Il tema di questo numero di Agriregionieuropa è quello del capitale umano nell’agricoltura italiana. L’obiettivo è fare il punto sulle sue principali specificità, nonché sulle problematiche e le priorità che dovranno essere affrontate nel futuro, in uno scenario ricco di complessità ed eterogeneità. A questo scopo sono qui raccolti diversi contributi di autori che appartengono al mondo accademico, agli enti di ricerca, alle Regioni, agli ordini professionali, alle organizzazioni professionali agricole, alla Rete rurale nazionale.
Profonde sono state le trasformazioni che hanno interessato in tempi recenti l’agricoltura italiana: nuovi rapporti tra proprietà e impresa, nuove organizzazioni della produzione e del lavoro, più stretti e diversificati rapporti con i mercati, nuove forme di imprenditorialità. Queste trasformazioni, ancora più rilevanti a livello territoriale, dipendono dai mutamenti economici, sociali e demografici che hanno investito le diverse aree del paese. Conoscere le caratteristiche del capitale umano agricolo, e valutare gli strumenti potenzialmente disponibili per la sua crescita, è di cruciale importanza per affrontare le sfide future.
Le ragioni della scelta di questa tematica sono numerose. La principale è rappresentata dal fatto che il capitale umano ha un ruolo decisivo nello sviluppo economico. In questa direzione vi è una concordanza di opinioni a livello teorico, fin dagli anni Sessanta, quando nel modello di crescita di Solow è stato introdotto il capitale umano con lo scopo di aumentarne la capacità esplicativa, e più recentemente nelle teorie della crescita endogena, che hanno stimolato una vasta letteratura di studi empirici, tesi a verificare il suo reale contributo.
Sulla relazione tra capitale umano e livello di produttività del lavoro in agricoltura si colloca il contributo di Biagia De Devitiis e Ornella Wanda Maietta. Indagando la dotazione di capitale umano presente nelle agricolture delle regioni europee dell’UE a 27, in funzione del titolo di studio dei conduttori agricoli, emerge che la metà delle regioni italiane si colloca nella parte inferiore della distribuzione, con livelli di istruzione significativamente al di sotto della media europea. Ciò sottolinea la necessità di investire nella formazione e indica un percorso alle istituzioni pubbliche e private, che intervengono in tale ambito.
La seconda ragione per affrontare questa tematica è rappresentata dal fatto che un settore che ha più capitale umano, ha anche più capitale sociale. Questo è rappresentato da reti informali di relazioni fra le persone che completano le istituzioni e le infrastrutture a presidio del funzionamento dei mercati, e facilitano la trasmissione e la condivisone dei valori. La crescita del capitale umano si coniuga con l’innovazione organizzativa, contribuendo a modificare i rapporti consolidati che intercorrono tra gli attori, pubblici e privati, e condizionando lo sviluppo del sistema agro-alimentare italiano. Ciò presuppone che il sistema di trasferimento delle conoscenze debba sempre più oltrepassare il limite delle sole conoscenze tecniche e scientifiche e abbracciare nuove tematiche, quali il più generale rapporto che intercorre oggi tra agricoltura e società e, a livello locale, il ruolo dell’agricoltura nello sviluppo territoriale sostenibile.
In questa direzione si pone l’intervento di Alessandro Corsi, che analizza le ragioni dei provvedimenti della UE a favore dell’insediamento di giovani agricoltori, indispensabili nella realtà italiana, in cui il livello di invecchiamento dei conduttori agricoli ha raggiunto punte drammatiche (nel 2000, oltre l’82% dei conduttori aveva più di 55 anni). Ciò apre la strada anche ad una riflessione sul ruolo del capitale sociale. Se i giovani sono preferibili per le decisioni di investimento, soprattutto a lungo termine, in quanto hanno prospettive certe di riceverne i benefici, a differenza dei conduttori anziani, nel caso della valorizzazione delle specificità locali, dove sono indispensabili competenze che travalicano quelle tecniche e scientifiche, si pone la necessità di trovare forme adatte di trasmissione delle conoscenze alle nuove generazioni. Soprattutto quando vi è la mancanza di successori all’interno della famiglia agricola, gli attuali assetti organizzativi della formazione in agricoltura non sembrano essere efficaci.
Sul ruolo della conoscenza locale si pone anche l’intervento di Maria Fonte, che descrive come la sua rivalutazione rappresenti una tappa fondamentale per la sostenibilità dello sviluppo rurale, in quanto può favorire nuovi percorsi di valorizzazione delle risorse specifiche per la conservazione della diversità culturale e biologica, con il coinvolgimento delle persone che ne sono portatrici e del loro capitale umano.
L’analisi delle principali caratteristiche del capitale umano è successivamente ampliata sotto un profilo di genere dal contributo di Elisa Montresor e Mirko Bonetti. In Italia, in maggior misura rispetto agli altri paesi della UE, si assiste ad una crescente femminilizzazione del settore agricolo. L’indagine mette in luce come da un lato esista un’imprenditoria in rosa con connotazione positive, a cui vanno indirizzate misure specifiche per il sostegno, dall’altro vi sia un’ampia quota di conduttrici anziane nelle aree marginali e in aziende destrutturate. Poiché i dati evidenziano un capitale umano femminile in continua crescita, sembra sempre più necessario valutare attraverso quali misure sia possibile favorire l’accesso di giovani donne alla conduzione agricola, fornendo così una risposta sotto differenti profili: produttivo, ambientale e paesaggistico, al perdurare di una forte disoccupazione giovanile, soprattutto nel Sud.
Una seconda parte dei contributi è dedicata la ruolo delle istituzioni, pubbliche e private, nella formazione del capitale umano.
Il punto di partenza è senz’altro rappresentato dagli obiettivi di sostenibilità fissati dal Consiglio europeo di Göteborg e dalla strategia di Lisbona, che pone l’accento, tra l’altro, sull’istruzione e sulla formazione, sulla ricerca e sull’innovazione. Queste priorità sono state recepite negli Orientamenti strategici comunitari per lo sviluppo rurale per il periodo di programmazione 2007-2013 (Decisione del Consiglio 2006/144/CE) e, a livello nazionale, dal Piano strategico nazionale. Successivamente sono state riprese con varie modalità dai Piani regionali di sviluppo rurale. Le risorse ad oggi stanziate per la formazione e l’assistenza tecnica nei Psr 2007-2013, non sembrano però favorire il raggiungimento di questo obiettivo; esse rappresentano una percentuale molto bassa degli stanziamenti. Il contributo di Valentina Cristiana Materia è illuminante in questa direzione: alla formazione e all’assistenza tecnica è riservato il 5,6% dei finanziamenti totali e il 50% di questi è destinato all’assistenza tecnica; agli interventi reali di formazione sono destinate dunque solo le briciole. L’autrice si chiede se, di fronte ad un così scarso apporto finanziario, non sia opportuno che siano gli stessi agricoltori ad indirizzare l’offerta di formazione attraverso una loro, ancorché minima, contribuzione, per poter sfruttare al meglio le risorse disponibili. Ciò implica un ulteriore quesito: le Regioni sono in grado di predisporre gli strumenti necessari per individuare la reale domanda di formazione?
A questa domanda risponde il contributo di Paola Botta, con il modello di formazione predisposto dalla Regione Emilia-Romagna, che pone al centro di questo processo il “catalogo verde”, che si basa sull’effettiva domanda e sulla compartecipazione finanziaria degli imprenditori agricoli, che da “fruitori del sapere diventano soggetti attivi nel processo di generazione delle conoscenze”, in quanto la decisione sugli strumenti da utilizzare è effettuata dall’imprenditore stesso.
Alessandro Monteleone e Camillo Zaccarini Bonelli illustrano la sfida che la Rete rurale nazionale intende affrontare nella programmazione 2007-2013, ampliando la partecipazione e superando l’isolamento settoriale. Nella direzione di ripensare gli interventi già effettuati, si colloca invece l’intervento di Francesca Giarè, in base all’esperienza Leader+ nel periodo 2000-2006. Nella precedente programmazione spesso è mancato un approccio al capitale umano in base al quale al centro del processo di apprendimento/cambiamento fossero collocate le persone coinvolte e il contesto in cui le stesse persone si trovano ad operare. La formazione dovrebbe infatti costituire l’output di un processo di apprendimento dove gli aspetti culturali, organizzativi e contestuali, ne rappresentano le condizioni di realizzazione. Sarà necessario dunque un cambiamento radicale di prospettiva nelle nuove iniziative, in cui il fattore interno (il soggetto con le proprie esigenze) diventi preminente rispetto al fattore esterno (l’innovazione).
Se le istituzioni pubbliche, soprattutto le Regioni, sono fondamentali per la crescita del capitale umano, altri importanti agenti operano in questa direzione. Un ruolo fondamentale è svolto senz’altro dalle associazioni sindacali e dagli ordini professionali. Giacomo Bertolini illustra il percorso di Coldiretti, che per affrontare le sfide contenute nella strategia di Lisbona, assume la questione formativa come elemento strategico della filiera. In questa direzione, negli interventi formativi è compresa una dimensione sia economica per lo sviluppo dell’impresa, sia territoriale, nonché una dimensione civile per la coesione sociale e una culturale per uno sviluppo sostenibile dei territori. Su un altro versante, Marcellina Bertolinelli fornisce indicazioni per le iniziative formative degli ordini professionali, che qualifichino e giustifichino nel contesto attuale la permanenza del sistema ordinistico.
Infine, Antonello Lobianco descrive le recenti esperienze dei corsi e-learning di Agriregionieuropa, mettendone in luce l’efficacia rispetto alle tipologie formative precedenti. Il successo di partecipazione raggiunto nei corsi organizzati sembra rappresentare senz’altro un nuovo e valido supporto per la crescita del capitale umano.
Quale capitale umano per l’agricoltura del 21° secolo?
Quale capitale umano per l’agricoltura del 21° secolo?
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