Dieci pilastri per l’agricoltura nel mediterraneo

Dieci pilastri per l’agricoltura nel mediterraneo

 

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Se l’Europa desidera poter pesare sulla scena internazionale, non può ignorare il Bacino Mediterraneo. L’interdipendenza con il Mediterraneo è divenuta tale da imporre partnership privilegiate. Attraverso una cooperazione pionieristica con gli altri paesi mediterranei l’Europa sarà in grado di giocare un ruolo nella globalizzazione, promuovendo uno sviluppo comune e durevole, in cui le variabili umane, sociali e ambientali saranno determinanti al pari delle componenti economiche e politiche.
La multidimensionalità della questione agricola e rurale nel Mediterraneo stimola la messa in moto di una mobilitazione euro-mediterranea e si mostra come una determinante essenziale per le economie e le società dell’area (1).
I caratteri dell’agricoltura Mediterranea si fondano su dieci pilastri.

1. Un determinante contesto socio-demografico

Nello spazio di mezzo secolo, la popolazione mediterranea sarà quasi raddoppiata, passando da 285 milioni di abitanti nel 1970 a 525 milioni entro il 2020. Questa crescita demografica è tuttavia disomogenea, poiché se il nord del Mediterraneo vede la sua popolazione stabilizzarsi dopo parecchi decenni, al contrario, la riva meridionale sperimenta un’impressionante esplosione demografica. Nel 2005, un terzo della popolazione del Mediterraneo risiedeva ancora in territori rurali, e un terzo della popolazione attiva nei paesi della riva meridionale operava nel settore agricolo. Questa popolazione rurale e agricola è naturalmente aumentata sulla riva meridionale con il boom demografico, mentre parallelamente al nord la popolazione rurale accelera la sua decrescita, così come il numero degli occupati in agricoltura. In questo inizio del XXI secolo non dobbiamo dunque ingannarci: il Mediterraneo ha una forte componente agricola e rurale. Non è dunque unicamente urbano, costiero e incentrato sui servizi.

2. Una situazione agro-commerciale preoccupante

Il degrado della bilancia agro-commerciale dei paesi arabi mediterranei merita un’attenzione particolare. In effetti, dopo tre decenni, questi paesi sono in una situazione di dipendenza alimentare cronica e alcuni stati sembrano ormai in una condizione di pesante deficit strutturale (Algeria, Egitto). Allo stesso tempo, si constata un saldo negativo di circa 9 miliardi di dollari nel 2004 nelle relazioni agro-commerciali dei paesi partner mediterranei (PPM) (2) verso il resto del mondo.

3. Un faccia a faccia euro-mediterraneo in “trompe-l’oeil”

Passata in secondo piano nell’ambito del dibattito euro-mediterraneo dopo il lancio del Processo di Barcellona nel 1995, la questione agricola sembra riposizionarsi a poco a poco nell’agenda della cooperazione regionale grazie alle iniziative promosse dalla Commissione e da alcuni PPM in questi ultimi mesi. Se le negoziazioni avanzeranno nella direzione della liberalizzazione degli scambi con una minoranza di Stati (Giordania e Israele in particolare, Egitto e Marocco in secondo luogo) bisognerà chiarire i termini del dibattito agricolo mediterraneo attraverso tre messaggi importanti.
In primo luogo, va richiamata l’asimmetria delle relazioni commerciali: l’Unione Europea (UE25) commercia con i dieci PPM solo per il 2% delle sue importazioni ed esportazioni agricole, ma polarizza per contro il 52% delle loro esportazioni agricole e copre il 28% delle loro importazioni. Abbiamo dunque un differenziale netto tra nord e sud del bacino in termini di intensità agro-commerciale.
In secondo luogo, bisogna considerare l’equilibrio ingannevole degli scambi euro-mediterranei: questi sono favorevoli ai PPM (+ 0,6 miliardi di dollari nel 2004) semplicemente perché la Turchia, da sola, contribuisce per circa la metà alle esportazioni dei PPM verso l’UE25. Il risultato è che, senza la potenza agricola turca, la bilancia commerciale agricola dei PPM con l’Europa è deficitaria (1,5 miliardi di dollari nel 2004).
Infine, va ricordata l’apertura dei PPM al mercato mondiale: nonostante la loro preferenza commerciale per l’UE25, nel 2004 essi si sono approvvigionati per il 72% dal resto del mondo. L’Europa pertanto non è più l’unica potenza esportatrice verso il sud del Mediterraneo: Stati Uniti, Argentina, Brasile o Australia sono degli attori commerciali rilevanti, come attestano le esportazioni cerealicole di questi paesi verso i paesi del Mediterraneo meridionale. L’attitudine del Marocco, che nel 2004 ha firmato un accordo di libero scambio con Washington, mostra che alcuni PPM oggi cercano di stringere alleanza politico-commerciali al di fuori del perimetro euro-mediterraneo.

4. Un evidente sviluppo rurale squilibrato

L’urgenza di sviluppare le zone rurali del Sud del Mediterraneo costituisce una sfida fondamentale nella problematica regionale. Questo imperativo resta prioritariamente incentrato nella lotta contro la povertà, piaga persistente nelle campagne. Il numero delle persone che vivono con meno di un dollaro al giorno sarebbe anzi aumentato negli anni Novanta, decennio nel corso del quale gli effetti dei programmi di aggiustamento strutturale hanno pesato sul processo di sviluppo di questi paesi. Se durante gli anni Settanta e Ottanta erano stati registrati progressi notevoli nei paesi del Mediterraneo meridionale, la crisi successiva degli anni Novanta che proviene non soltanto dallo sviluppo squilibrato tra urbano e rurale , ma anche dal mancato sviluppo rurale che, a volte, tende a prevalere (Ould Aoudia, 2006). Le infrastrutture socio-collettive mancano o si degradano (accesso all’acqua, accesso ai servizi, accesso all’istruzione), senza dimenticare le disparità di genere che permangono, tuttora, più forti che nei territori urbani.
Nelle aree rurali è difficile individuare la messa a punto di politiche efficaci per il rilancio delle produzioni agricole: la mancanza di un’organizzazione dei produttori, la debolezza della società civile e le lacune logistiche sono altrettanti freni allo sviluppo di un sistema agro-alimentare efficiente. In realtà, nel sud del Mediterraneo si contrappongono, da un lato, un’agricoltura commerciale, già inserita nella globalizzazione e molto spesso controllata da capitali stranieri e, dall’altro, un’agricoltura familiare destrutturata, di cui alcuni temono la lenta decomposizione se nulla viene promosso per riattivarla.

5. Una frattura Sud-Sud che si accentua

Nella maggior parte dei paesi del sud del Mediterraneo esiste il rischio di vedere di nuovo manifestarsi degli squilibri tra territori: ossia la riapparizione di una frattura intra-regionale. Nascoste dietro le numerose faglie che attraversano longitudinalmente il bacino mediterraneo, la frattura sembra approfondirsi latitudinalmente tra le zone urbane costiere e gli spazi rurali interni.
All’apertura delle città alla globalizzazione corrisponde la marginalizzazione e la pauperizzazione delle campagne. Tutto ciò accade come se il sud del Mediterraneo non avesse più bisogno del suo entroterra per svilupparsi. Secondo un disciplinato credo liberista, si assume che lo sviluppo sia determinato soltanto dallo scambio con l’estero e dall’accumulazione. Se così le città costiere sono spinte verso il futuro, al contrario i territori rurali sono lasciati indietro, alle condizioni del secolo scorso.

6. Una pluralità di sfide ambientali

La ricchezza di risorse naturali e la diversità di paesaggi del Mediterraneo ne fanno un’ecoregione straordinaria di questo pianeta. Eppure, con lo sviluppo umano e industriale, questo patrimonio ambientale si erode a poco a poco. Malgrado gli sforzi internazionali, realizzati negli ultimi trenta anni circa, al fine di proteggere questo ecosistema unico, esso resta fragile e continua a deteriorarsi per effetto dell’aumento delle pressioni esercitate sull’ambiente.
L’impatto del cambiamento climatico, le minacce alla biodiversità dell’area, l’erosione dei suoli e le emissioni inquinanti provocate dal consumo energetico costituiscono forti testimonianze di questa crescente vulnerabilità dello spazio mediterraneo. Ad essa si aggiungono fenomeni di siccità sempre più inquietanti e un processo di desertificazione dalle conseguenze drammatiche per i territori rurali. Infine, è utile ricordare che l’area mediterranea si confronta con incendi di foreste, i cui fuochi distruggono ogni anno intere aree di superficie agricola.

7. Una tensione crescente intorno alle risorse idriche

Al cuore delle tensioni ecologiche si trova la questione dell’acqua, che appare la più preoccupante (Blanc, 2007). Questa risorsa scarsa è distribuita in maniera molto diseguale nel Mediterraneo, con il 75% della disponibilità sulla riva settentrionale. Oggi, la metà della popolazione in condizioni di scarsità d’acqua (meno di 1000 mm3/abitante/anno) si trova nella regione mediterranea. Mentre l’agricoltura assorbe l’80% delle risorse idriche nei paesi della riva meridionale e buona parte di questo volume è perduta per la mancanza di reti di condutture funzionanti, una cesura idrica si rafforza tra gruppi agiati e gruppi poveri, per i quali l’accesso all’acqua potabile è profondamente differente. Ormai, molto più che in Europa, in questi paesi la qualità dell’acqua è divenuta un fattore di discriminazione sociale.
Inoltre, sarà utile esaminare il costo ecologico, e quindi economico, nel Mediterraneo, del trasferimento dell’acqua contenuta nei prodotti agricoli (acqua cosiddetta “virtuale”), che alcuni paesi destinano in tutto o in gran parte alle esportazioni, ignorando senza dubbio dove le risorse si esauriscano. Infine, come non temere le rivalità più aspre tra Stati, regioni o comunità per il controllo delle risorse idriche, sapendo che in alcune zone i conflitti idrici sono già presenti?

8. Una sicurezza alimentare quantitativamente raggiunta ma qualitativamente fragile

Di fronte all’ampiezza della crescita demografica della regione e del degrado costante degli equilibri agro-commerciali, permane la questione della sicurezza alimentare della popolazione mediterranea. In primo luogo va sottolineata la sua dimensione quantitativa, perché la malnutrizione resta una piaga non irrilevante (circa il 4% della popolazione del Mediterraneo meridionale soffre di una sottoalimentazione quotidiana) e numericamente in crescita (7 milioni di persone nel 1990, 9 milioni di persone nel 2002).
Inoltre, deve essere riesaminata anche la dimensione qualitativa, poiché l’alimentazione mediterranea si degrada, allineandosi al modello di consumo anglosassone: il modello mediterraneo, elogiato dall’OMS, si delocalizza e guadagna spazio in occidente mentre il Mediterraneo se ne allontana. Valga come esempio il forte aumento di obesità e soprappeso, particolarmente tra i più giovani (in Magreb, il 17% dei bambini al di sotto dei 5 anni). In questo contesto bisogna riposizionare la questione della sicurezza degli alimenti, e quindi della certificazione e dei controlli tecnici, per il tema ormai strategico della qualità alimentare nel Mediterraneo (3).

9. Una rapida espansione della grande distribuzione

Da circa quindici anni, la grande distribuzione si sta affermando nei paesi del sud del Mediterraneo. La situazione nel Magreb è eloquente (Abis, Padilla, 2007) dal momento che si è trasformato da un paesaggio privo di grandi centri commerciali a un panorama urbano che si ricompone attorno a aree commerciali sempre più attrattive. L’emergere di una classe media urbana legata agli standard di consumo moderni e il miglioramento relativo del livello di vita di questa popolazione spiegano in parte questo fenomeno.
Certamente questa spinta della grande distribuzione, anche se non rappresenta ancora che il 10% del totale delle vendite alimentari nel Magreb, rischia di modificare profondamente le pratiche commerciali. In effetti, appoggiandosi ad un’industria standardizzata, a una logistica organizzata e a degli approvvigionamenti regolari e di volumi significativi, la grande distribuzione esige organizzazione e risorse sia umane che finanziarie spesso non disponibili a livello locale.

10. Un dibattito sui biocarburanti da chiarire

La promozione dei biocarburanti e il loro sviluppo sono fenomeni mondiali che è bene riconoscere, con i vantaggi che talvolta ne conseguono. Se si ragiona in relazione al bacino del Mediterraneo, è tuttavia fortemente consigliato non entusiasmarsi troppo su questo argomento. Innanzitutto, l’agricoltura nella regione, forse più che in qualunque altro luogo, potrebbe non essere in grado di nutrire gli uomini e nello stesso tempo riempire i serbatoi delle automobili: la crescita demografica è troppo elevata, mancano superfici agricole e le condizioni naturali sono inadatte e tendenzialmente sfavorevoli. Quindi, come non temere che il Mediterraneo diventi l’illustrazione perfetta di fatti recentemente osservati, ossia una stretta correlazione tra incremento dei prezzi agricoli e sviluppo dei biocarburanti (4)?
Infatti, per produrre bio-etanolo e bio-diesel si utilizzano sempre di più cereali, zucchero, grani oleaginosi e oli vegetali, con l’effetto di un notevole aumento dei prezzi sul mercato. Questi sono prodotti massicciamente importati dai paesi del Mediterraneo meridionale: ricordiamo che questi Stati assorbono il 12% delle importazioni mondiali di cereali, possedendo non più del 4% della popolazione mondiale. Così, posizionandosi sulla produzione di biocarburanti, gli Stati Uniti, il Brasile e l’Unione Europea non solo cercano di trasformare il mercato degli idrocarburi, ma anche fanno aumentare il prezzo dei cereali, cosa che li colloca in una posizione di completa dominanza rispetto ai paesi della riva sud.

Conclusioni

Questo panorama non esaustivo di dinamiche agricole, rurali e alimentari nel Mediterraneo mostra abbastanza bene il ventaglio di scommesse con cui l’agricoltura si confronta in questa regione. È importante considerare tutte le dimensioni, da quella territoriale a quella socioculturale, passando per la sanità pubblica e la geopolitica, per comprenderne il carattere eminentemente strategico.
Se si fa attenzione a non circoscrivere il dibattito agricolo mediterraneo ai soli perimetri del commercio e dell’agronomia, forse si potranno superare i fraintendimenti esistenti sulla questione e così, al contrario, esplorarne tutte le variabili determinanti per il futuro del Mediterraneo.
Una volta adottata questa prospettiva, forse si potrà realizzare e progredire nella costruzione di una cooperazione mediterranea fondata su un triplice obiettivo esprimibile in termini di salute: salute delle economie (cioè ottimizzazione e razionalizzazione dei sistemi agricoli dei PPM), salute dei territori (cioè protezione e preservazione dell’ambiente) e salute degli uomini (cioè nutrimento).

Note

(1) Si rimanda al rapporto del Consiglio d’Europa, “La politique agricole et rurale euro-méditerranéenne”, presentato da Walter Schmied, Commissione per l’Ambiente, l’Agricoltura e le Questioni Territoriali, Strasburgo, giugno 2007.
(2) Nel quadro del Processo di Barcellona i dieci Paesi partner mediterranei (PPM) dell’Unione Europea sono: Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Siria, Turchia, Tunisia e Autorità Palestinese.
(3) Si veda Mediterra 2007, "Identité et qualité des produits alimentaires méditerranéens”, Rapporto Annuale del COHEAM, Les Presses de Sciences-Po, Paris, giugno 2007
(4) Si veda FAO-OECD Report, “OECD-FAO Agricultural Outllok 2007 - 2016”, Roma, luglio 2007

Riferimenti bibliografici

  • Abis S., Padilla M. (2007), “La grande distribution au Magreb: contextalisation et enjeux”, in Afkar-Ideas, n. 13
  • Blanc P. (2007), “Tensions méditerranéennes sur les ressources en eau”, in Lettre de veille du CIHEAM, n. 01, pp. 1-4.
  • Ould Aoudia J. (2006), “Croissance et réformes dans le pays arabes méditerranéens”, Notes et documentsm, n. 28
  • Rapporto Annuale del CIHEAM (2007), “Identité et qualité des produits alimentaires méditerranéens”, in Mediterra 2007
  • Rapporto del Consiglio d’Europa (2007), La politique agricole et rurale euro-méditerranéenne, Strasburgo
  • Rapporto FAO-OECD (2007), OECD-FAO Agricultural Outllok 2007 - 2016, Roma.

 

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