Considerazioni generali
La sicurezza sul lavoro continua ad essere uno dei temi drammatici che la cronaca porta in evidenza quasi ogni giorno. Ogni anno circa il 6% dei lavoratori italiani subisce un incidente sul lavoro. Si tratta di quasi un milione di incidenti di diversa natura e gravità, dei quali circa 600 mila con esiti di invalidità superiore a tre giorni, oltre 27 mila determinano una invalidità permanente nella vittima, e più di 1200 ne causano la morte (Di Nunzio, 2010). Ciò equivale a dire che ogni giorno mediamente circa tre persone perdono la vita per fattori legati alla propria attività lavorativa.
Occorre considerare anche l’insorgenza delle malattie professionali (Latini, 2010), i cui effetti si manifestano dopo anni dall’inizio del rapporto di lavoro e spesso, nel periodo successivo al pensionamento (Gennaro, Ferrari 2004).
Le statistiche che riguardano gli infortuni sul lavoro pubblicate dall’INAIL, sono tradizionalmente divise in due sezioni principali: una relativa agli infortuni denunciati e una riguardante gli infortuni definiti come tali dall’INAIL.
I primi sono costituiti da tutte le denuncie di infortunio che l’Istituto ha ricevuto indipendentemente dal loro successivo riconoscimento. I secondi sono gli infortuni che rispondono alla definizione di evento avvenuto per causa violenta in occasione di lavoro, da cui deriva la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità temporanea (DPR, 1965).
Rientrano negli infortuni riconosciuti le seguenti tipologie di conseguenza:
- Temporanea: che comportano una inabilità temporanea assoluta superiore a tre giorni e non hanno determinato postumi permanenti.
- Permanente: che determinano postumi permanenti superiori al 5%.
- Mortale: che procurano il decesso dell’infortunato.
Occorre ricordare che tra gli infortuni denunciati vi sono anche gli infortuni di un solo giorno ed in generale tutti gli infortuni “in franchigia” ovvero con durata non superiore a 3 giorni, e in misura minore i “casi negativi”: lavoratori non assicurati INAIL, assenza della lesione, ecc., infortuni che sono anch’essi certamente da tenere in considerazione in quanto comportano sempre un danno, pur non essendo così gravi e significativi da ingenerare un allarme concreto.
Di tutti gli infortuni denunciati se consideriamo i dati del rapporto annuale sulla sicurezza sul lavoro negli ultimi 8 anni (INAIL, 2003-2009), si nota che solo una percentuale oscillante tra 60 ed il 70% si trasforma successivamente in infortuni definiti come tali dall’INAIL.
Rispetto ad un precedente lavoro (Bartoli, Bartoli 2011) in quello presente vengono considerati solo gli infortuni “definiti”, classificati per gravità e sesso del lavoratore.
Lo scopo di questo studio è infatti quello di porre in risalto le caratteristiche differenziali del rischio di infortunio sul lavoro di quanti svolgono la propria attività lavorativa nei tre settori di attività economica; il fenomeno viene considerato in corrispondenza degli anni 2005, 2007 e 2009.
Fonti dei dati e metodologia
Per quanto riguarda le fonti statistiche, si è fatto ricorso ai dati annuali, dal 2005 al 2009, della rilevazione INAIL in materia di infortuni sul lavoro (INAIL, 2005-2009), mentre quale popolazione di riferimento è stata considerata la media annuale, degli stessi anni, degli “occupati” risultanti dalle rilevazioni ISTAT sulle Forze di lavoro (ISTAT, 2005-2009).
L’analisi è stata svolta quantificando il rischio d’infortunio mediante i rapporti – cosiddetti “quozienti di rischio” – tra il numero annuale degli infortuni definiti dall’INAIL, distinti in base al tipo di inabilità che hanno prodotto (cioè con postumi temporanei, permanenti o morte) moltiplicato per 1000 e il corrispondente ammontare degli occupati; tali rapporti sono stati calcolati in relazione alle diverse modalità individuate dalla combinazione del settore economico (agricoltura, industria e servizi) e il sesso (M, F e M+F).
Descrizione dei principali risultati
Esaminando i valori degli indicatori di rischio (infortuni per 1000 occupati) contenuti nella tabella 1 in riferimento all’insieme dei due sessi e al totale degli infortuni, si nota che il rischio più elevato è riferito al settore agricolo (49,4) seguito a notevole distanza dall’industria (36,0) mentre l’indice inferiore è relativo ai servizi (18,5). L’espansione del settore terziario è una delle cause più rilevanti nel determinare la diminuzione del numero d’infortuni, poiché orienta la forza lavoro verso occupazioni meno rischiose.
Per un maggiore dettaglio si possono prendere in esame i valori degli indici sempre nella tabella 1 riguardanti, rispettivamente, il sesso maschile e quello femminile: emerge con chiarezza come il tasso infortunistico dei lavoratori agricoli risulti sistematicamente – e in misura considerevole – superiore a quello dei restanti lavoratori, anche nell’ambito di ciascuno dei due sessi, nonché con riguardo alle diverse inabilità considerate (Figure 1 e 2). Ciò soprattutto in relazione al sesso maschile, mentre per le donne la situazione, pur mantenendo le stesse caratteristiche, risulta generalmente meno sfavorevole (sul totale degli infortuni solo un incidente su quattro le riguarda).
La diversità che ancora oggi caratterizza il lavoro di uomini e donne rende quindi interessante lo studio del fenomeno infortunistico sulla base della discriminante del sesso del lavoratore. Dall’analisi dei valori contenuti nella tabella 1 è immediato riscontrare le assai rilevanti disparità del rischio di infortuni sul lavoro tra lavoratori e lavoratrici, a tutto vantaggio di queste ultime. I valori dell’indicatore di rischio degli infortuni per il totale dei settori in relazione agli anni, rispettivamente, dal 2005 al 2009 risultano pari a 35,3, 32,9 e 29,6 per 1000 per il sesso maschile, cui fanno riscontro quelli notevolmente più bassi: nell’ordine 18,4, 17,8 e 17,6 per il sesso femmine.
Lo stato occupazionale delle donne, impegnate prevalentemente in attività amministrative del terziario oppure con mansioni impiegatizie o dirigenziali nei settori più pericolosi come l’industria, comporta che il rischio dei lavoratori sia dalle due alle otto volte superiore (per gli infortuni mortali) a quello delle lavoratrici.
Tabella 1 - Quozienti di rischio d’infortunio sul lavoro (infortuni x 1000 occupati) per settore di attività economica, tipo di infortunio e sesso negli anni indicati
Fonte: elaborazioni su dati INAIL e ISTAT
Se si fa riferimento all’andamento temporale dei quozienti, si ottiene immediata conferma della decisa e generalizzata diminuzione – nel sia pur breve periodo esaminato – del rischio di infortunio che, come sopra già evidenziato, ha interessato la generalità dei lavoratori italiani. Occorre rilevare che il consistente calo degli infortuni sul lavoro è da ricondurre in parte agli effetti della crisi economica che ha colpito il Paese negli ultimi anni, con pesanti riflessi sul piano produttivo e occupazionale. Per citare un esempio, nel 2009 oltre al calo del numero di occupati (rilevato dall’ISTAT pari a -1,6%) e quantificabile in 380mila lavoratori in meno (ISTAT, 2010) si è registrata anche una diminuzione della quantità di lavoro a seguito di interventi operati dalle aziende (tagli di straordinario e di lavoro temporaneo, ricorso a cassa integrazione ecc.). La diminuzione degli infortuni non è stata uniforme, ma più accentuata per gli uomini che per le donne.
Prendendo in considerazione valori della tabella 1 per gli infortuni in totale e nell’insieme dei due sessi, si riscontra dal 2005 al 2009 che la contrazione più forte (16,1%) è da attribuire all’industria, segue l’agricoltura con il 15,1% e i servizi con il 7,5%.
Differenziali di rischio tra agricoltura e altri settori
L’analisi dei numeri indici contenuti nella tabella 2 ha evidenziato come l’agricoltura sia da considerarsi un settore ad alto rischio con un indice di infortuni di circa il doppio rispetto al valore generale riguardante l’insieme dei settori. Queste differenze risultano tanto maggiori quanto più gravi sono le conseguenze dell’infortunio (postumi permanenti, temporanei e decessi). Se in particolare si considerano le invalidità permanenti o le morti (Tabella 2) il rischio nel settore primario è circa il triplo di quello riguardante la generalità degli altri settori.
Se si fa riferimento agli indici di rischio femminili (Tabella1, Figure 1 e 2) è possibile valutare in modo più analitico la penalizzazione delle lavoratrici agricole rispetto alle colleghe degli altri settori di attività economica. I valori dell’indicatore di rischio degli infortuni in del settore primario in relazione agli anni, rispettivamente, dal 2005 al 2009 risultano pari a 47,7, 41,0 e 39,3 per 1000, cui fanno riscontro quelli notevolmente più bassi dei settori non agricoli: nell’ordine 20,1, 19,2 e 18,6 nell’industria e 16,8, 16,6 e 16,7 nei servizi.
Tabella 2 - Numeri indici (Agricoltura = 100) dei quozienti di rischio per settore di attività economica, tipo di infortunio e sesso negli anni indicati
Fonte: elaborazioni su dati INAIL e ISTAT
Figura 1 - Quozienti di rischio di invalidità temporanea (infortuni per 100 occupati) per settore di atttivià economica e sesso per gli anni indicati
Figura 2 - Quozienti di rischio di invalidità permanente (infortuni per 100 occupati) per settore di atttivià economica e sesso per gli anni indicati
L’impiego del lavoro femminile in agricoltura negli ultimi anni ha assunto un ruolo fondamentale: secondo gli ultimi censimenti, infatti, le donne rappresentano circa un terzo degli addetti, mentre le imprese agricole a conduzione femminile costituiscono circa il 40% del totale. E’ tuttavia da dire che tali lavoratrici sono spesso prive di copertura assicurativa regolare nonché di tutela giuridica. Esse sono inoltre di frequente coinvolte in attività a conduzione famigliare, venendo impiegate in lavori manuali che non richiedono competenze particolari. In agricoltura le donne, più spesso degli uomini, lavorano part-time e ricoprono incarichi gestionali soltanto in aziende di piccole dimensioni; inoltre le mansioni specifiche delle donne sono alquanto diverse da quelle maschili, così da essere spesso correlate al rischio di malattie professionali (Brusco, Gallieri 2010); per giunta, anche il frequente utilizzo di attrezzature meccaniche comporta un aumento del rischio di infortuni (Smuraglia, 2008). Quanto al sesso maschile, l’andamento degli indicatori di infortunio appare generalmente caratterizzato da modalità non dissimili, (per tutte le categorie di incidenti) anche in ragione degli assai elevati valori dei quozienti riguardanti il settore agricolo cui competono i maggiori livelli di rischio. Analizzando in particolare l’indice di frequenza degli infortuni con invalidità temporanea (Figura 1) nei tre anni in questione, si osservano i valori: 57,2, 50,4 e 47,3 per 1000 dell’indicatore del settore primario, cui fanno riscontro quelli notevolmente più bassi dell’industria (46,2, 42,8 e 37,7) e dei servizi (21,5, 20,5 e 18,8). L'ambiente di lavoro agricolo, con le sue innumerevoli variabili è dunque da considerare, a giusta ragione, ambiente a rischio. Il lavoratore agricolo, a differenza di altri lavoratori dell’industria e dei servizi, che operano per un tempo limitato ed in un ambiente circoscritto, svolge la propria attività in un ambiente di lavoro soggetto alle variazioni climatiche, con ritmi lavorativi particolari e in situazione spesso di stretta interrelazione tra vita lavorativa e vita privata.
Conclusioni
Le cause degli infortuni sul lavoro sono molteplici e abbastanza note. E’ possibile identificarle secondo tre ordini di fattori:
- fattori tecnici;
- fattori accidentali;
- fattori umani.
Per quanto si riferisce ai fattori tecnici di rischio si può affermare che:
- il progresso tecnologico ha consentito di progettare e costruire macchinari e strumenti forniti di sistemi sempre più sicuri e sempre più adeguati alle esigenze psicofisiche dei lavoratori e degli utenti;
- la produzione stessa dei macchinari e la loro certificazione all’origine alleggerisce la responsabilità del datore di lavoro e tutela al meglio l’integrità fisica del lavoratore stesso al momento dell’impiego.
Il fattore umano occupa una posizione di preminenza su tutti gli altri fattori. Molti infortuni sul lavoro infatti, sono causati dalla grande confidenza che i lavoratori nutrono per la manualità e ripetitività delle loro funzioni; questo determina una perdita della concentrazione che può provocare situazioni potenzialmente rischiose.
Il fenomeno infortunistico in Italia risulta in diminuzione sia sul totale degli eventi, sia sui livelli di gravità. I buoni risultati che si registrano già nel quinquennio 2005-2009, si collegano in larga parte alle trasformazioni subite dalla forza lavoro dovute alla crisi economica che ha colpito il Paese negli ultimi anni, determinando un consistente calo del numero degli occupati (ISTAT, 2009).
Dall’insieme degli indicatori presentati in questo lavoro è immediato riscontrare che il rischio di infortunio è notevolmente inferiore per la componente femminile rispetto a quella maschile, in quanto più spesso occupata nel settore a tradizionale minor pericolo dei servizi ovvero, a parità di settore, in mansioni meno pericolose.
Inoltre si notano rilevanti diversità del rischio di infortuni per i lavoratori del settore agricolo rispetto ai restanti settori, a tutto svantaggio dei primi, ciò che avvalora la tesi che tuttora, malgrado la capillare normativa antinfortunistica, non esiste un’omogenea esposizione ai rischi lavorativi.
La comparazione tra i coefficienti di rischio dell’agricoltura e quelli dell’industria e dei servizi mostra dunque come il lavoro nei campi presenti a tutt’oggi maggiori pericoli rispetto a quanto avviene negli altri contesti: ciò può essere imputabile alle caratteristche dell’ambiente in cui viene svolta l’attività lavorativa o all’uso spesso disinvolto di macchinari non sempre recenti e quindi non in perfetta efficienza; c’è inoltre da considerare il fenomeno sempre più evidente della senilizzazione della forza lavoro, fattore che può contribuire ad innalzare sensibilmente il rischio di subire infortuni, sia per una possibile riduzione della capacità di prevenire o evitare i pericoli, che a causa di un eccesso di sicurezza derivante dall’esperienza maturata. In un recente lavoro (Bartoli L., Bartoli V., 2011) si è evidenziato che gli infortuni in agricoltura sono sensibilmente più elevati nelle età mature e senili rispetto a quanto si registra nelle età giovanili.
A conclusione di queste note sembra il caso di puntualizzare che, comunque, il fattore accidentale di rischio non è mai eliminabile del tutto, ma è suscettibile di concreta riduzione solo se gli altri due fattori, quello tecnologico e quello umano, sono ridotti al minimo possibile. Una efficace prevenzione dei rischi potrebbe essere attuata aumentando la frequenza e la qualità dei controlli, soprattutto adottando efficaci politiche miranti alla formazione e all’addestramento della forza lavoro, così da ottenere piena coscienza dei fattori d’insicurezza e dunque un buon grado di condivisione e prevenzione dei rischi (Castel, 2004).
Sembra in definitiva necessario realizzare interventi che tendano a neutralizzare o a ridurre al minimo il verificarsi di comportamenti caratterizzati da inosservanza di norme regolamentari, o da comportamenti negligenti da parte di operatori scarsamente competenti, o disinformati, o distratti o comunque poco avvertiti della grave responsabilità di favorire con un errore umano l'insorgenza di eventi accidentali, così compromettendo la propria incolumità e quella di altri.
Riferimenti bibliografici
-
Bartoli L., Bartoli V. (2011), “Un’analisi statistica degli infortuni sul lavoro nell’ agricoltura italiana tra il 2005 e il 2009”, Agriregionieuropa, anno 7, n. 24.marzo 2011
-
Brusco A., Gallieri D. (2010), “Il lavoro, gli infortuni e le malattie professionali”, INAIL
-
Castel R. (2004), “L'insicurezza sociale”, Einaudi, Torino
-
Di Nunzio D. (2010), “l’organizzazione dei processi di lavoro e la frammentazione delle tutele per la salute e la sicurezza ”, ISES
-
DPR 1124 del 30/6/1965, “Testo unico delle disposizione per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”, Articolo
-
Gennaro F., Ferrari G. (2004), “Infortuni sul lavoro e malattie professionali”. Cedam, Padova
-
INAIL (2003-2009), “Rapporto annuale”, Roma
-
ISTAT (2005-2009), “Rilevazione sulle Forze di lavoro”. Roma
-
Latini E. (2010) “Infortuni sul lavoro e malattie professionali: le tutele del lavoratore”, IAS - Istituto per gli Affari Sociali
-
Smuraglia C. (2008), “Le malattie da lavoro”, Ediesse, Roma
Commenti
Utente non regi... (non verificato)
Gio, 01/01/1970 - 01:00
Collegamento permanente
Vorrei piú informazzione!!!
Serve molto sapere quali sono gli indicatori italiani degli infortuni sul lavoro. Cé qualcun alto lavoro che possa leggere per sapere la metodologia degli indicatori?
Sono Karla Martínez Linares da la Cittá del Messico. Mia posta elettronica é: karla.marlin@libero.it
Vi ringrazio.
Commento originariamente inviato da 'Karla Martínez Linares' in data 07/12/2011.