Crisi finanziaria e crisi alimentare: nuove sfide per i paesi in via di sviluppo

Crisi finanziaria e crisi alimentare: nuove sfide per i paesi in via di sviluppo

Introduzione

L’aumento dei prezzi delle materie prime agricole, manifestatosi tra il 2007 e la prima metà del 2008, ha causato una severa crisi alimentare a livello globale le cui politiche di gestione sembrano nel complesso aver fallito nel tentativo di contenerne l’impatto negativo sui paesi e sulle fasce di popolazione più povere e vulnerabili. A testimonianza di ciò, è il significativo aumento del numero dei sottonutriti che, nei paesi in via di sviluppo, è passato da 923 milioni di persone nel 2007 a 963 milioni nel 2008 (Fao, 2008a). Ad inasprire questa situazione, di per sé complessa in quanto a cause e possibili soluzioni, è intervenuta la crisi finanziaria globale manifestatasi nella seconda metà del 2008, immediatamente a ridosso dello shock dei prezzi. Il conseguente rallentamento economico ha fatto sì che, nonostante il prezzo delle materie prime agricole cominciasse a ridursi, il numero di sottonutriti abbia continuato ad aumentare superando attualmente il miliardo di persone e assumendo caratteri particolarmente severi nell’Africa Sub-Sahariana dove una persona su tre è da considerare cronicamente sottonutrita (Fao, 2009). Sebbene derivanti da cause diverse, le due crisi sono fortemente interdipendenti attraverso le loro implicazioni sulla stabilità e sicurezza finanziaria, economica e socio-politica (von Brown, 2008) e richiedono un’azione immediata e coordinata al fine di garantire la sicurezza alimentare globale di lungo termine; mentre vi è un generale consenso circa il fatto che le conseguenze dell’attuale crisi economica globale non siano del tutto note, per i paesi a più basso reddito ci si attende che il problema della fame peggiori ulteriormente. La crisi finanziaria globale non deve pertanto far dimenticare la crisi alimentare e che una delle sfide prioritarie sottolineate dalla comunità internazionale è il bisogno di soddisfare la crescente domanda alimentare a livello mondiale (Vo et al., 2008). In tale senso, negli ultimi vertici internazionali, a partire dalla “High-level conference on World Food Security” promossa dalla Fao nel 2008 sino al recente G8 de L’Aquila di quest’anno, si è delineata una risposta articolata attorno a due pilastri: l’investimento in assistenza alimentare e nelle reti di sicurezza alimentare a beneficio di coloro che sono maggiormente bisognosi e l’aumento dell’investimento in agricoltura. Il settore primario, in particolare, sta ritornando ad essere elemento centrale dell’agenda politica e ad essere inteso come essenziale per il raggiungimento degli obiettivi posti dalla comunità internazionale per il millennio. I due ambiti di intervento attorno ai quali si sta concentrando l’attenzione dei policy maker sono di estrema importanza per affrontare la problematica della povertà e della fame. Essi, tuttavia, riguardano solo alcuni degli aspetti della sicurezza alimentare sui quali la crisi finanziaria sta agendo. Uno dei caratteri assunti dall’attuale crisi è quello di aver interessato le diverse sfaccettature della disponibilità di alimenti, dell’accessibilità al cibo e del suo utilizzo non solo a livello individuale ma anche nazionale richiedendo un ben più articolato e coordinato insieme di interventi. Alla luce di tali osservazioni, con il presente lavoro, dopo aver richiamato il concetto di sicurezza alimentare, si pongono in luce le principali implicazioni della crisi finanziaria sulle sue dimensioni per evidenziare, nelle conclusioni, le più importanti direzioni dell’intervento.

Sicurezza alimentare

In letteratura si annoverano diverse definizioni di sicurezza alimentare. Quella maggiormente condivisa è stata delineata durante il World Food Summit promosso dalla Fao nel 1996 e descrive la sicurezza alimentare come una situazione in cui tutte le persone possono disporre in ogni momento, dal punto di vista economico e fisico, degli alimenti sufficienti, appropriati e sicuri dal punto di vista nutrizionale per condurre una vita attiva e sana (Fao, 1996). Questa definizione introduce, in particolare, le tre caratteristiche di base e distintive del concetto, vale a dire la disponibilità, l’accessibilità e l’utilizzo degli alimenti, e il livello individuale di riferimento oltre a quello nazionale (per un approfondimento, si veda Sassi, 2006). Quanto ai tre pilastri su cui si basa la sicurezza alimentare, per disponibilità si intende che sufficienti quantitativi di cibo di buona qualità e di origine sicura devono essere prodotti o importati a livello locale, con questi ultimi che includono sia i flussi commerciali sia l’aiuto alimentare. La disponibilità di cibo viene pertanto a dipendere principalmente dal settore agricolo e dei sistemi di distribuzione interni e internazionali. L’accessibilità implica, invece, che gli alimenti debbano essere distribuiti e disponibili localmente e possano essere economicamente raggiungibili. L’accesso è una dimensione sia economica sia fisica. La prima dipende dalla capacità delle nazioni di generare la valuta estera necessaria per pagare le importazioni e delle famiglie di generare il reddito necessario per acquistare cibo o le risorse necessarie per barattarlo. L’accesso fisico è principalmente connesso allo stato delle infrastrutture, alle strutture di stoccaggio e commercializzazione, alla stabilità politica e alle modalità di distribuzione del reddito in ambito familiare. Affinché gli individui siano sani e ben nutriti, infine, gli alimenti devono essere utilizzati nel migliore modo possibile, vale a dire devono essere sufficienti in quantità, qualità e varietà secondo i bisogni individuali. Ciò implica, ad esempio, la conoscenza da parte delle famiglie delle tecniche di trasformazione e conservazione dei cibi, dei principi nutritivi di base, della cura di malattie e della tutela della salute dei bambini. Il concetto di sicurezza alimentare così delineato, quando riferito a livello nazionale, presuppone un soddisfacente equilibrio tra domanda e offerta alimentare ad un prezzo ragionevole; un paese deve essere capace di produrre o importare il cibo necessario ed essere in grado di conservarlo, distribuirlo e assicurarne equamente l’accesso alla popolazione. Per raggiungere la sicurezza alimentare, le famiglie devono, invece, disporre dei mezzi e avere la sicurezza e la garanzia di poter produrre o acquistare gli alimenti di cui hanno bisogno e devono avere il tempo e le conoscenze necessarie ad assicurare a tutti i membri della famiglia che i loro bisogni nutrizionali siano soddisfatti in ogni momento. L’obiettivo della sicurezza alimentare non può essere, perciò, realizzato soltanto con l’aumento della produzione di alimenti, ma tutte le dimensioni devono essere soddisfatte in maniera stabile.

Crisi finanziaria, accesso al cibo e suo utilizzo

Reddito ed occupazione rappresentano un primo canale attraverso il quale la crisi finanziaria ha agito sul livello di sicurezza alimentare nei paesi in via di sviluppo. Gli effetti della crisi, combinandosi con quelli derivanti dallo shock dei prezzi delle materie prime agricole, stanno progressivamente riducendo l’accesso al cibo per molte famiglie a seguito dell’aumento del costo degli alimenti che ha impresso una significativa spinta inflazionistica in un contesto di potere di acquisto stagnante e un aumento della disoccupazione legati al rallentamento economico (Sassi, 2008). Le conseguenze più intense stanno ricadendo sulle fasce di popolazione in condizione di povertà che, rispetto al passato, si trovano a dipendere in misura maggiore dai salari e che sono più strettamente connesse al resto dell’economia non solo locale ma anche globale (UN System High Level Task Force on the Global Food Security Crisis, 2009). Ciò vale per coloro che vivono nelle aree rurali, ma soprattutto per la popolazione che risiede nei centri urbani. Nei paesi in via di sviluppo i flussi migratori verso le città hanno assunto ritmi crescenti e importanti determinando un significativo aumento dell’offerta di lavoro a cui non ha corrisposto un aumento della domanda, in particolare, di quella rivolta alla popolazione più povera. L’esodo dalle campagne alle città non è stato, inoltre, accompagnato dall’incremento della produttività agricola e dalla riduzione della domanda di lavoro nel settore primario e come conseguenza i livelli della produzione agricola e alimentare si sono contratti, in alcuni casi, anche in maniera rilevante (Shapouri et al., 2009). La minor accessibilità al cibo ha risentito anche dell’impatto negativo della crisi finanziaria sulla disponibilità di fondi da destinare alle reti di sicurezza sociale (peraltro implementate in maniera efficace solo da pochi paesi), all’aiuto alimentare e alle rimesse. La carenza di tali risorse ha contribuito ad aumentare per i più vulnerabili il rischio di cadere nella spirale di povertà, malnutrizione e fame, quest’ultima anche nella sua forma cronica (Hossain, 2009). Secondo l’Ifad (2009), i consumatori stanno rispondendo alla crisi consumando meno alimenti e spostandosi verso cibi a più basso prezzo e meno nutrienti, vale a dire allontanandosi dai livelli di uso appropriato del cibo. Se poi si tiene conto del fatto che la popolazione più povera spende tra il 50 e il 70 per cento del proprio reddito per l’acquisto di alimenti, è facile intuire come la crisi finanziaria abbia sostenuto la progressiva riduzione delle spese delle famiglie anche in altri beni e servizi essenziali per la loro salute e benessere, quali l’istruzione, le cure sanitarie e l’acqua potabile (Fao, 2008b). A risentire maggiormente di tale tendenza sono i bambini che vedono il loro sviluppo cognitivo e fisico compromesso insieme alla loro produttività e guadagni futuri, da adulti (Wfp, 2006). Questi effetti sono destinati ad incidere sulla durata dell’insicurezza alimentare che, per le caratteristiche che sta assumendo, sembra essere destinata a proseguire nel lungo termine anche dopo una eventuale risoluzione della crisi finanziaria. Da segnalare, inoltre, la reazione dei consumatori che a fronte dei crescenti costi degli alimenti e della vita, hanno dato luogo a disordini politici e sociali con manifestazioni spesso caratterizzate da un elevato grado di violenza. Questi fenomeni hanno posto in evidenza la chiara natura della sicurezza alimentare come fondamento della sicurezza sociale (Shapouri et al., 2009; von Brown, 2008). Accesso al cibo significa anche la capacità dei paesi di generare valuta estera necessaria a sostenere le importazioni alimentari. In tal senso, la volatilità dei mercati internazionali sta compromettendo la capacità del commercio internazionale di adempiere a tale funzione. I paesi in via di sviluppo più esposti alla crisi economica, 50 secondo le più recenti stime della FAO, sono quelli con un elevato deficit della bilancia dei pagamenti e con una significativa dipendenza dalle importazioni alimentari (The Secretary General’s High-level Task Force on the Global Food Security Crisis, 2009). Per molti di essi la riduzione dei rapporti di scambio, vale a dire della capacità di finanziare le importazioni con i guadagni derivanti dalle esportazioni, insieme al deterioramento delle condizioni finanziarie globali, ha indebolito in maniera significativa la sicurezza alimentare. Di fronte alla bassa produzione agricola interna, all’aumento del reddito e alle politiche di liberalizzazione commerciale, essi hanno fatto sempre più ricorso alle importazioni agricole con un aumento significativo della loro dipendenza dai mercati internazionali per soddisfare il fabbisogno alimentare interno (Shapouri et al., 2009). In particolare, secondo un recente rapporto presentato dalle Nazioni Unite, la liberalizzazione si è trasformata in uno strumento che ha aumentato le disuguaglianze in un contesto in cui la minoranza dei beneficiari di tale processo non sono stati in grado di farsi carico dell’ampio numero di soggetti che ne hanno risentito negativamente (Wto, 2009).

Crisi finanziaria e disponibilità di cibo

Come precedentemente osservato, la disponibilità di cibo può essere garantita dalla produzione interna, dalle importazioni commerciali e dall’aiuto alimentare. Riguardo alle importazioni commerciali, oltre a quanto osservato nel precedente paragrafo, si sottolinea che nei prossimi anni l’attuale crisi economica richiederà ad alcuni paesi in via di sviluppo, in particolare dell’Africa Sub-Sahariana, oltre 20 miliardi di dollari per le importazioni alimentari. Si tratta delle economie caratterizzate da un elevato livello di sottonutrizione e di dipendenza dalle importazioni di petrolio e di cereali per il consumo interno. Tale situazione implica un aumento dell’aiuto alimentare di oltre il 20 percento in una situazione in cui i paesi donatori non stanno rispettando gli accordi internazionali di incremento dell’aiuto allo sviluppo (Sassi, 2008). Va osservato, inoltre, che l’aiuto alimentare se, da un lato, è stata la principale rete di sicurezza alimentare internazionale, dall’altro, non è attualmente in grado di soddisfare di per sé i bisogni stimati a livello globale. In questo contesto si inserisce l’insufficiente produzione agricola interna che è il risultato di molteplici cause. Occorre, anzitutto, osservare che, prima del recente shock, i prezzi di molti prodotti agricoli si erano ridotti in maniera costante per un ventennio, tendenza che ha agito come deterrente sugli incentivi degli agricoltori a realizzare gli investimenti necessari a garantire un adeguato livello di offerta e quindi la sicurezza alimentare nel medio e lungo termine. Nei paesi in via di sviluppo sono state, inoltre, introdotte ampie riforme di mercato nell’ambito delle quali sono stati attuati significativi tagli del sostegno pubblico all’agricoltura a cui si è aggiunto lo scarso interesse dei governi per l’investimento in beni pubblici quali le infrastrutture fisiche e sociali nelle aree rurali e la ricerca e sviluppo nel settore primario (Von Brown, 2008; Vo et al., 2008). In altri termini, si è assistito al contenimento dell’intervento pubblico direttamente rivolto all’agricoltura, il quale ha tradizionalmente avuto un ruolo preminente nel garantire la sicurezza alimentare, e di quello indirettamente destinato al primario perché a beneficio di altri settori essenziali per attivare investimenti privati nella stessa agricoltura. Il risultato più evidente di tale situazione è la bassa produttività agricola che caratterizza molti paesi in via di sviluppo e la difficoltà per il settore di soddisfare la crescente domanda alimentare. Anche i paesi donatori hanno trascurato l’agricoltura con un contenimento significativo della quota di aiuti (Official Development Assistance) ad essa direttamente indirizzata: si è passati dal 13% agli inizi degli anni Ottanta al 2,9% nel 2005-06 (The Secretary General’s High-level Task Force on the Global Food Security Crisis, 2009). Analogamente, si è assistito al taglio dell’aiuto allo sviluppo destinato ad attività economiche con esternalità positive per il primario (Vo et al., 2008). In tale situazione di trascuratezza del settore agricolo come elemento di sviluppo e di sicurezza alimentare si sono manifestati, prima, lo shock dei prezzi e, successivamente, la crisi finanziaria globale. L’aumento dei prezzi degli alimenti ha fornito inizialmente alcuni stimoli all’aumento produttivo, ma la successiva volatilità dei mercati delle materie prime agricole e la crisi del sistema finanziario globale sono state di ostacolo alla pianificazione di lungo termine costituendo un disincentivo per l’investimento e rendendo difficile la restituzione dei debiti contratti con il sistema bancario dagli agricoltori che, volendo sfruttare i vantaggi legati all’impennata dei prezzi, hanno fatto ricorso a prestiti per effettuare gli investimenti necessari ad aumentare la produttività delle loro aziende. A ciò si aggiunge la condizione dei piccoli agricoltori, 500 milioni a livello globale, costituiti principalmente da donne, dai quali dipende la sussistenza di due miliardi di persone. Essi stanno incontrando le difficoltà maggiori ad accedere al credito per il taglio alla disponibilità di capitale attuato dal sistema bancario a cui ha fatto seguito anche la rivalutazione del valore dei fattori di produzione rendendone sempre più difficile l’accesso. Senza investimenti in agricoltura i prezzi degli alimenti con molta probabilità continueranno ad aumentare. A ciò si aggiunge il fatto che nei paesi esportatori di alimenti la riduzione dei prezzi delle materie prime agricole può significare un taglio nelle semine e quindi nei raccolti. Poiché il livello delle scorte di cereali resterà basso, questo scenario potrebbe condurre nei prossimi anni ad un’ulteriore spinta all’aumento dei prezzi degli alimenti con conseguenze catastrofiche per milioni di persone che si troveranno senza reddito e possibilità di accedere al credito (Fao, 2008c).

Conclusioni

La crisi finanziaria globale sta rafforzando l’attenzione delle istituzioni, ad ogni livello, alla questione della fame e dell’insicurezza alimentare e, in tale contesto, all’importante ruolo che l’agricoltura può avere come stabilizzatore nell’attuale periodo di rallentamento dell’economia. Sebbene indispensabile, il solo investimento nel settore primario non basta per risolvere la problematica e nemmeno per limitare l’impatto esercitato dalle recenti crisi. L’analisi sviluppata ha posto in evidenza come quest’ultima abbia agito su tutte le dimensioni del concetto di sicurezza alimentare e sottolineato come essa debba essere riferita non solo al livello individuale, ma anche nazionale e globale. Va anche ribadito che l’attenzione sulla sola dimensione dell’offerta riporterebbe il dibattito sulla sicurezza alimentare e il relativo intervento al trentennio successivo alla seconda guerra mondiale, quando la problematica era percepita come legata esclusivamente alla disponibilità fisica di alimenti e, di conseguenza, sviluppo agricolo e aiuto alimentare rappresentavano gli elementi centrali delle politiche alimentari. Nel corso del tempo è stato ampiamente dimostrato come l’accesso e l’utilizzo di cibo rappresentino dimensioni essenziali del fenomeno che devono affiancare ed integrare l’approccio del lato dell’offerta alla sicurezza alimentare. Affrontare la fame significa, pertanto, riportare al centro dell’agenda politica non tanto lo sviluppo agricolo, quanto il diritto al cibo. Ciò implica la predisposizione e attuazione da parte dei singoli paesi di specifici interventi definiti nell’ambito di obiettivi di sicurezza alimentare da realizzare nel contesto dei programmi di sviluppo nazionale. Si tratta di un insieme di azioni riferite a politiche per aumentare la disponibilità di cibo, migliorarne l’accesso e l’utilizzo e per assicurare la stabilità dell’offerta, che devono essere opportunamente coordinate attorno a priorità identificate a livello locale. Senza la definizione di tale strategia, anche l’aiuto alimentare internazionale perde di efficacia. La crisi finanziaria ha, inoltre, rafforzato la dimensione globale del fenomeno della fame sottolineando la necessità di coinvolgere nella implementazione delle politiche di sicurezza alimentare un’ampia categoria di attori, dai ministeri, alle istituzioni locali, alle organizzazioni non governative e alle agenzie delle Nazioni Unite e dei paesi donatori. Ciò pone l’urgenza di ridefinire i meccanismi e gli strumenti della governance economica globale. In tale contesto, si inserisce pure la questione della definizione delle regole di commercio internazionale. Le implicazioni della volatilità dei mercati internazionali sulla sottonutrizione chiamano in causa la necessità di considerare la liberalizzazione non come un fine di per sé, ma come parte di un insieme di strumenti per realizzare gli obiettivi di sviluppo e benessere economico e sociale che le Nazioni Unite e quindi la comunità internazionale si sono date, tra le quali vi è la riduzione della insicurezza alimentare.

Riferimenti bibliografici

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