Questo terzo numero di Agricalabriaeuropa concentra la sua attenzione sullo sviluppo rurale, con un focus specifico sulle aree interne.
Rientrano nel novero delle aree interne quei comuni identificati dalla Strategia Nazionale Aree Interne (SNAI) in base alla distanza dai principali centri di servizi, misurata in termini di accessibilità. Rappresentano in Italia circa il 23% della popolazione, il 61% della superficie e il 53% dei comuni, mentre in Calabria comprendono il 51% della popolazione, il 79% della superficie territoriale e il 78% dei comuni. Una differenza che già da sola è indicativa della perifericità di molti territori regionali, almeno in termini di offerta di servizi.
Naturalmente perifericità spaziale non è di per sé indicatore di marginalità economica. Accanto a questo concetto si è andato affermando recentemente infatti quello di perifericità “aspaziale” che, partendo dai cambiamenti in atto nel sistema economico verso un’economia sempre più immateriale e in cui i vincoli localizzativi diventano meno stringenti anche per molte attività tradizionali, mette in evidenza l’importanza di nuovi aspetti quali i flussi informativi, la disponibilità di capitale umano e sociale, la capacità di costruire reti, di fare innovazione, la prossimità organizzativa di tipo relazionale. In questa nuova ottica la perifericità verrebbe di fatto a coincidere non tanto e non solo con la lontananza dai centri ma con la mancanza di connessioni socio-economiche e politiche, come remoteness di tipo relazionale, ancorché geografico. E proprio sulla capacità di creare interrelazioni e, attraverso queste, innovazione si gioca gran parte del futuro delle aree interne.
La SNAI ha apportato un nuovo sistema di classificazione dei territori ed un approccio al tema della coesione territoriale in grado di andare al di là dei pur importanti divari tra regioni amministrative. Dello stato di attuazione della SNAI e della sua integrazione nella politica nazionale e comunitaria parla Daniela Storti nell’articolo introduttivo al Tema della rivista. Il complesso percorso di programmazione che ha caratterizzato questa politica ha permesso di definire un metodo di cooperazione territoriale, di governance multilivello e di integrazione tra fondi per sostenere azioni che sopperiscano alla scarsità dei servizi essenziali di cittadinanza, consentendo di sperimentare modelli di offerta di servizi più adeguati a queste aree e promuovendo progetti di sviluppo locale. La complessità e le difficoltà di integrazione tra le politiche, specialmente per quanto riguarda i fondi dello sviluppo rurale, ne hanno rallentato l’attuazione e oggi questa strategia si trova ad un bivio, per la necessità di trovare ulteriori modalità di integrazione con la nuova programmazione dei fondi comunitari e del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
In riferimento a questo contesto complesso è quindi opportuno anche leggere le dinamiche dello sviluppo rurale e dell’agricoltura. E’ riconosciuto infatti da più autori il ruolo centrale che può giocare l’agricoltura, non solo come strumento di integrazione di reddito o di conservazione del paesaggio, ma anche come settore di attivazione dei processi di cambiamento e di innovazione sociale, soprattutto per quanto concerne le possibilità di realizzazione personale (si pensi al tema dei “nuovi agricoltori” come scelta di vita) nonché di rivitalizzazione sociale ed economica dei territori. Questo aspetto è preso in considerazione nell’articolo di Emilio Chiodo e Rita Salvatore, che analizzano a livello nazionale un repertorio di buone pratiche per l’agricoltura e lo sviluppo delle aree interne basato su progetti di supporto e di sistema, finalizzati a favorire la creazione di nuova imprenditorialità, l’insediamento nelle aree montane, il riuso delle terre abbandonate, la rivitalizzazione di territori marginali attraverso l’integrazione tra settori e la cooperazione tra pubblico e privato.
Sull'accesso alla terra e sul riuso delle terre si concentra anche il lavoro di Francesco Saverio Oliverio, che mette a confronto gli strumenti normativi esistenti a livello nazionale e regionale con il tema della gestione dei beni collettivi e delle terre di proprietà pubblica. La ricognizione dei terreni da parte degli enti locali sarebbe il primo intervento da effettuare, anche se non viene ancora adeguatamente posta in atto.
Le caratteristiche delle aziende agricole delle aree interne calabresi sono poi descritte in dettaglio nel lavoro di Orlando Cimino. Il settore agricolo in Calabria ha svolto da sempre un ruolo importante, sia in termini di occupazione che di reddito prodotto, ma una maggiore diversificazione delle attività agricole sarebbe auspicabile in quanto sono ancora poche le aziende che ricorrono ad attività non strettamente agricole per aumentare il proprio reddito.
L’agricoltura sociale, analizzata da Mariagrazia Provenzano sia a livello generale che nella specifica situazione calabrese, è identificata proprio come uno degli strumenti in grado di offrire nuove opportunità per il settore agricolo e allo stesso tempo di costruire un nuovo modello di welfare locale che il pubblico da solo non riesce a realizzare.
La partecipazione delle comunità locali per fronteggiare la carenza di servizi sociali attraverso un nuovo sistema di welfare e per creare occasioni di sviluppo è anche alla base dell’affermarsi delle cooperative di comunità, descritte nell’articolo di Karen Urso. È proprio lo spopolamento che ha caratterizzato le aree interne ad aver dato impulso a questo modello resiliente in grado di rispondere meglio alle attuali esigenze delle zone rurali, grazie alla capacità di interiorizzare i problemi sociali, occupazionali e i bisogni emergenti e all’assunzione di responsabilità da parte dei cittadini.
Il numero si chiude poi con l’articolo di Cristina Salvioni, che illustra l’importante ricerca sul campo volta a valutare l’efficacia dell’esperienza calabrese nel combattere o contenere l’invasione del coleottero Aethina Tumida (anche noto come “piccolo coleottero dell'alveare”), una specie aliena che minaccia gravemente gli alveari e la produzione di miele, evidenziando il cambiamento di approccio strategico necessario per riconquistare la fiducia degli apicoltori ed aumentare la collaborazione con il sistema di sorveglianza dell’invasione.
Il quadro che emerge da queste analisi è come sempre complesso. Le criticità, che accomunano molte delle aree interne sull’intero territorio nazionale, in Calabria sono anche accentuate dall’elemento quantitativo di una regione in cui queste aree in termini di popolazione pesano il doppio rispetto alla media italiana.
Come per molti altri aspetti della modernizzazione del Paese, siamo forse a un punto di svolta. Occorre valutare se i molti esempi virtuosi, a livello nazionale e regionale, le esperienze, gli strumenti e soprattutto gli approcci che tendono a trasformare i limiti in fattori di competitività, di riscossa e di successo, rappresentino ancora elementi isolati o siano il preludio a un cambiamento di sistema.
In questo quadro, il frazionamento delle politiche e la loro rigidità rappresentano forse i vincoli più grandi, nonostante i diversi tentativi di superamento. Ulteriore dimostrazione del fatto che se non si riesce ad elaborare una politica effettivamente territoriale, sufficientemente integrata e flessibile, in grado di mettere a coerenza sul piano locale gli strumenti esistenti, si incorre nel rischio di non riuscire a supportare, anzi di danneggiare, i progetti più innovativi, in quanto non inseribili in schemi costituzionalmente ancora inadatti a cogliere e rafforzare i segni del cambiamento.
Editoriale
Editoriale
a Università degli Studi di Teramo, Facoltà di Bioscienze e Tecnologie Agro-Alimentari e Ambientali
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