indicazione di privilegiare l’industria nella strategia di sviluppo, in relazione al suo maggior effetto moltiplicatore sul resto del sistema economico (Hirschman, 1958).
Tuttavia, stime recenti di Anríquez e Stamoulis (2007), effettuate su un dataset di 26 paesi per i quali erano disponibili tavole input-output, dimostrano che i collegamenti all’indietro dell’agricoltura sono maggiori nei primi stadi di sviluppo6. Inoltre, non bisogna sottovalutare i cosiddetti collegamenti derivanti dagli effetti di domanda finale, secondo cui una strategia di agricultural demand-led industrialzation (Adelman, 1984) può avere effetti benefici sulla crescita economica, dato che una crescita dei redditi agricoli comporterebbe un aumento della domanda da parte delle famiglie agricole per beni di consumo prodotti dai settori non-agricoli7.
Perché l’agricoltura può giocare un ruolo centrale nella crescita?
Vi sono, comunque, altre motivazioni che spingono per un’attenzione alla crescita della produttività agricola come componente fondamentale delle strategie di sviluppo, anche in un contesto estremamente differenziato quale l’attuale.
La prima, e più banale, è la constatazione che l’agricoltura continua ad essere un settore molto ampio (tra il 30% e il 50% del PIL nei paesi all’inizio della trasformazione strutturale): la crescita dell’agricoltura ha quindi un peso notevole nel determinare le performance di crescita dell’intera economia.
Ancora più importanti sono alcune recenti evidenze che consentono di affermare come la crescita agricola sia maggiormente pro-poor rispetto alla crescita dei settori non-agricoli8: Ravallion e Datt (1996) hanno mostrato come l’uscita dalla povertà rispetto alla crescita del settore agricolo risulti elastica (εA= −1,2), confermando precedenti risultati di Kakwani (1993) per la Costa d’Avorio (εA= −1.8 vs. εNA= −0,1). Più recentemente, Ligon e Sadoulet (2007) hanno stimato che la crescita agricola beneficia la metà più povera della popolazione sensibilmente più della crescita non-agricola (in media circa 2,5 volte di più), risultato confermato dal World Development Report 2008 per la Cina (εA/εNA= 3,5) e l’America latina (εA/εNA= 2,7) e da Christiansaen e Demey (2007) per l’Africa sub-sahariana (εA/εNA= 2,7).
La spiegazione di questo fenomeno è immediata e fa riferimento alle caratteristiche tecnologiche della produzione agricola (che risulta essere maggiormente labour-intensive rispetto alle produzioni non-agricole) e alla più alta propensione marginale al consumo delle famiglie agricole (che sono mediamente più povere delle famiglie non-agricole).
Infine, il settore agricolo può essere fonte di vantaggi comparati in alcune situazioni particolarmente critiche, come l’Africa sub-sahariana, grazie alla notevole dotazione di risorse naturali e forza lavoro non specializzata (che le rende particolarmente adatte alle produzioni primarie), ai costi indiretti (infrastrutture, servizi finanziari, assetto regolamentativo) che nel settore agricolo sono inferiori rispetto agli altri settori e alla possibilità di sfruttare economie di scala ed effetti di spill-over nei cluster di attività economica agro-industriale (cfr. le economie di coordinamento secondo l’approccio big-push).
Conclusioni
La recente ricerca sul contributo dell’agricoltura alla crescita economica conferma il ruolo cruciale che può essere giocato dal settore agricolo in qualunque strategia di sviluppo economico, non solo attraverso i canali tradizionali evidenziati dalla ricerca negli anni sessanta (contributo in termini di prodotto, di risorse, di mercato e di scambi con l’estero), ma perché l’agricoltura è un eccellente distributore dei dividendi della crescita economica (pro-poor growth).
Quali sono le implicazioni politiche che la recente ricerca ha indicato? Anzitutto, è necessario ricordare che qualunque strategia deve essere basata su approcci multi-settoriali, che tengano presente la dinamica del settore agricolo nel contesto del più ampio sistema economico. Inoltre, data l’estrema eterogeneità delle situazioni di intervento, bisogna avere ricette differenziate a seconda delle diverse situazioni (World Bank, 2007).
In particolare, nelle situazioni che sono ancora in gran parte basate sull’agricoltura tradizionale, sarebbe necessario perseguire una strategia di aumento della produttività agricola orientata all’agricoltura di piccola scala (small-holders) e avendo un occhio di riguardo alla sicurezza alimentare. In queste condizioni, è prioritario aumentare la quantità degli investimenti agricoli e migliorare la loro allocazione: ricerca, assistenza tecnica e divulgazione, strade rurali, irrigazione, capitale umano e istituzioni rappresentano le priorità.
Viceversa, nelle situazioni in cui la trasformazione agricola è già cominciata è necessaria una strategia complessiva di sviluppo rurale, il cui obiettivo principale è ridurre il divario rurale-urbano. Questo significa connettere i piccoli produttori agricoli ai mercati nazionali e globali di prodotti ad alto valore aggiunto (ruolo del contract farming e delle organizzazioni dei produttori), assistere l’agricoltura di sussistenza e le regioni in ritardo di sviluppo (modernizzazione dell’agricoltura in aree con un elevato potenziale, investimenti in capitale umano per una migrazione di successo, reti di sicurezza sociale per chi resta indietro) e sviluppare opportunità occupazionali nelle aree rurali, anche attraverso attività non-agricole (artigianato, piccola industria, servizi).
Riferimenti bibliografici
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- World Bank (2007). World Development Report 2008. Agriculture for Development. Oxford University Press. New York
- 1. È utile ricordare che tale regolarità, evidenziata fin dagli studi sul cambiamento strutturale (Chenery, 1960), ha l’obiettivo di descrivere come si trasforma la struttura dell’economia al crescere del reddito pro-capite piuttosto che di individuare delle relazioni causali. Per cui non è automatico che si abbia un aumento del PIL agricolo pro-capite, come testimoniato dalle diverse traiettorie seguite dall’Asia (in cui tale aumento si è manifestato) e dall’Africa sub-sahariana (in cui ciò non è avvenuto).
- 2. Il World Development Report 2008 (World Bank, 2007), con riferimento ai paesi in via di sviluppo, parla di economie “basate sull’agricoltura” (concentrate soprattutto in Africa sub-sahariana), “in via di trasformazione” (principalmente in Asia, Vicino Oriente e Nord-Africa) e “urbanizzate” (in gran parte dell’America Latina, dell’Europa Orientale e dell’Asia Centrale). La prima di queste categorie corrisponde al primo ideal-tipo agricolo utilizzato in tabella 1, cioè all’agricoltura “tradizionale”, mentre gli altri due corrispondono in larga misura al secondo ideal-tipo, cioè all’agricoltura “in via di modernizzazione”.
- 3. L’agricoltura, soprattutto nelle prime fasi dello sviluppo, rappresenta la fonte principale di beni alimentari per il consumo da parte della popolazione: le importazioni alimentari sono in genere precluse ai paesi in via di sviluppo per il vincolo di cambio e, in ogni caso, presentano un costo opportunità molto elevato (le risorse impiegate per le importazioni agricole potrebbero essere impiegate più proficuamente, ad esempio, importando tecnologie).
- 4. Questi autori hanno testato la direzione della causalità tra valore aggiunto agricolo procapite e PIL procapite usando un test di causalità di Granger su un panel di 85 paesi.
- 5. Mediamente, la spesa pubblica in agricoltura, espressa come percentuale rispetto al PIL agricolo, raggiunge appena il 4% nei paesi con economia “basata sull’agricoltura” e l’11% in quelli in via di trasformazione (World Bank, 2007). A questo va aggiunta un’allocazione spesso inefficiente della spesa pubblica settoriale, orientata solo in minima parte agli investimenti. Viceversa, i principali fattori che sembrano determinare una crescita significativa della produttività agricola sono gli investimenti pubblici in R&D, infrastrutture fisiche (strade, irrigazione), capitale umano, istituzioni (Gardner, 2005; World Bank, 2007).
- 6. È utile ricordare che Hirschman (1958) aveva effettuato le sue stime solo su tre paesi per i quali allora esistevano tavole inter-settoriali (Stati Uniti, Italia e Giappone), tutti paesi sviluppati.
- 7. Questi risultati sono stati confermati anche dal World Development Report 2008 (World Bank, 2007), che per la Cina ha messo in evidenza come la crescita di 1 USD del settore agricolo generava una crescita di pari entità nei settori non-agricoli; viceversa una crescita di 1 USD dei settori non-agricoli generava una crescita di soli 0,18 USD nel settore agricolo.
- 8. Una crescita è pro-poor quando oltre ad aumentare il reddito procapite, consente di migliorare in senso più egualitario la distribuzione del reddito in una data popolazione.