La gestione del rischio nelle imprese agricole tra strumenti privati e intervento pubblico

La gestione del rischio nelle imprese agricole tra strumenti privati e intervento pubblico
a Università di Napoli "Federico II", Dipartimento di Economia e Politica Agraria

Il rischio è una componente intrinseca all’attività di impresa. Nessun imprenditore nel momento in cui assume una decisione è sicuro delle conseguenze che essa avrà sui risultati economici. Ed è proprio il rischio connesso agli esiti delle decisioni che è all’origine del profitto. Infatti, se i risultati delle scelte fossero certi la remunerazione delle risorse impiegate dall’impresa, in assenza di potere di mercato, sarebbe nota in anticipo e uguale alla loro produttività marginale, senza la formazione di alcun surplus. La capacità di affrontare percorsi evolutivi caratterizzati da elevata incertezza, sviluppando le conoscenze necessarie per affrontare queste situazioni, ha rappresentato storicamente il principale fattore di successo delle imprese.
Nel caso dell’agricoltura, il carattere biologico dell’attività aggiunge un ulteriore elemento di rischio alle decisioni degli imprenditori del settore. Ciò in quanto le rese che si ottengono al termine del ciclo di produzione sono condizionate dal susseguirsi nel ciclo stesso di una serie di eventi sui quali le capacità di controllo da parte dell’imprenditore sono spesso limitate.
Per fronteggiare i rischi, l’impresa agricola ha davanti a se due alternative: ricorrere a misure atte ad internalizzare il rischio sostenendolo direttamente, oppure trasferirlo ad altri operatori, sopportando in questa eventualità un costo immediato. Nel primo caso, la misura maggiormente utilizzata dalle imprese agricole resta la diversificazione del portafoglio di attività generatrici di reddito, attraverso la differenziazione delle produzioni, ovvero occupando parte delle risorse familiari in attività extra agricole. Il costo di questa misura è la rinuncia ai possibili vantaggi della specializzazione produttiva.
Se il danno potenziale è invece limitato, il rischio può essere affrontato con azioni successive alla conclusione del processo produttivo, quali ad esempio l’utilizzo del risparmio o il ricorso al credito per attenuare gli effetti negativi della variabilità dei redditi, stabilizzando i consumi, in annate poco favorevoli.
Nelle pagine successive verrà discussa una classificazione dei rischi per le imprese agricole basata sui diversi fattori che li determinano e sugli strumenti privati che possono essere impiegati per la loro gestione. Successivamente, verranno illustrate le politiche pubbliche di sostegno alla gestione del rischio in agricoltura.

I rischi per le imprese agricole

Per discutere la natura dei rischi per le imprese agricole e le modalità di gestione, è utile fare ricorso a un criterio di classificazione basato sui fattori che lo determinano:

  • rischio di produzione: possibilità che la quantità o la qualità prodotta siano inferiori a quella attesa per effetto di avversità atmosferiche o di patogeni;
  • rischio di mercato: possibilità di non trovare sbocchi adeguati ai prezzi attesi, oppure di non riuscire a reperire fattori di produzione a prezzi convenienti;
  • rischio finanziario: possibilità di bancarotta per mancanza di riserve finanziarie per ripagare i debiti o per anticipare le spese;
  • rischio istituzionale: legato all’insieme di norme e regolamenti che determinano la possibilità di operare l’attività di impresa, e che possono mutare in maniera imprevista dopo che alcune decisioni produttive siano state già prese;
  • rischio personale: legato alla capacità personale dell’imprenditore e degli altri addetti fissi all’impresa di continuare a svolgere efficacemente le proprie attività.

Sebbene la discussione in passato si sia spesso concentrata prevalentemente sul rischio di produzione, per molti versi considerato “tipico” dell’agricoltura, è un fatto che le altre dimensioni siano diventate sempre più rilevanti nell’agricoltura moderna (Musser e Patrick, 2002). Grazie anche alle innovazioni tecnologiche e, soprattutto, organizzative che si sono diffuse negli ultimi decenni, l’attività di un’impresa agricola nelle condizioni di paesi economicamente avanzati, come quelli dell’occidente europeo, è oggi molto più simile a quella di imprese industriali, commerciali o dei servizi, in cui la parte rilevante del rischio economico è sempre più dipendente dalle azioni di altri, piuttosto che non di accidenti della natura. In altri termini, il rischio tende a diventare sempre meno rischio “puro” e sempre più il risultato delle interazioni dell’impresa con altri agenti economici attraverso i vari mercati. Come vedremo, ciò determina un ruolo minore per gli strumenti assicurativi e maggiore per altre forme di gestione finanziaria dell’impresa.
Un altro punto da sottolineare è che, dal punto di vista dell’impresa, i vari tipi di rischio non possono mai considerarsi né esclusivi, né indipendenti. Concentrare l’attenzione su di un solo tipo di rischio, indipendentemente dagli altri e dalle forme organizzative che assume l’impresa, potrebbe portare a non coglierne l’effettiva rilevanza.
Ad esempio, concentrarsi solo sul rischio di produzione, senza tener conto delle forme contrattuali attraverso cui il prodotto viene venduto, oppure della correlazione esistente tra produzione e prezzo, o, ancora, senza valutare il peso che quel prodotto ha sul complesso dei ricavi dell’azienda, potrebbe portare a sopravvalutare le conseguenze che tale rischio comporta sul risultato economico complessivo, e quindi a sopravvalutare la disponibilità a pagare dell’impresa per una assicurazione che coprisse quel rischio soltanto.
Da questo punto di vista, quindi, focalizzarsi sulla distinzione tra rischi di produzione e rischi di mercato potrebbe essere fuorviante. Più efficace può essere una prospettiva per la quale il “rischio” viene affrontato nell’ambito della più generale strategia di gestione tecnica e finanziaria dell’impresa.

Rischio di produzione e assicurazione

Opportunamente considerato, vale a dire con riferimento all’incidenza sull’intero reddito aziendale, o, meglio ancora, sulle prospettive di reddito e consumo di lungo termine di una famiglia agricola, il rischio normale di produzione (o, come spesso si dice, di “resa”) di una singola coltura non è più così rilevante come in passato (o come è ancora nelle condizioni delle agricolture di molti paesi in via di sviluppo).
Quando non risolto attraverso l’opportuna scelta e conduzione di tecniche produttive adeguate, il rischio residuo dovuto all’oscillazione delle rese può essere facilmente gestito attraverso il risparmio e il prestito. Nei rari casi di eventi le cui conseguenze in termini di riduzione del reddito familiare sono potenzialmente molto serie, allora si pone il problema di una gestione, per così dire, specifica, attraverso strumenti quali le assicurazioni.
Tuttavia, l’offerta di contratti assicurativi per la copertura di rischi di produzione in agricoltura è condizionata da due ordini di problemi: l’asimmetria informativa e la sistemicità del rischio. Il primo è determinato dal fatto che le compagnie assicurative non conoscono perfettamente il profilo di rischio dell’impresa agricola né possono monitorare continuamente i comportamenti delle stesse. Invece, il rischio sistemico è dato dall’elevata correlazione dei possibili danni dei singoli assicurati. Questo spiega perché l’assicurazione di tipo tradizionale abbia avuto poco successo in agricoltura, se non per alcuni rischi facilmente identificabili e poco sistemici, quali la grandine e l’incendio. Da un lato, un’assicurazione avrebbe senso se definita sull’insieme del reddito netto aziendale e contro la combinazione dei tanti fattori di rischio da cui il reddito netto dipende. Dall’altro, però, la presenza di tanti fattori di rischio, alcuni dei quali peraltro facilmente controllabili dagli agricoltori, rende particolarmente rilevanti i problemi di asimmetria informativa, tanto che sarebbe difficile riuscire a controllarli attraverso le varie clausole contrattuali che l’industria assicurativa ha pure messo a punto (franchigie, clausole bonus/malus, classi di rischio, ecc.).

Il rischio di mercato e il ruolo dei mercati finanziari

Le imprese agricole possono trasferire efficacemente il rischio di prezzo per mezzo di accordi contrattuali con le loro controparti di mercato (i venditori di mezzi tecnici o gli acquirenti dei prodotti) oppure attraverso l’uso di derivati finanziari. È stato più volte osservato che l’uso di derivati non è comune tra gli agricoltori tanto quanto una descrizione della loro efficacia teorica faccia supporre, suggerendo così che debbano esistere problemi tali da vanificarne i potenziali benefici. Spesso si sottolinea il fatto che in Europa, nelle varie borse merci, non siano disponibili derivati finanziari basati sul prezzo dei prodotti agricoli, interrogandosi sulle possibili ragioni e spesso citando una supposta scarsa “propensione” da parte degli agricoltori all’utilizzo di tali strumenti.
Mentre è vero che, in Europa, lo scambio di derivati finanziari deve ancora affermarsi per molti dei principali prodotti agricoli di maggiore interesse, ciò può essere dovuto semplicemente al fatto che fino a poco tempo fa questi contratti non erano necessari. Se, come succedeva ai tempi della vecchia PAC, i prezzi non sono variabili, allora è chiaro che non c’è alcuna necessità di proteggere l’esposizione attraverso l’uso di questi strumenti. Non appena la variabilità dei prezzi agricoli diventerà un problema, è molto probabile che tanto le borse merci già esistenti, quanto possibili nuove borse, appositamente create, cominceranno a commercializzare futures e altri derivati di interesse per gli agricoltori, come l’osservazione dell’evoluzione degli scambi dei contratti sul mercato francese Matif per il grano tenero e la colza può già rivelare (Figura 1).

Figura 1 - Contratti futures scambiati sul MATIF (numero di contratti per anno)

Fonte: dati Euronext [link]

Il fatto che il numero dei contratti scambiati sulla colza e sul grano tenero sia cresciuto stabilmente dal 2002/2003 in avanti potrebbe benissimo essere collegato alla accresciuta attività degli agricoltori e/o di altri agenti economici interessati a proteggere la loro esposizione di prezzo, diventata rilevante a causa della caduta del prezzo garantito della politica agricola comunitaria.
È molto probabile che l’uso degli strumenti finanziari per gestire i rischi agricoli in futuro sarà sempre più intenso. La continua innovazione e l’accresciuta scala dei mercati dei derivati finanziari fornisce nuove opportunità per gestire molti dei rischi collegati all’attività agricola che, fino a qualche anno fa, dovevano essere affrontati con strategie più limitate e meno efficaci. Per avvantaggiarsi di queste opportunità, tuttavia, il sistema agro-industriale in Europa necessita di cambiamenti organizzativi non trascurabili e di nuovi regimi istituzionali.
Il fatto è che raramente un singolo agricoltore, in Europa o altrove, possiede la necessaria dimensione economica e le conoscenze per impiegare gli strumenti finanziari per gestire individualmente il rischio attraverso i mercati finanziari. Così come si verifica già per i tradizionali contratti futures e per le opzioni di interesse agricolo che si scambiano in America, anche in Europa questi strumenti non saranno probabilmente usati direttamente da singoli agricoltori. Il rischio di prezzo per molte commodities agricole, ad esempio, è gestito principalmente tramite futures dai commercianti e dai trasformatori, piuttosto che dai produttori. Tuttavia i benefici in termini di riduzione del rischio di prezzo sono trasferiti agli agricoltori, in misura più o meno ampia a seconda del relativo potere contrattuale, attraverso varie forme di contratti di commercializzazione.
Oltre ai rischi connessi ai prezzi, i mercati finanziari offrono possibilità crescenti per la gestione di altri rischi d’interesse agricolo. Recentemente, oltre oceano sui mercati finanziari sono comparse opzioni sulle rese di alcuni prodotti agricoli e su indici climatici, che potrebbero essere usate dagli agricoltori per trasferire il proprio rischio di produzione. Tali titoli derivati possono giocare un ruolo importante nella gestione del rischio di reddito in agricoltura. Essi eliminano i problemi di asimmetria informativa che affliggono le assicurazioni perché basati su dati oggettivi e non alterabili dalle parti interessate al contratto; il pagamento di indennizzo occorre solo se si registra un predeterminato evento.
I titoli derivati basati su parametri climatici, i cosiddetti “weather derivatives”, ad esempio, si avvalgono di un sistema di pagamento che calcola l’entità dell’esborso finanziario basandosi sulla differenza tra gli indici meteorologici registrati in un determinato periodo (per esempio, la temperatura media) e il valore predefinito dai contraenti (valore di °C oltre/sotto il quale scatta l’indennizzo); il valore del pagamento da corrispondere viene calcolato moltiplicando tale differenza per l’indennizzo previsto per ogni grado in più, o in meno, rispetto alla media fissata nel contratto (ad esempio, €1000/°C). Si possono immaginare derivati meteorologici basati su quantità e frequenza delle precipitazioni nevose e piovose, numero di ore di sole giornaliere, pressione atmosferica, umidità, anche se la temperatura è di fatto la variabile maggiormente impiegata quale sottostante, dato che finora è stato soprattutto il settore dell’energia ad utilizzarle.
Affinché si possa sviluppare un mercato dei titoli derivati in agricoltura, è necessario che esista una “controparte”, vale a dire qualcuno disposto ad assumere la posizione opposta. È necessario cioè, che vi sia qualcuno disposto ad emettere l’opzione climatica che l’agricoltore poi comprerebbe. Altro problema da risolvere, per la adozione su larga scala di questo strumento derivato, è la carenza di dati utilizzabili per territori molto ampi; per un agricoltore del beneventano potrebbe avere poco senso sottoscrivere un contratto che si basa sulla temperatura media di S. Maria di Leuca.
In entrambi questi ambiti l’intervento istituzionale sarebbe molto utile, nel senso che l’operatore pubblico che volesse favorirne la diffusione, potrebbe sia proporsi come emissore – magari in via sperimentale – di tali opzioni, sia come fornitore delle informazioni necessarie (ad esempio attraverso l’ampliamento delle stazioni di rilevamento di dati meteo).
Per altri tipi di rischio, per loro natura sistemici all’interno di una certa categoria di produttori o di zona geografica, una possibile strada è rappresentata dalla cartolarizzazione, ossia dalla raccolta dell’esposizione dei singoli in modo tale da poterla “impacchettare” e vendere in quote molto piccole sul mercato finanziario globale.
Tutto ciò è stato già sperimentato in campi diversi dall’agricoltura: l’innovazione e la cresciuta dimensione dei mercati finanziari hanno già fornito opportunità per trasferire, ad esempio, il rischio di catastrofi da terremoti o uragani, per il quale il costo delle tradizionali assicurazioni di mercato è sempre stato proibitivo. La strada aperta dalle compagnie assicurative per gestire il rischio di catastrofi attraverso l’emissione di Cat-bonds potrebbe essere intrapresa anche da altri agenti, per trasferire il costo del rischio sistemico in cui ci sia una forte componente agricola (per esempio il rischio da siccità, piogge persistenti, gelo, alluvioni, frane, ecc.). L’esposizione generata dalla fornitura di garanzie contro questi eventi potrebbe essere trasferita a tanti piccoli investitori sparsi nel mondo con l’emissione di titoli analoghi ai Cat-bonds, sfruttando l’esigenza degli investitori di differenziare il proprio portafoglio titoli ed il fatto che i rischi di rilevanza per l’agricoltura in un paese possono essere non correlati con i rendimenti degli altri titoli presenti nel portafoglio degli investitori in paesi diversi.

Rischi istituzionali, finanziari e personali

Oltre ai rischi di produzione e di prezzo, per le imprese agricole sono rilevanti anche altre fonti di rischio. Come verificato recentemente da Musser e Patrick (2002), nelle agricolture delle economie sviluppate i rischi istituzionale, personale e finanziario sono, in genere, molto più rilevanti per la sopravvivenza delle imprese di quanto non siano quelli riferibili a commercializzazione e produzione. Eppure, tanto i ricercatori quanto i politici sembrano essersi concentrati su queste altre fonti di rischio molto di meno di quanto non abbiano fatto per il rischio di produzione e quello di prezzo. Sebbene la causa potrebbe essere legata al fatto che le indagini empiriche necessarie per misurare l’importanza dei rischi personali, istituzionali e finanziari sono rese problematiche dalla mancanza di dati, la stessa ragione difficilmente può essere addotta a giustificazione della scarsa attenzione posta su questi rischi all’interno dei dibattiti politici.
In Europa, contrariamente a ciò che avviene ad esempio negli Stati Uniti, trascurare gli aspetti legati ai rischi personali forse non è molto grave ai fini della gestione del rischio in agricoltura. Gli agricoltori europei possono contare su una rete di protezione sociale alquanto solida, molto più affidabile di quella di cui godono ad esempio gli agricoltori statunitensi. Il diffuso sistema di previdenza sociale e di assistenza sanitaria pubblica presenti in gran parte del territorio comunitario ovviamente non esclude gli agricoltori, e quindi gli aspetti legati ai rischi personali possono essere tenuti ormai fuori dai dibattiti di politica agraria. I rischi finanziari e istituzionali, invece, restano importanti fonti di incertezza rispetto alla sopravvivenza delle aziende, ed è indubbio che essi dovrebbero essere considerati molto più attentamente di quanto sia stato fatto finora quando si discute di rischi agricoli. I primi si riferiscono al rischio di insolvenza per mancanza della liquidità necessaria per ripagare i debiti o per anticipare le spese. In questa direzione, il ruolo dei singoli contesti istituzionali potrebbe essere la promozione di risparmio precauzionale, attraverso incentivi diretti e indiretti, quali ad esempio benefici fiscali, allo scopo di accrescere il potenziale di auto-assicurazione degli agricoltori contro i rischi meno gravi a livello di azienda.
Diverso è il caso per la potenziale incidenza del rischio cosiddetto istituzionale, legato cioè al cambiamento di norme che regolano l’attività agricola lungo tutta la sua portata. La continua fase di riforma della Politica Agricola Comune, il dibattito ancora in corso sulla introduzione di organismi geneticamente modificati e le incertezze sui regimi legali che ne conseguiranno, quello altrettanto attivo sulle certificazioni di origine, di processo e di qualità che coinvolgono molti prodotti agricoli, l’evoluzione possibile degli accordi sul commercio internazionale in merito alla protezione varietale e alla possibilità, da parte di paesi importatori, di imporre barriere non tariffarie, sono tutti elementi che possono essere considerati potenziali fonti di rischio economico per gli agricoltori europei. Così come altamente specifici sono i problemi, altrettanto specifiche devono essere necessariamente le soluzioni, ed è praticamente impossibile, nei limiti di questo articolo, farne una discussione generale che non sia vaga.

Le politiche per la gestione del rischio in agricoltura

L’intervento pubblico di sostegno alla gestione del rischio può trovare una giustificazione sociale in due situazioni: quando si va al di là del normale rischio imprenditoriale e gli effetti potenziali hanno una portata tale da compromettere la vitalità di un sistema di aziende, e quando esistono situazioni di fallimento del mercato che limitano le possibilità e le capacità di gestione del rischio da parte dei privati. L’esistenza di queste situazioni ha determinato un’azione pubblica in questo ambito che è stata abbastanza intensa in tutti i paesi, anche se le politiche implementate sono state molto differenziate e, anche a livello europeo, non esiste, ad oggi, un quadro unico di riferimento.
Le politiche che hanno affrontato in modo più diretto il problema della gestione del rischio fanno riferimento alla componente legata alla variabilità della produzione. Queste politiche possono essere classificate in:

  • politiche ex post che mirano a compensare i danni derivanti da eventi catastrofici;
  • politiche ex ante che si pongono come obiettivo di migliorare la capacità di gestione del rischio da parte degli stessi agricoltori.

Nei diversi paesi i due approcci sono molto spesso combinati e l’uno o l’altro intervento hanno importanza più o meno maggiore in relazione al ruolo che nel campo della gestione del rischio lo Stato attribuisce o intende attribuire al sistema di mercato.
Nel contesto europeo non esiste una politica comune in questo campo, anche se sono stati implementati interventi specifici di emergenza nel caso di crisi derivanti da emergenze sanitarie e da epidemie che hanno colpito alcuni tipi di allevamenti o nel caso di disastri naturali, con conseguenze molto diffuse dal punto di vista territoriale. L’intervento è stato, dunque, portato avanti a livello dei singoli Stati, all’interno dello schema di regole definito dagli accordi internazionali e dalla normativa comunitaria sugli aiuti di stato. In generale, i paesi dell’Europa meridionale, in particolare Francia, Grecia, Italia e Spagna, sono quelli in cui la politica per la gestione del rischio è stata più intensa, con il ricorso a fondi di solidarietà e/o a sussidi per la stipula di polizze assicurative. Nei paesi del Nord Europa, al contrario, l’intervento è meno esteso, probabilmente anche per effetto delle caratteristiche agro-climatiche e per il tipo di specializzazione produttiva (comparti finora più protetti dalle politiche di mercato o meno soggetti alla variabilità delle rese), ed è limitato alle situazioni eccezionali di crisi.
Un fondo nazionale di solidarietà è presente sia in Francia che in Italia e in entrambi i paesi il fondo ha l’obiettivo di compensare gli agricoltori in caso di calamità naturali e di fornire un sussidio per la stipula di una polizza assicurativa. Molto diverse sono, tuttavia, le modalità di funzionamento nei due paesi, con riflessi notevoli in termini di sviluppo di forme private di assicurazione. In Francia, infatti, il fondo è parzialmente finanziato dagli agricoltori, attraverso la tassazione sugli stessi premi assicurativi, e nel caso di calamità naturali possono usufruirne solo quegli agricoltori che hanno una qualche copertura assicurativa. Ciò ha comportato una certa diffusione delle polizze assicurative, che sono sussidiate solo in minima parte e allo scopo, soprattutto, di ridurre i fenomeni di selezione avversa. In Italia, al contrario, a fronte di un maggior livello di sostegno per l’acquisto di polizze assicurative, l’esistenza di un fondo di solidarietà nazionale totalmente a carico pubblico e una prassi diffusa di intervento nazionale, che risponde soprattutto a pressioni politiche, hanno rappresentato un elemento di freno ad un maggiore ricorso al mercato assicurativo da parte degli agricoltori.
Un orientamento più spinto verso forme di gestione privata del rischio si osserva in Spagna e in Grecia. In Spagna il sistema di intervento si basa essenzialmente sull’ipotesi che ogni forma di rischio sia assicurabile e poggia sull’Agenzia Nazionale di Assicurazioni in Agricoltura che coordina e gestisce le risorse con le quali vengono sussidiati dallo Stato i premi assicurativi e su un Consorzio di compensazione assicurativa (Consorcio de Compensación de Seguros - CCS) che ha funzioni di riassicurazione. Le polizze sono stipulate da un insieme di imprese assicurative private (Agroseguro) che aderiscono al sistema. Il vantaggio per le imprese assicurative si ridimensiona nel caso della Grecia in cui vi è un sistema pubblico di assicurazioni obbligatorie che riguarda oltre al rischio di produzione anche alcuni rischi relativi all’agricoltore.
Non di rado l’intervento pubblico ex-post entra in conflitto con quello ex-ante in quanto rappresenta un disincentivo alla copertura del rischio attraverso l’assicurazione. A tale proposito è paradossale l’evoluzione delle politiche di gestione del rischio negli USA, dove all’inizio degli anni ’80 per evitare il ricorso a compensazioni ex-post si decise di incentivare l’impiego di strumenti assicurativi attraverso un maggiore sostegno pubblico. Poiché la pressione politica non ha evitato le compensazioni ex-post per le calamità naturali, il risultato è stato un incremento del costo del sostegno alle assicurazioni da una media annua di 130,2 milioni di dollari nel periodo 1981-93 a 1.229,2 milioni per il 1994-2003 (Glauber, 2004) fino a 3.014 milioni di dollari nel 2005 (USDA, 2007).

Conclusioni

La discussione sviluppata nelle pagine precedenti ha esaminato le diverse tipologie di rischio affrontate dalle imprese agricole e le relative modalità di gestione. Essa ha messo in evidenza le notevoli potenzialità dei moderni strumenti finanziari nella gestione del rischio in agricoltura. Tuttavia, è ancora molto lunga la strada che deve essere compiuta affinché il loro impiego abbia una diffusione adeguata rispetto alla dimensione e alla complessità del sistema agro-industriale italiano ed europeo in generale.
In questo ambito un ruolo molto rilevante può essere giocato dalle politiche pubbliche. Esse devono svolgere due funzioni essenziali: la prima è favorire con l’innovazione istituzionale la realizzazione delle condizioni necessarie per lo sviluppo e l’accesso ai mercati finanziari; la seconda è evitare di lanciare segnali contraddittori alle imprese agricole con interventi che non incentivano l’impiego di strumenti moderni per la gestione del rischio e nello stesso tempo possono dare origine ad un impiego distorto delle risorse.

Riferimenti bibliografici

  • Glauber J. (2004). “Why subsidized insurance has not eliminated disaster payments?”, American Journal of Agricultural Economics, Vol. 86, 5, pp.1179-1195.
  • Musser, W.N., Patrick, G.F. (2002). “How Much Does Risk Really Matters to Farmers?”, in Just, R.E., Pope, R.D. (eds) A Comprehensive Assessment of the Role of Risk in U.S. Agriculture, Kluwer Academic Publishers, Boston/Dordrecht/London.
  • USDA (2007). Budget summary and annual performance plan. FY 2007 [pdf]
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