L’analisi degli investimenti nel primo secolo dopo Cristo

L’analisi degli investimenti nel primo secolo dopo Cristo
a Agronomo, Ordine di Viterbo

Non sarà sufficiente che uno sappia o abbia buona volontà, senza la possibilità di spendere quanto renderanno necessario le opere da svolgere.
Lucio Moderato Columella

Inquadramento storico

Lucio Moderato Columella (4 d.C. – 70 d.C.) visse nel I secolo d.C., sotto la dinastia Giulio-Claudia. Nato a Gades nella Penisola Iberica in una famiglia patrizia appartenente alla tribù Galeria, iniziò la carriera militare e nel 34 d.C. giunse al grado di tribuno in Siria. Fu proprietario di terreni in Italia (Ardea, Carseoli e Alba Longa) e in Spagna e si impegnò nella elaborazione di un sistema di scienza della coltivazione. La sua opera, il “De re rustica”, può essere considerato il primo trattato di agronomia e il più importante fino al rinascimento.
L’impero romano era nel pieno del fulgore: Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone, che si successero come imperatori, contribuirono alla salvaguardia e all’allargamento dei confini. Si consolidò il processo di unificazione e romanizzazione dei popoli conquistati iniziato da Augusto, si diffuse in tutto l’Occidente la lingua latina e si concesse, seppur con parsimonia, la cittadinanza romana ai provinciali.
Nel mondo agricolo, la proprietà fondiaria era costituita da grandi imprese di proprietà patrizia, condotte con manodopera (1) schiavile, fortemente specializzate in produzioni destinate al mercato urbano. I piccoli agricoltori erano progressivamente scomparsi in quanto, a causa dell’impegno nelle campagne militari, erano stati costretti ad alienare il proprio campo. Al loro ritorno erano stati costretti ad inurbarsi, amplificando la domanda di prodotti proveniente dai grandi centri. Si erano così formati veri e propri latifondi che non venivano curati dai proprietari, ma bensì lasciati nelle mani di uno schiavo fidato che assurgeva a quella che potrebbe essere definita la figura del fattore: egli aveva pieni poteri amministrativi ed esecutivi e doveva rispondere solamente a saltuarie verifiche. Aveva autorità sui sottoposti e spesso si rivelava violento. Questa figura, invece di gestire i terreni in modo oculato ed onesto, perseguiva un interesse strettamente personale ed era solita mercanteggiare i prodotti aziendali in maniera illecita, lucrando sui proventi.
Il sistema gerarchico fondato sulla schiavitù stava cominciando a vacillare: grazie al diffondersi del cristianesimo cominciava a penetrare nella società un’idea di uguaglianza tra gli uomini. Gli stessi schiavi non avevano più intenzione di mettere al mondo figli in condizioni precarie e questo dava origine a una progressiva carenza di manodopera. Ciò inevitabilmente stava determinando un crescente abbandono dei campi e un regresso generale della tecnica agricola.

I contenuti dell’opera di Columella

Prendendo atto di questa situazione, Columella sottolinea la necessità della presenza di una figura imprenditoriale forte che conosca e si interessi dei possedimenti, sappia dirigere e amministrare la proprietà e garantisca agli schiavi condizioni di vita dignitose al fine di sostenere e migliorare il sistema produttivo.
L’opera di Columella, il “De re rustica”, si compone di dodici libri e tratta tutti gli aspetti connessi alla pratica agricola: la scelta del fondo rustico, la scienza di coltivazione delle piante (in particolare vite e olivo) e la cura degli animali.
Columella si interessa alle scienze agronomiche in modo approfondito, dedica attenzione a ogni aspetto connesso all’agricoltura, dall’attenta descrizione della biologia delle piante alla valutazione del grado di convenienza delle scelte. Affronta gli argomenti con un taglio del tutto nuovo e originale per il suo tempo, utilizzando un metodo che potremmo definire analitico.
Un aspetto emblematico, riguardo a questo aspetto, è la sua elaborazione di quella che potrebbe essere definita una scheda tecnica colturale ante-litteram, ovvero una ricetta produttiva suddivisa in operazioni successive per ciascuna delle quali viene determinato il tempo di lavoro necessario. In tabella 1 viene riportato un prospetto (Libro II; 12) in cui viene ricostruita l’analisi condotta da Columella in merito alla tecnica colturale del frumento, per la quale viene evidenziato il fabbisogno di giornate di lavoro necessarie per la coltivazione di uno iugero (2.514 m2) di terra.

Tabella 1 - Scheda tecnica del frumento (I secolo d.C.)

Per quanto riguarda le produzioni, oltre ad indicarne le quantità attese per le diverse colture, viene anche considerato il prezzo di mercato e il relativo valore, in modo da confrontarlo con il costo dei fattori produttivi (2).

L’analisi degli investimenti agricoli

Nel libro III del “De re rustica” viene trattata, fra l’altro, l’analisi finanziaria degli investimenti agricoli. Columella, rivolgendosi al suo amico Publio Silvino, a cui l’opera è dedicata, disserta sulla convenienza dell’impianto di un nuovo vigneto (3). Columella si schiera contro l’opinione diffusa che questo non fosse un investimento redditizio, in ragione dei gravosi oneri monetari e dei rischi elevati (Libro III; 1-3): “È inutile dare precetti sulle vigne, se prima non si sia risolto il quesito preliminare se convenga o no coltivarle […] Molti temono e rifuggono tale investimento agrario dicendo di preferire piuttosto la proprietà di prati, pascoli o boschi cedui […] Intanto bisogna convincere gli stessi studiosi di agricoltura che il reddito delle vigne è il più ricco.” Columella, attraverso una valutazione analitica, determina le condizioni di convenienza dell’impianto di un vigneto.
Il piano d’investimento che egli propone prevede un’estensione minima per il capitale terra di 7 iugeri (circa 1,76 ha), e la presenza di un vignaiolo impegnato a tempo pieno per la manutenzione e la cura dell’impianto, dalla cui perizia, sottolinea il Columella, dipende in buona parte la resa produttiva. Naturalmente si rende necessaria anche la figura di un imprenditore agricolo capace, ovvero del proprietario che si occupi dei suoi possedimenti assicurandosi che il vigneto raggiunga la produzione minima attesa, identificata da Columella in 40 anfore di vino (4). Queste, infatti, anche se fossero vendute al prezzo più basso, darebbero origine ad un ricavo superiore a quello ottenibile dalla coltivazione di fieno e ortaggi. L’analisi della convenienza dell’investimento svolta da Columella parte dalla individuazione delle voci di costo (Libro III; 5-9): “Ammettiamo che esso (il vignaiolo) possa essere acquistato per 6 o 8 mila sesterzi: se il solo terreno, 7 iugeri, è costato altrettanto, e le viti con i loro accessori, cioè pali e vimini, suppongo siano state poste a dimora con 2 mila sesterzi per iugero, il totale porta ad un capitale investito di 29 mila sesterzi.” A questo totale, dice lo stesso Columella, vanno aggiunti gli interessi sul capitale investito per i due anni in cui le viti non produrranno frutto. Il tasso da considerare viene ricavato tenendo conto della possibilità che lo stesso capitale possa essere impiegato in altre iniziative d’investimento. Se il proprietario desse in prestito una cifra paragonabile potrebbe ricavarne un interesse del 6%, ovvero di 1.740 sesterzi ogni anno. Aggiungendo ai costi diretti tali mancati redditi, il costo complessivo dell’investimento diviene allora di 32.480 sesterzi.
Le vigne, a partire dal terzo anno, produrranno almeno un culleo (unità di misura corrispondente a 40 anfore e, tenendo conto che un’anfora conteneva circa 12,9 litri, a poco più di 510 litri) di vino per iugero. Considerando che un culleo può essere venduto a un prezzo non inferiore a 300 sesterzi, il vigneto consentirà di ottenere un ricavo minimo di 2.100 sesterzi.
Questa cifra supera l’ammontare degli interessi che si potrebbero ricavare dal prestito del denaro (investimento alternativo) richiesto dall’impianto del vigneto i quali risultano, considerando il medesimo tasso del 6%, di 1.950 sesterzi.

Considerazioni conclusive

Columella, nella sua opera supera il primo grado delle conoscenze agronomiche, quello fenologico, arrivando alla definizione del processo produttivo attraverso la descrizione analitica della tecnica colturale e la sua valutazione monetaria. Riguardo a quest’ultimo aspetto egli determina i costi necessari per la conduzione, il valore atteso della produzione ottenuta e i flussi di denaro legati al suo corretto svolgimento. Ogni sua affermazione è chiarita e rigorosamente supportata dalla presentazione di dati reali.
In tutta l’opera egli sottolinea l’importanza della figura imprenditoriale, la quale non deve soltanto organizzare e gestire la produzione, ma deve anche essere un consapevole interprete del suo tempo, indirizzando le proprie scelte in modo da fronteggiare le criticità derivanti dalla progressiva mancanza di manodopera, dalla dilatazione fondiaria e dal crescente disinteresse verso l’agricoltura (Libro I; 1 ): “In tutte le cose è necessario, certo, sapere ciò che si fa, ma soprattutto in agricoltura dove la buona voglia e la possibilità di spendere, separate dal prudente discernimento, portano gran perdite ai padroni, perché lavori imprudenti mandano a monte le spese fatte.” L’ampia trattazione agronomica affronta la questione degli investimenti agricoli con una visione che va ben oltre l’epoca in cui l’opera è stata scritta, le affermazioni sono accuratamente argomentate e i concetti che vi vengono introdotti sono talmente innovativi da poter essere considerati moderni. Columella tiene conto dei mancati redditi nei primi anni dell’investimento, definisce un tasso di riferimento per tenere conto dell’orizzonte temporale della valutazione e individua dei plausibili prezzi “di mercato” per i prodotti. Ma ancora più sorprendente è il fatto che si contemplino scelte d’investimento alternative dello stesso capitale e si dimostri che, anche nelle condizioni di rendimento minimo che possono essere ipotizzate, il vigneto si prospetta come una scelta preferibile.
Il principio fondante dell’analisi degli investimenti agricoli del I secolo d.C. che si può ricavare dal “De re rustica” è il “prudente discernimento”. La funzione decisionale, che l’imprenditore incarna, nasce dalla convergenza di esperienza agronomica, analisi dei costi e dei probabili benefici, ma soprattutto da uno studio analitico della realtà: solo colui che ricopre un ruolo attivo in campo agricolo, che osserva e interpreta i segnali del cambiamento sarà capace di operare delle scelte corrette e lungimiranti. Affermazione, quest’ultima, che a venti secoli di distanza sembra riacquistare tutta la sua validità.
La normativa relativa ai meccanismi di selezione dei beneficiari dell’intervento pubblico, introdotta nei nuovi PSR, prevede la presentazione di un business plan, ovvero un documento che definisce l’idea imprenditoriale e ne sottolinea gli obiettivi, che descrive le conoscenze e le competenze dell’imprenditore, che analizza il mercato (cioè l’ambiente competitivo in cui si muove l’impresa), che individua e formalizza le attività in un piano economico e finanziario.
Anche sul fronte dei finanziamenti alle imprese da parte degli istituti bancari le condizioni ed i requisiti richiesti sembrano sottolineare l’importanza dell’analisi del rapporto rischio/redditività legato alla competenza. Il nuovo approccio dell’accordo Basilea 2 impone infatti di assegnare un rating a ogni impresa per ottenere l’erogazione di un finanziamento, valutando quanto un imprenditore sia “rischioso” e quanto potrà essere produttivo in futuro, se gli venisse concesso il credito che chiede.
Il prudente discernimento e lo studio analitico della realtà sostenuti dalla capacità decisionale tornano così ad essere dei requisiti indispensabili per l’imprenditore agricolo, oltre che per supportare la sua attività gestionale, come sottolineava Columella, anche per la valutazione della sua affidabilità rispetto all’accesso ai finanziamenti erogati da amministrazioni pubbliche e istituti privati.

Note

(1) Il figlio di uno schiavo diveniva schiavo a sua volta. Columella, consapevole del fatto che la manodopera schiavile era insostituibile in un sistema produttivo come quello romano, sottolinea come la mancanza di dignità, provocata dall’incuria dei proprietari che concedevano autorità a schiavi senza scrupoli, producesse inevitabili conseguenze: nessuna madre avrebbe messo al mondo un figlio già conoscendo la sorte infausta a cui sarebbe andato incontro.
(2) Columella individua anche una soglia di acquisto per la quale si rende necessario il possesso di un paio di buoi: 100 iugeri di seminativo.
(3) All’epoca il vino veniva consumato in tutto l’impero, il che porta a ritenere che la viticoltura fosse molto diffusa, con grandi estensioni di vigneti distribuite in diverse regioni. L’analisi del Columella, pertanto, rivestiva una notevole importanza, oltre che dal punto di vista metodologico, anche in termini di ricadute pratiche.
(4) In questo passaggio Columella cita un suo contemporaneo, Grecino, che stimava la produzione minima in 20 anfore di vino per iugero, con una conduzione unicamente familiare del fondo. Acquisendo però le competenze di un vignaiolo professionista e adottando le opportune cure colturali egli ritiene che le produzioni attese possano almeno raddoppiare.

Riferimenti bibliografici

  • Basel Committee on Banking Supervision, International Convergence of Capital Measurement and Capital Standards, Giugno 2006.
  • Columella L. M., L’arte dell’Agricoltura (“De re rustica”, trad. commentata del testo originale), G. Einaudi, Torino, 1977.
  • Columella L. M., De re rustica, ([link] testo originale).
  • Giacomelli P., Il business plan cambia l’approccio ai fondi del PSR, L’informatore agrario, n.4 2008.
  • Saltini A., Storia delle Scienze Agrarie, Edizioni Edagricole 1979.
  • Slicher van Bath B. H., Storia agraria dell’Europa Occidentale, G. Einaudi Torino 1972.
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Commenti

Bravo Nicolò! Davvero interessante! Mi hai convinto a comprare il libro di Columella senza farmi condizionare dall'analisi costi-benefici (visto quanto costa il volume).

Commento originariamente inviato da 'Davide' in data 11/07/2008.