La stima dell’input di lavoro in agricoltura nel quadro dei conti economici nazionali

La stima dell’input di lavoro in agricoltura nel quadro dei conti economici nazionali

Abstract

Nel quadro dei conti nazionali, i principali aggregati macroeconomici, tra cui il Pil, sono affiancati dalla misura dell’input di lavoro regolare e non regolare utilizzato dal sistema produttivo. La metodologia utilizzata per la stima dell’input di lavoro, nelle sue linee generali, non presenta specificità settoriali. Ciò che la caratterizza, per il settore agricolo, sono le fonti di dati utilizzate e l’esigenza di misurare l’input di lavoro impiegato per la produzione destinata dalle famiglie al proprio consumo finale.

L’input di lavoro nel quadro dei conti economici nazionali

Ogni anno l’Istat diffonde le stime dei conti nazionali, un set di statistiche che descrive l’intero circuito del reddito: dalla formazione del valore aggiunto generato dalle attività di produzione (e misurato dall’indicatore principe, il Pil) a tutti i flussi distributivi e redistributivi che portano alla formazione del reddito disponibile e dell'indebitamento/accreditamento dei settori pubblico e privato. E’ un quadro contabile standardizzato e normato a livello europeo dal Manuale dei Conti Nazionali SEC2010 che detta definizioni e classificazioni degli aggregati da stimare, utilizzati per fini di policy e come parametri per la valutazione dei paesi membri dell’UE. Seguendo quanto imposto dal Regolamento UE 549/13 che ne impone l’implementazione, oltre alle misure monetarie sulla performance economica del paese, l’Istat stima regolarmente anche l’input di lavoro impiegato per produrre il Pil, consentendo di rapportare le misure sui risultati produttivi o quelle sulla remunerazione del lavoro a quantità di lavoro sottostanti stimate secondo le stesse definizioni e classificazioni. E, ancora secondo le regole dettate dal manuale, rientra nel calcolo degli aggregati dei conti nazionali anche la componente sommersa dell’economia (che incorpora il contributo del lavoro “nero”) e la produzione per autoconsumo, cioè quella realizzata per proprio uso finale dalle famiglie (tipicamente produzioni agricole e manutenzioni straordinarie fatte in proprio nelle abitazioni).
Questi aspetti concorrono in misura significativa a differenziare le stime di contabilità nazionale, ivi incluse quelle sull’input di lavoro, da altre prodotte dall’Istat o altri enti e basate su indagini, registri statistici o archivi amministrativi. Con riguardo all’aspetto della residenza, ad esempio, rispetto alle stime fornite dall’indagine sulle Forze di Lavoro (da cui sono tratti i dati sulla disoccupazione), gli occupati stimati nel quadro dei conti nazionali sono quelli che concorrono alla produzione del Pil italiano, dunque includono anche persone non residenti in Italia ma che lavorano in unità produttive residenti (ad esempio stranieri presenti sul territorio, con o senza permesso a soggiornare) ed escludono invece i residenti in Italia che lavorano per unità produttive non residenti (come ad esempio frontalieri in uscita dall’Italia o impiegati di ambasciate straniere o organismi internazionali presenti sul territorio italiano). Rispetto, invece, a misure dell’occupazione fornite dalle imprese (ad esempio per l’agricoltura, l’indagine sui risultati economici delle aziende agricole Rica-Rea, la rilevazione sulla Struttura delle aziende agricole Spa o gli archivi contributivi Inps), le stime prodotte nel quadro dei conti nazionali si differenziano principalmente perchè includono le produzioni destinate ad autoconsumo e le prestazioni di lavoro “non regolari”, mentre indagini sulle imprese, registri e archivi amministrativi registrano solo le prestazioni di lavoro regolarmente svolte e dichiarate alle autorità.
Per realizzare stime che includano, individuandole e misurandole, le prestazioni lavorative “al nero” e quelle finalizzate a produzioni per autoconsumo, l’Istat ha sviluppato, in occasione dell’ultima revisione generale dei conti nazionali pubblicata nell’ottobre 2014, una metodologia innovativa, applicata per la produzione delle stime a partire dall’anno di riferimento 2011. Si tratta di una metodologia che, nelle sue linee generali, non presenta specificità legate al settore agricolo, essendo sviluppata per stimare l’input di lavoro di tutti i settori di attività economica. Ciò che la caratterizza con riferimento al settore agricolo è da un lato l’insieme delle fonti informative utilizzate per le stime e dall’altro la necessità di quantificare l’input di lavoro sottostante la produzione destinata all’autoconsumo.

Il metodo generale di stima dell’input di lavoro

La metodologia statistica sviluppata e implementata per stimare l’input di lavoro regolare e non regolare sfrutta l’accresciuto patrimonio di archivi amministrativi disponibili per fini statistici, integrandoli con censimenti e rilevazioni campionarie, al fine di costruire due basi di dati che guardano all’occupazione, una dal lato della domanda di lavoro (base dati delle unità produttive che utilizzano lavoro) e l’altra dal lato dell’offerta (base dati sui lavoratori). Dal lato della domanda di lavoro, la base di dati è formata da tutte le fonti informative che rilevano l’occupazione presso i datori di lavoro (imprese, istituzioni pubbliche e private) e misurano le posizioni di lavoro regolarmente impiegate. Dal lato dell’offerta di lavoro, invece, le fonti che alimentano la base di dati sono quelle che rilevano l’occupazione presso i lavoratori: in particolare si tratta di tre tipologie di dati. In primis, i dati della rilevazione sulle Forze di Lavoro, rivolta alle famiglie residenti, integrata a livello di singolo individuo, con informazioni di tipo contributivo registrate negli archivi amministrativi (prevalentemente forniti dall’Inps). Questo processo di integrazione permette di individuare le persone occupate in maniera regolare (quelle con una copertura contributiva) o non regolare (cioè quelle senza copertura contributiva) e di stimare tutte le posizioni lavorative ricoperte da ciascun occupato (attività principale e eventuali attività secondarie). Il secondo set di dati riguarda i non residenti che lavorano per unità produttive residenti: convergono nella base dati l’archivio sui titolari di permessi di soggiorno e l’anagrafe tributaria che consentono di identificare le persone non residenti ma presenti sul territorio e di conteggiare negli archivi di tipo contributivo le prestazioni lavorative da queste prestate. Infine si includono le stime relative alle persone presenti sul territorio con o senza permesso che svolgono un’attività lavorativa al nero.
Le due basi di dati così costruite, misurando l’occupazione da due diversi punti di vista, riescono a coglierne segmenti differenti e solo in parte sovrapponibili. La componente non regolare dell’occupazione è individuata e misurata solo dalla base dati sui lavoratori e viene quindi stimata a partire da questa. Entrambe le basi dati, invece, registrano la componente regolare fornendone due misure che, seppur stimate in maniera indipendente, sono risultate statisticamente convergenti: per stimare questa componente si è scelto quindi di privilegiare quella sui datori di lavoro per la ricchezza dei dettagli informativi e la sua natura censuaria.
Oltre alla misurazione di occupati e posizioni lavorative, il Sec prevede anche il calcolo delle corrispondenti ore effettivamente lavorate e delle unità di lavoro a tempo pieno. Le prime sono calcolate applicando alle posizioni lavorative il numero medio di ore lavorate, stimato nella rilevazione sulle Forze di lavoro integrata con archivi amministrativi tenendo conto, fra gli altri fattori, della natura della prestazione (principale o secondaria, regolare o non regolare), della posizione nella professione (dipendente o indipendente) e del settore di attività economica1. Una stima ad hoc è effettuata per la componente delle posizioni lavorative del settore agricolo sottostanti la produzione per proprio uso finale. In questo caso il valore medio delle ore lavorate da ciascuna posizione è stato stimato a partire dalle informazioni rilevate dal censimento agricoltura 2010 nelle unità dedite esclusivamente alla produzione per proprio uso finale.
Stimate le ore lavorate, da queste si ottiene, per tutti i settori di attività economica, la misura delle unità di lavoro a tempo pieno, rapportando le ore lavorate ad un orario standard a tempo pieno differenziato per tipologie di occupazione e settore di attività economica: le ore contrattuali per i dipendenti regolari e, per i dipendenti non regolari e per tutti gli indipendenti, le ore effettivamente lavorate nell’attività principale dagli occupati a tempo pieno (stimate dalla rilevazione Forze di Lavoro integrata con archivi amministrativi per settore di attività economica).

Focus sul settore agricolo

Fonti e metodi per la stima dell’input di lavoro regolare

La metodologia di stima dell’input di lavoro nel settore agricolo, si iscrive pienamente nel processo generale descritto. Gli aspetti che la connotano a livello settoriale sono riconducibili alla specificità delle fonti di dati usate per alimentare la base dati sui datori di lavoro e alla misurazione del lavoro dedicato alle produzioni per autoconsumo.
Per la stima delle posizioni lavorative regolari la base di dati sui datori di lavoro agricoli è stata principalmente alimentata dalle due fonti specifiche del settore, il censimento agricoltura del 2010 e il prototipo di registro delle imprese agricole sviluppato in Istat e disponibile per lo stesso anno. Il primo rappresenta la fonte privilegiata per la quantità e il livello di dettaglio delle informazioni raccolte e per l’ampiezza del campo di osservazione: sono rilevate infatti le aziende agricole, siano esse direttamente riconducibili a persone fisiche, siano esse vere e proprie unità giuridiche (società, enti pubblici)2; per questo il censimento arriva ad includere anche unità di piccole dimensioni (con una soglia che tuttavia ha portato ad escludere gli orti familiari). Tuttavia il censimento esclude la silvicoltura e la pesca e parte delle attività connesse all’agricoltura. Il registro, invece, comprende i settori silvicoltura e pesca ed è prevalentemente alimentato da archivi di tipo contributivo dell’Inps (il Dmag e l’Emens per i dipendenti e le dichiarazioni dei coltivatori diretti, degli imprenditori a titolo principale e dei collaboratori familiari) e dalle dichiarazioni Iva (i cui dati sul fatturato consentono di individuare le imprese con attività prevalentemente agricola): questo riduce il suo campo di osservazione limitandolo alle unità che svolgono l’attività agricola con modalità più “strutturate” che comportano una qualsiasi forma di contribuzione assicurativo/previdenziale o iscrizione in archivi fiscali. Le due fonti dunque fanno riferimento ad un universo di unità solo in parte sovrapponibile e a definizioni differenti ma non escludenti: l’azienda agricola infatti non corrisponde esattamente a una unità statistica del registro, ma può avere caratteristiche comuni con l'impresa, può rappresentarne la parte agricola (se l’impresa è multi attività), e non deve essere obbligatoriamente registrata in un qualche archivio amministrativo.
Nonostante l’ampiezza del campo di osservazione, soprattutto del censimento agricoltura, queste due fonti insieme, non arrivano a coprire l’intero universo da considerare secondo le definizioni Sec, come mostra la figura 1. Si è reso necessario integrare le stime sul lavoro svolto per le produzioni destinate all’autoconsumo (per la parte non rilevata dal censimento), oltre a considerare l’apporto di altre unità che sfuggono alle rilevazioni settoriali ma che operano nel settore secondo i criteri di classificazione del Sec (prevalentemente istituzioni pubbliche e private e altre unità di piccole dimensioni).

Figura 1 - Le fonti e la copertura rispetto al campo di osservazione del settore agricolo

Per la costruzione della base di dati “settoriale” sui datori di lavoro, il censimento e il registro sono stati integrati attraverso tecniche di microlinkage deterministico, avendo preliminarmente individuato in entrambe le fonti le unità rilevanti per le stime sull’input di lavoro in agricoltura. Infatti sono state escluse le aziende che al Censimento sono risultate non attive o appartenenti a imprese attive - quindi già conteggiate - in altri settori di attività economica. Dal registro delle imprese agricole invece sono state escluse le imprese con fatturato prevalentemente extra-agricolo e quelle risultate non attive al censimento. L’integrazione dei microdati ha prodotto una base dati composta, come raffigurato nella figura 2, per il 72% da unità presenti solo al censimento, per il 25% da unità presenti in entrambe le fonti e solo per il 3% da unità presenti solo nel registro. Le prime sono tutte le unità che a vario titolo non hanno obbligo o sfuggono alla registrazione in archivi di tipo contributivo quali unità di piccola dimensione, unità dedicate principalmente o esclusivamente a produzione per proprio uso, unità senza dipendenti continuativi. Le ultime includono in parte le aziende operanti nei settori della silvicoltura e pesca (che il censimento non ha indagato) e in parte le aziende risultate non rispondenti al censimento (mancate risposte totali o parziali) o sfuggite del tutto alla rilevazione: si tratta tuttavia di unità caratterizzate da bassi livelli di fatturato e da assenza di personale dipendente o da un suo utilizzo inferiore all’unità in media annua.

Figura 2 - La base dati “settoriale” sui datori di lavoro – Anno 2010

 

La base dati così ottenuta è stata utilizzata per la stima delle posizioni lavorative a livello di singola azienda/impresa, attraverso procedure di calcolo differenti a seconda della fonte e quindi delle informazioni disponibili.
Per le aziende rilevate dal censimento le posizioni lavorative sono state calcolate, come in passato, a partire dalle giornate lavorate in azienda nell’anno, preliminarmente validate attraverso il loro confronto con le giornate di lavoro teoricamente necessarie per ciascuna azienda data la sua dimensione, tipologia e collocazione geografica3.
La stima in media annua delle posizioni lavorative registrate dalla fonte censuaria è stata ottenuta classificando le aziende per ripartizione territoriale e orientamento tecnico-economico e rapportando il numero di giornate dichiarate nel censimento dalla manodopera familiare e subordinata al numero di giornate lavorate in media da un occupato a tempo pieno nel raggruppamento cui l’azienda appartiene. In tabella 1 sono riportati i valori delle giornate lavorate da occupati a tempo pieno, stimati per i dipendenti selezionando il personale dipendente in forma continuativa a tempo indeterminato che svolge 8 o più ore di lavoro al giorno e per gli indipendenti i conduttori, familiari e parenti che si dichiarano occupati prevalentemente in azienda, che vi hanno lavorato per più di 52 giornate annue e che dichiarano di svolgere mediamente 8 o più ore di lavoro al giorno.

Tabella 1 - Numero medio di giornate lavorate utilizzato per il riporto delle posizioni lavorative in media annua

Fonte: Censimento Agricoltura, anno 2010

Per la stima delle posizioni lavorative nel prototipo di registro sulle imprese agricole del 2010 il metodo è stato definito sulla base delle informazioni presenti negli archivi Inps che lo alimentano. Per i dipendenti si è potuto sfruttare l’informazione sul periodo di impiego di ciascun lavoratore, rapportando il numero di settimane “contribuite” nell’anno alle 52 settimane annue. Per gli indipendenti, invece, non essendo registrata la durata della prestazione lavorativa, ogni individuo con almeno un versamento contributivo nell’anno è stato conteggiato come una posizione lavorativa.
Le stime sulle posizioni lavorative così ottenute nelle due fonti sono state utilizzate per la stima complessiva delle posizioni lavorative regolari: quelle stimate attraverso il censimento nel caso del milione 230 mila aziende rilevate solo dal censimento e quelle stimate dal registro per le 46mila imprese presenti solo nel registro. Per quanto riguarda le 440mila imprese presenti sia nel censimento che nel registro, invece, le posizioni lavorative sono state stimate a partire da quelle rilevate dal censimento, ma corrette attraverso la loro messa in coerenza con l’informazione sul lavoro fornita anche dal registro. L’analisi di coerenza della doppia informazione sul lavoro disponibile per queste unità produttive, infatti, ha fatto emergere come, complessivamente, il 76% delle 400mila imprese è risultato coerente nelle due fonti: oltre tre quarti sono concordi nel non registrare occupazione dipendente mentre il restante quarto presenta dati coerenti sui dipendenti. Per il restante 24% delle unità, un terzo rileva più dipendenti nel Censimento che nel registro, mentre due terzi presentano livelli di dipendenti maggiori nel registro. Le cause delle incoerenze sono state risultate riconducibili ad aspetti impliciti nella natura delle fonti: il censimento misura l’occupazione aziendale in modo più esaustivo includendo anche l’occupazione “informale” che sfugge ai registri, tuttavia può presentare errori di classificazione tra dipendenti e indipendenti (volendo prioritariamente misurare in modo esaustivo la manodopera familiare, tutti i familiari risultano in questa componente anche se assunti come dipendenti dell’azienda); per parte sua il registro contiene una stima più accurata e maggiormente rispondente alle definizioni SEC relativamente ai dipendenti mentre include una stima di minor qualità statistica sul numero di indipendenti non essendo commisurata alla durata della loro prestazione lavorativa. Tutto ciò considerato, dunque la stima delle posizioni lavorative è stata effettuata privilegiando quella proveniente dal censimento agricoltura ma correggendola in due casi: quando il censimento ha rilevato un’occupazione dipendente superiore a quella stimata dal registro, questa è stata rivista nella sua componente “saltuaria” (che peraltro è prevalente in questi casi) riconducendola entro un livello compatibile con le giornate teoricamente lavorabili nel complesso in azienda; inoltre quando il censimento ha rilevato un livello di occupazione dipendente inferiore rispetto al registro, sono stati riclassificati tra i dipendenti una quota di familiari del conduttore, avvicinando la stima a quella del registro compatibilmente con la capienza della manodopera familiare. Correzioni che hanno determinato complessivamente una rivalutazione di circa il 20% dei dipendenti e un ridimensionamento del 6% degli indipendenti rispetto ai livelli di partenza del censimento agricoltura.  
Altre due tipologie di posizioni lavorative regolari sono state stimate per il settore agricolo, ma al di fuori della base dati sui datori di lavoro specifica del settore. Le prime sono quelle provenienti da altre fonti informative che alimentano la base dati sui datori di lavoro. Si tratta prevalentemente di posizioni dipendenti che svolgono attività agricole in enti del settore pubblico (soprattutto i dipendenti impiegati a tutela del patrimonio forestale) o in alcune istituzioni private (rilevate dal censimento del settore non profit). La seconda tipologia riguarda gli indipendenti, in questo caso stimati a partire dalla base di dati sui lavoratori ed in particolare dalla rilevazione sulle Forze di Lavoro integrata con archivi amministrativi. Si tratta di persone che risultano “occupate” nell’indagine Forze di Lavoro a cui corrisponde una posizione contributiva significativa ma impiegate in unità classificate “non attive” dal Registro (perché senza dipendenti e/o con livelli molto esigui di fatturato) e, se agricole, escluse dal censimento perché al di sotto della soglia dimensionale minima. Queste posizioni regolari stimate dal lato della base dati sui lavoratori in tutti i settori di attività economica, vengono quindi aggiunte, anche per il settore agricolo, alle posizioni lavorative regolari stimate dal lato dei datori di lavoro.
Infine, come anticipato, per stimare l’input di lavoro sottostante la produzione per autoconsumo, è stato necessario integrare le posizioni lavorative rilevate dal censimento del 2010, che ha colto il fenomeno solo parzialmente avendo escluso gli orti familiari dal proprio campo di osservazione. Non essendo disponibile una fonte diretta sulle unità di minori dimensioni e dunque sul lavoro impiegato, l’input di lavoro è stato stimato in maniera indiretta a partire dal valore della produzione per autoconsumo, regolarmente stimata nel quadro dei conti nazionali distinguendo quella prodotta nelle aziende rilevate dal censimento 2010 da quella prodotta nelle aziende fuori dal campo di osservazione censuario e rapportando quest’ultima a una produttività tipica di questo tipo di produzione: questa non è altro che la produzione realizzata in media da un addetto registrata nelle aziende che producono per autoconsumo rilevate dal censimento agricoltura.
La tabella 2 mostra, per il 2011, il contributo di ciascuna fonte alla stima dell’input di lavoro regolare distintamente per dipendenti e indipendenti.

Tabella 2 - Le fonti che alimentano le stime delle posizioni regolari

Fonte: stime di Contabilità Nazionale Istat– anno 2011 - dati in %

Per gli anni successivi al 2010, le stime sono aggiornate utilizzando gli archivi amministrativi che hanno alimentato anche le stime del 2010 e che sono disponibili annualmente, mentre per quell’insieme rilevante di aziende colte solo dal censimento nel 2010, la stima delle posizioni lavorative avviene utilizzando indicatori macro sulla dinamica dell’occupazione dipendente e indipendente. Le componenti aggiuntive sono stimate dalle rispettive basi di dati, compilate ogni anno, mentre il lavoro sottostante la produzione per autoconsumo è stimato a partire dal valore della produzione. Questo approccio ha condotto quindi alla produzione delle stime per l’anno 2011 (che ha rappresentato l’anno base dell’ultima revisione dei conti nazionali) e per i seguenti.

La misurazione dell’input di lavoro non regolare

La stima della componente non regolare del settore agricolo è stata effettuata con lo stesso metodo utilizzato per tutti gli altri settori di attività economica, a partire dalla base dati sui lavoratori.
Per quanto riguarda la popolazione residente, ricorrendo all’indagine Forze di Lavoro integrata con archivi amministrativi, sono state conteggiate come posizioni di lavoro non regolare in agricoltura tutte le prestazioni lavorative rilevate dall’indagine in questo settore a cui non corrisponde alcuna forma di adempimento contributivo registrato a livello individuale negli archivi amministrativi, interpretando quindi l’assenza di versamenti contributivi come segnale di non regolarità dell’attività lavorativa svolta. Un diverso trattamento è stato previsto per i casi in cui la normativa non prevede obblighi di versamento contributivo pur in presenza di attività lavorative, come ad esempio nel caso di alcune tipologie di familiari che lavorano nel settore agricolo: questi casi sono stati classificati come prestazioni regolari. Questa normativa ha consentito la classificazione in prestazioni regolari per le piccole e piccolissime aziende agricole (comprese quelle dedite all’autoconsumo) che necessitano di meno di 104 giornate di lavoro annuo. L’obbligo di iscrizione alla gestione Inps c’è solo per il titolare che supera tale soglia. Pertanto, a seguito di questa normativa, il livello di irregolarità delle posizioni lavorative indipendenti si è ridotto, mentre è rimasto elevato per le posizioni lavorative dipendenti.
Per gli stranieri non residenti autorizzati a soggiornare, la stima delle prestazioni di lavoro svolte “al nero” è basata sull’ipotesi che, essendo presenti legalmente sul territorio italiano, abbiano lo stesso comportamento lavorativo, in termini di regolarità/irregolarità, degli stranieri residenti. Dunque le loro prestazioni non regolari sono state commisurate a quelle regolari (già stimate attraverso le coperture contributive negli archivi amministrativi) usando come indicatore di proporzionalità il rapporto fra posizioni regolari e non regolari registrato per gli stranieri residenti nell’indagine forze di lavoro. Il calcolo è effettuato per settore di attività economica e consente di individuare la parte di questa componente attiva nel settore agricolo.
Infine, anche per gli stranieri senza titolo a soggiornare nel paese viene calcolato il contributo alla produzione del Pil, classificando il loro lavoro interamente come non regolare. Non esistendo fonti dirette che misurano la popolazione irregolarmente presente sul territorio e il relativo stato occupazionale, le stime sulle posizioni lavorative ricoperte dai cosiddetti “clandestini” sono derivate indirettamente dai dati disponibili ogni anno relativamente a sanatorie, decreti flusso, permessi di soggiorno, sbarchi. In particolare per l’anno 2011 la stima è stata fondata sui dati relativi al provvedimento per l’emersione dei rapporti di lavoro irregolari degli stranieri extracomunitari (d.lgs.109/2012), forniti dal Ministero degli Interni con un livello di dettaglio che ha consentito di articolare la stima per settore di attività economica ed individuare così quelli attivi nel settore agricolo. 

Uno sguardo ai numeri

Le serie sull’input di lavoro, per il settore agricolo come per gli altri settori dell’economia, sono state prodotte utilizzando la metodologia sin qui descritta a partire dall’anno 2011. La stima di nuovi livelli per l’anno 2011 ha comportato la necessità di riallineare ad essa la serie storica, ristimando indietro l’input di lavoro attraverso un processo di back casting che ha mantenuto contestualmente il profilo delle dinamiche occupazionali del settore registrate dalla serie storica precedente ed il livello dell’input di lavoro stimato per l’anno 2000 che incorpora i risultati del censimento agricoltura di quello stesso anno.
Dall’intera serie dei dati stimati sin dal 1991, sintetizzati nel grafico 1, emerge un quadro del settore caratterizzato da una prevalenza di lavoro indipendente che rispecchia una struttura aziendale fortemente basata sulla conduzione diretta e sul contributo della manodopera familiare sia per la produzione destinata al mercato, sia per la produzione destinata all’autoconsumo. La manodopera dipendente, che arriva a sfiorare il mezzo milione di posizioni lavorative nel 2017, si caratterizza per un’elevata incidenza del lavoro non regolare, tra i più alti dell’intera economia nazionale, con un andamento decrescente negli anni Novanta, fino al minimo registrato nel 2003 (l’anno della più rilevante regolarizzazione di lavoro sommerso) e una crescita negli anni successivi che, tuttavia non ha portato fino ai picchi di inizio periodo. Nel complesso il settore ha assorbito sempre meno occupazione dal 1991 ad oggi e conseguentemente la quantità di ore lavorate in agricoltura si è molto ridotta: si sono persi circa 866 mila posti di lavoro dal 1991 ad oggi, e il 37% di ore lavorate; un calo che ha investito soprattutto gli indipendenti (-39% le posizioni lavorative dal 1991 al 2017 e -43% le ore lavorate), ma che ha intaccato anche il lavoro dipendente passato dalle 652 mila posizioni lavorative impiegate nel 1991 alle 486mila posizioni lavorative del 2017.

Figura 3 - L’input di lavoro nel settore agricolo


Fonte: stime di Contabilità Nazionale Istat – anni 1991-2017  

Conclusioni

Negli ultimi anni la statistica ufficiale ha avuto una forte accelerazione nell’utilizzo integrato di indagini statistiche e archivi amministrativi, dando impulso alla nuova stagione dei registri e dei censimenti permanenti (basati su dati amministrativi integrati da indagini campionarie). Questo processo riguarda anche il settore agricolo, per il quale è prevista la costruzione di un registro sulle imprese agricole e di un farm register che verranno affiancati dalle indagini settoriali tradizionali del settore e nel 2020 da quello che si prospetta come l’ultimo censimento dell’agricoltura basato su questionario. Questo nuovo approccio alla costruzione delle fonti informative è già stato adottato nel contesto dei conti nazionali, in particolare, come illustrato in questo articolo, per la produzione delle stime sull’input di lavoro, basate sull’integrazione di fonti tra cui i registri, seppure nel caso del settore agricolo, all’epoca dell’implementazione del metodo questi ultimi fossero ancora in uno stadio prototipale. Dunque l’attività che più di ogni altra caratterizzerà il lavoro di aggiornamento delle stime sull’input di lavoro nel prossimo futuro non riguarderà tanto l’approccio metodologico alla stima, quanto l’acquisizione della nuova base informativa per la produzione delle stime sui livelli di input di lavoro impiegato nel settore; naturalmente le metodologie verranno riviste e adattate se necessario affinchè, le stime rispondano sempre alle definizioni e ai confini imposti dal sistema dei conti nazionali.

Riferimenti bibliografici

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Siti di riferimento

  • 1. La metodologia statistica che integra la rilevazione Forze di Lavoro con gli archivi amministrativi prevede un processo di correzione dell’informazione sulle ore lavorate rilevate dall’indagine, per tener conto di effetti di sovrastima che caratterizzano questa variabile (legati soprattutto all’effetto memoria che porta l’intervistato a sotto-dichiarare le assenze dal lavoro) determinando valori medi di ore lavorate differenti rispetto a quelli diffusi come risultati dell’indagine Forze di Lavoro.
  • 2. Il censimento definisce l’azienda agricola come l’unità tecnico-economica, costituita da terreni, anche in appezzamenti non contigui, ed eventualmente da impianti e attrezzature varie, in cui si attua, in via principale o secondaria, l’attività agricola e zootecnica ad opera di un conduttore – persona fisica, società, ente - che ne sopporta il rischio sia da solo, come conduttore coltivatore o conduttore con salariati e/o compartecipanti, sia in forma associata.
  • 3. Ai fini del confronto, le giornate rilevate dal censimento sono quelle lavorate dalla manodopera familiare, continuativa, saltuaria e non assunta direttamente dall’azienda, incluse le giornate di contoterzismo passivo, ma decurtate quelle dedicate ad attività non agricole (agriturismo, attività didattiche, sociali, artigianali, di trasformazione…). Le giornate teoriche, invece, sono stimate per ogni azienda moltiplicando la sua Sau o consistenza del bestiame per coefficienti tecnici (desunti da manuali agronomici e dai piani di sviluppo agricolo regionali) che esprimono il numero di giornate necessarie a lavorare una unità di Sau o di bestiame, a seconda del prodotto coltivato o del tipo di bestiame allevato. Nel complesso il censimento ha rilevato il 13% in meno di giornate rispetto a quelle teoriche: in dettaglio il 42,8% delle aziende ha dichiarato meno giornate di quelle teoricamente necessarie mentre il 57,2% ne ha dichiarate di più. Discordanze che possono essere ricondotte a fattori quali: le differenti produttività reali delle aziende rispetto alla produttività media implicita nei coefficienti usati per il calcolo delle giornate teoriche; l’omissione di parte delle giornate lavorate in azienda nei casi di imprese che ricorrono al lavoro “nero” non dichiarato al censimento; la propensione a dichiarare numeri indicativi di giornate e non quelli reali, come ad esempio 365 ad indicare l’intero anno.
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