La disponibilità di risorse e di prodotti finanziari rappresenta una delle condizioni indispensabili per la crescita di una qualsiasi attività produttiva. Tuttavia, per il settore agricolo si colgono elementi di criticità evidenti se si considera come, negli anni, il credito abbia svolto spesso una funzione “meta-finanziaria”. Con questa espressione si intende il fatto che il credito all’agricoltura è stato associato di frequente a motivazioni non finanziarie ma politiche, per lo Stato e le Regioni, reddituali, per le banche, o addirittura di opportunismo economico, per gli agricoltori.
Per questo, affrontare il tema del credito in agricoltura richiede un’operazione di chiarificazione sul come, in passato, gli strumenti finanziari a disposizione degli agricoltori siano stati spesso mistificati o male-utilizzati, e sul come la cultura finanziaria degli agricoltori, in media, sia spesso lontana dalle normali logiche aziendali che caratterizzano gli altri settori produttivi. Per svolgere questa chiarificazione è utile accennare allo sviluppo che si registra nel rapporto tra agricoltore e credito, negli ultimi quarant’anni.
A ben vedere, si possono cogliere almeno tre fasi, con caratteristiche distinte: gli anni ’70-’80, quando vale un modello di relazione “agricoltore e credito agrario”; gli anni ’90-inizi 2000, quando vale un modello “azienda agricola e credito alla filiera agricola”; gli anni che vanno dalla seconda metà del 2000 in poi, in cui si prefigura un modello “impresa agricola e finanza”.
Il modello “agricoltore e credito agrario”- anni ‘70-‘80
In questo periodo, sul piano normativo il rapporto tra settore primario e credito è disciplinato in modo strutturale da normative nazionali di lunga data1, che stabiliscono in modo rigido le caratteristiche sia degli strumenti finanziari per l’agricoltura sia degli operatori finanziari addetti. Il quadro normativo allora vigente definisce il credito agrario come credito speciale di scopo, con forme tecniche e garanzie predefinite (credito di esercizio2, distinto a sua volta in conduzione e dotazione, e credito di miglioramento3). Le banche non possono concedere liberamente questa forma di credito “speciale”, bensì esistono soggetti finanziari autorizzati specificatamente a tale scopo, quali gli Istituti di credito speciale e le Sezioni speciali delle aziende di credito ordinarie.
Per quanto concerne l’orientamento della politica economica agricola, in sintesi si registra una vocazione marcata delle istituzioni, ad ogni livello (europeo, nazionale e regionale), a sostenere economicamente gli agricoltori, con forme di supporto che vanno dal sostegno ai prezzi al sostegno ai redditi. Uno strumento coerente con queste chiare forme di tutela del settore primario consiste nelle agevolazioni previste, quando un agricoltore ricorre al credito agrario. Si tratta di agevolazioni di fonte normativa spesso diversa (nazionale e/o regionale), che si concretano o in un abbassamento notevole degli interessi che gli agricoltori versano alle banche, per i finanziamenti ricevuti (agevolazioni in conto interessi), o in una compartecipazione del soggetto agevolatore all’importo da finanziare (agevolazioni in conto capitale).
La connotazione del credito agrario come attività finanziaria regolata da norme, più che da logiche di mercato, e resa possibile dalla presenza di garanzie, più che dalla sussistenza di condizioni di merito economico-finanziario, compromette inevitabilmente il comportamento sia delle banche sia degli agricoltori, in questo periodo, come anche in quelli successivi. Per le prime, si viene consolidando l’abitudine di ricercare negli agricoltori affidati la sussistenza dei requisiti formali e burocratici che conducono alla valorizzazione delle agevolazioni normative. Inoltre, per le banche, in questo periodo storico, il credito agrario rappresenta una fonte di reddito relativamente sicura, senza sforzi eccessivi in termini tanto di rischi imprenditoriali assunti, che di investimenti organizzativi in risorse umane specializzate nel saper cogliere questi rischi. Gli agricoltori, peraltro, beneficiando di sistematiche agevolazioni economiche e finanziarie, sviluppano con difficoltà competenze organizzative ed imprenditoriali strutturate. Questo in quanto non si richiede loro, dal lato economico, di sapersi confrontare con il libero mercato, e dal lato finanziario, di dimostrare un reale merito di credito, tanto meno attraverso evidenze contabili.
Il modello “azienda agricola e credito alla filiera agricola” - anni ’90 ed inizi 2000
Il sistema normativo in tema di credito agrario viene rivisto radicalmente con il recepimento della II Direttiva comunitaria, in tema di coordinamento bancario, nel Testo Unico Bancario (TUB) del 1993 (Decreto legislativo 385/1993). Questa disciplina apporta un doppio profilo di innovazioni: dal lato dello strumento finanziario (il credito agrario) e dal lato dei soggetti abilitati ad erogarlo.
Con riferimento al primo aspetto, il credito agrario resta un credito di scopo, ma la sua specificità non è legata ad una forma tecnica precisa, bensì alle caratteristiche dell’attività produttiva dell’impresa finanziata. Se ne desume che, con l’entrata in vigore del TUB, le attività bancarie rivolte al settore primario si possono espandere in termini di soluzioni tecniche, non limitandosi alle sole operazioni di concessione di credito, ma comprendendo anche servizi di investimento (es. depositi o servizi di risparmio gestito) e servizi accessori (es. servizi di natura assicurativa e previdenziale). In aggiunta, posto che la finalizzazione si desume dalle caratteristiche dell’attività produttiva, il legislatore comprende nella categoria “agricoltura”, anche quegli operatori che si pongono a monte e a valle del processo produttivo agricolo4. Si tratta dunque di un credito alla filiera agricoltura5.
Con riferimento, invece, ai soggetti abilitati all’erogazione, si accenna solo velocemente al fatto che il TUB, per permettere alle banche domestiche di operare in condizioni di equità competitiva a livello europeo, introduce nel nostro ordinamento un modello di “banca universale”, che semplifica l’assetto istituzionale pre-esistente ed amplia notevolmente l’operatività delle aziende di credito italiane. Queste, in breve, sono autorizzate in quanto tali a realizzare direttamente una serie numerosa di operazioni che precedentemente erano loro precluse, tra cui anche il credito all’agricoltura.
L’orientamento della politica economica agricola, in questa fase, registra un profondo mutamento all’insegna della razionalizzazione delle attività produttive e della loro conversione graduale verso settori con migliori prospettive di crescita. Ciò in coerenza con la riforma Fischler del 2003 che prevede un ridimensionamento progressivo dei contributi finanziari pubblici destinati all’agricoltura. In breve, le agevolazioni finanziarie europee, nazionali e regionali (es. i Piani di Sviluppo Regionale, PSR) sono impiegate, prevalentemente, come strumento di orientamento qualitativo delle attività produttive. I contributi pubblici in questo periodo si sostanziano, di frequente, in erogazioni in conto capitale, a fondo perduto, che costituiscono co-finanziamenti a progetti di investimento presentati da aziende agricole e coerenti con gli obiettivi strategici regionali di ri-orientamento produttivo.
In questo scenario istituzionale mutato, rispetto al periodo precedente, il comportamento delle banche e degli agricoltori, in realtà, non risente di grandi cambiamenti. Paradossalmente, presso le banche, la despecializzazione operativa introdotta con il TUB induce a ritenere che i prodotti finanziari destinati alle aziende agricole siano indistinti, rispetto a quelli dedicati agli altri settori produttivi.
Corollario di ciò diviene una riorganizzazione interna, avvenuta presso numerose banche domestiche, con la quale sono state soppresse le unità interne dedicate all’agricoltura; molto spesso lo stesso personale specializzato viene assegnato a mansioni non più specialistiche6. Non mancano dei comportamenti di opportunismo economico, in alcuni casi, da parte delle stesse banche, quando propongono soluzioni finanziarie, più o meno efficaci, a supporto temporaneo (anticipi PAC) o definitivo (mutui a copertura dei finanziamenti PSR) degli agricoltori che si stanno avvalendo di contributi pubblici. Tuttavia, al di fuori del business del contributo pubblico, da molte banche il settore agricolo è ritenuto di scarsa rilevanza strategica, di bassa redditività e ad esso viene associato un rischio di insolvenza elevato7, percezione in molti casi ingiustificata. In buona sostanza, presso numerose banche italiane paiono affievolirsi vocazione strategica ed attitudine organizzativa per valorizzare le specificità e le potenzialità di business offerte dai clienti del settore primario, se non in quanto soggetti tutelati sul piano istituzionale.
Peraltro, il quadro più complesso è rappresentato dalla situazione degli agricoltori. In questo periodo, in agricoltura si è riusciti il più delle volte a raggiungere un minimo di strutturazione organizzativa da fare emergere il soggetto azienda agricola, in modo più evidente rispetto al periodo precedente. Peraltro, si tratta di un’azienda che in molti casi è ben lontana da poter essere considerata impresa8. Il grado di sviluppo organizzativo ed imprenditoriale di molti titolari di aziende agricole appare in molti casi embrionale; gli stessi agricoltori non risultano il più delle volte neppure consapevoli delle condizioni sub-ottimali di trattamento, per forme tecniche e tassi, che ricevono nei loro rapporti con le banche; questo sebbene, i loro livelli di capitalizzazione siano spesso superiori a quelli di altri settori produttivi ed i tassi di insolvenza effettivi siano assolutamente rassicuranti9. Infine, la maggior parte di loro appare totalmente priva di quegli strumenti organizzativi, amministrativi e contabili che dovrebbero permettere il raggiungimento degli standard minimi che le banche richiedono con l’introduzione della riforma dell’Accordo sul Capitale (meglio nota come Basilea 2).
Nel complesso, ragioni diverse e responsabilità varie, sia dal lato delle banche, sia dei titolari delle aziende agricole, generano situazioni diffuse, quanto mai pericolose: dal lato delle banche si vengono a perdere competenze e professionalità un tempo dedicate specificatamente al settore agricolo e si tende a concentrare l’offerta di prodotti finanziari in relazione ad eventi di agevolazione pubblica (contributi PAC, PSR). Ciò allontana progressivamente il personale delle aziende di credito dal saper valutare oggettivamente le reali capacità economico-finanziarie di aziende agricole la cui attività produttiva presenta elementi di complessità notevole, e che non sempre sono in grado di fornire quegli strumenti informativi (bilanci di esercizio, budget) impiegati da tempo presso altri settori produttivi.
Dal lato dei titolari delle aziende agricole, invece, l’attitudine culturale a ricevere contributi pubblici allontana spesso dall’acquisizione di una sensibilità verso le regole del mercato, come la ricerca di mercati di sbocco, l’assunzione di logiche di marketing, la percezione della concorrenza, interna ed estera, ecc.. In non pochi casi, per paradosso, l’attività produttiva viene pedissequamente orientata in base agli orientamenti pubblici, allo scopo di conseguire i contributi finanziari connessi, in una logica di mero opportunismo economico; le aziende si trovano, così, a sostenere nel tempo progetti di investimento “deboli”, sul piano industriale e di mercato, elaborati unicamente per beneficiare di finanziamenti a fondo perduto. Questo diviene particolarmente frequente, nonché pericoloso, quando a tali investimenti si associano dei finanziamenti bancari gravosi, che le aziende agricole inopinatamente sottoscrivono sulla base dell’intraprendenza di banche, non sempre in grado di valutare le loro potenzialità reddituali.
Il modello “impresa agricola e finanza”- 2010 e dintorni
Questo ultimo modello si delinea in uno scenario in cui si ipotizzano a regime diverse riforme. Intanto, per quanto concerne il sistema bancario, si pone per acquisita, da parte delle banche italiane, la valutazione del merito creditizio secondo le nuove regole di Basilea 2. Ciò in breve dovrebbe portare la gran parte delle aziende di credito domestiche a valutare le pratiche di fido in conformità con criteri oggettivi, quantitativi e standardizzati (es. sistema di rating interni basati, in larga misura, sulle evidenze contabili aziendali). Con riferimento alla politica economica agricola si assume per acquisito, sul piano culturale, il ridimensionamento del sostegno pubblico all’agricoltura ed il passaggio a modelli di gestione delle attività agricole in senso imprenditoriale. Si dovrebbe essere completato -complice anche il passaggio generazionale- quel processo di transizione delle aziende agricole in imprese agricole, che non esclude, peraltro, anche una razionalizzazione/selezione notevole dei soggetti economici che rappresentano il settore.
La controparte del sistema bancario, dunque, diviene un vero e proprio imprenditore agricolo, e si suppone che questi esprima fabbisogni finanziari ben più articolati e complessi rispetto alla semplice richiesta di fido: dagli strumenti di investimento e di gestione della liquidità, agli strumenti assicurativi e di copertura dei rischi. In realtà, la riforma del sistema bancario italiano introdotta con il TUB del 1993 aveva contemplato questo ampliamento di servizi finanziari da collocare presso gli esponenti del settore agricolo. Purtroppo, l’evoluzione dal lato della domanda di servizi finanziari -ovvero la maturazione del soggetto “imprenditore agricolo”- è avvenuta con un certo ritardo e ha trovato, dal lato dell’offerta, numerose banche italiane non sempre pronte a cogiere le opportunità legate a tale mutamento.
Questo per la consuetudine consolidata a considerare il settore agricolo come un settore protetto, e per la perdita di professionalità specialistiche e/o di orientamenti strategici mirati. Peraltro, queste considerazioni non vanno generalizzate, tenendo conto del fatto che alcuni esponenti del settore del credito maturano una certa sensibilità verso le opportunità che potrebbero essere offerte dai nuovi attori dell’agricoltura10. In altri termini, anche dal lato dell’offerta di servizi bancari e finanziari, nella fase indicata, dovrebbe avvenire una razionalizzazione/selezione corrispondente a quella in atto presso il settore agricolo.
Si potrebbe configurare una distinzione netta tra player bancari “vocati” e “non vocati” all’agricoltura, ripristinando paradossalmente una situazione pre-TUB. Tra le banche non vocate si potrebbero comprendere quelle che per storia, crescita interna, competenze distintive, aree di riferimento, non favoriscono un approccio di mercato personalizzato per gli imprenditori agricoli, con schede prodotto, personale e processi di valutazione del merito creditizio indifferenziati, rispetto agli altri settori produttivi. Di contro, le banche vocate all’agricoltura dovrebbero essere i partner ideali dei “nuovi” imprenditori agricoli, con l’offerta di servizi di finanza ad ampio spettro11, con personale e/o unità organizzate dedicate a gestire in modo personalizzato le caratteristiche delle imprese agricole e delle loro attività, nonché, infine, con sistemi di valutazione del merito creditizio (anche rating interni) personalizzati per questa categoria di operatori economici.
Considerazioni conclusive
In conclusione, il tema del credito e della finanza per il settore agricolo assume un significato pieno solo quando lo si alleggerisce di tutte le implicazioni “meta-finanziarie” che gli sono state attribuite nel tempo e l’analisi viene riportata a considerazioni strettamente economico-finanziarie. Le riforme in atto, che riguardano tanto il sistema bancario che la politica economica agricola, hanno un ruolo determinante nel ri-attribuire alla finanza il ruolo che dovrebbe avere nel contribuire allo sviluppo delle imprese agricole italiane. Peraltro, difficoltà ed ostacoli non mancano di frapporsi al completamento di questa evoluzione: da un lato, si tratta dei problemi connessi con lo sviluppo delle imprese agricole, come le resistenze culturali, l’efficacia non sempre certa delle strategie di mercato, la lentezza degli sviluppi organizzativi, i rischi impliciti in ogni attività agricola, ecc.
Dal lato delle banche, oltre alla sensibilità strategica diversa che esse possono esprimere nei confronti del settore, non sono da trascurare le difficoltà notevoli connesse con l’implementazione ed il funzionamento dei sistemi di valutazione del merito creditizio standardizzati, richiesti da Basilea 2.
Un sostegno valido potrebbe provenire da una collaborazione stretta tra tutti gli attori, pubblici e privati (organi istituzionali, associazioni di categoria, rappresentanti di settore, ecc.) interessati a che l’impatto delle riforme in essere, in banca e in agricoltura, con le relative logiche di razionalizzazione/selezione, costituisca comunque un “atterraggio morbido” per l’economica italiana.
Riferimenti bibliografici
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Lucarelli C. (a cura di), L’offerta di credito e di strumenti finanziari per le imprese agricole marchigiane, Ricerche Osservatorio Agricoltura Marche, 2006, in corso di stampa.
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Ruozi R., Dal credito agrario alla prestazione di servizi bancari all’agricoltura. Le proposte dell’economia agricola, agroalimentare e ambientale, Banche e Banchieri, n. 2, 1999.
- 1. Si fa riferimento, in particolare, alla legge n. 1760 del 1928 ed alla legge bancaria del 1936. La prima indica gli strumenti finanziari destinati al settore agricolo; la seconda introduce, per le aziende di credito, un regime di specializzazione operativa, temporale ed istituzionale.
- 2. Il credito di esercizio è destinato a soddisfare le esigenze finanziarie connesse con il ciclo produttivo (credito di conduzione) e con la dotazione dell’impresa agricola di scorte permanenti e di strutture produttive necessarie (credito di dotazione).
- 3. Il credito di miglioramento è finalizzato, invece, a finanziare gli investimenti di lungo periodo, allo scopo di favorire l’ammodernamento e la ristrutturazione dell’impresa agricola.
- 4. Infatti, l’art. 43 del TUB stabilisce che “il credito agrario ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti destinati alle attività agricole e zootecniche nonché a quelle a essa connesse o collaterali”, ovvero “l’agriturismo, la manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti, nonché le altre attività individuate dal CICR”.
- 5. Cfr. Ruozi R., Dal credito agrario alla prestazione di servizi bancari all’agricoltura. Le proposte dell’economia agricola, agroalimentare e ambientale, Banche e Banchieri, n. 2, 1999.
- 6. Cfr. Carluccio E., Ferrari P., Lucarelli C., Spigarelli F., Vigano L., Tendenze evolutive del mercato del credito agrario in Italia, Newfin Università Bocconi, Milano, 2000.
- 7. Statistiche recenti mostrano come al settore agricolo si applichino dei tassi di interesse in media del 2% superiori a quelli applicati ad altri settori produttivi. Cfr. Lucarelli C. (a cura di), Il fabbisogno di credito e strumenti finanziari delle imprese agricole marchigiane, Ricerche Osservatorio Agricoltura Marche, 2005, pag. 25.
- 8. Sotte F., Imprese e non imprese, in corso di stampa su Politica Agricola Internazionale.
- 9. Lucarelli C. (a cura di), Op. cit.2005.
- 10. Lucarelli C. (a cura), L’offerta di credito e di strumenti finanziari per le imprese agricole marchigiane, Ricerche Osservatorio Agricoltura Marche, 2006, in corso di stampa.
- 11. Cfr. Piatti D., Agricoltura e Credito: dalla despecializzazione ai nuovi servizi finanziari per l’impresa, Cap. 4-5, ISMEA 2004.
Commenti
Utente non regi... (non verificato)
Gio, 01/01/1970 - 01:00
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Richiesta approfondimento
Da poco mi occupo di Credito Agrario, ho appreso molto dall'articolo e dai suoi spunti di approfondimento.
Vorrei indicazioni per svolgere uno studio sul concetto di agroindustria.
C.Caruso
Commento originariamente inviato da 'C. Caruso' in data 23/07/2006.
Utente non regi... (non verificato)
Gio, 01/01/1970 - 01:00
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credito imprese agricole
In bibliografia c'è un articolo della stessa autrice che gradirei ricevere se possibile. In particolare, come giudica l'autrice il fatto che la regione Marche non ha alcun organismo di garanzia in ambito agricolo (c.d. agrifidi)? Questo incide sui rapporti banche-imprese e sull'offerta di credito e strumenti finanziari?
Grazie e buon lavoro
Commento originariamente inviato da 'Vincenzo Bisaccia' in data 13/06/2006.
Utente non regi... (non verificato)
Gio, 01/01/1970 - 01:00
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risposta a Vincenzo Bisaccia
Anche se non esiste un organo di garanzia istituzionale, esiste un organo di mercato, come il Cofidi, a cui la Regione assicura il massimo supporto. Ormai prevale un orientamento che fa privilegiare le logiche di mercato, piuttosto che quello di sostegno pubblico. Peraltro, anche le nuove misure PAC di sostegno comunitario non prevedono la misura ''J'', di Ingegneria finanziaria, con era previsto il sostegno della regione a formulte tipo quella del Cofidi. Quindi, ormai l'orientamento è di chiedere alla aziende agricole di stare sul mercato in senso economico, in modo autonomo.
Commento originariamente inviato da 'Caterina Lucarelli' in data 20/06/2006.