Aggiornamento
L’evoluzione dello scenario mondiale
Dopo il fallimento del negoziato a Ginevra, avvenuto lo scorso luglio prima della pausa estiva dei lavori, (vedi Finestra sul WTO settembre 2008), le trattative sono proseguite senza che emergessero elementi di rilievo.
Profonde novità hanno invece interessato il contesto internazionale: eventi come la crescente crisi sui mercati globali e le elezioni statunitensi non possono non ripercuotersi anche nei negoziati del Wto.
I ministri delle finanze e i governatori delle banche centrali del G-20 (1) avevano sottolineato come una crisi di portata globale richieda soluzioni globali già nell’incontro del 15 novembre a San Paolo (Brasile), una settimana prima di quello poi tenutosi a Washington. Questo summit è stato il primo in assoluto del G-20, il che chiaramente indica come non sia più possibile escludere i grandi paesi in via di sviluppo e le economie emergenti da una possibile governance mondiale; nonostante non sia chiaro se l’attività del G-20 si affiancherà, o piuttosto sostituirà, quella del G-8 (il gruppo dei sette paesi più industrializzati del mondo più la Russia). Il G-20 si è impegnato a mettere in atto misure monetarie e finanziarie per stimolare l’economia, ad opporsi ad una ripresa del protezionismo dei flussi commerciali e degli investimenti, e a promuovere la cooperazione per la stabilizzazione dei mercati e la riforma delle regole globali. In questo contesto, verrebbe da dire, sarebbe stato quasi impossibile non ri-ascoltare almeno l’eco di un ennesimo appello alla conclusione dei negoziati del Doha Round entro la fine dell’anno. La volontà di concludere le trattative multilaterali è infatti un segnale importantissimo nell’attuale crisi economica mondiale.
Al tempo stesso, non bisogna dimenticare che gli effetti della crisi hanno importanti e profonde ripercussioni anche sull’evoluzione dei flussi commerciali internazionali. In questo senso, Pascal Lamy ha convocato a Ginevra alcuni rappresentanti di banche private, istituzioni finanziarie e agenzie di credito all’esportazione per esaminare gli effetti della crisi finanziaria internazionale sulla finanza commerciale.
Per quanto invece riguarda l’esito delle elezioni presidenziali statunitensi, c’è grande attesa di conoscere le linee della politica commerciale di Barack Obama, che dal 20 gennaio diventerà il 44 esimo presidente degli Stati Uniti. Si ricorderà come le politiche commerciali siano state un tema cruciale durante tutta la campagna elettorale; Obama aveva dichiarato di essere pronto ad adottare una posizione severa verso la Cina, che, nelle sue parole, deve imparare a fondare la sua crescita sulla propria domanda interna più che sulle esportazioni, la cui competitività è falsata dalle politiche sul tasso di cambio. Obama aveva anche affermato di essere pronto a rigettare quegli accordi che anteponessero gli interessi delle multinazionali a quelli dei lavoratori statunitensi. Aveva comunque ribadito la propria fiducia nell’arena di discussione multilaterale del Wto ("When it comes to trade, there is no one-size-fits-all approach[…]I believe that we can work within the framework of the Wto to ensure our international standards for workers, poor nations, public health and environment are all improved”; “Quando si parla di commercio, non esiste un approccio che vada bene in ogni situazione […] Credo che possiamo continuare a lavorare all’interno del Wto per assicurare che i nostri standard internazionali per i lavoratori, i paesi poveri, la salute pubblica e l’ambiente siano tutti migliorati" [link]). Obama, che dovrà scegliere un nuovo rappresentante statunitense per i negoziati commerciali (l’US trade representative), e prendere posizione sugli accordi commerciali bilaterali (gli accordi con Colombia, Panama e Corea del Sud sono attualmente in attesa dell’approvazione del Congresso) ha anche detto di essere pronto a rafforzare il ruolo del Parlamento nell’ambito della delega del Fast Track, il che potrebbe rallentare ulteriormente i negoziati, poichè i negoziatori statunitensi dovrebbero considerare ancora più attentamente la posizione del Parlamento.
A che punto sono i negoziati
Dopo il fallimento di un incontro del G-7 a Ginevra a settembre (Australia, Brasile, Cina, UE, India, Giappone e Stati Uniti; anche qui, sembra, a causa di posizioni discordi sul meccanismo speciale di salvaguardia che, si ricorderà, è stato la causa del fallimento di luglio; si veda Finestra sul WTO settembre 2008), è stato chiaro che Lamy non avrebbe convocato in autunno un’altra riunione di livello ministeriale. Nelle scorse settimane, si sono succeduti incontri informali tra i rappresentanti dei paesi membri e Crawford Falconer, l’ambasciatore neozelandese che presiede il gruppo negoziale per l’agricoltura (le cosiddette “walk in the woods”), seguiti da incontri nella cosiddetta Green Room con Pascal Lamy. Tuttavia, le divergenze che permanevano erano, e restano, numerose. All’inizio di dicembre si erano diffuse voci che preannunciavano un possibile incontro di livello ministeriale entro la metà del mese; ma tale incontro è stato prima posticipato e poi definitivamente annullato.
Proprio in vista di questa nuova miniministeriale di metà dicembre, Pascal Lamy aveva comunque chiesto ai presidenti dei gruppi negoziali per l’agricoltura e per l’accesso al mercato dei prodotti non agricoli di provvedere ad aggiornare le rispettive bozze delle modalities, il che è stato fatto il 6 dicembre.
Per quanto riguarda l’agricoltura, il testo riflette i progressi che sono stati fatti, dopo luglio, in un certo numero di aree.
Scendendo nel dettaglio, per quanto riguarda il sostegno interno, gli Stati Uniti dovrebbero ridurre il proprio OTDS (Overall Trade Distorting Support, la misura complessiva del sostegno complessivo discorsivo del commercio, dato dalla somma di scatola gialla, scatola blu e clausola de minimis) del 70%, e l’UE dell’80%.
Per quanto riguarda l’accesso al mercato, le tariffe contenute nella banda più elevata (ovvero, quelle superiori al 75%) dovrebbero essere ridotte del 70%, anche se resta chiaramente la possibilità, anche per queste, di beneficiare delle eccezioni garantite dalla scelta dei cosiddetti prodotti sensibili, che potranno beneficiare di minori tagli tariffari. Su questo punto, pure rimangono delle questioni da chiarire. Canada e Giappone hanno infatti richiesto di ottenere una percentuale addizionale di prodotti sensibili (il 6% e l’8% rispettivamente, contro il 4% ed il 6% che sarebbe loro assegnato secondo la bozza di luglio delle modalities).
I paesi in via di sviluppo potranno eleggere come prodotti speciali fino al 12% delle proprie linee tariffarie (fino al 5% delle quali potrà essere esente da ogni taglio), per le quali il taglio tariffario medio dovrebbe essere dell’11%.
Al meccanismo speciale di salvaguardia è invece destinato un apposito working paper. In questo caso, restano da decidere numerosi dettagli: ad esempio, se le tariffe di salvaguardia potranno eccedere o meno i limiti imposti nell’Uruguay Round. Nella bozza delle modalities di Falconer viene considerata la possibilità di introdurre una doppia soglia per far scattare il meccanismo, in cui, in pratica, aumenti maggiori nei volumi delle importazioni permetterebbero di applicare misure di salvaguardia crescenti.
Mentre alcuni temi come la creazione di nuove quote tariffarie all’importazione, la questione del cotone, l’erosione delle preferenze, la semplificazione tariffaria, la liberalizzazione dei prodotti tropicali restano controversi, il testo di Falconer include invece due misure che sono state interpretate come una risposta all’attuale crisi sui mercati agricoli mondiali. Si tratta di nuove flessibilità per i paesi in via di sviluppo importatori netti di alimenti e, di contro, di nuove discipline per l’imposizione di restrizioni all’esportazione.
Per quanto riguarda l’estensione le indicazioni geografiche, continuano le richieste in sede di trattativa TRIPS da parte dell’UE sia per la redazione di un registro per vini e bevande alcooliche che per l’estensione della maggiore protezione loro accordata anche ad altri prodotti (la cosiddetta questione delle indicazioni geografiche). Non vi è tuttavia ancora accordo, nonostante il sostegno di numerosissimi paesi (tra cui UE, African group, Brasile, Cina, Colombia, India e Svizzera), a che queste questioni, assieme al tema della disclosure della fonte di origine delle risorse genetiche e del sapere tradizionale, siano inclusi a tutti gli effetti nel processo di negoziazione orizzontale. Tra i paesi che si oppongono vi sono Australia, Canada, Messico, Nuova Zelanda, Sud Corea, USA.
Concludendo, è ormai chiaro che le trattative del Doha Round non si concluderanno entro la fine dell’anno.
In un recente annuncio, però, Pascal Lamy ha non soltanto rinnovato l’impegno per la chiusura del Doha Round entro il 2009, ma aggiunto che esso deve essere ricompreso all’interno di un insieme più ampio di attività del Wto: la ripresa dei negoziati in quelle aree in cui erano relativamente ferme, in attesa dei risultati sul tavolo agricolo e del NAMA; la necessità di monitorare l’impatto dell’attuale crisi economica globale sui flussi commerciali; le iniziative Aid for Trade destinate ai paesi in via di sviluppo. Resta da vedere se, come era nelle intenzioni, finora però almeno apparentemente disattese, del G-20, la crisi economica mondiale costituirà veramente l’occasione per un rafforzamento della volontà politica di procedere con i negoziati del Wto.
Note
(1) Si tratta di un gruppo di 20 paesi: Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, India, Indonesia, Italia, Giappone, Corea del Sud, Messico, Russia, Arabia Saudita, Sudafrica, Turchia, Regno Unito, Stati Uniti e l'Unione Europea; da non confondersi con il G-20 dei negoziati del WTO, che a differenza del precedente è composto solo da paesi in via di sviluppo.