L’agricoltura sociale come fattore di sviluppo rurale

L’agricoltura sociale come fattore di sviluppo rurale
a Università della Tuscia (Viterbo), Dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali (DAFNE)

Nell’ultimo numero di AGRIREGIONIEUROPA Alfonso Pascale (Pascale A., “Etica e agricoltura per un nuovo welfare rigenerativo”, Agriregionieuropa, n.1, giugno 2005) ha aperto una finestra su una declinazione della multifunzionalità dell’agricoltura, quella sociale, che solo negli ultimi tempi comincia a ricevere attenzione da parte degli attori pubblici e privati del mondo agricolo.
Il dibattito sulla multifunzionalità ha contribuito a far emergere la natura ‘terziaria’ che possono assumere le attività agricole, ovvero la capacità di queste di promuovere, esplicitamente o implicitamente, una vasta gamma di servizi che affiancano la tradizionale funzione produttiva di beni alimentari. Che tale dibattito abbia sostanzialmente ignorato la funzione di carattere sociale è cosa tanto evidente quanto difficilmente spiegabile alla luce in particolare di due considerazioni: da un lato, il modello agricolo familiare, che ha storicamente caratterizzato l’agricoltura italiana, ha da sempre svolto un fondamentale ruolo nell’organizzazione sociale delle comunità rurali e in particolare nel farsi carico, senza compensi espliciti, dei bisogni di soggetti deboli, vulnerabili o, come si dice oggi, con bisogni speciali; dall’altro lato, la tradizione della scuola economico-agraria italiana ha nel proprio patrimonio genetico un’attenzione verso la dimensione sociale delle attività agricole e dei soggetti che tali attività conducono.
Il crescente interesse che, a partire dall’inizio degli anni novanta, si è indirizzato verso lo sviluppo rurale avrebbe potuto costituire una discontinuità con il passato e un’occasione per riconsiderare a pieno titolo la funzione sociale, tra le funzioni extra-produttive delle attività agricole. Su questo fronte però, per quanto con la programmazione comunitaria 2000-2006 siano state avviate delle prime e limitate esperienze pilota, l’attenzione dei ricercatori (con l’eccezione del gruppo toscano coordinato da Francesco Di Iacovo dell’Università di Pisa) e dei policy makers ha costantemente privilegiato altre dimensioni della multifunzionalità agricola.

Verso una definizione di “agricoltura sociale”

In primo luogo è utile esplicitare in che senso utilizzeremo il termine ‘sociale’ in riferimento a una delle funzioni svolte dalle attività agricole. Con tale aggettivazione intendiamo riferirci alle capacità del mondo agricolo, in particolare delle unità famiglia-azienda, di generare benefici (servizi) nei confronti di gruppi vulnerabili della popolazione a rischio di esclusione sociale. Tali benefici possono essere erogati sia in forma implicita, che come risultato di un’azione esplicita.

Gli impliciti servizi sociali delle imprese agricole

Per esemplificare situazioni che vedono aziende agricole erogare implicitamente un servizio sociale nei confronti di soggetti deboli si può fare riferimento alle tante realtà, peraltro mai quantificate, di famiglie conduttrici di imprese agricole che presentano tra i propri componenti un soggetto con svantaggio: persona con disabilità fisica o psichica, soggetto con ritardo cognitivo o con difficoltà di integrazione sociale e via discorrendo. Si tratta di situazioni che evidentemente hanno segnato da sempre le famiglie agricole, nelle quali l’inclusione del soggetto svantaggiato raramente richiedeva il sostegno da parte della collettività. Il disporre di un fondo agricolo, infatti, consentiva di trovare una mansione utile, anche piccola, secondaria o temporanea, a tutti i componenti della famiglia allargata, pienamente o parzialmente abili. Il concetto di “disabile” come persona che rappresentava un problema per la collettività in quanto esclusa socialmente, si sviluppa nel passaggio da una società agricola e rurale ad una industriale e urbana, contesti ambientali tendenti più di quelli rurali a generare esclusione.
In mancanza di specifici studi sulla presenza nelle famiglie agricole di persone in condizioni di svantaggio e sul loro effettivo coinvolgimento nei lavori aziendali appare ragionevole ipotizzare che il numero di tali famiglie non sia trascurabile e che la probabilità per il componente svantaggiato di trovare una collocazione lavorativa, per quanto parziale o limitata, all’interno dell’azienda familiare sia molto elevata. Situazioni di questo genere si configurano come l’erogazione da parte dell’azienda di un servizio implicito di inserimento lavorativo che al momento sfugge a qualunque contabilità, in quanto si tratta di un servizio consumato all’interno della stessa realtà familiare che lo produce.

Dalla funzione sociale dell’agricoltura alle fattorie sociali

Diverso è il caso delle realtà agricole che svolgono una funzione sociale in modo esplicito. Possiamo parlare in questo caso di imprese agro-sociali o, con riferimento ad una terminologia che sta cominciando a farsi strada tra gli operatori del mondo agricolo, di “fattorie sociali”.
In realtà, nell’esperienza italiana, fattoria sociale è un’espressione che può riferirsi sia ad esperienze imprenditoriali (imprese agricole non profit, ad esempio) che a quelle promosse da soggetti del terzo settore, ma che non hanno la connotazione imprenditoriale – come le associazioni – o anche del settore pubblico, come accade in alcuni servizi di salute mentale di aziende sanitarie locali. Tutte queste realtà sono accomunate dal perseguire finalità sociali attraverso la realizzazione di attività agricole, intese in senso lato (coltivazioni, allevamenti, trasformazioni aziendali di prodotti, agriturismo, vendita di prodotti aziendali, ecc.), con l’esplicito proposito di coinvolgere soggetti con bisogni speciali.

Attività agricole e inclusione di soggetti deboli

La scelta dell’agricoltura come ambito di supporto a percorsi terapeutico-riabilitativi o per l’inserimento lavorativo e l’inclusione sociale non è mai casuale. Le attività agricole presentano infatti alcune peculiarità su cui merita soffermarsi brevemente.
Una prima caratteristica che rende l’azienda agricola, e quindi la fattoria sociale, un contesto potenzialmente inclusivo di soggetti fragili riguarda l’organizzazione dell’unità di produzione. L’azienda agricola si caratterizza per una duttilità ed una versatilità che difficilmente si riscontrano in unità produttive di settori extra-agricoli. Gli ordinamenti produttivi possono essere scelti tra un ventaglio molto ampio di possibilità che include attività in pieno campo e al coperto, di coltivazione e di allevamento, a ciclo breve o a ciclo lungo, ecc..
Le stesse modalità con cui può essere svolto un processo produttivo sono molteplici e se l’obiettivo che guida le scelte dell’imprenditore non è tanto quello della massimizzazione di un parametro economico, ma tiene conto anche di risultati di carattere sociale, quale la partecipazione attiva ai lavori di soggetti con svantaggio, tecniche di produzione che in una logica puramente economica risulterebbero inefficienti in una prospettiva di efficienza sociale possono essere proficuamente condotte.
Diversi altri aspetti rendono l’attività agricola assolutamente unica in percorsi di inclusione di soggetti deboli: il senso di responsabilità che matura quando ci si prende cura di organismi viventi, i ritmi di produzione non incalzanti, la non aggressività delle piante e di molti animali da allevamento, la varietà dei lavori, quasi mai ripetitivi, la consapevolezza che tutti, anche coloro che svolgono mansioni minori o marginali, sono partecipi del risultato finale, un bene alimentare, la cui utilità è agevolmente riconoscibile.
Un ulteriore aspetto che va oltre la dimensione terapeutico-riabilitativa è quello che caratterizza il rapporto tra operatore e prodotto finale. I prodotti che si ottengono dalle attività agricole non portano i segni di eventuali difficoltà di persone che hanno contribuito al processo produttivo. A parità di altre condizioni, dalle olive raccolte da un soggetto ad esempio con ridotte capacità mentali, si ricaverà un olio del tutto comparabile con quelle raccolte dal più esperto degli olivicoltori. Lo stesso può dirsi dell’annaffiatura di un orto o dell’alimentazione di galline da uova, e via discorrendo. Questa proprietà, indubbiamente più presente in agricoltura rispetto ad altri settori produttivi, risulta di estremo interesse per le potenzialità di commercializzazione che i prodotti dell’agricoltura sociale presentano.

Imprese agrosociali e sviluppo rurale

La possibilità in un contesto produttivo agricolo di ottenere prodotti di qualità apre spazi per l’impresa sociale in agricoltura. Per lungo tempo gli economisti hanno sottovalutato, quando non ignorato, l’impresa non profit: quasi un ossimoro per le teorie economiche dominanti. Solo i dati statistici sul prorompente sviluppo che il settore ha fatto registrare negli ultimi venti anni hanno determinato un cambiamento di atteggiamento.
Gli economisti agrari non si sono comportati diversamente, ignorando sostanzialmente le esperienze del terzo settore in ambito agricolo ed in particolare l’impresa agricola non profit e il ruolo che questa può rivestire nell’ambito dello sviluppo locale di aree rurali. Le imprese di utilità sociale, infatti, sono in primo luogo delle imprese ‘locali’, che utilizzano in gran parte fattori di produzione locali ed erogano i loro servizi alla comunità nella quale sono inserite. Attivano sul territorio reti di relazioni, creano mercati di beni relazionali, offrendo risposte a domande sociali latenti o alle quali i sistemi di welfare non sono più in grado di rispondere, generano capitale sociale, ingrediente fondamentale in qualunque ricetta di sviluppo locale.
Esperienze di imprenditorialità sociale in agricoltura sono attive in tutte le regioni italiane da molti anni, ma sono state erroneamente considerate dal mondo agricolo come oggetti ‘anomali’ e comunque appartenenti alla sfera delle politiche sociali e non a quelle dello sviluppo locale.
Alcune regioni italiane (Veneto, Toscana, Lazio), con felice intuizione, hanno previsto nell’ambito dei Piani di Sviluppo Rurale finanziamenti a progetti di agricoltura sociale sia nell’ambito delle misure per la diversificazione aziendale, che di quelle concernenti i servizi essenziali alla popolazione.
Alle soglie di un nuovo periodo di programmazione è auspicabile che la ricerca economica-agraria, al di là di quanto si sta facendo in alcuni contesti regionali, sviluppi un’area di interesse nei confronti delle realtà di agricoltura sociale attive sul territorio nazionale ed europeo, per produrre conoscenza sulle modalità imprenditoriali che caratterizzano l’agricoltura sociale e sull’impatto di tali attività sui beneficiari diretti, sulle imprese sociali e sulle comunità locali. Ciò al fine anche di promuovere un più ampio riconoscimento alla funzione sociale dell’agricoltura nell’ambito delle future politiche di sviluppo rurale.

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Commenti

Anche le coop. sociali di tipo A possono avviare esperienze di agricoltura sociale. Per avere risposte più esaurienti la invito a mettersi in contatto con lo Sportello per l'Agricoltura Sociale recentemente costituitosi. Lo sportello è visitabile al sito web: www.fattoriesociali.com
Infine, , oltre al sito dello Sportello la invito a visitare il nostro sito dedicato:
www.agrietica.it
 
Cordiali saluti

Commento originariamente inviato da 'Saverio Senni' in data 13/09/2007.

salve,
mi chiamo emanuela e da anni sono opero in una cooperativa sociale di tipo A. sono molto affascinanata dalla fattoria sociale e vorrei sapere se una cooperativa sociale di tipo A ha la possibilità di creare una fattoria sociale, intesa alla rieducazione di persone svantaggiate e se al momento sono disponibili fondi europei, nazionali o regionali (Campania) per incentivare la creazione di tali fattorie sociali.
grazie per l'attenzione.
Emanuela

Commento originariamente inviato da 'emanuela' in data 08/09/2007.

Non mi occupo specificatamente di ortoterapia ma posso indicarle diverse organizzazioni o persone competenti in questo ambito, sia in Italia che in Europa.
La invito pertanto a contattarmi per posta elettronica scrivendo a senni@unitus.it
Grazie

Commento originariamente inviato da 'Saverio Senni' in data 17/09/2008.

Salve.Sono un' operatrice sociale nell' ambito dell' handicap.Vorrei avviare un progetto di ortoterapia.Potrebbe suggerirmi delle linee guida per organizzarlo?Cordiali saluti

Commento originariamente inviato da 'teresa' in data 15/09/2008.

Può una Associazione (con Statuto creato ad hoc) creare attività produttiva, distributiva agrosociale

Commento originariamente inviato da 'Giorgio Pozzi' in data 08/09/2013.