La sostenibilità dell’agricoltura periurbana: un’analisi sulle imprese della filiera corta

La sostenibilità dell’agricoltura periurbana: un’analisi sulle imprese della filiera corta
a Università degli Studi del Molise, Dipartimento di Bioscienze e Territorio

Introduzione

La finalità del lavoro è di mettere in luce le caratteristiche e i cambiamenti dell’agricoltura nelle aree periurbane, attraverso l’analisi delle scelte aziendali attuate dalle imprese che partecipano ai vari schemi di filiera corta, con particolare riferimento ai temi della sostenibilità sociale, economica e ambientale.
È utile ricordare che intorno alle città, e al loro interno, si sono sempre osservati sistemi agricoli la cui produzione doveva soddisfare la domanda dell’insediamento umano intorno al quale si sviluppava (de Zeeuw, Dubbeling, 2010) e la prossimità spaziale era una condizione necessaria, specialmente per la vendita dei prodotti freschi (Marino et al., 2013a).
L’agricoltura periurbana rappresenta attualmente una presenza significativa del tessuto naturale, sociale, produttivo e paesaggistico delle aree urbane (Pascucci, 2008), aree nelle quali la multifunzionalità assume caratteristiche che nascono dal sovrapporsi delle funzioni del settore primario, con il carattere proprio della periurbanità (Henke, Vanni, 2015).
Nella filiera corta il tema dell’accesso al cibo è legato in maniera innovativa alla sostenibilità dei sistemi alimentari (Belletti, Mancini, 2012) e territoriali. Un accesso ristretto agli alimenti sostenibili, per ragioni fisiche (prevalenza di supermercati e mancanza di accesso a cibi freschi) o per ragioni economiche (alimenti dell’agricoltura biologica a volte troppo cari), è considerato, infatti, un ostacolo per la transizione generalizzata alla sostenibilità (Brunori et al., 2012).
Gli schemi di filiera, seppur differenziati per modo di realizzazione, per promotori e organizzatori delle iniziative (Giaré, Giuca, 2013) si propongono, di conseguenza, l’obiettivo di costruire un sistema di approvvigionamento alimentare alternativo con obiettivi di sostenibilità e democrazia alimentare (Rossi, Brunori, 2011), che garantisca l’accesso ad alimenti sostenibili (Fonte, 2013; Fonte, Salvioni, 2013), sotto il punto di vista ambientale, sociale ed economico.
In Italia, la filiera corta rappresenta un fenomeno abbastanza sviluppato: ci sono 270.497 aziende agricole che vendono direttamente ai consumatori e che rappresentano il 26% del numero totale delle aziende agricole (nel 2007, erano il 22,1% di tutte le aziende in Italia, e il 5% in più rispetto al 2000), 1.367 Farmers’ Market che negli ultimi due anni sono aumentati del 44% e 890 Gruppi d'acquisto solidale (Franco, Marino, 2012).
Il lavoro si basa su dati raccolti mediante un’indagine diretta1 che ha coinvolto 226 produttori, scelti in considerazione della localizzazione geografica e per schema di filiera corta, indagine svolta mediante questionari strutturati.
Le informazioni sono state raccolte mediante la messa a punto di un apposito questionario somministrato a un campione casuale di produttori che operano in filiera corta. I produttori sono stati intervistati nei mercati di Roma (103 unità), Lecce (33 unità), Torino (26 unità), Trento (24 unità), Pisa (20 unità), altre città2 (20 unità) e nei seguenti schemi di filiera corta: farmers’ market - FMs - (137 produttori), Gruppi di Acquisto Solidale - Gas - (37 produttori), Aziende con vendita diretta - VD - (30 produttori), Box Scheme – BS - (8 produttori), Community Supported Agriculture - Csa - (4 produttori). A queste, è stata aggiunta un’apposita categoria definita Aziende Pluri-Filiera - Apf (10 unità) che identifica i produttori che partecipano indistintamente a più tipologie di filiera corta.
I casi studio sono stati selezionati con l’ausilio di testimoni privilegiati e tenendo conto dei mercati e dei territori in cui le filiere corte sono più sviluppate. Il numero di aziende campionate è proporzionale alla consistenza della popolazione per schema di filiera corta e territorio.
Gli indicatori utilizzati sono stati selezionati secondo le tre dimensioni della sostenibilità e sono di seguito indicati:

  • sostenibilità ambientale: i) superficie aziendale coltivata con metodo di produzione biologico; ii) superficie aziendale ricadente in area protetta; iii) superficie a prati e pascoli; iv) superficie forestale;
  • sostenibilità sociale: i) Ult/Sau; numero di lavoratori totali; iii) numero d’imprenditori e occupati giovani; iv) numero d’imprenditrici; v) numero di coadiuvanti familiari; vi) numero di lavoratrici donne; vii) numero di occupati disabili; viii) numero di occupati pensionati;
  • sostenibilità economica: i) produzione standard cereali; produzione standard ortive; iii) produzione standard olivo/vite; v) produzione standard fruttiferi; v) produzione standard prati/pascoli; vi) produzione standard bovini; vii) produzione standard ovini; viii) produzione standard avicoli.

Le analisi sono state finalizzate a mettere in luce dapprima le caratteristiche delle aziende nel complesso e poi a evidenziare le differenze tra i valori medi negli schemi di filiera corta e nei territori, attraverso tecniche di analisi statistica multivariata (Anova, Manova).

Aziende, mercati e territori

Le aziende sono localizzate prevalentemente nelle aree collinari e distano in media 25 km dai principali mercati di sbocco delle produzioni e ciò comporta effetti positivi sulla “conservazione” dell’agricoltura periurbana, soprattutto in termini di riduzione delle esternalità negative legate ai trasporti quali l’emissione di anidride carbonica, l’inquinamento atmosferico, il traffico, il numero d’incidenti e l’inquinamento acustico (Defra, 2005).
Il 45% delle aziende del panel attua metodi di produzione a basso impatto ambientale e quasi il 40% di esse annovera negli ordinamenti colturali una quota rilevante di superfici a prati e pascoli permanenti, mentre le aziende con superfici ricadenti in aree d’interesse ecologico e quelle con superfici a bosco hanno sostanzialmente una minore consistenza all’interno del panel (rispettivamente 17% e 20%).
L’età media degli imprenditori intervistati è piuttosto bassa (41 anni) e ben il 67% delle aziende è condotto da imprenditori giovani, soprattutto di sesso maschile.
La dimensione media aziendale è piuttosto cospicua (circa 25 ettari) e oltre la metà delle aziende censite ha una dimensione di 17 ettari. Le aziende con prati e pascoli hanno una dimensione più ampia (52 ettari), mentre l’estensione delle aziende con fruttiferi si attesta su valori notevolmente più bassi (7 ettari). Le filiere corte rappresentano dunque un importante canale di commercializzazione per le imprese di piccola dimensione, a volte addirittura l’unico canale a loro disposizione, mentre le imprese di media dimensione usano questi mercati per ampliare i canali di vendita riducendo così il rischio di mercato e per collocare la produzione eccedentaria.
Le produzioni aziendali sono rappresentate prevalentemente dai prodotti ortofrutticoli; altri prodotti di un certo volume sono i trasformati di frutta e ortaggi e l’olio che sono prodotti da circa un quarto delle imprese, oltre che i derivati del latte. Fa eccezione il vino, offerto soltanto dal 10% dei produttori. Le produzioni zootecniche rivestono, invece, un ruolo decisamente minore rispetto alle colture vegetali. Di contro, le attività complementari a quella agricola sono abbastanza sviluppate tra le aziende intervistate ed evidenziano una chiara strategia d’integrazione dei redditi diversificando i processi e le attività, sperimentando nuovi modelli produttivi basati sulla segmentazione del prodotto, sull’offerta di servizi, sulla valorizzazione dei beni pubblici prodotti dal settore primario.
Sul piano ambientale, le aziende campionate presentano un buon livello di diversificazione colturale: circa 3/4 delle superfici aziendali sono occupate perlomeno da tre colture e ciò si traduce in un minore ricorso alla pratica della monocoltura e probabilmente in una maggiore varietà delle unità di paesaggio e nel miglioramento della biodiversità.
Le superfici coltivate con metodo di produzione biologico incidono nella misura del 40% in termini di Sau; la presenza delle superfici biologiche è condizionata probabilmente dalla domanda dei consumatori delle filiere corte che si concentrano sui prodotti di qualità (Marino et al., 2013b) e guardano con crescente interesse ai principi dell'agricoltura biologica ed ecologica (Mastronardi et al., 2015).
Le superfici investite a prati e pascoli permanenti rivestono una forte consistenza negli ordinamenti aziendali (67% del totale) e testimoniano l’efficacia in questa circostanza delle politiche agroambientali riferite al mantenimento delle aree semi-naturali nei territori in cui sono localizzate le imprese censite.
Le superfici a bosco hanno, invece, una minore incidenza all’interno delle superfici aziendali (29% del totale), ma in ogni caso sempre rilevante.
Le superfici ricadenti nelle aree protette coprono il 13% della Sat: questo dato, anche se favorito dalla diffusione delle aree protette nelle fasce periurbane di alcune città, indica un impatto positivo per la relazione tra attività agricole e protezione dell’ambiente, in considerazione del fatto che la continuazione dei processi produttivi agricoli è positiva per il paesaggio e la biodiversità in tali aree (Marino, Mastronardi, 2013).
Si conferma, dunque, un quadro in cui le aziende che aderiscono a forme di filiera corta tendono a sviluppare tecniche più sostenibili a livello ambientale, che hanno un impatto positivo sulla biodiversità, sul paesaggio e sulle risorse naturali del territorio e, in tal senso, la filiera corta rappresenta un’opportunità per ridurre le esternalità negative dell'agricoltura sull'ambiente (Aguglia, 2009).
Dal punto di vista sociale, nelle aziende prestano lavoro, in media, 6 unità, di cui 2 familiari e 2 donne. Il rapporto Ult/Sau presenta valori piuttosto bassi, a causa dell’elevata incidenza negli ordinamenti produttivi, delle colture ad alta intensità di lavoro, come di quelle ortofrutticole, oltre che delle attività complementari, in particolare quelle di trasformazione, che assorbono lavoro. Nell’ambito della forza-lavoro, i coadiuvanti familiari e le donne incidono nella misura del 34% e 35%. La quota di lavoratori giovani (pari al 25% del totale) appare qui abbastanza diffusa, mentre è piuttosto rara nel settore agricolo nazionale. L’incidenza dei lavoratori disabili e dei pensionati è invece piuttosto marginale. La diffusione dell’occupazione femminile fra le realtà imprenditoriali che frequentano la filiera corta è in linea con la struttura dell’occupazione nelle aziende italiane. Da questi dati sembrerebbe quindi confermarsi il carattere innovativo di queste forme di commercializzazione, che sono scelte e portate avanti per lo più da imprenditori agricoli di nuova generazione. La filiera corta offre, dunque, buone opportunità per lo sviluppo delle attività dei giovani imprenditori e comporta la necessità di assumere personale extra-familiare per coprire le aumentate necessità di lavoro, creando ulteriori opportunità d’impiego per i residenti delle zone rurali. Minore è, invece, la capacità della filiera corta di assicurare integrazioni di reddito ai pensionati che si dedicano all’agricoltura e sbocchi occupazionali alle fasce più deboli della forza lavoro come le persone con disabilità e ciò limita sicuramente l’impatto sociale di queste esperienze di filiera corta sull’occupazione delle fasce deboli della popolazione (Marino et al., 2012).
Sotto il profilo economico, i valori delle produzioni standard appaiono in media alquanto elevati nella fattispecie delle produzioni pronte per il consumo finale, quali le ortive e i fruttiferi, oltre che per quelle olearie e vinicole, a testimonianza che si tratta di aziende efficienti sul piano tecnico-economico.
Passando al confronto tra le filiere, l’analisi mette in luce uno scenario più articolato che varia riguardo agli aspetti della sostenibilità presi in considerazione (Tabella 1).

Tabella 1 - Indicatori di sostenibilità delle tipologie di filiera corta (valori medi)

Fonte: elaborazione degli autori

Le aziende che vendono ai Gas presentano quote più consistenti di superficie biologica negli ordinamenti produttivi, mentre le aziende con la maggiore estensione colturale ricadente in aree protette si annoverano nelle tipologie VD e Apf, con quest'ultima che include anche alcune aziende con superfici a bosco. Le aziende Csa si caratterizzano per l’incidenza delle superfici a prati e pascoli.
Le aziende VD registrano fabbisogni lavorativi maggiori rispetto alle altre aziende, evidenziate dal numero di occupati e dal rapporto tra le unità lavorative e superficie agricola utilizzata. Le aziende che vendono nei farmers’ market si caratterizzano per la partecipazione femminile al lavoro più elevata. Le aziende che vendono ai Gas presentano una consistenza rilevante degli imprenditori e occupati giovani.
Le differenze economiche tra le aziende sono piuttosto ridotte. In ogni caso, le aziende Apf presentano valori della produzione standard più elevati rispetto alle altre aziende, riguardo le colture orticole, frutticole e quelle olivicole e viticole. Le aziende FMs, Gas e Apf registrano, invece, valori maggiori nelle produzioni zootecniche.
A livello territoriale (Tabella 2), le aziende censite nei mercati di Roma si caratterizzano per la maggiore consistenza della Sau biologica e dei prati e pascoli. Le aziende intervistate nelle “altre città” registrano una maggiore estensione di superficie in aree protette.
Nei mercati di Roma si riscontra la presenza di aziende con forte incidenza delle donne, mentre le aziende campionate nei mercati di Pisa registrano un numero maggiore di occupati giovani. Le aziende di Trento si differenziano per l’elevata intensità di lavoro per unità di Sau, mentre le aziende di Torino mostrano una partecipazione familiare più alta della media.
Le aziende di Roma e Torino presentano rispettivamente valori economici più alti nella produzione di ortaggi e di frutta.
In sintesi, i produttori Gas mostrano una chiara propensione per quasi tutte le dimensioni della sostenibilità, con particolare riferimento alla consistenza delle superfici coltivate con metodo di produzione biologico, all’intensità di lavoro, alla presenza d’imprenditori e occupati giovani, ai ricavi delle produzioni zootecniche. Le aziende dei FMs si caratterizzano per l’incidenza dei coadiuvanti familiari e, in misura minore, per una lieve vitalità economica, evidenziata dai ricavi delle produzioni zootecniche. Le aziende con vendita diretta presentano un’attitudine maggiore per gli aspetti ambientali relativi alla consistenza delle superfici ricadenti in aree protette e occupazionali. Le aziende pluri-filiera si contraddistinguono sul piano ambientale, anch’esse per la presenza di superfici ricadenti nelle aree protette, oltre che per l’incidenza dei prati e dei pascoli e per i boschi; queste aziende si distinguono sul piano economico, per i valori delle produzioni ortofrutticole e per quelle di olio e vino.
I mercati di Roma sono quelli più sostenibili sotto tutti gli aspetti. All’opposto, nei mercati di Lecce non si evince alcuna attenzione da parte dei produttori per i temi considerati. A Torino, si nota una situazione di sostenibilità per gli aspetti sociali ed economici. I mercati di Pisa e quelli di Trento si caratterizzano soprattutto per l’interesse verso la sostenibilità sociale. I mercati classificati “altre città” manifestano una propensione per la sostenibilità ambientale.

Tabella 2 - Indicatori di sostenibilità a livello di territorio (valori medi)

Fonte: elaborazione degli autori

Conclusioni

L’analisi svolta apre una riflessione sulle reali possibilità che la filiera corta favorisca la diffusione di modelli produttivi maggiormente sostenibili nelle aree periurbane e, di conseguenza, sulle politiche più efficaci per sostenere questi mercati, ovvero, sulle politiche più utili per rafforzare la sostenibilità. L’attenzione che segue il processo di sviluppo delle filiere corte, in Italia e non solo, sta infatti nella prospettiva analitica che si apre affrontando l’argomento: analizzare le filiere significa, in sostanza, affrontare i temi relativi al cibo e all’alimentazione, ai produttori e ai consumatori, all’ambiente e alle relazioni sociali, ossia affrontare una serie di argomenti complessi e interrelati tra loro che riguardano la sfera economica, ambientale e sociale.
La partecipazione alle esperienze di filiera corta consente alle imprese di reagire alle difficoltà che affiggono l’agricoltura, favorendo un processo di specializzazione e diversificazione aziendale, condizionato probabilmente dall’ ambiente urbano in cui esse operano.
Di riflesso, tali mercati sono fondamentali per promuovere la sostenibilità nelle aree periurbane in termini sociali, economici e ambientali, ma allo stesso tempo ci sono molte differenze nelle varie esperienze di filiera corta.
In definitiva, questa lettura della filiera corta fornisce al policy-maker alcune indicazioni sull’opportunità di sostenere - ad esempio - mediante sussidi e assegnazione di aree pubbliche questi mercati piuttosto che altri, tenendo conto peraltro del reale contributo che tali schemi della filiera possono apportare alle aree urbane e periurbane.
I risultati emersi possono consentire quindi di progettare interventi di policy finalizzati a stimolare la diffusione degli schemi di filiera corta, ovvero ad amplificare i loro effetti positivi nei diversi ambiti di riferimento.

Riferimenti bibliografici

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  • 1. L'indagine è stata condotta nell'ambito del progetto finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e coordinato dal Consorzio Interuniversitario per la Ricerca Socio-economica (Cursa).
  • 2. Questa categoria include le interviste effettuate mediante compilazioni di questionari somministrati  in via telematica ai produttori utenti della Rrn Inea.
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