Introduzione
Il 5 giugno scorso il Parlamento Europeo, su iniziativa dell’onorevole Donato Tommaso Veraldi, ha approvato la risoluzione “Il futuro dei giovani agricoltori nel quadro dell’attuale riforma della PAC”, che segue a distanza di 8 anni una precedente risoluzione sullo stesso tema. Come è ampiamente noto, la Pac prevede da molti decenni misure specifiche di sostegno volte ad incentivare la costituzione di nuove aziende e l’avvicendamento generazionale a favore di giovani aspiranti agricoltori.
E’ altrettanto noto, tuttavia, come queste misure abbiano trovato una applicazione marginale e che il numero di agricoltori giovani abbia continuato a ridursi nel tempo, né ad oggi la tendenza sembra essere esaurita.
Molte sono le cause di questo stato di cose. In estrema sintesi esse vanno ricercate principalmente nell’assetto strutturale del settore; nella forte pressione esercitata dalle attività extra-agricole su alcuni fattori della produzione, tra cui principalmente la terra; nella minore produttività del settore; negli elevati costi di ingresso. Quest’ultimo ostacolo in particolare, come è ormai pressoché universalmente riconosciuto, è stato aggravato nel tempo proprio dalla Pac, dapprima per effetto delle politiche di intervento sui mercati a sostegno dei prezzi agricoli; successivamente, come conseguenza, in termini di rendita fondiaria, degli aiuti diretti al reddito erogati in proporzione all’utilizzo dei terreni. Non ultimo, tra questi, il pagamento unico aziendale istituito dalla riforma Fischler che, se ha effettivamente rotto il legame storico tra sostegno e produzioni, ha di fatto rafforzato il collegamento diretto tra sostegno e ettaro “eligibile”.
L’accoppiamento del sostegno si sarebbe soltanto spostato dal lato dei prodotti a quello dei fattori (la terra) (1).
La contrazione della base produttiva, la progressiva riduzione del numero di aziende agricole e l’assottigliarsi delle schiere di giovani imprenditori agricoli, minano la stessa possibilità di sopravvivenza del settore e ne compromettono la vitalità, la dinamicità e la competitività. Tuttavia, negli anni il tema è rimasto piuttosto al margine del dibattito scientifico ma anche rispetto alle preoccupazioni ed attività di intervento istituzionale.
Nei primi decenni di avvio della Pac ci si aspettava che la modernizzazione del settore avrebbe portato “naturalmente” con sé ad un tasso di ricambio generazionale che si potrebbe definire di “equilibrio dinamico”. Ciò per effetto della rimozione delle tradizionali barriere all’entrata ma anche di un assetto strutturale più efficiente e della maggiore redditività assicurata alle imprese.
Successivamente, il protrarsi di questa tendenza negativa, che ha in sé anche una componente inerziale propria dei fenomeni demografici, ne ha mostrato il carattere di fenomeno di lungo periodo, generalizzato e estremamente difficile da contrastare: contribuendo così a lasciarlo nell’ombra. E’ ampiamente noto come l’agenda di studiosi e politici sia stata negli anni occupata da altre priorità ed altre urgenze.
Le premesse
Partendo da queste premesse, e collocandosi nel più ampio processo di riflessione su come dovrà essere la Pac del futuro (dopo il 2013, ma anche pensando a possibili aggiustamenti in corso d’opera nel quadro attuale dell’Health Check e per il presente periodo di programmazione), la risoluzione del Parlamento europeo si propone alcuni obbiettivi.
In primo luogo, intende riaffermare la centralità della questione del turn-over generazionale quale condicio sine qua non per la sopravvivenza stessa dell’agricoltura europea e, dunque, intende sottolineare la persistente attualità di strumenti mirati ad incidervi, dei quali, per l’appunto, si chiede un rafforzamento.
Poter contare su di un adeguato tasso di ricambio generazionale, secondo il Parlamento europeo, deve rappresentare uno degli obbiettivi della Pac riformata. La individuazione dei livelli di intervento più opportuni e degli strumenti operativi da adottare richiede uno sforzo specifico di analisi sia sul fronte delle cause e delle caratteristiche del fenomeno che, soprattutto, sulle ragioni della scarsa efficacia fin qui mostrata dall’intervento, soprattutto alla luce della diversità della situazione nei diversi contesti nazionali, anche a seguito dell’allargamento. Nel documento vi è una aperta e completa presa d’atto di quanto il tema sia stato sottovalutato e trascurato ma anche degli effetti negativi esercitati dalla Pac sulle possibilità di accesso al settore. Dunque, in primo luogo si indica la necessità che studi specifichi approfondiscano la natura di questi effetti e li quantifichino esattamente, anche al fine di evitare in futuro le possibili interazioni indesiderabili che misure del I e del II pilastro potrebbero avere al riguardo.
A seguire il documento tratteggia alcune linee di intervento la cui adozione viene auspicata, in alcuni casi nell’ambito della Pac, in altri casi con politiche nazionali. Si tratta di misure che possono essere schematicamente distinte in due gruppi: da un lato misure per il sostanziale rafforzamento di strumenti già previsti ed attivi nella Pac; a questo si aggiunge la proposta di un secondo gruppo di misure attualmente non contemplate, per lo meno a livello comunitario, anche se in qualche caso presenti in alcuni dei paesi membri.
I contenuti
Per quanto riguarda le misure già esistenti, nella risoluzione viene profilata tutta una serie di modiche che, come detto, intendono rafforzarne l’azione. Molto brevemente queste sono così riassumibili:
- la misura per incentivare l’insediamento di giovani agricoltori andrebbe inclusa obbligatoriamente in ciascun Programma di sviluppo rurale. Dunque, secondo il Parlamento europeo non andrebbe lasciata facoltà agli Stati membri, o alle Regioni, di decidere se attivare o meno la misura;
- le misure degli Assi II e III che riguardano interventi infrastrutturali e sul mercato del lavoro e che quindi possono avere un effetto positivo indiretto sull’insediamento di giovani agricoltori, dovrebbero essere congegnate proprio per dare priorità allo stesso insediamento;
- gli importi dei premi andrebbero innalzati, in particolare con riferimento ad alcune zone di particolare sensibilità socio-ambientale (come, ad esempio, isole o zone montane);
- per la selezione delle domande andrebbero previsti criteri più rigidi. Inoltre, una più rigida definizione (e relativi stringenti controlli) di ciò che effettivamente sia da considerare come primo insediamento servirebbe ad evitare che gli aiuti vengano percepiti da agricoltori già di fatto insediati, con le relative, ovvie, conseguenze in termini di inefficacia e iniquità che ciò comporta (2);
- in apparente contraddizione con quanto appena specificato, viene indicata la necessità di estendere l’erogazione a quei giovani agricoltori i quali, pur essendo già insediati in aziende agricole si trovino a condurre unità di dimensioni economicamente insufficienti o sub-ottimali e che, tuttavia, grazie all’aiuto, potrebbero ridurre l’inefficienza e la precarietà dell’impresa. Sembra il caso di sottolineare come l’estrema difficoltà di valutare l’effettiva sussistenza di tali situazioni e delle loro cause potrebbe rendere impraticabile, dal punto di vista operativo, individuare e delimitare questa nuova categoria di beneficiari e quindi, paradossalmente, vanificare il maggiore rigore proposto.
- Il periodo considerato come necessario a completare l’avviamento delle attività, finito il quale l’azienda deve mostrare il raggiungimento degli obbiettivi indicati nel business plan dovrebbe essere portato da 3 a 5 anni. Ciò in considerazione della lunghezza di alcuni cicli produttivi, del tempo necessario per il pieno inserimento nel mercato, della forte variabilità delle condizioni nelle quali le imprese agricole si trovano ad operare sia per quanto riguarda l’ambiente naturale che quello economico. A proposito del periodo di avviamento, è importante rilevare come molta enfasi venga posta sulla importanza della formazione professionale, per assicurare la quale viene auspicata l’intensificazione delle azioni nel campo della formazione e dell’aggiornamento professionale sia attraverso corsi che con altre attività come, ad esempio, la promozione di visite di studio e di scambi tra agricoltori di diverse aree che consentano di mettere in comune, migliorare e diffondere tecniche e pratiche agricole desiderabili.
Più interessante è senz’altro, in questa sede, un esame delle proposte di tipo innovativo suggerite dal Parlamento europeo con la risoluzione di quest’anno. Su queste vale la pena soffermarsi per una breve descrizione ed un commento.
Senz’altro positivamente ci sembra vada accolto il richiamo alle questioni generali e di fondo che sottendono la mancanza di un adeguato ricambio generazionale nel settore primario su di un piano che trascende le questioni più interne all’agricoltura. In particolare, vengono ricordate, da un lato, la bassa redditività di questo settore in termini relativi; dall’altro lato, le condizioni di vita nelle aree rurali che non sempre risultano accettabili o comunque paragonabili a quanto disponibile in contesti urbani.
Queste dunque frenerebbero i giovani dall’entrare in attività nel settore primario. Vale la pena sottolineare che, se questo è vero in alcuni contesti territoriali, e per alcuni aspetti (ad esempio, alcuni servizi pubblici, quali scuole, trasporti sanità, ecc.), per altri aspetti che pure determinano la qualità della vita, i territori rurali possono presentare significativi vantaggi (minore congestione, inquinamento, spazio, costi delle abitazioni, tessuto sociale più accogliente, ecc.). Infine, nel documento viene anche ricordato come la professione di agricoltore non sempre goda della considerazione e del prestigio sociale che dovrebbe meritare (forse questo è più vero nei paesi del nuovo allargamento che vivono oggi una fase di contrazione del settore primario sinonimo di povertà ed arretratezza) e ciò rappresenta un ulteriore fattore di allontanamento dei giovani.
Per contrastare questi fattori di ordine generale che contribuiscono all’allontanamento dei giovani dall’agricoltura, il Parlamento europeo richiama la necessità di interventi ad ampio raggio che consentano di migliorare le condizioni di vita complessive nelle aree rurali e che sostengano l’immagine della professione di agricoltore, come ad esempio l’istituzione dell’ “anno europeo del dialogo tra città e campagna”; l’istituzione di un marchio europeo di qualità che garantisca ai cittadini/consumatori europei la provenienza e la salubrità dei cibi, nonché l’esistenza di una agricoltura europea a salvaguardia dell’ambiente, delle tradizioni culturali e della sicurezza degli approvvigionamenti interni. Non può sfuggire come si tratti, evidentemente, di palliativi che, seppure apprezzabili, difficilmente potrebbero incidere significativamente sui dati di contesto richiamati.
Infine, oltre a questi interventi di contesto, magari anche opportuni ma, come è evidente, di non banale realizzazione, vengono individuate alcune misure di carattere puntuale, direttamente collegabili alle possibilità di insediamento ed al suo successo. Queste sono così riassumibili:
- Un ruolo centrale nel processo di sostegno agli insediamenti di giovani imprenditori in agricoltura dovrebbe assumerlo la creazione di una "banca delle terre agricole" da costituirsi sulla base dei terreni che si liberano a seguito di fuoriuscite e prepensionamenti. Si tratta, in buona sostanza, di un inventario completo della domanda e dell’offerta di terreni agricoli e di intere aziende, per ciascuno dei quali viene raccolto un elevato numero di informazioni di dettaglio sulle caratteristiche naturali, strutturali ed infrastrutturali. L’intento è di facilitare il processo di compravendita e, dunque, l’avvicendamento alla conduzione generando la grande mole di informazioni preliminari necessarie alla realizzazione dei passaggi ed abbattendo gli elevati costi di transazione. Non solo. L’istituzione preposta a gestire la banca dovrebbe (su modello del Centre National pour l'Aménagement des Structures des Exploitations Agricoles [Cnasea] che opera in Francia da alcuni anni) svolgere anche un vero e proprio ruolo di mediazione nel processo di affiancamento tra l’anziano che cede ed il giovane che subentra (3). In sostanza si avrebbe un avviamento progressivo dell’attività nel quale colui che rileva può acquisire le conoscenze specifiche e la rete di relazioni commerciali accumulate nel tempo dall’imprenditore uscente e può contare sul sostegno di tecnici ed esperti che lo orientino sia sulle procedure di accesso agli aiuti ai quali ha diritto che sugli aspetti tecnico-economici propri dell’attività che si avvia.
- Nel documento, un ruolo altrettanto importante viene assegnato ad interventi presso il sistema creditizio finalizzati a rendere meno difficoltoso ed oneroso l’indebitamento da parte dei giovani agricoltori. Viene anche auspicata, a questo proposito, la creazione di schemi assicurativi, che per il periodo dell’avviamento, mettano al riparo gli agricoltori dalle conseguenze di avversità climatiche, oscillazioni dei mercati ed altri eventi imprevisti che possano minare i risultati economici delle attività agricole. Sempre al fine di facilitare l’accesso al credito, viene auspicata l’adozione da parte degli Stati membri di misure fiscali che possano contribuire a contenere il costo complessivo degli interessi sui capitali presi a prestito.
In definitiva, il richiamo che arriva dal Parlamento europeo appare decisamente opportuno data l’importanza della questione del mancato ricambio generazionale (alla quale più volte questa rivista ha ritenuto di dedicare la propria attenzione attraverso l’organizzazione di momenti di riflessione e di scambio tra studiosi e policy maker e sollecitando la pubblicazione di articoli). Senza giovani agricoltori, ci ricorda il Parlamento europeo, il settore non solo viene penalizzato in termini di capacità di innovazione e competitività ma ne vengono minate le stesse possibilità di sopravvivenza.
Certo, si dice anche nel documento, aiutare i giovani non deve assolutamente implicare alcuna distorsione a carico degli agricoltori che giovani non sono e che rappresentano pur sempre la colonna portante del settore. Se l’obbiettivo è dare corpo ad una Pac che -smantellate rendite e sacche di inefficienza- orienti il settore a produrre i beni che il mercato chiede ed i servizi ambientali, il presidio del territorio e le altre esternalità e beni pubblici necessari alla collettività, allora l’individuazione dei destinatari delle politiche deve essere fatta in base ai comportamenti, da premiare o sanzionare a seconda dei casi. Viceversa, lo status, sia esso riferito all’età o a qualsiasi altra condizione verificata a priori, non è più il requisito dirimente per l’ottenimento di fondi.
Concretamente, ciò vuol dire, ad esempio, che incentivare nuovi insediamenti in agricoltura, non sempre e non in tutti i contesti territoriali richiede necessariamente di rivolgersi in via preferenziale ai giovani. Laddove, ad esempio, raggiunta l’età della pensione vi siano l’intenzione e la possibilità di trascorrere la terza età in campagna, occupandosi di terreni, magari in contesti non sufficientemente produttivi per assicurare una presenza competitiva sul mercato ma in condizioni ambientali che rendano importante effettuare operazioni di manutenzione e presidio del territorio, perché non favorire ed incentivare tali attività?
Note
(1) Per maggiori approfondimenti sul tema della senilizzazione degli imprenditori agricoli e della contrazione del settore e per una discussione sugli interventi adottati a contrasto del fenomeno, sul loro utilizzo e sui loro effetti, si rimanda agli articoli usciti su Agriregionieuropa fin dal n. 0.
(2) Per una discussione di questi effetti si rimanda all’articolo: Carbone A. (2005), “La misura per l’insediamento dei giovani in agricoltura: pubblici vizi e virtù private”, uscito sul n. 0 di Agriregionieuropa.
(3) Altre informazioni su come è organizzata in Francia l’assistenza ai subentri si trovano sul sito CNASEA [link] dal quale, ad esempio, si desume che l’accesso agli aiuti nazionali viene subordinato, tra l’altro, a condizioni di reddito che non devono eccedere una data soglia. Si tratta, evidentemente, di uno sbarramento inteso ad evitare o limitare gli effetti distributivi sperequativi che questi aiuti possono sortire ed ai quali si è fatto cenno precedentemente.