La politica per la ricerca pubblica agricola in Italia: alcune riflessioni su struttura, evoluzione e perfomance

La politica per la ricerca pubblica agricola in Italia: alcune riflessioni su struttura, evoluzione e perfomance

Politica di ricerca e innovazione, vera priorità dell’agro-alimentare italiano

La competitività dei prodotti agro-alimentari (e non) italiani su mercati ormai globali richiede un recupero di efficienza, produttività, organizzazione delle filiere che, a sua volta, presuppone un massiccio investimento in ricerca ed innovazione. Su ciò, sembra vi sia ampia convergenza da parte sia del mondo politico che del mondo agricolo nazionale. Come un riflesso condizionato, un “mantra” ripetuto senza troppa convinzione, ne deriva una generalizzata rivendicazione di maggiori risorse pubbliche. I fatti, in realtà, dimostrano che le scelte politiche vanno in direzione opposta; quando si tratta di destinare risorse pubbliche, non è certo la ricerca ad essere in prima fila. Nella stessa allocazione delle risorse per le politiche agricole (nazionali e regionali), spesso gli investimenti in ricerca ed innovazione sono tali da far pensare che questa non sia davvero una priorità strategica neanche per il mondo agricolo il quale spesso, al dunque, dimostra di preferire impieghi ben più “concreti” ed immediati di queste risorse.
Ancora in questi mesi, vengono paventati, per gli anni a venire, tagli ai finanziamenti pubblici da destinarsi alla ricerca e all’università, e a ciò fanno sistematicamente seguito le legittime, e giuste, contestazioni del mondo della ricerca e dell’accademia che rivendica, anche nei fatti, quella priorità che a parole viene tanto sbandierata per ricerca e innovazione.
La verità è che, allo stato attuale, la richiesta di maggiori fondi pubblici sembra essere, soprattutto nell’agro-alimentare, poco realistica e, forse, anche poco rigorosa. Poco realistica perché la riduzione, o comunque il forte rallentamento della crescita dei finanziamenti pubblici alla ricerca in ambito agricolo, in termini reali, è un dato di fatto consolidatosi ormai da tempo in molti paesi sviluppati. Se poi guardiamo alla realtà italiana, risulta ancora più evidente che il ritardo che pure osserviamo in termini di finanziamento della ricerca, rispetto a paesi ad analogo grado di sviluppo, non è tanto nell’entità del finanziamento pubblico, quanto nel ben più contenuto investimento privato; su questo, evidentemente, sembrerebbe prioritario intervenire (1).
La rivendicazione di maggiori fondi pubblici per la ricerca in agricoltura appare anche poco rigorosa perché, a ben vedere, è più che legittimo nutrire seri dubbi sul fatto che le risorse pubbliche attualmente investite in ricerca e sviluppo, poche o molte che siano, vengano davvero usate in modo razionale e producano, in maniera inequivocabile, il beneficio rivendicato dal mondo della ricerca e dell’università. Ciò che conta, quanto e forse più dell’entità delle risorse stesse, è la qualità dell’organizzazione di un sistema di ricerca, quindi come vengono usati i fondi messi a disposizione. Prima ancora che rivendicare maggiori risorse, perciò, è bene porsi criticamente rispetto alla reale adeguatezza dell’attuale organizzazione del sistema di ricerca ed innovazione nazionale. Ciò sembra tanto più vero nello specifico ambito della ricerca agricola e, più in generale, agro-alimentare, la cui attuale frammentazione rende davvero urgente un’attenta analisi dell’organizzazione dei soggetti operanti, della loro integrazione e delle loro performance, al fine di progettare quel salto di qualità istituzionale e organizzativo che sappia realmente contribuire, anche con le risorse attuali, al necessario recupero di competitività del sistema agro-alimentare nazionale.

Evoluzione della ricerca agricola pubblica: una prospettiva internazionale e di lungo periodo

La particolarità del settore agricolo (le sue piccole o piccolissime dimensioni medie di impresa, l’operare in regime sostanzialmente concorrenziale, la rilevanza politico-strategica dell’approvvigionamento alimentare) spiega perché ricerca e sperimentazione in questo settore sono in larga prevalenza, ed in tutti i paesi, finanziate da soggetti pubblici. Anche in sistemi di ricerca ed innovazione più “sofisticati”, con un importante contributo dei soggetti privati, il ruolo del pubblico rimane centrale. Peraltro, già a partire dagli anni Cinquanta, numerosi studi a livello internazionale hanno dimostrato il rendimento particolarmente elevato degli investimenti pubblici in ricerca agricola (Huffman e Evenson, 1993; Huffman e Just, 2000), e per decenni questa evidenza ha concentrato il dibattito sul tema prevalente del necessario incremento della spesa in ricerca agricola pubblica.
Negli ultimi decenni, però, a partire dai paesi più sviluppati quali Usa e Regno Unito, per coinvolgere progressivamente gran parte delle realtà nazionali, paesi in via di sviluppo compresi, si è cominciato ad assistere ad una progressiva diminuzione dei tassi di crescita dell’investimento pubblico in ricerca agricola, fino a giungere ad una stabilizzazione o persino una diminuzione dei livelli di spesa in termini reali (Spielman e von Grebmer, 2004; Huffman e Just, 1998; Huffman, 1999; Pardey et al., 2006). Al di là dei suoi alti rendimenti, il dibattito intorno alla ricerca agricola pubblica a livello internazionale ha gradualmente preso atto di questi vincoli di budget, per riorientarsi verso il generale tema di come organizzare al meglio l’attività di ricerca pubblica così da far convergere l’azione dei vari soggetti coinvolti in una logica di sistema (Vagnozzi et al., 2006). Come conseguenza, la competizione stessa tra paesi non viene più letta semplicemente in termini di livelli di investimento pubblico in ricerca ed innovazione, ma più complessivamente come qualità di un sistema molto articolato in cui la capacità di azione del pubblico si gioca proprio in termini di attivazione e razionalizzazione delle risorse complessivamente messe in campo da tutti i soggetti coinvolti.
E’ proprio una performance di sistema ciò che, dunque, fa sì che l’agro-alimentare di un paese si collochi tra i leader o i follower nello sviluppo tecnologico del comparto agricolo ed agro-alimentare in chiave internazionale. E tale perfomance non è semplicemente riconducibile ad una singola variabile, ad un solo soggetto o ad una singola scelta politica. Piuttosto, è l’estrinsecarsi di un processo di lungo periodo con cui si sono generate forme di interazione ed integrazione (“hanno fatto sistema”) tra componenti e soggetti diversi nella formazione e adozione di conoscenza, capitale umano e innovazione tecnologica.
A questo sistema sono state date diverse denominazioni; forse la più nota è quella di National Agricultural Research System (Nars), a sua volta espressione settoriale del più generale concetto di National Innovation System (Nis) (Spielman, 2006a, 2006b). Secondo la definizione della Fao, un Nars è l’insieme di tutte le istituzioni ed i soggetti pubblici e privati che dedicano parte o tutte le loro risorse ed attività alla ricerca ed allo sviluppo tecnologico agricolo o, più in generale, agro-alimentare, secondo le priorità strategiche del paese, cioè secondo la propria “agenda” di ricerca agricola. Più di recente, questa idea sistemica della performance innovativa di un paese e di un settore è stata associata con maggiore enfasi ai processi ed ai meccanismi di trasferimento della conoscenza, e si parla perciò di Agricultural Knowledge and Information System (Akis) (Spielman, 2006a; Pilati, 2006). Nars o Akis che sia, il punto cruciale è che le performance innovative di un sistema agro-alimentare nazionale o regionale non sono semplicemente il risultato delle scelte di finanziamento pubblico in quanto tali (quanto si spende in ricerca pubblica), bensì dipendono da come queste scelte pubbliche vengono coordinate ed integrate tra loro e rispetto all’azione degli altri soggetti coinvolti nel sistema.

La struttura della ricerca agricola pubblica in Italia

Proprio seguendo questa logica, va riconosciuto che i confronti tra paesi in termini di sforzo in ricerca ed innovazione e di relative perfomance non sono agevoli. Infatti, ogni paese ha una propria organizzazione del sistema di ricerca ed innovazione agricola, con diversa presenza di soggetti pubblici e privati. Guardando all’Italia, da un lato, va certamente ribadito che, per quanto riguarda la ricerca pubblica in agricoltura, il quadro che emerge conferma comunque la bassa intensità di ricerca che si osserva con riferimento all’intero paese: cioè un rapporto tra spesa in R&S e Pil al di sotto degli altri paesi ad economia avanzata (Esposti et al, 2008). D’altro canto, però, proprio per quanto sopra sottolineato, non si può limitare il confronto al semplice indicatore della spesa pubblica in ricerca. In relazione al disegno generale del sistema di ricerca pubblica agricola in Italia, infatti, ciò che emerge rispetto ad altri paesi europei è piuttosto la struttura fortemente frammentata e disorganica, nonché molto dispersa territorialmente.
Il sistema della ricerca pubblica in agricoltura in Italia è particolarmente articolato e non facile da ricondurre ad un organico quadro di sistema (Vieri et al., 2006), con una frammentazione, in effetti, difficilmente riscontrabile in altri paesi. Con riferimento al 2007, ben 6 ministeri hanno competenze in tema di ricerca agro-alimentare. Il sistema universitario conta 24 Facoltà di Agraria, con 150 dipartimenti, e 14 Facoltà di Medicina Veterinaria. Per non dire di tutte le altre Facoltà universitarie in cui si svolge ricerca attinente le tematiche agricole (gli economisti agrari, ad esempio, sono presenti anche ad Economia, Scienze politiche, Scienze della formazione, Architettura, Bioscienze e biotecnologie, Sociologia, Scienze umane e sociali, Scienze gastronomiche, Medicina e chirurgia, Scienze matematiche fisiche e naturali, Pianificazione del territorio, Ingegneria). Il sistema di ricerca pubblico extra-universitario conta circa 50 istituti di ricerca tra Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (Mipaaf) e Cnr. Il Consiglio per la Ricerca e sperimentazione in Agricoltura (Cra) (2) ambisce ad organizzare una rete che conta 82 strutture di ricerca tra centrali e periferiche con 1860 dipendenti (mediamente circa 20 dipendenti per ogni struttura, di cui indicativamente la metà è effettivamente personale di ricerca), sebbene la relativa proposta di riorganizzazione verta intorno a 15 Centri e 32 Unità di ricerca. Ciò anche per cercare di soddisfare un po’ tutte le Regioni e le Province Autonome che, peraltro, a loro volta rivendicano il ruolo riconosciuto loro dal Titolo V della Costituzione e, comunque, si aggiungono al sistema con circa altri 40 centri di ricerca a carattere regionale. E’ inevitabile che in tale contesto le risorse finanziarie e umane, di per sé già insufficienti, risultino fortemente disperse (Cucinotta et al., 2006).
Con riferimento al complesso delle strutture operanti nel settore della ricerca pubblica in agricoltura, è pur vero che è possibile individuare tre grandi ambiti principali, riferibili rispettivamente al Mipaaf, al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur) e alle Regioni. Non di meno, però, a questi tre grandi ambiti, e alla loro stessa organizzazione interna, non è sempre possibile ricondurre una chiara distribuzione di compiti, funzioni e obiettivi strategici. La stessa entità dei finanziamenti ad essi riconducibile è tutt’altro che di facile individuazione. Per esempio, nel 2003 al Miur potevano essere ricondotti, attraverso i programmi Prin, Firb e Fisr, finanziamenti specifici per l’agricoltura di circa 15 milioni di euro (3). Nello stesso anno, la spesa del Mipaaf riconducibile ad attività di ricerca è stata di circa 60 milioni di euro, mentre la spesa delle Regioni per ricerca e sperimentazione agricola addirittura di 98 milioni di euro, con due regioni oltre i 20 milioni di euro (Trentino-Alto Adige e Lombardia). Ma il quadro che ne deriva è comunque fuorviante. In primo luogo, perché rimangono escluse voci di spesa assai ingenti, ma di fatto non quantificabili, quale la spesa del Miur per tutto il sistema universitario riconducibile all’attività agricola (certamente le Facoltà di Agraria e di Medicina Veterinaria); considerando anche queste voci, il contributo del Miur tornerebbe ad essere di gran lunga il principale. In secondo luogo, perché si corre il rischio di confrontare spese ben diverse, laddove la spesa delle Regioni per ricerca e sperimentazione copre, anche nel senso più malizioso del termine, un ventaglio ben più ampio di attività di quanto non facciano le voci di spesa del Mipaaf riconducibili alla ricerca.
Alla luce di queste caratteristiche generali, si tratta di comprendere quali siano le congruenti linee strategiche per lo sviluppo del Nars-Akis italiano e per la scelta della sua mission, ed in particolare delle componenti pubbliche che più direttamente dipendono da scelte politiche. Lo stesso dimensionamento delle risorse complessive, le relative strategie di allocazione, le procedure di controllo e valutazione, andrebbero impostate al fine di sanare la contraddizione tra una “offerta” fortemente frammentata ma poco capace di relazionarsi con le esigenze specifiche del territorio, ed una “domanda” invece sempre più contestualizzata rispetto alla dimensione locale e specialistica.
Servono, in pratica, più strumenti che favoriscano le collaborazioni privato-pubbliche, pubblico-pubbliche, in chiave sia nazionale che internazionale: è necessario rafforzare meccanismi e strumenti di incentivo-disincentivo a favore della “messa in rete” di diverse componenti del Nars-Akis e di queste con il contesto esterno. Proprio rispetto a quest’ultimo punto, il modello “a rete” per ripensare il Nars-Akis nazionale può essere l’utile riferimento, il punto di compromesso tra due estremi, entrambi non proponibili e comunque superati dal nuovo contesto, una sorta di “terza via” (Spielman e von Grebmer, 2004; Bonaccorsi, 2003). Ad un estremo, un sistema fortemente centralizzato e gerarchico (per esempio sulla scorta del modello francese o olandese), che prevede però un investimento pubblico molto elevato, forse improponibile in tempi brevi, nonché una ristrutturazione pesante dell’attuale organizzazione frammentata, quindi probabilmente non politicamente perseguibile. Un sistema che peraltro esprime una strategia forse troppo ambiziosa, quella di una leadership tecnologica complessiva in ambito agro-alimentare che è al di fuori della portata e degli stessi interessi nazionali. All’altro estremo, il sistema assai frammentato attuale che non è in grado di convogliare sforzi così dispersi in uniche direzioni strategiche e, se è in grado di far nascere eccellenze, non è poi capace di farle assurgere a livello di sistema, di attivare circoli virtuosi che favoriscano best practices e premino i risultati ed il merito.

La sfida

La sfida, dunque, è proprio ridisegnare il sistema della ricerca pubblica agro-alimentare, in modo che l’attuale articolazione assuma il carattere positivo della modularità e flessibilità, piuttosto che quello negativo della dispersività. Va riconosciuto, peraltro, che di questa esigenza si trova ampio risalto nelle più recenti scelte politiche sul tema e, in particolare, nel Piano Nazionale della Ricerca 2005-2007 (Pnr) e, più nello specifico, nella costituzione, prima, e nel piano di riordino, poi, del Consiglio per la Ricerca e sperimentazione in Agricoltura (Cra) (4). Nello stesso tempo, della difficoltà ad esercitare efficacemente questo fondamentale ruolo dell’intervento pubblico e della politica della ricerca, ne è altrettanto chiara testimonianza proprio la sostanziale incapacità, rispetto al riordino del Cra, di dare seguito in modo operativamente efficace a queste scelte, con una appropriata dotazione e distribuzione di risorse, con una adeguata governance e un appropriato sistema di controllo, con i sufficienti gradi di interazione tra le componenti del sistema.
Il fatto, cioè, è che questa riconversione verso un più razionale ed organico sistema “a rete” richiede alcuni necessari passaggi istituzionali, apparentemente senza costo, ma con tutta evidenza non indolori, che non si è riusciti, o non si è voluto, ancora compiere. Tra questi, in prima battuta, se ne possono menzionare tre.
Selezione e ridimensionamento: non è possibile pensare di mantenere in vita tutte le strutture attuali. E’ necessario concentrare le risorse riducendo il numero di strutture e favorendo la crescita dimensionale delle migliori. Questo, pur mantenendo la diffusione delle strutture rimanenti sul territorio nazionale, richiede scelte politiche coraggiose e impopolari e, soprattutto, un rigoroso e trasparente sistema di valutazione.
Collaborazione istituzionale: in un sistema “a rete” non vi è gerarchia tra sistema universitario, ricerca pubblica governativa extra-universitaria, centri regionali e sistema delle imprese. Allo stesso tempo, in questo modello, la forza complessiva è generata dall’intensità (qualità e quantità) delle relazioni tra i nodi. Quindi, vanno di molto rafforzati gli scambi inter pares di risorse, capitale umano, conoscenza e competenza tra tutti questi ambiti. Per esempio, uniformando la definizione e costruzione delle carriere, rendendo il personale inter-scambiabile, consentendo o facilitando il finanziamento reciproco di progetti, borse di studio, ecc.
Integrazione con il Nis: per ultimo, ma non in ordine di rilevanza, va ovviamente sottolineato il fatto che questa ridefinizione del Nars-Akis nazionale non può che essere pensata nel quadro di un coerente disegno di ristrutturazione dell’intero Nis. Questo per il semplice fatto che, soprattutto in un sistema “a rete”, i punti di intersezione tra il Nars-Akis ed altre componenti del Nis sono tali e tanti (si pensi solo all’ambito universitario), per cui non è possibile ripensarli separatamente. E’ evidente che un disegno “a rete” difficilmente avrà successo se si procede con interventi in ordine sparso. Creazione e riorganizzazione del Cra, competenze regionali, riforma del sistema universitario, incentivi fiscali ed agevolazioni per le imprese che fanno ricerca, ecc., sono tutte misure che se non realizzate con coerenza, non solo di indirizzo ma anche temporale, rischiano di rendere irrealizzabile il disegno, fino anche ad annullarsi reciprocamente.
Su questi tre passaggi, sui loro tempi e modi, sembra prioritario aprire il dibattito, concentrare l’attenzione e gli sforzi. Se non altro, perché una vera riflessione del mondo della ricerca e dell’università su questi aspetti renderebbe più credibili le pur legittime rivendicazioni di maggiori risorse pubbliche.

Note

(1) Per approfondimenti su questo punto si veda, in generale, OECD (2007), e, nello specifico, Esposti et al. (2008).
(2) Il Cra è un Ente nazionale di ricerca e sperimentazione con competenza scientifica generale nel settore agricolo, agroindustriale, ittico e forestale. Posto sotto la vigilanza del Mipaaf ha, però, autonomia scientifica, statutaria, organizzativa, amministrativa e finanziaria. Istituito nel 1999, di recente (2006) ne è stato definito un piano di riorganizzazione che dovrebbe concentrarne e razionalizzarne risorse e le attività.
(3) Si veda Materia e Esposti (2008) per maggiori dettagli circa questi dati relativi al finanziamento della ricerca.
(4) Per una pia ampia e coerente ricostruzione dell’evoluzione del quadro normativo sul tema si veda anche Materia e Esposti (2008).

Riferimenti bibliografici

  • Bonaccorsi, A. (a cura di), 2003, Il sistema della ricerca pubblica in Italia. Milano, Franco Angeli.
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  • Esposti, R., Lucatelli, S., Peta, E.A., 2008, Strategie di innovazione e trend dei consumi in Italia: il caso dell'agro-alimentare. Materiali UVAL – Documenti, n. 15, Ministero dello Sviluppo Economico, Dipartimento per le Politiche dello Sviluppo, Roma, [link]
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