La conservazione delle varietà/razze locali è stata sempre compito esclusivo degli agricoltori: essa era una necessità finalizzata alla coltivazione/allevamento della varietà/razza più adatta ad uno specifico ambiente pedo-climatico e/o alle abitudini alimentari e/o ai bisogni dell’agricoltore stesso, della sua famiglia e degli animali allevati.
Questo approccio è cambiato in tempi recenti e le varietà selezionate e conservate per centinaia di anni dagli agricoltori, anche attraverso lo scambio di seme e di memoria storica, sono state viste come risorsa genetica da utilizzare a scopi scientifici (banche dei semi, istituti di ricerca, …) e/o a scopi commerciali. Da questo momento gli agricoltori hanno assistito ad una continua erosione del proprio patrimonio varietale, che era alla base della loro sopravvivenza e delle economie locali.
È in seguito a questa situazione e all’emergere di interessi molteplici intorno alle risorse genetiche, in particolare quelle agrarie, che sono emerse la necessità di dare maggiore forza alla conservazione fatta dagli agricoltori, l’urgenza di coordinare le iniziative e l’esigenza di “normare” in qualche maniera ciò che per secoli non ha avuto bisogno di normative.
Questa premessa è necessaria per poter compiere una lettura obiettiva degli strumenti legislativi finalizzati alla regolamentazione del settore messi in atto dall’Unione Europea e dalle istituzioni locali italiane. Questi interventi oggi assumono ancora maggior valore alla luce del Trattato Internazionale sulle Risorse Fitogenetiche per l’Alimentazione e l’Agricoltura(1).
Tabella 1 - Quadro sintetico delle leggi regionali finalizzate alla tutela delle varietà/razze locali
Le iniziative regionali italiane (tabella 1) sono oggi l’unico esempio operativo in Europa (e forse nel mondo) in ambito di tutela delle risorse genetiche di interesse agrario e sono certamente anticipatrici di quella che dovrebbe/potrebbe essere una norma nazionale e europea. Alcune di esse (vedi Toscana) sono state emanate ancora prima della Direttiva CE 98/95 (2).
La Direttiva UE 98/95 va considerata il punto di partenza e introduce esplicitamente la necessità di interventi di salvaguardia delle specie minacciate da erosione genetica, mediante sistemi di conservazione in situ. Questo principio è stato recepito in Italia con il Decreto Legislativo n. 212 del 2001, che prevede l’istituzione di una sezione del Registro Nazionale che comprenda le “varietà da conservazione” individuate “tenendo anche conto di valutazioni non ufficiali, delle conoscenze acquisite con l’esperienza pratica durante la coltivazione, la riproduzione e l’impiego e delle descrizioni dettagliate delle varietà e delle loro rispettive denominazioni, così come notificate: questi elementi, se sufficienti, danno luogo all’esenzione dell’obbligo dell’esame ufficiale”. L’emanazione del successivo Decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 9 maggio 2001 aveva lo scopo di fare maggiore chiarezza a livello pratico e operativo, in particolare sotto il profilo dello scambio fra agricoltori della semente di varietà da conservazione.
Soltanto l’emendamento alla Legge 1096/71 approvato dal Senato il 14 marzo 2007, rappresenta il primo passo verso l’attuazione delle norme di cui sopra.
La Commissione Europea sta lavorando al testo di una direttiva “providing for certain derogations for acceptance of agricultural landraces and varieties which are naturally adapted to the local and regional conditions and threatened by genetic erosion and for marketing of seed and seed potatoes of those landraces and varieties”. Si tratta di una norma complessa, con un lungo iter, soggetta a numerose modifiche da parte dei diversi soggetti preposti alla sua valutazione e il fatto che il testo sia alla versione n. 12 fa pensare che i tempi saranno ancora molto lunghi!
In ogni caso, il riconoscimento “formale” da parte di normative comunitarie e nazionali, sia della conservazione in situ, sia del concetto di “varietà da conservazione”, è stato decisamente una novità positiva, anche in considerazione del fatto che tutte queste norme si muovono nell’ambito della regolamentazione dell’attività sementiera, già fortemente “normata” fin dagli anni Settanta. Tuttavia, l’attivazione delle leggi in alcune regioni (in particolare Toscana, Lazio e Marche) ha messo in luce numerosi limiti degli attuali impianti normativi:
- mancanza e/o confusione su una definizione univoca di varietà da conservazione e/o varietà tradizionale;
- scarsa omogeneità delle schede di catalogazione del materiale collezionato e repertoriato, che debbono rispondere ad esigenze di semplicità e praticità, pur rispettando criteri scientifici minimi;
- necessità o meno della traduzione in norme legali di consuetudini rurali (come lo scambio informale di semi) che, oltre a caratterizzare il mondo agricolo, hanno permesso l’esistenza di una grande variabilità genetica agricola, evidenziando il rischio che la norma legale, porti all’instaurarsi di barriere nello scambio di materiale genetico e di informazioni, e quindi si inneschino meccanismi di erosione genetica;
- necessità di aprire un dibattito su come dovrebbero essere tutelati i diritti degli agricoltori; quali siano gli elementi di diritto, a chi si rivolgono e soprattutto quali sono gli strumenti di applicazione di tali diritti (già enunciati nell’art. 9 del Trattato Internazionale sulle Risorse Fitogenetiche, che lascia ai governi locali le indicazioni esecutive);
- individuazione di strumenti e responsabili per la “protezione” dei diritti delle comunità locali.
Sulla scorta delle esperienze già avviate, almeno due strumenti appaiono particolarmente utili al raggiungimento pieno degli obiettivi delle leggi regionali:
- il repertorio delle varietà/razze locali: è fondamentale per identificare i materiali genetici presenti nel territorio regionale e dare loro una precisa e inconfutabile identità, elementi basilari ad una loro solida tutela giuridica e per una conoscenza esatta del livello di erosione genetica;
- la rete di conservazione e sicurezza fra agricoltori, enti locali, organizzazioni pubbliche e private, cittadini: una delle funzioni principali della rete è quella di moltiplicare e diffondere il materiale genetico iscritto al repertorio, garantendo anche il pieno rispetto delle norme.
Infine, appare utile e indispensabile una fattiva azione di coordinamento fra le diverse Regioni per consentire un’efficace attuazione delle leggi, anche in funzione di un recepimento armonico degli strumenti normativi nazionali e comunitari.
L’esperienza in atto nella Regione Marche
La Regione Marche aveva già attivato in passato progetti di recupero, conservazione e valorizzazione del germoplasma del proprio territorio che hanno consentito di individuare e collezionare numerosi materiali genetici di specie erbacee (fagiolo, pomodoro, mais, ecc.). La Regione ha affidato all’ASSAM (Agenzia Servizi Settore Agroalimentare delle Marche) questo compito, che ha attivato una serie di iniziative a partire dalla fine degli anni Novanta, utilizzando strumenti finanziari regionali allora disponibili (esempio Obiettivo 5B) e attivando la collaborazione scientifica con l’Università Politecnica delle Marche.
Nel 2003 la Regione Marche, nella stessa ottica di molte Regioni italiane, in seguito ai sempre crescenti e molteplici interessi emersi negli anni recenti intorno alle risorse genetiche di interesse agrario, alla necessità di dare maggiore forza alla conservazione svolta dagli agricoltori, all’urgenza di coordinare numerose iniziative avviate sul territorio regionale e all’impellenza di individuare quanto effettivamente presente per poterlo tutelare, ha approvato la LR 12/03 “Tutela delle risorse genetiche animali e vegetali del territorio marchigiano”. La legge è stata resa operativa nel 2004 con il Regolamento Regionale n. 21/2004 concernente “Attuazione della LR 3 giugno 2003, n. 12”.
La finalità della legge è di tutelare le risorse genetiche animali e vegetali del territorio marchigiano, in particolare quelle minacciate da erosione genetica, e gli agroecosistemi locali, anche per favorire lo sviluppo di produzioni di qualità (Art. 1). Pertanto, questo atto normativo non ha solo una funzione di conservazione, ma anche di valorizzazione in funzione di un miglioramento e di una qualificazione dell’agricoltura regionale. Inoltre, l’azione di tutela non è rivolta soltanto alle risorse genetiche come sopra definite, ma anche agli agro-ecosistemi, quindi l’approccio alla biodiversità è un approccio di sistema, sicuramente il più efficace, che ben si integra con alcuni strumenti già in atto in Regione.
La legge ha attivato i seguenti strumenti operativi:
- regolamento attuativo;
- commissioni tecnico-scientifiche per il settore animale e per quelle vegetale;
- repertorio regionale del patrimonio genetico, suddiviso in sezione animale e sezione vegetale, al quale sono iscritte varietà vegetali e razze animali su proposta di soggetti pubblici e privati, singoli o associati, e dietro valutazione delle Commissioni preposte;
- rete di conservazione e sicurezza, alla quale possono aderire soggetti diversi, sia pubblici sia privati.
Ad oggi l’ASSAM [link], che appunto è stata individuata dalla Regione come ente gestore della legge, ha avviato un’ulteriore attività di indagine sul territorio, avvalendosi di istituzioni scientifiche regionali (Università Politecnica delle Marche, Dipartimento di Scienze degli Alimenti e CRA-Istituto Sperimentale per l’Orticoltura di Monsampolo del Tronto), che è tuttora in corso.
Inoltre, nella razionale ottica di non creare sovrastrutture o doppioni, ha individuato nell’Istituto di Monsampolo l’istituzione deputata alla creazione e gestione della banca regionale dei semi delle specie erbacee di tutta la Regione.
Per le specie arboree (frutticole, olivo e vite) la conservazione è effettuata dall’ASSAM presso i campi catalogo già impostati.
Per le specie animali la conservazione continua ad essere svolta dalle Associazioni degli Allevatori che gestiscono, altresì, i Libri Genealogici delle diverse razze, con la supervisione tecnico scientifica delle facoltà universitarie presenti in Regione (Università di Camerino e Università Politecnica delle Marche).
Dai primi risultati emerge che soltanto in poche delle specie coltivate oggi nelle Marche è possibile ritrovare ancora in coltivazione varietà locali o vecchie varietà, ad esempio mais (mais nostrani da polenta), fagiolo (sia fagiolo comune sia fagiolo di Spagna), pomodoro. Nelle specie più ampiamente coltivate, come cereali, pisello, favino, ecc…, di fatto in Regione non esistono più varietà locali ancora in coltivazione. E’ possibile rintracciare in coltura materiali genetici introdotti da altre regioni o addirittura recuperati da collezionisti o banche del germoplasma. Nel settore delle specie frutticole e dell’olivo la situazione appare migliore rispetto alle erbacee, trattandosi di colture poliennali che hanno avuto maggiori possibilità di sopravvivenza (alberi sparsi sono rimasti in numerosi contesti aziendali, bordi di campi, siepi e scarpate, presso orti familiari, monasteri, ecc..). Nella vite l’avvento dei vigneti specializzati ha comportato la scomparsa della coltivazione di vecchi vitigni locali, tuttavia l’ASSAM è riuscita a recuperarne circa una trentina, prima che scomparissero definitivamente e a conservarli in un campo catalogo.
Oltre al lavoro di indagine sul territorio e al censimento delle risorse genetiche ancora presenti, è stato avviato anche un lavoro di caratterizzazione e valutazione di alcuni dei materiali genetici rinvenuti e organizzate attività di conservazione mirate. Una parte ulteriore di valutazione dei materiali genetici di specie erbacee è stata condotta ed è tuttora in corso presso il gruppo di ricerca di Genetica Agraria del Dipartimento di Scienze degli Alimenti (DiSA) dell’Università Politecnica delle Marche [link].
Per il settore animale i numeri sono ancora più ridotti: malgrado le Marche siano sempre state una regione prevalentemente agricolo/zootecnica, nel suo territorio non si sono creati, nel tempo, “tipi genetici” differenti. Oggi esistono solo 4 razze regionali appartenenti a 3 specie diverse: la razza bovina “Marchigiana”, le razze ovine “Sopravvissana” e “Fabrianese” e la razza equina “Cavallo del Catria”. Tuttavia, di queste soltanto la bovina Marchigiana e la Sopravvissana hanno una storia relativamente lunga (prima metà del XX secolo), mentre le altre due sono di recentissima costituzione (1973 primo libro genealogico per la pecora Fabrianese e addirittura 1980 per il Cavallo del Catria).
Note
(1) Trattato Internazionale sulle Risorse Fitogenetiche per l’Alimentazione e l’Agricoltura, ratificato dal Parlamento Italiano nell’aprile 2004 (Gazzetta Ufficiale n. 95, 2004). Gli obiettivi principali del Trattato, che è giuridicamente vincolante per i Paesi che lo hanno ratificato, sono “la conservazione e l’uso sostenibile delle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura e la ripartizione giusta ed equa dei benefici derivati dal loro utilizzo, in accordo con la Convenzione sulla Diversità Biologica”, ai fini di un’agricoltura sostenibile e della sicurezza alimentare. Inoltre, aspetto rilevante, il Trattato “riconosce l’enorme contributo che gli agricoltori e le comunità contadine di tutto il mondo hanno dato e continuano a dare alla conservazione e allo sviluppo delle risorse fitogenetiche. Questo riconoscimento è la base dei ‘Diritti degli agricoltori’ (Farmer’s Rights), che comprendono la protezione delle conoscenze tradizionali e il diritto a partecipare in maniera equa alla ripartizione dei benefici, così come il diritto di partecipare alle decisioni prese a livello nazionale in materia di risorse fitogenetiche” (Commissione FAO sulle Risorse Fitogenetiche, 2004).
(2) Direttiva 98/95/CE del Consiglio del 14 dicembre 1998 che modifica, per quanto riguarda il consolidamento del mercato interno, le varietà geneticamente modificate e le risorse genetiche delle piante, le direttive 66/400/CEE, 66/401/CEE, 66/402/CEE, 66/403/CEE, 69/208/CEE, 70/457/CEE e 70/458/CEE concernenti la commercializzazione delle sementi di cereali, dei tuberi-seme di patate, delle sementi di piante oleaginose e da fibra e delle sementi di ortaggi e il catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole (Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee L25 del 1/2/1999).
Commenti
Utente non regi... (non verificato)
Gio, 01/01/1970 - 01:00
Collegamento permanente
info direttiva CE
l'articolo sopra riportato risulta molto interessante per la ricerca in campo normarivo che stavo effettuando. spero possiate aiutarmi, poichè non trovo informazioni aggiornate, dicendomi, se nel frattempo, la direttiva CE providing for certain derogations for acceptance of agricultural landraces and varieties which are naturally adapted to the local and regional conditions and threatened by genetic erosion and for marketing of seed and seed potatoes of those landraces and varieties è stata emanata.
cordiali saluti
francesca marchi
Commento originariamente inviato da 'francesca marchi' in data 14/09/2009.
Utente non regi... (non verificato)
Gio, 01/01/1970 - 01:00
Collegamento permanente
risposta
Buonasera Francesca,
le rispondo in merito alla sua richiesta pervenuta.
Sì, la direttiva comunitaria da me citata in merito alle varietà da conservazione è stata approvata (Giornale Ufficiale dell'Unione Europea del 21 giugno 2008 - La Direttiva prende il numero 2008/62/EC).
La stessa è stata ampiamente discussa anche in Italia e, a quanto mi risulta, c'è un testo di decreto quasi definitivo che dovrebbe essere licenziato a breve.
In ogni caso, se lei vuole approfondire l'argomento, le consiglio di visitare il sito dell'Associazione Semi Rurali (www.semirurali.net) e al seguente link, in particolare, troverà numerose informazioni utili per la sua ricerca: http://www.semirurali.net/modules/news/index.php?storytopic=1&start=0
Commento originariamente inviato da 'oriana porfiri' in data 19/09/2009.