Lo scorso 8 febbraio Crawford Falconer, l’ambasciatore neozelandese che presiede il gruppo negoziale del Wto per l’agricoltura, ha infine pubblicato la nuova bozza per le modalities [link] [link], che aggiorna il testo del luglio del 2007 (vedi Finestra sul WTO agosto 2007), ponendosi come base per un possibile accordo.
Nel mese di novembre 2007 Falconer aveva fatto circolare tre working paper inerenti i sussidi all’esportazione (vedi Finestra sul WTO, novembre 2007) e, tra dicembre e gennaio, altri quattro working paper sul sostegno interno ed otto sull’accesso al mercato [link]. Alcuni loro elementi sono stati poi ripresi nell’attuale bozza per le modalities; quest’ultima non apporta novità cruciali, pur presentandosi per la prima volta come un testo “legale” in cui, a differenza del precedente, i passaggi “discorsivi” sono stati sostituiti da possibili opzioni per un futuro accordo, e alcune “parentesi” che indicavano valori ancora oggetto di negoziato sono state rimosse.
Ad esempio, per quanto riguarda il sostegno interno, sembra che sia ormai assodato che UE, USA e Giappone, e altri Paesi sviluppati, dovranno implementare tagli sulla scatola gialla rispettivamente del 70%, 60% e 45%. A differenza di quanto previsto nel rispettivo working paper [link], si dovrà implementare subito il [25%] del taglio complessivo, per poi ripartire nei 5 anni seguenti le successive riduzioni (“six steps in 5 years”). Restano invece immutati i tagli che dovranno essere fatti sull’ammontare complessivo del sostegno distorsivo del commercio (Overall Trade Distorting Support, o OTDS).
Per quanto riguarda l’accesso al mercato, lo schema per le riduzioni tariffarie non è stato modificato [link], ma ora si prevede l’attuazione di un vincolo aggiuntivo di riduzione tariffaria complessiva media minima del [54%] per i paesi sviluppati ([36%] per i paesi in via di sviluppo). Viene inoltre indicata la lista delle Small and Vulnerable Economies che saranno soggette a minori tagli tariffari (45 paesi in via di sviluppo). Sul tema dei prodotti sensibili, il testo stabilisce che quei Paesi che hanno più del 30% delle linee tariffarie nella banda massima potranno designare come sensibili il 2% in più di prodotti rispetto agli altri paesi ([6] [8] % invece che [4] [6]%), e che solo su questo 2% dovranno aumentare le quote all’importazione a tariffa ridotta. Anche quei paesi che, una volta calcolata la riduzione tariffaria, avranno tariffe superiori al 100% su oltre il 4% delle loro linee tariffarie, dovranno realizzare aumenti delle quote a tariffa ridotta; questa misura compensa l’assenza dell’imposizione di un vero e proprio tetto tariffario, da sempre ostacolata da grandi importatori come UE e Giappone. Sui prodotti speciali, nel testo si legge che esiste accordo a che i paesi in via di sviluppo possano designare come tali almeno l’8% delle proprie linee tariffarie (il massimo, da negoziare, sarebbe del [12] o [20]%; in allegato si trasmette una lista di possibili indicatori per selezionarli); anche sui prodotti speciali si prevede l’attuazione di tagli tariffari scalari, anche se i dettagli restano da definire. Nella bozza delle modalities viene introdotto l’1,5% delle linee tariffarie come limite per l’applicazione del meccanismo speciale di salvaguardia per i paesi in via di sviluppo, sebbene, anche in questo caso, il funzionamento del meccanismo sia tutt’altro che definito, e le caratteristiche proposte non incontrano il favore del gruppo del G-33 (principale sostenitore di questo strumento), che ritiene che siano troppo restrittive. Per quanto riguarda il mandato a liberalizzare il commercio dei prodotti tropicali tenendo conto dell’erosione delle preferenze, che ha visto contrapposti i paesi dell’america latina ai paesi ACP che ne hanno a lungo beneficiato, il testo non compie sostanziali passi avanti per risolvere il contrasto tra i due temi, in particolare per alcuni prodotti (tra cui banane e zucchero di canna grezzo) su cui gli interessi sono assolutamente contrari.
Sui sussidi all’esportazione, infine, viene indicato il 2016 come anno per la loro eliminazione nei paesi in via di sviluppo.
Il Commissario europeo per il Commercio Estero Peter Mandelson e la rappresentante al Commercio degli Stati Uniti Susan Schwab, insieme ai rappresentanti di numerosi Paesi membri del Wto, hanno rinnovato ancora una volta il loro impegno a concludere le trattative del Doha Round entro il 2008. Nel Forum Economico Mondiale di Davos, a fine gennaio, i ministri del commercio di Unione Europea, Stati Uniti, India e Brasile (che rappresentano le posizioni negoziali chiave) hanno proposto quindi di fissare una riunione “mini-ministeriale” nei mesi di marzo o aprile.
Per tentare di concludere i negoziati, infatti, ora che è pronta la nuova bozza per le modalities, dovrebbe avviarsi un processo di negoziazione “orizzontale”, che si svolgesse cioè contemporaneamente sui vari tavoli negoziali, per poter arrivare quanto prima ad un accordo completo sulle modalities (presumibilmente, appunto, subito dopo la mini-ministeriale). Contemporaneamente, resterebbero tuttavia ancora da concludere le trattative su una serie di altri temi, come servizi, sussidi al settore della pesca, facilitazioni commerciali, misure anti-dumping, trattamento speciale e differenziato, e così via. Infine, i singoli Paesi dovrebbero procedere alla definizione delle loro schedules, i prospetti nazionali che descrivono nel dettaglio gli impegni assunti.
Lo scenario che vede le trattative concludersi entro il 2008 è dunque quantomeno molto ottimista, soprattutto considerando che moltissime scadenze analoghe sono saltate (il Round avrebbe dovuto originariamente chiudersi già nel 2004), che restano moltissimi dettagli tecnici ancora da definire (un’operazione, questa, che verosimilmente richiederebbe mesi di lavoro), e soprattutto che negli Stati Uniti è scaduta la Trade Promotion Negotiating Authority, che dovrebbe quindi essere rinnovata in tempi rapidi per permettere agli Stati Uniti di firmare un eventuale accordo.
La situazione non è affatto migliore per quanto riguarda i negoziati per l’accesso al mercato dei prodotti non agricoli (Non Agricultural Market Access, o NAMA), in cui persistono le divergenze tra i paesi in via di sviluppo e paesi industrializzati, con i primi che criticano le eccessive richieste di liberalizzazione ed i secondi che chiedono livelli di apertura tali da rappresentare una contropartita per l’aumento nell’accesso ai loro mercati per i prodotti agricoli. Don Stephenson, l’ambasciatore canadese che presiede questo gruppo negoziale, ha proposto un nuovo testo che possa costituire una base per la discussione, ammettendo che su alcuni temi centrali non vi è alcun accordo (in primo luogo, la formula per determinare i tagli tariffari nei paesi sviluppati e in molti paesi in via di sviluppo, e le flessibilità che determineranno la possibilità, per questi ultimi, di mettere al riparo alcuni prodotti dalla liberalizzazione).
Lo sviluppo dei negoziati del Doha Round si annuncia quindi tutt’altro che semplice, e ancora una volta sono numerosi gli interrogativi aperti nel contesto politico mondiale. L’effetto del rallentamento dell’economia statunitense potrebbe spingere ad una chiusura più rapida delle trattative nel tentativo di mantenere condizioni di stabilità sui mercati mondiali, o viceversa rendere i legislatori USA ancora meno propensi ad aperture commerciali. Nel luglio del 2008 la Francia, tradizionalmente arroccata su posizioni avverse alla riduzione della spesa sui sussidi agricoli e alla liberalizzazione del settore, sarà presidente di turno dell’UE. Negli Stati Uniti, di contro, il Senato ha recentemente approvato [link] la propria proposta del Farm Bill, che non apporterebbe che cambiamenti molto modesti nel generoso sistema di sussidi attualmente a disposizione degli agricoltori statunitensi. L’inizio della campagna elettorale per le elezioni presidenziali del prossimo novembre sicuramente non facilita l’apertura al negoziato multilaterale, soprattutto considerando il momento critico in cui si trova l’economia statunitense, che ha portato, ad esempio, la candidata Hillary Clinton a ribadire di essere pronta a riconsiderare “ogni aspetto” della politica commerciale statunitense. Di contro, nelle parole del Commissario europeo Mandelson, “se il Round deve concludersi con successo, deve farlo entro l’anno in corso”.
Ancora una volta, quindi, per i prossimi mesi tutte le possibilità restano aperte: che i negoziati, anche se a rilento, proseguano senza che vi siano novità di rilievo, o che si riesca a siglare un accordo, seppur “debole” nella sua portata, come unica possibilità di concludere il Doha Round.
Finestra sul WTO n.9
Approvato in Senato il Farm Bill statunitense
Il 14 dicembre il Senato statunitense ha approvato la propria proposta per il Farm Bill, che prevede una spesa complessiva di 286 miliardi di dollari in 5 anni. Questo documento andrà ora integrato con il testo passato alla Camera nel 2007 (vedi Finestra sul WTO, novembre 2007). Il testo del Senato, molto vicino a quello della Camera, sostanzialmente prolunga il generoso schema di sussidi attualmente esistente, e rimuove le pur modeste riforme proposte a suo tempo dall’Amministrazione Bush. Queste avrebbero consentito di mettere i sussidi in riparo dalle dispute internazionali, tagliato gli aiuti erogati alle aziende con un reddito superiore ai 200.000 dollari annui, e migliorato la redistribuzione del sostegno tra gli agricoltori (attualmente i maggiori beneficiari sono infatti i produttori di sole 5 commodities). La proposta del Senato, in particolare, lascia inalterati i pagamenti attualmente oggetto di disputa da parte di Canada e Brasile (vedi Finestra sul WTO, agosto 2007). Resta ora da vedere se l’Amministrazione Bush si avvarrà del suo potere di veto, come più volte minacciato negli scorsi mesi a causa dell’aumento della spesa e dell’esposizione alle dispute in sede Wto che il nuovo Farm Bill causerebbe. Questo rallenterebbe ulteriormente l’emanazione della nuova legge, che avrebbe dovuto già essere pronta lo scorso settembre. L’Amministrazione ed il Congresso e hanno tempo fino al 15 marzo per raggiungere un compromesso; quest’ultimo potrebbe tuttavia estendere la legge attualmente in vigore fino al termine delle elezioni presidenziali del 2008. Se il nuovo Farm Bill non fosse pronto neppure allora, si tornerebbe all’ultimo Farm Bill con validità permanente, risalente al 1949, con conseguenze paradossali.
Il Wto raggiunge quota 153 membri
Con l’approvazione del Consiglio Generale all’accesso dell’Ucraina, avvenuta il 5 febbraio, il Wto ha ora 153 membri. Il 18 dicembre 2007 era stata la volta di Capo Verde. Le entrate dei due Paesi, avvenute dopo quattordici e nove anni di trattative rispettivamente, sono state viste come un rinnovato segno di fiducia nel Wto, in un momento in cui, come noto, i negoziati stentano a decollare. Il 8 dicembre è stata accettata la richiesta di entrare a farvi parte di un altro stato africano, la Liberia. L’Ucraina era, nel mondo, il terzo paese più grande dopo Russia ed Iran a non far parte del Wto.
L'accesso dell'Ucraina potrebbe dunque spingere Mosca ad accelerare le trattative per il proprio ingresso.
L’Ucraina si è impegnata a mantenere le tariffe sui prodotti agricoli al di sotto del valore medio del 10,66% (4.95% per i prodotti industriali), ad aprire una nuova quota all’importazione per lo zucchero, a non sussidiare le proprie esportazioni e rispettare un limite annuale sul sostegno interno distorsivo del commercio pari a 613 milioni di dollari.
Per saperne di più [link].
La “guerra delle banane”: arriva il verdetto provvisorio del Wto
Il 10 dicembre del 2007 il panel del Wto ha giudicato l’Unione Europea (citata in giudizio dall’Ecuador, a cui si sono poi aggiunti altri membri del Wto, vedi Finestra sul WTO agosto 2007), colpevole di mantenere tariffe troppo alte e non conformi a quanto previsto da precedenti sentenze. Raramente le conclusioni provvisorie del panel vengono poi cambiate nel verdetto finale, ora atteso per i prossimi mesi. Il portavoce europeo ha comunque ribadito come le importazioni dall’Ecuador siamo aumentate da quando il nuovo regime tariffario è entrato in vigore.
Sempre per quanto riguarda il regime commerciale dell’UE all’importazione delle banane, un altro panel del Wto ha poi dato ragione in via preliminare agli Stati Uniti (che non sono esportatori di banane in Europa quanto piuttosto la sede principale si una serie di multinazionali proprietarie di piantagioni in america latina), che avevano dato inizio ad una disputa analoga.
I verdetti di entrambe le dispute sono però in un certo senso già “superati”, in quanto l’UE sta procedendo alla firma dei nuovi EPA con i paesi ACP [link], che includono anche il settore delle banane; tutto dipenderà quindi da come verranno accolte dagli altri membri del Wto le conseguenze dell’approvazione degli EPA sul regime tariffario del settore delle banane.
La politica commerciale degli Stati Uniti
Nonostante il supporto di meno della metà dei deputati democratici, da sempre avversi alla politica commerciale dell’Amministrazione Bush, ad inizio novembre la Camera dei Rappresentanti ha approvato l’accordo di libero commercio con il Perù, poi passato anche in Senato. Si ricorderà che, lo scorso anno, (vedi Finestra sul WTO agosto 2007) i democratici erano riusciti ad introdurre modifiche negli accordi bilaterali in corso di negoziazione, volte a rendere più severo il rispetto di norme inerenti la protezione ambientale e i diritti dei lavoratori. La leadership democratica ha quindi salutato questo accordo come una drastica rottura con le politiche del passato. Secondo alcuni analisti, tuttavia, la firma dell’accordo con il Perù potrebbe d’altro canto celare gli interessi di alcune imprese nel settore dei servizi finanziari e dell’high-tech, che appunto finanziano il partito democratico e premono per la liberalizzazione commerciale molto più di quanto non facciano i tradizionali sostenitori del partito. Tuttavia, al contrario, molti senatori e deputati democratici ritengono che gli standards ambientali e di lavoro non siano ancora sufficientemente salvaguardati; in altri termini, non sono disposti a dare la benché minima vittoria alla già stremata Amministrazione Bush, e a tornare su quelle posizioni che avrebbero appunto loro consentito la vittoria nelle elezioni di medio termine del 2006. In recenti sondaggi d’opinione, tra l’altro, sembra che cresca l’avversione al libero commercio tra i sostenitori sia democratici che repubblicani, ed al Congresso è in esame una legge per aumentare la protezione dei lavoratori che perdono l’impiego per cause legate all’incremento delle importazioni o all’outsourcing.
Ad ogni modo, restano ancora da concludere accordi con la Colombia, l’Ecuador e la Bolivia, che insieme al Perù, tramite l’Andean Trade Preference Act, hanno potuto beneficiare dell’accesso a tariffa zero sul mercato statunitense di un vasto insieme di prodotti. Ad inizio febbraio, è stata chiesta alla Camera l’estensione per altri due anni di queste preferenze. Queste sarebbero già scadute alla fine del 2006, per essere sostituite da accordi bilaterali (come avvenuto con il Perù), ma, a causa delle difficoltà incontrate nei negoziati (vedi Finestra sul WTO agosto 2007), sono state già prorogate fino alla fine del febbraio 2008.
Carne bovina: l’UE verso una disputa con il Brasile?
Il 31 gennaio, l’UE ha vietato le importazioni di carne bovina dal Brasile, sulla base dell’inattendibilità dei dati sui controlli sanitari presentati. L’UE sostiene che il divieto, che incontra il favore delle organizzazioni dei produttori, è solo temporaneo, mentre al contrario il Brasile ritiene che sia mosso da pure ragioni commerciali, e ha minacciato di ricorrere al panel del Wto.
Nuove proposte sulle indicazioni geografiche
Nell’ambito del negoziato TRIPS, il 3 dicembre un gruppo di Paesi guidato da Unione Europea e Svizzera, e comprendente anche alcuni paesi in via di sviluppo (come India, Giamaica, Kenia, Pakistan, Tailandia e Turchia), ha chiesto che nel testo delle modalities venga indicato che i Paesi membri del Wto sono favorevoli a che vi sia un’estensione del livello ulteriore della protezione prevista dall’accordo TRIPS alle indicazioni geografiche di tutti i prodotti, non semplicemente vino e alcolici. Altri membri, come Australia, Canada, Argentina, Stati Uniti e Sud Africa, mettono in discussione invece la necessità di attuare tale livello addizionale di protezione. La proposta sulle indicazioni geografiche (pervenuta assieme ad una relativa alla protezione dei diritti dei paesi di provenienza nell’uso delle risorse genetiche), ha l’obiettivo di essere integrata nella futura “decisione orizzontale sulle modalities”, un ampio accordo quadro comprendente anche agricoltura e beni industriali. Nonostante le nuove proposte, al momento lo scontro tra le varie posizioni negoziali rende impossibile prevedere come si svilupperanno le trattative; nella bozza delle modalities di Crawford Falconer manca ogni riferimento alla questione.
La disputa sugli OGM : problemi con i bandi nazionali nell’UE
Per mettersi in regola con quanto stabilito dal panel del Wto nella disputa sulla moratoria de facto all’introduzione degli OGM (vedi Finestra sul WTO febbraio 2006), ed evitare l’imposizione di sanzioni commerciali da parte di USA, Canada ed Argentina, l’Unione Europea avrebbe avuto 12 mesi di tempo a partire dal novembre 2006; la scadenza è stata poi prorogata fino all’11 gennaio del 2008, ma l’UE ha ancora una volta fallito nel rispettare quanto stabilito dal panel. In particolare, la rimozione dei bandi all’importazione di OGM presenti in alcuni paesi dell’UE si è rivelata un atto non semplice a causa delle resistenze dei cittadini e del mondo politico europeo; recentemente, il ministro tedesco per l’agricoltura ha addirittura chiesto una nuova moratoria all’introduzione di prodotti OGM, ottenendo il sostegno del suo collega francese e scatenando i timori della Commissione. Ma ad essere divisi non sono soltanto gli interessi delle lobbies ambientaliste e di quelle produttrici di prodotti geneticamente modificati; mentre, infatti, il Commissario Europeo per l’Ambiente Stavros Dimas chiede cautela, la Commissaria all’Agricoltura Mariann Fischer Boel ed il Commissario al Commercio estero Peter Mandelson ricordano come bisogna ormai essere pronti ad assecondare l’ingresso dei prodotti OGM, in particolare considerando le pressioni della domanda di alimenti foraggeri e gli alti prezzi dei prodotti agricoli sui mercati mondiali.
Proseguono le trattative tra Unione Europea e Corea
Continuano i negoziati per la creazione di un’area di libero commercio tra Unione Europea e Corea del Sud. Un accordo analogo è stato siglato lo scorso aprile tra il paese asiatico e gli Stati Uniti, il che rende l’UE ansiosa di concludere le proprie trattative. Tuttavia, se nelle intenzioni iniziali si sarebbe dovuto raggiungere un accordo entro la fine del 2007, al momento non si intravede alcun progresso possibile prima di qualche mese. Nonostante i risultati positivi ottenuti nel settore dei servizi, dei diritti di proprietà intellettuale, degli investimenti, e persino in agricoltura, le trattative sono bloccate sul commercio di automobili, un settore molto protetto in Corea. Per quanto riguarda i prodotti agricoli, l’UE ha accolto la richiesta della Corea di designare riso, aglio e pepe come prodotti sensibili, ma al tempo stesso chiede concessioni maggiori su vino e carni suine, al pari di quanto è stato fatto nell’accordo concluso con gli USA. Il valore del flusso commerciale bilaterale tra Unione Europea e Corea è stato stimato intorno agli 80 milioni di dollari per il 2006, e secondo alcuni analisti la stipula di un accordo di libero commercio potrebbe incrementarlo del 50%.
Le critiche sulle notifiche del sostegno agricolo statunitense
A fine ottobre, la riunione del Comitato Agricoltura del Wto è stata dominata dalle critiche sulle notifiche della spesa agricola statunitense negli anni 2001-2005. Le notifiche sono state condannate sia per il ritardo con cui sono state effettuate, che per le modalità di classificazione di alcune misure di sostegno. In particolare, gli Stati Uniti hanno comunque classificato i pagamenti diretti del settore del cotone nella scatola verde, nonostante quanto concluso nella disputa con il Brasile del 2005 (vedi Finestra sul WTO agosto 2007), e quanto sta avvenendo nelle dispute attualmente in corso con Canada (vedi Finestra sul WTO agosto 2007) e Brasile (vedi Finestra sul WTO agosto 2007). Secondo quest’ultimo, un ulteriore errore sarebbe stato commesso nel classificare i pagamenti anticiclici per il cotone come “non prodotto-specifici” nonostante il Wto, nella sopraccitata disputa del 2005, avesse sostenuto il contrario.
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L’ASEAN sigla accordi con Giappone e Corea
ASEAN e Giappone hanno siglato un accordo di libero commercio, destinato a coprire non soltanto il commercio di beni e servizi, ma anche gli investimenti e la cooperazione allo sviluppo. Si prevede l’eliminazione delle tariffe all’importazione entro i prossimi dieci anni su circa il 90% del commercio tra le parti; il processo avverrà a maggior velocità nelle economie pià sviluppate tra quelle facenti parte dell’ASEAN. Sia l’ASEAN che il Giappone si sono impegnati ad una liberalizzazione più rapida per una serie di prodotti (soprattutto della caccia, della pesca, e dell’industria chimica); tuttavia riso, carne bovina e prodotti lattiero caseari saranno protetti come prodotti sensibili. L’accordo siglato con la Corea, che riguarda invece soltanto il settore dei servizi, è il terzo passo per la creazione di un accordo complessivo di libero commercio; i negoziati sulle regole per gli investimenti proseguiranno nel 2008. La Corea ha manifestato la propria intenzione a concludere le trattative in tempi brevi, considerando che l’ASEAN ha già concluso o è in procinto di concludere accordi analoghi con grandi concorrenti sul mercato, tra cui Giappone, India, Cina.
Malesia e Pakistan siglano un accordo di libero commercio
Il Free Trade Agreement tra i due paesi asiatici è entrato in vigore il primo gennaio 2008, dopo circa tre anni di trattative. L’accordo liberalizza il commercio dei servizi oltre quanto previsto dalle regole del Wto, e rafforza la protezione per gli investimenti esteri. In generale, è previsto un processo a due fasi per la riduzione delle tariffe, che saranno eliminate entro il 2012. Una lunga lista di prodotti “sensibili”, soggetti a tagli tariffari meno invasivi, è stata suddivisa in tre gruppi che pure saranno sottoposti a tagli con scadenze progressive. Il Pakistan si è impegnato a ridurre le tariffe all’importazione sull’olio di palma, uno dei principali prodotti esportati dalla Malesia.
Schede e approfondimenti |
Scheda 1 - Gli Economic Partnership Agreements (EPA) con i Paesi ACP
In vista della scadenza della deroga del Wto che permetteva l’esistenza di un regime preferenziale tra i paesi di Africa, Caraibi e Pacifico (ACP) e l’Unione Europea [link], durante i mesi di novembre e dicembre scorsi si sono intensificati i negoziati finalizzati alla creazione degli accordi di partenariato economico (in inglese Economic Partnership Agreements, EPA), che hanno lo scopo di sostituire il regime di preferenze (istituito dalla Convezione di Lomè e poi dall’Accordo di Cotonou) con condizioni di reciprocità commerciale. L’avvicinarsi della scadenza ha infatti reso più consistente il rischio che, per i 31 paesi ACP “più ricchi” (quelli cioè non classificati come Paesi meno Avanzati, Pma), allo scadere della deroga del Wto, le attuali condizioni di accesso preferenziale al mercato comunitario venissero sostituite dall’applicazione del Sistema Generalizzato delle Preferenze, che in pratica li avrebbe posti sullo stesso piano di paesi in via di sviluppo esportatori molto forti come India o Brasile(1).
All’avvicinarsi della data di scadenza della deroga del Wto molti tra i paesi ACP, nonostante i negoziati non avessero registrato progressi significativi negli ultimi mesi, si sono quindi affrettati alla firma di accordi con l’UE. Questo è avvenuto, in alcuni casi, rompendo i sei gruppi regionali in cui i Paesi ACP si erano suddivisi ai fini della trattativa. Solo in pochi hanno però firmato accordi di partenariato economico complessivi; molti infatti hanno sottoscritto accordi ad interim, cioè temporanei, aventi per oggetto il solo commercio di beni, rimandando la firma degli EPA veri e propri al 2008.
Gli accordi conclusi sono stati recepiti nel Reg. CE 1528 del 20 dicembre 2007 [pdf]. EPA complessivi, riguardanti il commercio di beni, servizi e le regole sugli investimenti, sono stati firmati soltanto dai paesi del gruppo dei Carabi. Questi Paesi si sono impegnati a rimuovere le barriere sull’82,7% delle importazioni provenienti dall’UE nei prossimi 15 anni, ma si sono assicurati accesso libero e senza limitazioni per tutti i propri prodotti (ad eccezione di riso e zucchero, per i quali sono previsti periodi transitori).
Gli accordi ad interim si basano invece sulla liberalizzazione progressiva, entro il 2020, del solo commercio di beni. In particolare, vengono previsti opportuni periodi di transizione per riso e zucchero, per salvaguardare quei Paesi in cui la sopravvivenza di questi settori, di cruciale importanza per le loro economie, si basa proprio sulla preferenza comunitaria. Dalla prima ondata di liberalizzazioni sono stati inoltre esclusi altri prodotti chiave per alcuni paesi (ad esempio, carne, pesce e tabacco nelle Seychelles, e tutti i cereali e i prodotti animali nello Zimbawe). Diversi paesi dell’africa orientale e meridionale hanno rotto i blocchi regionali negoziali per firmare accordi separati con l’UE: si tratta di Botswana, Mozambico, Swaziland e Lesotho, appartenenti alla South African Development Community (SADC), ma anche di Kenya, Uganda, Tanzania, Rwanda e Burundi, appartenenti alla East African Community (EAC). Accordi ad interim sono stati firmati anche da Costa d’Avorio, Seychelles, Madagascar, Camerun, Ghana, Zimbawe, isole Comore, Mauritius, isole Fiji e Papua Nuova Guinea (Tabella 1).
Nella firma degli accordi ha sicuramente giocato un ruolo il fatto che alcuni settori di fondamentale importanza per alcuni Paesi ACP (i fiori recisi in Kenya, o il cioccolato trasformato in Ghana) non fossero neppure coperti dal Sistema Generale delle Preferenze, il che avrebbe li avrebbe quindi resi vulnerabili alla concorrenza di tutti i paesi membri del Wto.
Alla data del 19 dicembre, 35 dei 79 Paesi ACP avevano firmato EPA con Bruxelles. Dei non firmatari, la maggior parte sono Pma; tra i non Pma, alcuni (come sette paesi del Pacifico) non hanno virtualmente alcun flusso commerciale con l’UE, ed il Sud Africa ha già un proprio accordo di libero commercio. Resterebbero quindi soltanto la Nigeria (che però esporta per lo più petrolio, in ogni modo non sottoposto a tariffa), il Gabon ed il Congo Brazzaville a dover fronteggiare possibili aumenti tariffari nel 2008.
Da parte del mondo accademico e dalle organizzazioni non governative sono provenute numerose critiche alla firma degli EPA, che non erano mancate già dalle prime fasi dei negoziati [link]. In particolare, il rapido susseguirsi di firme degli accordi da parte dei paesi ACP è stato visto come dettato dalla paura, alimentata dall’UE, che questi potessero trovarsi improvvisamente esposti alla concorrenza di altri grandi esportatori. Alcuni analisti hanno suggerito che, al fine di assicurare la compatibilità con la normative del Wto, sarebbe bastato un semplice accordo quadro, affiancato dall’impegno di proseguire e concludere i negoziati entro il 2008.
Secondo Oxfam, organizzazione che ha sostenuto un’attiva campagna contro la struttura degli EPA, si tratta di un processo di liberalizzazione troppo rapido, che innescherà pressioni che porteranno all’afflusso incontrollato dei prodotti europei sui mercati dei paesi ACP, al controllo straniero sui capitali e sui servizi essenziali, e priverà i governi locali delle entrate tariffarie, che costituiscono un’importante fonte di reddito.
Recentemente, in sede WTO, il Brasile ha affermato che gli EPA potrebbero rivelarsi controproducenti ai fini dell’integrazione commerciale dei paesi in via di sviluppo. Gli EPA contengono infatti una clausola con cui ogni eventuale concessione commerciale che gli ACP accordano ad un altro paese “economicamente rilevante” viene ad essere estesa anche all’UE, ed è chiaro che questo sarebbe un freno per la stipula di accordi bilaterali.
Tra l’altro, alcuni studi già riportano come in seguito alla firma degli accordi, che ricordiamo hanno proprio l’obiettivo di eliminare il regime delle preferenze, le esportazioni provenienti dall’UE nei Paesi ACP spiazzeranno quelle dei produttori più competitivi, come la Cina o gli Stati Uniti.
Mandelson, commissario europeo al commercio estero, ha ribadito come gli EPA, che includono anche un fondo di 23 milioni di euro di aiuti allo sviluppo, costituiscano invece una valida opportunità di crescita per i Paesi ACP, ai quali l’UE offre tutte le garanzie necessarie.
La Commissione si è impegnata a firmare EPA complessivi con tutti i Paesi ACP entro la fine dell’anno.
Per saperne di più [link].
Si veda anche Finestra sulla PAC.
Tabella 1 - I Paesi firmatari degli EPA
Interim Agreements |
Botswana |
EPA complessivi |
Antigua and Barbuda |
Fonte: Agraeurope, 11 Gennaio 2007
Scheda 2 - I working paper su sostegno interno ed accesso al mercato
Crawford Falconer ha fatto circolare una serie di nuovi working papers su sostegno interno ed accesso al mercato, oltre a quelli sui sussidi all’esportazione presentati lo scorso novembre [link].
Sulla base di questi documenti, è stata poi elaborata la nuova bozza per le modalities, che aggiunge ed aggiorna alcuni loro elementi ([link]).
I documenti concernenti il sostegno interno sono quattro. Il meccanismo di regolazione chiave è applicato al cosiddetto Overall Trade distorting Support (OTDS), la somma di scatola gialla, scatola blu e clausola de minimis. Già nella bozza delle modalities di luglio (vedi Finestra sul WTO, agosto 2007), si era stabilito che i paesi dovessero essere collocati in tre bande a seconda dell’ammontare del proprio OTDS, da essere sottoposte a percentuali di riduzioni progressivamente più alte ([75] [85]% per l’UE, [66] [73]% per gli USA, [50] [60]% per gli altri Paesi). Nei working papers viene ora indicato che UE, USA e Giappone dovranno ridurre il proprio OTDS di un terzo durante il primo anno di implementazione degli accordi con i restanti tagli da essere suddivisi in cinque parti uguali nei successivi cinque anni del periodo di implementazione. Tutti gli altri paesi sviluppati dovranno invece ridurli del 25% il primo anno, mentre condizioni meno restrittive sono previste per i paesi in via di sviluppo. Anche per la sola scatola gialla, per la quale pure sono previste tre bande, solo UE, USA e Giappone dovranno implementare il [30]% dei tagli complessivi nel primo anno di implementazione, mentre gli altri paesi potrebbero suddividere il taglio complessivo in cinque tagli di uguale entità. Falconer propone di ridurre (eventualmente durante i 5 anni) l’ammontare della clausola de minimis del [50] [60]%. Per la scatola blu è previsto un limite pari al 2,5% del valore della produzione agricola tra il 1995 ed il 2000. Sia per la scatola gialla che per la scatola blu saranno previsti tetti sull’ammontare dei sussidi per i singoli prodotti (pari alla media del valore della scatola gialla, o blu, nel periodo 1995-2000). Gli Stati Uniti chiedono di poter utilizzare come periodo di riferimento gli anni 1995-2004, in cui l’ammontare dei propri sussidi è stato maggiore, in modo da avere maggiori margini di flessibilità. Per quanto riguarda l’accesso al mercato, sono 8 i working paper proposti da Falconer. I tagli da attuarsi su ciascuna delle quattro bande in cui saranno suddivise le tariffe a seconda della loro entità restano quelle presenti nella bozza di modalities dello scorso luglio (Tabella 2) (vedi Finestra sul WTO, agosto 2007).
Tabella 2 - Le riduzioni tariffarie nel working paper di Falconer
ad valorem equivalent tariffs |
0 - 20% |
20 - 50% |
50 - 75 |
> 75 |
riduzioni |
[48] [52]% |
[55] [60]% |
[62] [65] |
[66] [73] |
Le nuove proposte indicano che i tagli dovranno essere ripartiti equamente nei 5 anni di implementazione dell’accordo. I paesi in via di sviluppo potrebbero invece beneficiare di un periodo di implementazione pari ad 8 anni, di bande tariffarie più ampie (0-30%; 30-80%; 80-130%; >130%, rispettivamente), nonché implementare solo i 2/3 dei tagli che saranno infine decisi per i paesi sviluppati. Per i paesi in via di sviluppo, inoltre, la riduzione media complessiva tariffaria dovrebbe mantenersi inferiore ad una percentuale da negoziarsi [36] [40]%.
Resta l’indicazione che il numero di prodotti sensibili si mantenga compreso tra il [4] ed il [6]% sul totale delle linee tariffarie (percentuali aumentate di un terzo nel caso dei paesi in via di sviluppo), anche se è previsto un loro aumento fino al [6] [8]% qualora oltre il 30% delle linee tariffarie del Paese ricada nella banda più alta. Il working paper di Falconer prevede che, per i prodotti sensibili, la riduzione tariffaria potrà essere pari ad un terzo, metà o due terzi di quella prevista dalla regola generale, e che dovrà essere accompagnata da un aumento delle quote basato sul consumo interno del prodotto tanto maggiore quanto minore è la riduzione tariffaria (compreso, in generale, tra il [3,5] ed il [6]%).
Per i prodotti speciali, che potranno essere pari al [6] [9]% sul totale delle linee tariffarie, le deviazioni dalla regola generale saranno in linea con quelle dei prodotti sensibili. Falconer ipotizza la presenza di prodotti “super-speciali”, sottoposti a riduzioni tariffarie ancora minori o addirittura nessuna riduzione (un punto, questo, che sembra assolutamente necessario al raggiungimento di un accordo).
La clausola di salvaguardia continuerà ad esistere, ma soltanto per i paesi in via di sviluppo (l’UE si sarebbe detta disposta appunto a considerarne l’eliminazione).
Falconer affronta per la prima volta il tema della tariff escalation, ipotizzando la presenza di un meccanismo che prevede maggiori tagli tariffari sui prodotti trasformati (ad eccezione di quelli sensibili).
Circa la semplificazione tariffaria, Falconer suggerisce che entro tre anni dalla data di chiusura dell’accordo il 90% delle tariffe agricole dovrà essere indicato in % , cioè ad valorem. Tuttavia, i negoziati continuano a far riferimento alle tariffe esistenti, sia ad valorem che specifiche, finché non ci sarà un accordo congiunto sulla semplificazione tariffaria.
Scheda 3 - Come avvengono i negoziati del WTO
Il Wto è attualmente composto da 153 paesi membri; il processo decisionale è basato sul meccanismo “un paese, un voto”, (indipendentemente dal suo peso politico, economico, demografico ecc.), e l’adozione delle decisioni richiede che sia raggiunto il consenso tra tutti i membri dell’organizzazione. È chiaro che il processo negoziale è molto complesso, dato l’elevato numero di partecipanti.
Per questo motivo, alcune riunioni coinvolgono spesso un ristretto numero di Paesi, in modo però da rappresentare tutte le diverse posizioni negoziali. Al momento, le trattative più rilevanti hanno luogo tra 37 paesi (Tabella 2) nella Stanza E del Wto a Ginevra (da cui il nome di “Room E meetings”); il processo è presieduto dall’ambasciatore neozelandese Crawford Falconer, che presiede il gruppo negoziale per l’agricoltura, ed avviene in parallelo con incontri dell’insieme di tutti i membri dell’organizzazione.
Tabella 3 - I 37 paesi che partecipano ai Room E meetings
Paese |
Gruppi di appartenenza |
Argentina |
Cairns, G-20 |
Australia |
Coordinatore del Gruppo di Cairns |
Benin |
Cotton-4, African group, Paesi Meno Avanzati , ACP |
Brasile |
Coordinatore G-20 , Cairns |
Canada |
Cairns |
Australia |
Coordinatore del Gruppo di Cairns |
Ciad |
Coordinatore Cotton-4, African group, Paesi Meno Avanzati , ACP |
Cina |
G-33 , G-20 , nuovi membri |
Colombia |
Cairns, prodotti tropicali |
Costa Rica |
Coordinatore prodotti tropicali, Cairns |
Costa d’Avorio |
Coordinatore African group, ACP |
Cuba |
G-33 , small and vulnerable economies |
Repubblica Dominicana |
Coordinatore small-vulnerable economies, G-33 |
Ecuador |
Prodotti tropicali, nuovi membri |
Egitto |
G-20 , African group |
UE |
|
India |
G-33 , G-20 |
Indonesia |
Coordinatore G-33 , G-20 , Cairns |
Giamaica |
Coordinatore ACP , G-33 , small-vulnerable economies |
Giappone |
G-10 |
Kenya |
G-33 , African group, ACP |
Rep. Corea |
G-33 , G-10 |
Lesotho |
Coordinatore dei Paesi Meno Avanzati , African group, ACP |
Maurizius |
G-33 , ACP , African group |
Malesia |
Cairns |
Messico |
G-20 |
Nuova Zelanda |
Cairns |
Norvegia |
G-10 |
Pakistan |
Cairns, G-20 , G-33 |
Paraguay |
Cairns, G-20 , prodotti tropicali, small-vulnerable economies |
Filippine |
G-33 , G-20 , Cairns |
Svizzera |
Coordinatore del G-10 |
Chinese Taipei |
Coordinatore dei nuovi membri, G-10 |
Tailandia |
Cairns, G-20 |
Turchia |
G-33 |
Uruguay |
Cairns, G-20 |
US |
|
Venezuela |
G-33 , G-20 |
Fonte: www.wto.org
Documentazione |
"Revised draft modalities for agriculture", 8 Febbraio 2008 [pdf]
Regolamento 1528/2007 del 20.12.2007 (Accordi di Partenariato Economico) [pdf]
I working documents
Accesso al mercato (3 gennaio 2008)
-
Market access — recently acceded members (RAMs) [pdf]
-
Special agricultural safeguard [pdf]
-
Tariff quotas [pdf]
-
Tariff simplification [pdf]
-
Tiered formula for tariff reductions [pdf]
Sostegno interno (21 dicembre 2007)
-
De minimis [pdf]
-
Final bound total AMS: A tiered formula [pdf]
-
Overall reduction of trade-distorting domestic support: A tiered formula [pdf]
Sussidi alle esportazioni (novembre 2007)
Per saperne di più [link]
Nota
(1) Per i paesi ACP che sono anche Paesi Meno Avanzati, sebbene questo rischio non si ponga (come tali, grazie all’iniziativa Everything But Arms, o EBA, hanno infatti garantito accesso a tariffa zero e senza alcuna limitazione al mercato comunitario), la firma degli EPA permetterebbe comunque l’applicazione di regole di origine più semplici.