Intervista realizzata da Isabella Giunta. Edizione a cura di Francesca De Stefano del Centro Regionale d'Intervento per la Cooperazione (Cric)
Roberto Schellino, perito agrario e contadino, vive nella Valle Stura di Demonte, sulle Alpi cuneesi ed è autore del libro "Mille contadini", uscito recentemente con la casa editrice Ellin Selae ed incentrato sulla ricostruzione della vita e delle lotte contadine nelle campagne italiane dall'Ottocento ai giorni nostri. Inoltre, Schellino è membro dell'Associazione Rurale Italiana (Ari) e del Coordinamento nazionale della Campagna Popolare per l'Agricoltura Contadina.
L'intervista ha l'intento di contribuire a delineare un quadro esplicativo delle principali tappe e degli obiettivi della Campagna Popolare e del significato e delle implicazioni che l'approvazione di una legge in difesa delle agricolture contadine italiane può comportare, ricorrendo alle parole d'ordine e alle spiegazioni adottate dalle associazioni e dalle realtà che conducono questa iniziativa dal 2009.
Ci puoi spiegare cos’è l’agricoltura contadina e com'è nata l'idea della Campagna Popolare?
La Campagna per l'Agricoltura Contadina è nata all’inizio del 2009 da un primo gruppo di piccole associazioni del mondo contadino e neo-rurale italiano con la finalità di elaborare una petizione ed una raccolta di firme da presentare in Parlamento1. Nella petizione si chiedeva il riconoscimento dell'agricoltura contadina e una serie di norme che liberasse i contadini dalla burocrazia. In questo senso, inizialmente era più una richiesta di deroghe o abrogazioni di norme vessatorie che in seguito si è evoluta, pur restando nelle stesse aree normative. La Campagna è nata, quindi, su un singolo obiettivo, non è un movimento contadino complessivo, è piuttosto una campagna popolare per una legge che riconosca i contadini. Nel tempo hanno via via aderito una serie di associazioni, grandi e presenti a livello nazionale o piccole con una presenza regionale.
Nei primi anni la Campagna ha proceduto molto lentamente, era essenzialmente un'iniziativa portata avanti dalla base, rimaneva abbastanza sconosciuta e non veniva considerata dalle istituzioni, dalle quali non riuscivamo ad avere ascolto. Si può dire che la Campagna sia nata nella cultura neo-rurale, per questo ha fatto sempre fatica ad entrare nelle rappresentanze dell'agricoltura convenzionale, quella dei sindacati, perché già solo parlare di dimensione contadina rappresentava un ostacolo: se per noi era un simbolo di diversità dall'agricoltura convenzionale, quindi un simbolo positivo, per il mondo sindacale e istituzionale era di fatto un modo di parlare del passato. C'è tutt'ora questa barriera culturale e ideologica da superare.
Durante questa prima fase la Campagna si concentrava sulle richieste delle micro realtà contadine, le stesse che ancora oggi fanno fatica a mantenersi come tali a fronte di tutte le normative che sempre più tendono a strozzare la piccola dimensione a favore delle imprese. Questa è una situazione gravissima, soprattutto in una realtà come quella italiana che ha un territorio ricoperto per il 70% da colline e montagne, in cui queste micro realtà agricole cercano di sopravvivere al messaggio unico della competitività di mercato.
In una seconda fase sono entrate dentro la Campagna associazioni che hanno portato nuovi contributi, il che ha permesso di far evolvere i contenuti delle richieste.
Nel frattempo, nel 2010, a livello ministeriale, avevamo avuto un contatto con il ministro Zaia della Lega Nord, l'unico disposto a darci udienza; la sua Segreteria ci chiese di produrre una prima proposta di legge. Abbiamo fatto questo tentativo poi rimasto inascoltato. Successivamente, nel novembre del 2010, tramite una parlamentare del PD, Susanna Cenni, abbiamo avuto un'audizione alla Commissione Agricoltura della Camera, ma senza ricadute positive. Per noi fu comunque utile raccogliere le impressioni e capire come eravamo percepiti a livello istituzionale.
Queste novità ci hanno aiutato a rielaborare la nostra proposta che ha poi portato alle nuove Linee Guida presentate alla Camera dei Deputati nell'ottobre 20132. Tali Linee Guida, di fatto, ribadiscono le richieste della petizione ma gli danno più corpo, sono meglio articolate e più approfondite. Questo passaggio era necessario, innanzitutto, per rispondere alle critiche che accusavano la Campagna di richiedere solo delle deroghe per uscire dal patto sociale e creare una sorta di riserva; ma anche per rendere più propositivi i nostri contenuti, in particolare affermando il concetto della pluralità dell'agricoltura, considerato fondamentale, così come sostenendo con forza che i modelli agricoli, le organizzazioni delle aziende, le storie dei prodotti sono diversi a seconda dei territori. Le esperienze contadine sono innumerevoli e molteplici, perciò non possono essere accolte compiutamente, nella loro complessità, da una norma legislativa; tuttavia, questa pluralità di esperienze contadine ha delle necessità così come degli elementi fondamentali comuni che vogliamo si tutelino e si sostengano attraverso una legge.
Occorrono norme diversificate, in modo che esistano quelle adeguate alle piccole aziende e quelle proporzionate alle medio-grandi aziende, che svolgono attività di tipo differente. Non vogliamo stare al di fuori della società, né vogliamo essere una riserva indiana, ma rivendichiamo il nostro diritto di cittadinanza e norme che siano giuste per noi.
Vi riporto come esempio pratico, uno dei problemi comuni a tutte le esperienze contadine: la produzione e la trasformazione di prodotti; le norme igienico-sanitarie standardizzate del modello italiano mettono sullo stesso piano la micro azienda, che produce un quintale di formaggi all'anno, e il grande stabilimento, che ne fa centomila, poiché il modello di organizzazione, lo schema normativo, è lo stesso. Noi diciamo di no. È necessario stabilire un limite al di sotto del quale si possono adottare normative semplificate, che possono tradursi in norme molto pratiche, come il non dover avere tre locali per l'attività di trasformazione quando ne basta uno, il poterlo fare negli spazi già presenti nell'azienda invece di dover costruire laboratori ex novo, etc.; applicando in questo modo la flessibilità prevista dagli stessi Regolamenti UE in materia.
Chiediamo che in una dimensione produttiva più limitata si abbiano delle norme adeguate a quella grandezza. Se si trasformano esclusivamente prodotti coltivati sul posto, la filiera è già corta in partenza. Se invece si trasformano prodotti che vengono da altre aziende, è chiaro che la filiera si allunga e sono necessarie modalità di trasformazione e regole più complesse.
Riguardo alla pluralità delle agricolture, hai fatto riferimento ad elementi comuni a tutte e ti sei soffermato sulla limitatezza della produzione: quali sono gli altri? Come vengono ripresi nelle diverse proposte di legge attualmente all'esame della Camera dei Deputati?
Nelle Linee Guida presentate nel 2013 abbiamo definito gli ambiti che sono la precondizione per formulare delle norme ad hoc e che noi vogliamo siano tutelati da una legge; poi spetta al legislatore di scrivere il testo. Ciò che noi abbiamo indicato nelle Linee Guida come caratteri fondanti delle aziende contadine, connessi alle normative e agli interventi specifici che noi richiediamo, è stato ripreso dalla proposta di legge Zaccagnini, elaborata insieme a noi3. Il testo è stato poi ritoccato in alcuni passaggi e leggermente rielaborato dagli uffici di Zaccagnini per renderla compatibile con altre norme, ma sostanzialmente l'impalcatura è quella ed è la proposta che più rispecchia le nostre Linee Guida. Di conseguenza le altre proposte, quella presentata da Parentela del Movimento 5 stelle e quella della Cenni del PD, sviluppano parti già previste nella proposta Zaccagnini, in qualche caso approfondendole. In ogni caso, la proposta Zaccagnini è la più completa perché definisce gli ambiti e, di conseguenza, indica le modalità di attuazione4. In particolare, gli Articoli 2, 3 e 4 delimitano il campo; dall’ Articolo 6 in poi vengono indicate le norme a sostegno di tale campo, ovviamente sempre con una certa flessibilità. La definizione di questi ambiti ha richiesto uno sforzo di confronto mirato a produrre una sintesi che, anche se non risolverà i problemi di tutti, darà la possibilità a ciascuno di migliorare la propria situazione. Non va dimenticato che nella definizione degli ambiti descriviamo una serie di caratteri che devono essere presi in considerazione nel loro insieme e non frammentati. Ad esempio, il criterio della piccola scala: appartengono ad aziende di piccola scala quelle aziende dove lavorano solo le persone diretto coltivatrici, con limitato apporto esterno. Naturalmente, se l'azienda possiede centinaia di ettari, di fatto diventa un'azienda di tipo salariale che non risponde più al modello contadino. Tuttavia, data la complessità italiana, abbiamo scelto di non fissare un limite all'estensione dell'azienda, perché lo riteniamo fuorviante. Quindi: mentre tutte le realtà contadine sono di piccola scala, non tutte le realtà di piccola scala sono contadine; nel senso che, per noi, la piccola scala è uno degli elementi, ma non l'unico. Nelle rivendicazioni della Campagna Popolare per l'Agricoltura Contadina, parliamo del modello produttivo che si basa sull'agricoltura sostenibile, equivalente a quella biologica. Rivendichiamo, inoltre, il tema della dignità del lavoro. Ad esempio, in molte aree italiane esistono micro aziende che producono attraverso una filiera monoculturale. Si tratta di micro aziende di un ettaro che però realizzano un'agricoltura intensiva, chimica, inquinante e che è segnata dallo sfruttamento del lavoro; addirittura, ci sono stati casi di sfruttamento sessuale della manodopera femminile. Siamo stati chiari nel dire che queste aziende non hanno nulla a che fare con l'agricoltura contadina, perché non rispettano i criteri della sostenibilità ambientale e della dignità del lavoro. Quindi, anche se sono di piccola scala, non devono essere sostenute da una normativa per l'agricoltura contadina.
Di fatto, una volta approvata la legge, lo saranno o no?
Noi vogliamo una legge che dica che all'albo delle aziende contadine possono iscriversi solo le aziende che rispondono a tutte queste caratteristiche insieme. Come abbiamo visto, noi leghiamo la piccola dimensione alle forme di agricoltura sostenibile e alla dignità del lavoro. Si aggiungono altri criteri, come quelli riguardanti le reti di commercializzazione e la trasformazione in proprio dei prodotti. Dobbiamo inserire riferimenti precisi, altrimenti tutta l'agricoltura diventerebbe agricoltura contadina dal momento che il 98% delle aziende italiane è classificata dall'Istat nella tipologia delle aziende familiari. Se usassimo solo il criterio della conduzione o della proprietà dell'azienda, la conseguenza sarebbe considerare questo 98% come aziende contadine. La differenziazione che noi facciamo è che oggi esistono strutture a titolarità familiare che sono a dimensione contadina perché operano in un modo che noi descriviamo, nel nostro testo, come caratterizzante delle agricolture contadine, mentre vi è una larga fetta che, pur avendo una forma giuridica a titolarità familiare, di fatto è semplicemente un ingranaggio dell'agroindustria.
Quando un'azienda si dedica oramai solo alla monocultura, con varietà brevettate, in un ciclo lungo e vende tutta la produzione all'agroindustria, acquistando l'insieme dei fattori della produzione sul mercato e non producendoli più, che alleva in soccida o fa la frutticoltura con varietà brevettate e con vincoli commerciali del prodotto già fissati da contratto, giuridicamente è autonoma ma oggettivamente costituisce un ingranaggio della produzione agroindustriale, perché non ha più nessuna autonomia operativa. È legata, mani e piedi, al rapporto con il mercato che essa non determina ma da cui è determinata; inoltre, su di essa si scaricano pure i rischi.
In base a questo ragionamento: un'azienda di piccole dimensioni, che non contratta molte unità di lavoro esterne e dedica parte della sua produzione all'autoconsumo ma non è certificata biologica, in che ambito rientra?
Per noi il biologico è il concetto di riferimento, ma non si richiede obbligatoriamente, né si intende dire che chi si iscrive all'albo delle aziende contadine debba avere per forza la certificazione biologica. Abbiamo molto chiaro che all'interno del modello contadino si afferma la modalità produttiva di agricoltura sostenibile, che può significare biologica, biodinamica, permacultura, etc..
Tuttavia, quello della certificazione biologica è un discorso complesso che interessa anche le aziende di trasformazione, di vendita, vale a dire le aziende commerciali. La stessa agricoltura biologica ha al suo interno sia aziende contadine sia aziende più grandi e di tipo commerciale.
Dovremmo qui riprendere la storia del movimento biologico dalle sue origini negli anni '70: dalle prime esperienze in campo alle prime leghe che raccoglievano i prodotti dei contadini dediti ad un'agricoltura diversa da quella convenzionale. In realtà, tutto il mondo biologico prima della legge era a dimensione contadina. Si trattava quasi esclusivamente di micro aziende ed era un biologico politico che portava avanti una scelta non solo agronomica, ma progettuale e sociale. Voleva fare un'altra agricoltura. Dal '92 in poi, con l'approvazione della legge sul biologico, che riconosceva la produzione biologica come metodo agricolo, è cominciato il boom: il biologico è diventato merce ed in esso hanno investito con forza anche le aziende di mercato. Oggi nel biologico operano molte grandi aziende, che fanno un biologico industriale, con grandi catene commerciali. Oggi il biologico è più un metodo tecnico e meno un modello sociale alternativo.
Se verrà approvata la legge sull'agricoltura contadina, all'interno dell'universo del biologico le aziende che sono contadine si riconosceranno in questo percorso. Mentre, le aziende più grandi, commerciali, probabilmente non saranno interessate a riconoscersi nel modello contadino. Anche perché il modello contadino - se mai dovessimo arrivare ad avere una legge- è un modello che mette dei confini progettuali e sociali, pone dei limiti e un'azienda di mercato i limiti non li vuole.
Esistono dei contenuti nelle proposte di legge che consideri potrebbero non passare quando verrà elaborata la sintesi tra i vari testi? In altre parole, avete identificato come Campagna dei punti che potrebbero risultare più sensibili e su cui potreste ricevere resistenze?
Lo sapremo quando la Commissione Agricoltura in Parlamento avrà prodotto un primo testo di legge unificato, come risultato della fusione e sintesi delle quattro proposte ricevute. Fino ad ora, durante le audizioni, non sono emerse opposizioni sulle finalità, nessuno ha innalzato muri o formulato tesi contrapposte. Dopodiché, produrre una legge è frutto di un gioco di rapporti di forza tra le rappresentanze che non possiamo prevedere. In realtà, la Campagna per l'Agricoltura Contadina, anche se costituita da realtà con una visione pratica, culturale e politica che è antitetica all'agricoltura convenzionale e all'agroindustria, con questa legge vuole sostenere l'agricoltura contadina, non costruisce norme contro l'agricoltura industriale. Noi vogliamo che il nostro modello sia riconosciuto, che abbia una sua dignità e che venga sostenuto da leggi apposite. É una campagna “per”; una campagna positiva, non una campagna contro.
Sicuramente, a livello istituzionale e nelle organizzazioni di categoria, l'ostacolo principale si presenta quando il nostro percorso viene letto come una critica al modello dell'impresa in quanto tale. Il modello contadino che sosteniamo si differenzia dal modello dell'impresa di mercato. Già questo fatto fa scattare delle resistenze. L'agricoltura contadina viene spesso identificata come espressione di agricolture residuali, che non producono per il mercato, mentre le organizzazioni di categoria sostengono di essere per l'agricoltura imprenditoriale di mercato. Eppure la questione è un'altra: in agricoltura oggi, di fatto, non esiste l'impresa che vive esclusivamente sul libero mercato, perché senza i sussidi della Pac, le imprese agricole sarebbero per la maggior parte già estinte. Quindi, da una parte si è costretti a lavorare nell'ingranaggio agroindustriale e dall'altro si sopravvive solo con i finanziamenti della Comunità Europea. È indispensabile approfondire questo aspetto.
Hai parlato del rapporto della Campagna con i sindacati e con le istituzioni, come è andata invece con altre realtà associative?
Le relazioni all'interno della Campagna sono molto variegate ed, inoltre, vi sono realtà che si sono avvicinate più recentemente. Tra di esse, la Rete dell'Economia Solidale (Res) con cui, per un po' di tempo, sono state portate avanti delle esperienze parallele di confronto mentre, adesso, il legame è diventato più stretto, perché il Tavolo Nazionale Res ha ufficialmente aderito alla Campagna Contadina.
Con Slow Food è in corso un altro percorso di collaborazione: a marzo 2016 ha partecipato all'audizione in Commissione Agricoltura, sostenendo con un proprio documento gli obiettivi portati avanti dalla Campagna Popolare per l'Agricoltura Contadina. Pur non essendo stata una loro priorità, esistevano da tempo alcune iniziative comuni, per esempio durante l'ultima manifestazione di Terra Madre nel 2014, nell'ambito del Comitato Italiano per l'Anno dell'agricoltura familiare. Speriamo che ora si possa costruire una maggiore risonanza insieme.
La Campagna Contadina è portata avanti, da nove anni, dal volontariato di base e questa è una cosa importantissima. Credo sia anche il segno che fa la differenza. Oggi le organizzazioni agricole stanno in piedi perché hanno delle risorse economiche enormi e fanno la loro politica agricola. Il nostro percorso sta in piedi con delle cifre irrisorie e si autogestisce con il volontariato diretto delle persone e delle associazioni, degli stessi contadini che fanno parte delle associazioni. Chiaramente questo percorso ha anche i suoi limiti. Penso alla partecipazione, che si pone sempre come un problema perché si vive molto sulla delega. Molte associazioni aderiscono poi, però, al momento di essere operative, delegano tanto e questo modo di fare, ovviamente, non ci permette di esprimere appieno la forza che potremmo avere.
Hai affermato che non si tratta di un movimento contadino ma è una campagna per un obiettivo preciso. Pensi sia possibile che dalla Campagna nasca qualcos'altro?
Io ci spererei. Alcune realtà che hanno avuto l'occasione di frequentarsi, in questi anni, potrebbero riuscire a pensare a sviluppi ulteriori, ci sono già state occasioni nelle quali è stato possibile parlare anche di altro. Secondo me, il nostro pregio, fino ad ora, è stato quello di essere equilibrati, di restare concentrati sul tema, evitando il rischio di implodere o di esplodere, perché dentro la Campagna ci sono realtà che hanno approcci anche molto diversi. Il nostro problema credo sia il particolarismo contadino, ossia ognuno vede una campagna un pò a modo suo, ed a volte fa fatica a partecipare in percorsi di condivisione nella diversità, ma occorre anche imparare quanto è importante muoversi in un solco comune condiviso. A volte non è stato capito il senso dei passi fatti negli anni: ad esempio, l'evoluzione dalla Petizione alle Linee Guida e la loro successiva rielaborazione, che si è resa necessaria per garantire una maggiore comprensione, pur mantenendo l'ossatura iniziale, focalizzata sul riconoscimento dell'agricoltura contadina e sulla richiesta di norme a sostegno dei piccoli contadini. Un'altra questione, all'inizio controversa, riguardava la posizione sul biologico che nella Petizione non era esplicitata, si parlava di agricoltura a basso impatto ambientale. Invece, nella Campagna sono entrate sempre più realtà dedite all'agricoltura sostenibile, per cui, nel corso del processo, si è chiarito che per noi agricoltura contadina vuol dire anche agricoltura sostenibile, agricoltura senza veleni. Questo è stato un elemento importante, è stata una maturazione, uno sviluppo, non condiviso da qualcuno.
A livello europeo questa iniziativa è innovativa o esistono delle esperienze alle quali vi siete riferiti?
Purtroppo non si possono fare dei confronti omogenei perché le agricolture in Europa sono molto diverse. La nostra è più simile a quella dei paesi dell'est o dei paesi latini. I paesi anglosassoni sono in un'altra situazione: lì ormai non ci sono più un milione e mezzo di aziende contadine come da noi, magari ce ne sono solo cinquecentomila. Tutto questo strato, che da noi ancora sopravvive, lì è già scomparso da decenni. Per noi è, invece, un’importante e positiva notizia sapere che il Coordinamento Europeo di Vía Campesina (Ecvc)5 abbia deliberato ufficialmente, nell’aprile 2016, il suo appoggio alla Campagna Contadina italiana, riconoscendola di interesse europeo. Quindi, il nostro percorso potrà essere di utilità per altre realtà nazionali europee.
- 1. Disponibile in: [link].
- 2. Disponibili in: [pdf].
- 3. La legge Zaccagnini e le altre proposte di legge sono consultabili in: [link].
- 4. Un confronto tra le diverse proposte di legge è raccolto nella scheda di lettura appositamente predisposta dalla Camera dei Deputati, disponibile in: [pdf].
- 5. La Vía Campesina è un movimento contadino internazionale, costituito agli inizi degli anni Novanta, che oggi riunisce 164 organizzazioni, locali e nazionali, di 73 paesi in Africa, Asia, Europa e nel continente americano.