Introduzione
I contratti di coltivazione e di vendita in agricoltura vantano una lunga storia, soprattutto per i prodotti deperibili destinati all’industria di trasformazione, come l’ortofrutta, la barbabietola da zucchero e il tabacco. I contratti offrono, com’è noto, una serie di vantaggi per gli agricoltori attraverso (MacDonald, Korb, 2011): una riduzione dei rischi di reddito che scaturiscono dalle fluttuazioni dei prezzi di mercato e dalle rese; la sicurezza di uno sbocco di mercato per il prodotto, particolarmente importante nei casi in cui la consegna riguardi un mercato con pochi acquirenti; prezzi maggiormente legati agli attributi di qualità del prodotto che si traducono in un reddito più elevato per i produttori che adottano i requisiti di qualità richiesti dall’acquirente. Di contro, però, i contratti possono determinare un aumento dei rischi per i produttori dovuti al fatto di essere legati a un unico acquirente, quali che siano le sue scelte economiche.
In ogni caso, i contratti possono portare a un miglioramento dell’efficienza nell’organizzazione della catena di offerta, attraverso una riduzione dei costi di transazione, innanzitutto come risultato di significativi processi di trasformazione che hanno coinvolto le filiere agroalimentari.
Questi cambiamenti, consistenti nell’aumentata concentrazione nelle fasi di trasformazione e distribuzione, nei nuovi modelli di consumo (qualità e sicurezza degli alimenti), nonché nella tecnologia, hanno stimolato mutamenti anche negli schemi organizzativi in direzione di un più elevato grado di controllo verticale da parte dei soggetti a valle della filiera (Vavra, 2009). Tale processo ha portato a un aumento dell’utilizzo, soprattutto negli ultimi anni, di contratti in agricoltura. Ampia è la varietà di accordi presenti, per i quali si possono riscontrare differenze anche rilevanti sia tra i diversi comparti agricoli, sia a livello di singoli prodotti all’interno di un medesimo comparto.
Il tema dei contratti solleva una questione di grande rilevanza a proposito del ruolo svolto dall’intervento pubblico nel regolamentare questa materia attraverso la definizione di regole comuni e di un “vocabolario” condiviso, essenziali per consentire una riduzione dei costi di transazione nella negoziazione (Wu, 2006; Vavra, 2009). A ciò sono, d’altro canto, legate due questioni molto sensibili, ossia lo squilibrio nel potere di mercato tra i soggetti e l’equità dei contratti. Allo scopo di prevenire abusi di potere di mercato nei confronti di soggetti deboli, quali sono in genere gli agricoltori, l’autorità pubblica è chiamata a svolgere un ruolo importante nel sovraintendere alle relazioni contrattuali fra gli attori della transazione, assicurando che la ripartizione dei margini lungo la filiera avvenga con modalità il più possibile trasparenti e a condizioni il più possibile eque (Chatellier, 2009).
La politica comunitaria per i contratti
In questa ottica, e allo scopo di promuovere relazioni di mercato durature tra gli operatori della filiera agroalimentare, si è mossa la Commissione europea nel processo che ha condotto all’ultima riforma della Pac. Punto di partenza era stata la Comunicazione “A better functioning food supply chain in Europe” del 2009 nella quale si dichiarava la necessità di “intervenire per eliminare le pratiche contrattuali sleali tra gli operatori commerciali lungo la filiera alimentare” e a tal fine si proponevano alcune iniziative politiche volte a superare gli squilibri esistenti nelle relazioni contrattuali nonché a promuovere relazioni di mercato sostenibili, quali: lo scambio di informazioni sulle pratiche contrattuali; la predisposizione di modelli standard di contratto; la valutazione di pratiche contrattuali sleali sul mercato interno e la proposta di misure comunitarie necessarie per affrontarle (European Commission, 2009).
Poste dunque al centro dell’attenzione della politica comunitaria - che con il Forum di Alto Livello sulla Competitività1 aveva individuato nella mancanza di trasparenza e nell’asimmetria informativa sui meccanismi di formazione dei prezzi i principali fattori del cosiddetto “fallimento del mercato” - le relazioni contrattuali nel sistema agroalimentare sono state oggetto nel 2012 di importanti interventi che hanno condotto a un nuovo modello di regolazione economica. Si fa riferimento, quale primo intervento, alla disciplina delle relazioni contrattuali nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari2 (il cosiddetto Pacchetto latte), un provvedimento che, pur essendo stato introdotto per sostenere i produttori di latte e preparare il settore in vista della rimozione delle quote, ha prefigurato il “cambiamento di paradigma” attuato poi dalla riforma della Pac per il funzionamento della filiera agroalimentare (Frascarelli, 2012).
La norma contenuta nel Pacchetto latte prevede la possibilità di stipulare, in anticipo rispetto alle consegne, contratti scritti – che gli Stati membri possono rendere obbligatori - tra produttori di latte e trasformatori per la consegna di latte crudo. Elementi chiave del contratto sono il prezzo, i tempi e i volumi delle consegne, la durata del contratto, ecc. In considerazione della loro specifica natura, le cooperative possono operare in deroga, purché per i produttori soci vi sia già un obbligo di consegna del latte prodotto, le cui condizioni siano definite negli statuti delle cooperative stesse. Rilevante è il fatto che alle organizzazioni di produttori (Op) e alle relative associazioni (Aop) sia stata data la possibilità di negoziare collettivamente, a nome dei produttori aderenti, contratti per la consegna di latte crudo. Ciò nondimeno, tale misura è depotenziata giacché la Commissione non ha reso obbligatorio lo strumento delle Op nella contrattazione, non assegnando loro di fatto quel ruolo strategico necessario per il riequilibrio delle relazioni di mercato, attualmente dominate da un potere contrattuale “sproporzionato e asimmetrico” (Canali, 2014). Tanto più che le Op sono sottoposte a limiti quantitativi3, ritenuti dalla Commissione “adeguati” per “mantenere una concorrenza effettiva sul mercato lattiero-caseario”.
La riforma della Pac, nell’ambito dell’Ocm unica, riprende le norme del Pacchetto latte, dedicandole una specifica sezione. Insieme allo zucchero è il settore per il quale sono state disciplinate le relazioni contrattuali, in maniera distinta rispetto a tutti gli altri settori.
Nel caso del settore dello zucchero, l’Ocm unica regolamenta i contratti di fornitura e le condizioni di acquisto delle barbabietole - stabiliti entrambi da accordi interprofessionali scritti fra produttori e imprese saccarifere (o le rispettive organizzazioni di cui sono membri) – nonché definisce i criteri di ripartizione dei quantitativi che le imprese produttrici di zucchero sono tenute a rispettare nell’ambito dei contratti di fornitura stipulati prima della semina. Ciò, in considerazione delle peculiarità del settore e al fine di garantire gli interessi di tutte le parti coinvolte (così recita il regolamento), tenuto conto dell’abolizione delle quote di produzione dello zucchero a partire dall’1 ottobre 2017. Vi è da sottolineare, a tale proposito, che il regolamento non fa alcun riferimento alle Op e a un loro eventuale ruolo nella contrattazione, ma accenna a generiche organizzazioni, probabilmente di categoria, che stipulano contratti di fornitura in nome dei soggetti che rappresentano. Le Op sono una condizione necessaria per la negoziazione di accordi interprofessionali e il non averle considerate potrebbe comportare un indebolimento della posizione degli agricoltori nelle relazioni contrattuali, soprattutto nella fase post-quota quando sarà eliminato il prezzo minimo della barbabietola.
Per quanto concerne gli altri settori, con l’Ocm unica la Commissione europea, in assenza di una specifica normativa comunitaria, demanda agli Stati membri la facoltà di legiferare in materia di contratti scritti formalizzati secondo “il diritto nazionale” rendendone obbligatorio l’uso4, a condizione che sia sempre rispettato il corretto funzionamento del mercato interno e dell’organizzazione comune dei mercati. Questa decisione scaturisce dalla consapevolezza dell’esistenza di situazioni molto differenziate all’interno dell’Unione europea, nonché dall’intenzione di applicare il principio di sussidiarietà.
Nell’ambito della sezione dedicata ai “Regimi contrattuali” sono comprese alcune disposizioni riguardanti le trattative contrattuali nei settori dell’olio d’oliva, delle carni bovine e di taluni seminativi per i quali è previsto, allo stesso modo del lattiero-caseario, che le Op/Aop possano negoziare collettivamente, a nome dei propri aderenti, contratti per la distribuzione dei prodotti, contemplando, anche in questi casi, soglie quantitative per i prodotti oggetto di negoziazione, cui le Op devono attenersi per non contravvenire alle norme sulla concorrenza.
D’altro canto, il rispetto delle regole sulla concorrenza è una questione nei confronti della quale la Commissione europea mostra una costante preoccupazione.
La disciplina nazionale sui contratti in agricoltura
Per quanto concerne il nostro Paese, la disciplina sui contratti introdotta dalla nuova Ocm unica s’inserisce in un quadro normativo nel quale la materia contrattuale era stata già oggetto di un precedente intervento legislativo a livello nazionale. Si tratta dell’articolo 62 della legge 27/2012 che regolamenta la cessione dei prodotti agricoli e alimentari introducendo l’obbligo del contratto scritto nelle transazioni commerciali e tempi certi per i pagamenti, nell’intento di favorire una maggiore trasparenza ed efficienza nei rapporti di filiera, nonché di eliminare comportamenti opportunistici5. A tal fine è stato definito un elenco di pratiche commerciali sleali da vietare, senza però “intervenire sulle cause connesse all’esercizio di potere di mercato lungo la filiera agro-alimentare”, problema le cui ragioni attengono al “coordinamento e [all’]organizzazione delle transazioni” (Ciliberti, Frascarelli, 2014). Del resto, non era questo l’obiettivo dell’art. 62 che è andato ad affiancare la normativa sulla regolazione dei mercati agroalimentari (d. lgs. 102/2005)6.
Per poter migliorare il potere contrattuale dei produttori agricoli nei confronti dei soggetti a valle e, dunque, riequilibrare i rapporti all’interno della filiera agroalimentare è essenziale che la disciplina delle relazioni commerciali fondata sull’obbligo dei contratti scritti, nell’affiancare le disposizioni in materia di contrattazione collettiva e di regolamentazione del sistema delle Op e dell’interprofessione, contribuisca al contempo a rafforzare la struttura dei contratti collettivi e il sistema di relazioni su cui poggiano. Detto in altri termini, per non vanificare l’efficacia di uno strumento come il contratto scritto tra singole parti, è necessario che esso trovi un’opportuna formalizzazione nell’ambito degli accordi collettivi che le Op/Aop – poste al centro, insieme agli organismi interprofessionali, del funzionamento della filiera – concludono, in rappresentanza dei propri associati, con gli altri attori della filiera in un contesto di relazioni di tipo interprofessionale. E questo è proprio ciò che si sta verificando con gli ultimi rinnovi dei contratti quadro in alcuni importanti comparti produttivi (pomodoro da industria, patate, barbabietola da zucchero, agro-energie, sementi, ecc.), i quali hanno recepito le norme commerciali dell’art. 62 della legge 27/2012, come ad esempio, l’impegno al rispetto dei tempi di pagamento.
Le relazioni contrattuali nel sistema agroalimentare italiano
La contrattazione nel sistema agroalimentare italiano presenta un quadro piuttosto frammentato e diversificato, soprattutto per quel che concerne le tipologie di contratto adottate – solo in qualche caso riconducibili alla disciplina delle intese di filiera e dei contratti quadro introdotta dal d. lgs. 102/2005 – e le modalità con le quali si sono sviluppate e si sviluppano le relazioni contrattuali, sovente legate al contesto storico-sociale, territoriale e istituzionale in cui si collocano. I rapporti regolati da contratti possono assumere, infatti, forme regolamentate sul piano normativo o trasmesse per consuetudine, come nel caso di accordi conclusi nel reciproco interesse dei soggetti contraenti e sulla base di un consolidato rapporto di fiducia.
Nel panorama dell’agricoltura italiana si annoverano comparti produttivi nei quali i contratti regolano da tempo e con carattere sistematico i rapporti fra i produttori agricoli e l’industria di trasformazione. In alcuni casi (pomodoro da industria, tabacco, patate e barbabietola da zucchero) la conclusione di accordi, di tipo interprofessionale, era stata favorita dalla necessità di rispondere alle disposizioni della regolamentazione comunitaria (Giacomini et al., 1996); in altri, invece, come per alcuni comparti specifici del vitivinicolo (ad esempio, il Moscato d’Asti) il contratto, di natura strettamente locale, stipulato fra produttori e vinificatori risponde a un’esigenza di valorizzazione di una produzione tipica e del relativo territorio7. A questi comparti se ne affiancano altri (quali grano duro e tenero, agro-energie, sementi, ecc.) dove i contratti hanno una storia più recente.
Particolarmente interessante è l’esperienza di contrattazione sviluppata nel comparto del pomodoro da industria nell’ambito del “Distretto del pomodoro da industria – Nord Italia”, riconosciuto nel 2011 dalla Regione Emilia-Romagna come Organizzazione interprofessionale (Oi) interregionale, con il compito di gestire e regolamentare le relazioni all’interno della filiera, nel rispetto delle regole condivise di comportamento e al fine di garantire la trasparenza e l’equità dei rapporti fra produzione e trasformazione8. Le relazioni tra gli attori della filiera sono disciplinate all’interno di un contratto quadro, sottoscritto dalle Op e dalle rappresentanze della componente industriale, dal quale discendono i contratti di fornitura stipulati fra le singole Op e le singole industrie, redatti sulla base del modello fornito dal Distretto e contenenti tutti gli elementi sostanziali in conformità al documento di regole condivise stabilite dall’Oi.
Diverso è il caso del comparto cerealicolo e, in particolare, del grano duro, dove si ritrovano alcune recenti iniziative intraprese dall’industria pastaia per promuovere la sottoscrizione di contratti di coltivazione con i produttori agricoli (Solazzo et al., 2015), al fine di assicurarsi un bacino di approvvigionamento regionale e/o nazionale di materia prima (ad es., grano 100% italiano) che risponda alle proprie esigenze in termini di varietà e caratteristiche qualitative9. Tali iniziative rispondono, fra l’altro, anche all’esigenza soprattutto dei produttori di grano di far fronte ai problemi legati alla forte volatilità dei mercati degli ultimi anni. Precursore, benché si configuri in maniera del tutto differente per via anche dei soggetti che vi sono coinvolti, è il progetto di contratto quadro “Grano duro di alta qualità in Emilia-Romagna” promosso dalla Regione e sottoscritto dai rappresentanti dell’industria sementiera e dalla componente agricola organizzata con il gruppo Barilla per la fornitura all’industria di un ingente quantitativo di grano duro. Il contratto quadro è articolato in singoli contratti firmati da Barilla con le Op fornitrici, le quali, a loro volta, stipulano con i singoli agricoltori soci gli impegni di coltivazione, contenenti le specifiche tecniche e le opzioni di valorizzazione del grano duro. Il contratto contempla elementi di flessibilità dei meccanismi di determinazione del prezzo di vendita della materia prima, volti a massimizzare il reddito degli agricoltori nonché a ridurre gli effetti negativi legati alla volatilità dei prezzi, ed elementi di premialità in funzione della qualità dei grani e delle modalità di produzione e conservazione. A integrazione del preesistente disciplinare di produzione, è stato di recente introdotto un decalogo di sostenibilità elaborato da Barilla per migliorare l’impatto ambientale della coltura e favorirne, al contempo, la resa sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo.
Un discorso a parte merita il lattiero-caseario per il quale la situazione dei contratti è peculiare e complessa al tempo stesso. Pur vantando una lunga storia di rapporti contrattuali consolidati fra allevatori e industria di trasformazione - basati sino al 2005 sugli accordi interprofessionali e, successivamente alla loro abrogazione (d. lgs 102/2005), su accordi stipulati esclusivamente in sede locale e/o aziendale per la fissazione del prezzo del latte crudo alla stalla - il comparto lattiero-caseario è stato attraversato negli ultimi anni da profonde trasformazioni che hanno interessato in particolare i rapporti e gli equilibri di filiera. Allo stato attuale le relazioni fra allevatori e industria avvengono in un contesto di forte debolezza del comparto, nel quale si viene a inserire la nuova fase di rimozione delle quote latte come strumento di regolazione del mercato. L’attività contrattuale si distingue per il carattere episodico, locale e non strutturato degli accordi10, nei quali è assente un meccanismo di regolazione interno alla filiera. Al contempo, la rappresentatività dei soggetti economici coinvolti è parziale e, nel caso della componente agricola, non adeguata, giacché le organizzazioni professionali di categoria, alle quali gli allevatori hanno storicamente demandato la negoziazione delle condizioni economiche di cessione del latte, non detengono il prodotto, alla stregua delle Op, indebolendo di fatto la posizione degli allevatori nella trattativa per il prezzo del latte. Questo è il risultato, da un lato, del notevole squilibrio contrattuale esistente a sfavore degli allevatori, e, dall’altro, della loro necessità di dover “collocare tutta la propria produzione giornaliera immediatamente, senza nessuna possibilità di conservare il prodotto e modulare l’offerta in funzione delle condizioni di mercato” (Agcom, 2015).
Stante questa situazione di notevole complessità della filiera latte, generata anche dalle notevoli differenze esistenti a livello di tipologie e qualità del prodotto, nonché dalle specificità territoriali e regionali, è evidente che l’approvazione nel 2012 del “Pacchetto latte” in ambito comunitario e la successiva emanazione da parte del Mipaaf del decreto attuativo che ne recepisce le direttive, insieme alle recenti norme nazionali sull’obbligo del contratto scritto, dovrebbero indurre a un cambiamento nel funzionamento del comparto lattiero-caseario, con particolare riguardo all’aspetto delle relazioni economiche tra allevatori e industria.
Considerazioni conclusive
Tra gli strumenti di integrazione e coordinamento della filiera agroalimentare disciplinati nell’ambito del regolamento sull’Ocm unica, una particolare attenzione è dedicata alla contrattazione collettiva e all’interprofessione. Grazie a questi strumenti è possibile, da un lato, rimuovere quegli elementi di distorsione del mercato che rendono possibile l’abuso di posizione dominante sul mercato da parte di un soggetto nei confronti di un altro e, dall’altro, ottenere una maggiore trasparenza nelle relazioni tra i soggetti, nella formazione dei prezzi e nella distribuzione del valore all’interno della filiera agroalimentare. Su questo si era espresso, nel 2009, il Gruppo ad Alto Livello sulla Competitività del settore agroalimentare, il quale aveva sostenuto che il miglioramento della comprensione e della conoscenza della trasmissione dei prezzi lungo la filiera, nonché dei relativi aspetti contrattuali è una questione prioritaria e di cruciale importanza e che ciò dovrebbe contribuire a migliorare l’efficacia delle strategie di posizionamento dei produttori agricoli sul mercato attraverso la creazione di organizzazioni di produttori e cooperative agroalimentari.
Nonostante queste premesse, la riforma della Pac ha affrontato in maniera “timida” la materia delle relazioni contrattuali, a parte il settore lattiero-caseario per il quale le disposizioni sono specifiche e articolate, demandando agli Stati membri la facoltà di scegliere di rendere obbligatorio l’uso di contratti scritti nelle transazioni commerciali. Anche nel caso del lattiero-caseario, però, la riforma non è andata sino in fondo rendendo obbligatorio lo strumento delle Op nella contrattazione.
Per quanto riguarda l’Italia, l’introduzione della disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione dei prodotti agricoli e agroalimentari, basata sull’obbligo dei contratti scritti (art. 62 della legge 27/2012), costituisce un atto importante in quanto tale dispositivo può contribuire a “correggere alcune anomalie della filiera agroalimentare” (Giacomini, 2012). Essa rappresenta, altresì, un’opportunità per rendere più efficace l’azione svolta dalla contrattazione collettiva e dagli strumenti di organizzazione e concentrazione dell’offerta, in un quadro d’intervento nell’ambito del quale sia possibile conciliare interessi privati e interesse pubblico.
Nel far ciò è necessario tener conto dell’esperienza sinora maturata in Italia e dei problemi che hanno impedito una reale applicazione di questi strumenti, ma anche delle mutate condizioni in cui si trova a operare la filiera agroalimentare. Il rafforzamento degli strumenti di organizzazione e integrazione della filiera agroalimentare è un obiettivo strategico per l’agricoltura italiana, perché essi permettono di migliorare la competitività e la sostenibilità della filiera e, al contempo, possono metterla in condizione di affrontare adeguatamente gli scenari futuri.
Riferimenti bibliografici
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- 1. Il Forum, istituito nel 2010 dalla Commissione europea per proseguire e ampliare i lavori del precedente Gruppo di Alto Livello sulla competitività del settore agroalimentare, si propone di assistere la Commissione nella sua funzione di supporto alla competitività sostenibile e alla crescita nell’ambito della catena agroalimentare europea.
- 2. Regolamento (Ue) 261/2012.
- 3. Il volume di latte crudo oggetto di trattative da parte delle Op non deve superare le seguenti soglie:
- il 3,5% della produzione totale dell’Ue;
- il 33% della produzione nazionale totale di uno Stato membro nel caso in cui il latte sia ivi prodotto;
- il 33% della produzione nazionale totale di uno Stato membro nel caso in cui il latte sia ivi consegnato.
Tali percentuali sono portate al 45% nel caso in cui la produzione di latte in uno Stato membro sia inferiore alle 500 mila tonnellate.
- 4. Lo Stato membro, nel caso opti per l’utilizzo obbligatorio dei contratti scritti, deve decidere anche quali fasi della consegna del prodotto siano coperte da tali contratti e se la consegna venga effettuata attraverso uno o più intermediari. I contratti, stipulati prima della consegna del prodotto, devono chiaramente contenere una serie di elementi “liberamente negoziati tra le parti”, quali il prezzo, la quantità e la qualità dei prodotti interessati, la durata del contratto, le scadenze e le procedure di pagamento, ecc.
- 5. Su questo tema si rimanda a Giacomini (2012) e a Ciliberti, Frascarelli (2014).
- 6. Come si ricorda tale decreto, nel ridefinire le regole della contrattazione collettiva all’interno della filiera agroalimentare, ha introdotto lo strumento dell’intesa di filiera, con la quale le diverse componenti rappresentative stabiliscono una serie di azioni e di regole condivise, volte a migliorare le condizioni di efficienza del mercato. Nel far ciò, l’intesa di filiera definisce la cornice all’interno della quale s’inserisce il contratto quadro, sottoscritto dalle Op/Aop, il quale a sua volta stabilisce il contratto-tipo che deve essere adottato nella stipula dei contratti di coltivazione, allevamento e fornitura e che trasferisce, in esecuzione del contratto quadro, gli obblighi contrattuali fra i singoli soggetti economici.
- 7. Per un approfondimento dell’evoluzione dei contratti nel settore agricolo si rimanda all’analisi sviluppata ogni anno nell’ambito dell’Annuario dell’agricoltura italiana (Inea-Crea, annate varie, cap. VI).
- 8. Per un approfondimento si rimanda a Canali (2012) e a Giacomini, Mancini (2015).
- 9. Per questo motivo negli accordi sono spesso coinvolte anche società sementiere, selezionatrici e costitutrici di varietà, e società di assistenza per la definizione del disciplinare di produzione.
- 10. In questo contesto, in mancanza di un’intesa nazionale, la Lombardia, regione leader in Italia per la produzione di latte, costituisce un punto di riferimento per l’intero comparto lattiero-caseario italiano.