Introduzione
Il tema della sicurezza alimentare globale ha acquisito una nuova centralità a partire dal biennio 2007-2008 in cui, a causa dell’improvviso aumento dei prezzi agricoli, milioni di persone al mondo hanno registrato un peggioramento delle condizioni di vita, particolarmente drammatico nei Paesi in via di sviluppo (Cohen, Smale, 2014). È stato stimato che l’incremento dei prezzi del cibo, che ha causato un effetto reddito negativo per le famiglie, si è tradotto in alcuni Paesi in un aumento della spesa pubblica finalizzata ad alleviare la povertà superiore al 3 per cento del Pil1(Dessus et al., 2008).
Il perdurare della crisi economica, ambientale ed energetica implica una rielaborazione del concetto di sicurezza alimentare, ormai sempre meno inquadrato attraverso le categorie Nord – Sud tipiche dell’immaginario collettivo e delle narrative sottintese alle politiche in questo ambito (Godfray et al., 2010; Cordell et al., 2009). Anche in Europa, la crescita della povertà rende necessaria una riflessione specifica sulle politiche per la sicurezza alimentare interna, rimaste sostanzialmente ferme alle enunciazioni del Trattato di Roma.
Sempre più spesso emerge nel dibattito contemporaneo il riferimento alla sicurezza alimentare come diritto. L’approccio basato sui diritti, ormai prevalente nel discorso ufficiale, è ancora lontano da una piena applicazione, ma ha il merito di inserire la sicurezza alimentare in un contesto di dinamiche sociali e politiche, oltre a quelle più tecnico-economiche. La principale fonte giuridica di questo orientamento è la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, sottoscritta dai Paesi Membri dell’Onu, che recita: “Ciascuno ha il diritto ad uno standard di vita adeguato alla sua salute e al benessere suo e della sua famiglia, che includa il cibo, il vestiario, l’abitazione, le cure mediche e i servizi sociali necessari, e il diritto alla sicurezza nel caso di disoccupazione, malattia, disabilità, vedovanza, vecchiaia o la mancanza di altri fattori di sopravvivenza in circostanze al di là del proprio controllo” (Udhr, 1948, nostra traduzione).
Tale enunciato, che ha ispirato la costruzione dei sistemi di welfare in molti Paesi occidentali nel dopoguerra, è diventato parte integrante della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, entrata in vigore nel 1976 (Icescr, 1976). All’art.11, gli Stati firmatari riconoscono il diritto di ciascuno al cibo e si impegnano a migliorare le tecniche di produzione, a introdurre le riforme agrarie e a regolare in modo opportuno i flussi commerciali tra Paesi: in un mondo in cui la popolazione agricola e rurale era la stragrande maggioranza, la sicurezza alimentare era un problema essenzialmente agricolo.
Questo approccio, che ha almeno in parte ispirato la cosiddetta rivoluzione verde, rimane prevalente fino al 1999, anno in cui il Comitato Onu sui diritti economici, sociali e culturali approva il General Comment no. 12 (Cescr, 1999). Il documento fa esplicito richiamo ai doveri degli Stati nel garantire il diritto a un’alimentazione adeguata, da realizzare seguendo un gradiente di livello di protezione:
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il dovere di rispettare, che guarda allo Stato come potenziale attore di discriminazione tra gruppi, come è accaduto in Paesi interessati da conflitti. In questo caso, si afferma che il cibo non può diventare uno strumento da impiegare come arma contro una parte;
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il dovere di proteggere, che riguarda il ruolo dello Stato nella contesa tra gruppi. È dovere dello Stato far sì che, nei rapporti tra le forze sociali, una parte non espropri quella più debole delle proprie titolarità all’accesso, come potrebbe accadere nel caso di salari al di sotto della sussistenza o di espropriazione di terra e acqua;
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il dovere di facilitare, che attiene alla creazione di un ambiente favorevole all’accesso e all’utilizzo, attraverso l’istruzione e la formazione, la realizzazione di infrastrutture, la definizione di regole eque;
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il dovere di provvedere, infine, che riguarda quelle situazioni in cui la capacità degli individui, delle famiglie o delle comunità locali viene meno, rendendo necessario provvedere ad adeguati trasferimenti per sopperire alla mancanza di altre forme di titolarità.
Le implicazioni politiche di questo documento sono molto rilevanti: i titolari di diritti sono posti di fronte ai titolari di doveri, in questo caso gli Stati, tenuti ad agire in situazioni di insicurezza alimentare2. È molto significativo il caso della Corte Suprema Indiana che nel 2001, appellandosi al diritto al cibo, ha imposto al governo indiano l’attivazione di programmi di pasti gratuiti nelle scuole, fissando anche standard nutrizionali minimi: due anni dopo, la maggior parte degli Stati aveva aderito al Mid Day Meal Scheme, raggiungendo 120 milioni di alunni delle scuole pubbliche nel 20063 (Singh et al., 2012).
Il presente articolo si propone di evidenziare i possibili nodi dell'implementazione del principio del diritto al cibo nelle politiche alimentari. A tale proposito viene tratteggiato un approccio sistemico, che considera la sicurezza alimentare come effetto di un insieme di attività svolte da attori diversi e soggette a regole di varia natura (Ericksen, 2007; Fraser et al., 2005), e che incorpora l'approccio agli entitlements di Sen (1981). Attraverso l'approccio sistemico è possibile identificare i titolari di diritti e i titolari di doveri, analizzare i meccanismi che generano condizioni di sicurezza o insicurezza alimentare, individuare le responsabilità dei vari soggetti, mettendo al contempo in evidenza contraddizioni e conflitti.
Gli aspetti sistemici della sicurezza alimentare
Si può considerare sicuro un Paese che produce cibo sufficiente, ma che non riesce a garantire in modo adeguato il diritto al cibo per una parte, piccola o grande, della popolazione? Occorre guardare agli individui o al sistema nel porre questa domanda?
Se da una parte le definizioni ufficiali fanno riferimento alle persone, dall’altra la discussione sulle politiche di intervento fa riferimento ai sistemi, siano essi locali, nazionali o globali.
L’ottica di sistema pone grande attenzione alle leve del cambiamento; tuttavia, un’eccessiva concentrazione sul sistema può portare a trascurare i diritti dei più deboli, che rischiano di essere esclusi dall’analisi, e trasmettere una percezione ottimistica della performance. D’altra parte, un approccio centrato esclusivamente sugli individui, se pure ha il merito di identificare le disuguaglianze nella distribuzione delle risorse, può far perdere di vista le cause profonde dell’insicurezza alimentare. Occorre, dunque, un approccio che leghi la sicurezza degli individui e la sicurezza del sistema in un unico quadro concettuale, obiettivo non facile se si considerano le complicazioni teoriche e metodologiche del legare l’analisi micro all’analisi macro.
In un tale approccio sarà necessario partire dall’individuare coloro i cui diritti non sono rispettati, dunque dagli individui e i gruppi più vulnerabili che, vista la complessità dei percorsi individuali e la variabilità dei contesti, potrebbero risultare difficili da rintracciare. Vi sono poi coloro i cui diritti potrebbero non essere mantenuti nel tempo, proprio perché più vulnerabili; comprendere i processi che portano le persone o determinati gruppi sociali dalla sicurezza all’insicurezza alimentare può contribuire a capire in che modo le attività del sistema influiscono su questi processi (Ingram, 2011; Ingram e Brklacich, 2002). Ad esempio, la presenza di gruppi a basso reddito in aree dove prevalgono gruppi ad alto reddito ostacola l’accesso dei primi a causa della prevalenza di prodotti di migliore qualità ma anche di prezzo superiore (Shaw, 2006; Cummins, 2002).
Un secondo aspetto da considerare saranno le attività del sistema, ovvero produzione, trasformazione, distribuzione e consumo di alimenti: in questo contesto occorrerà tener conto di tutte le forme di autoproduzione, le mense pubbliche, l’assistenza alimentare e le reti di solidarietà sociale che operano su un territorio. Tra i titolari delle attività del sistema si distinguono imprese private, famiglie, istituzioni pubbliche e organizzazioni della società civile; questi ultimi soggetti, in particolare, hanno in molti Paesi un ruolo fondamentale nell’assistenza alimentare (Barrett, 2002). L’analisi del sistema non potrà astenersi dal considerare gli aspetti legati ad attività di informazione, educazione, produzione culturale, tutte in grado di incidere sui possibili sviluppi dei processi in esame. La scarsa educazione sugli aspetti nutrizionali dell’alimentazione e la mancanza di competenze nella preparazione dei cibi costituiscono importanti fattori di vulnerabilità: entrambi, peraltro, sono sempre più frequenti in un mondo in cui la comunicazione tra generazioni su questi aspetti è interrotta ed è spesso la pubblicità a influire sui comportamenti alimentari dei soggetti più vulnerabili, soprattutto bambini (Vereecken et al., 2006). Un terzo aspetto da considerare saranno gli effetti delle attività del sistema, che da una parte influenzano il benessere sociale, economico e ambientale, e dall’altra ne vengono influenzati, perché un maggior benessere consentirebbe, ad esempio, di mobilitare riserve in caso di crisi. Il problema metodologico di considerare tutte queste attività come un sistema unico dipende dal fatto che una parte di esse è regolata solo in una certa misura dal mercato. Per esempio, l’assistenza svolta dalle associazioni caritatevoli genera risorse ‘gratuite’ e non soggette a parametri commerciali, come il lavoro volontario o le donazioni di beni. Gli orti urbani, che operano per lo più al di fuori dei meccanismi di mercato, sono diventati di grande interesse perché mettono insieme la disponibilità di prodotti alimentari freschi e nutrienti e una base di sussistenza indipendente da fattori monetari (Kortright, Wakefield, 2011; Allen, 1999). L’assistenza alimentare pubblica richiede procedure piuttosto complesse per l’identificazione e la verifica della titolarità dei diritti, spesso inefficaci a raggiungere al momento opportuno quanti hanno davvero bisogno.
Multidimensionalità della sicurezza alimentare nell'ottica sistemica
Nel 2001, aggiungendo il termine 'sociale' a quelli 'fisico' ed 'economico' presenti nella dichiarazione di Roma scaturita dal World Food Summit del 1996 (Fao, 1996), la Fao ha definito la sicurezza alimentare come condizione in cui "tutte le persone, in ogni momento, hanno accesso fisico, sociale ed economico ad alimenti sufficienti, sicuri e nutrienti, che garantiscano il soddisfacimento delle loro esigenze e preferenze per condurre una vita attiva e sana" (Fao, 2001). Il fulcro della definizione, dopo un lungo percorso evolutivo, si è dunque spostato dalla disponibilità4 all’accesso (fisico, economico e sociale) (Maxwell, 1996). Questa definizione ha sancito l’adozione di un approccio multidimensionale alla sicurezza alimentare: il problema non è più visto in relazione alla scarsa disponibilità di cibo, che se osservata a livello globale supera ampiamente la domanda, bensì ai mezzi per procurarselo, come già sostenuto da Sen (1981). Inoltre, questa nuova definizione, introducendo l'aspetto nutrizionale, apre la strada ad un nuovo modo di calcolare gli indicatori di sicurezza alimentare andando oltre la misura dei fabbisogni calorici: le caratteristiche degli alimenti vengono valutate in relazione alle esigenze nutrizionali in termini di proteine, fibre e microelementi e all’accettabilità culturale del cibo. La sottolineatura dell'aspetto nutrizionale ha portato al progressivo affermarsi del concetto di 'food and nutrition security' 5.
Il concetto di sicurezza alimentare sottende almeno tre dimensioni, ciascuna delle quali rappresenta un fattore limitante per le altre: la disponibilità, l’accesso e l’utilizzo (Fao, 2013). La stabilità nel tempo di queste tre dimensioni, a sua volta considerata come una quarta dimensione trasversale, è necessaria affinché si possa avere sicurezza alimentare. È noto, ad esempio, che la stagionalità dei raccolti rende critici alcuni momenti dell’anno, così come andamenti dei prezzi, situazioni di conflitto, eventi meteorologici occasionali possono generare condizioni temporaneamente difficili anche in contesti di solito soddisfacenti. Esiste infine una quinta dimensione, anch’essa orizzontale alle altre, ma non esplicitamente considerata nei documenti ufficiali, ma già presa in considerazione da Sen (1981), e fortemente sostenuta dal movimento della sovranità alimentare (Martínez-Torres, Rosset, 2010). Benché nato soprattutto in difesa dei diritti, spesso negati, dei contadini e dunque inadatto a fornire risposte adeguate a tutti i problemi che riguardano la sicurezza alimentare in una società in via di urbanizzazione, il movimento della sovranità alimentare ha sollevato questioni di interesse generale, tra cui quella della capacità di controllo degli strumenti in grado di garantire la sicurezza alimentare. Possiamo dunque considerare come quinta dimensione della sicurezza alimentare il controllo, inteso come capacità da parte degli individui, delle famiglie, delle comunità, di agire sulle altre dimensioni.
Le dimensioni della stabilità e del controllo consentono di osservare la sicurezza alimentare in un’ottica dinamica, cogliendo le differenze tra presente e futuro, tra sicurezza alimentare effettiva e potenziale, e mettendo in evidenza i punti critici del sistema e la sua capacità di resistere alle avversità.
Alla luce di queste considerazioni, le dimensioni della sicurezza alimentare possono essere rappresentate come in figura 1.
Figura 1 – Le dimensioni della sicurezza alimentare
Fonte: nostra elaborazione
La disponibilità
La disponibilità di alimenti viene misurata a livello aggregato regionale, nazionale o globale. Se misurata a livello regionale o nazionale, essa dipende dalla produzione di un Paese, dal livello degli stock e dalle importazioni ed esportazioni rispetto al fabbisogno, considerati in un certo arco di tempo. Il dibattito sulla disponibilità assume spesso una prospettiva globale, la più adatta a questioni relative ai cambiamenti climatici, all’aumento della popolazione, alla produttività, ai trade-off tra diverse destinazioni delle risorse (ad esempio, tra destinazione agricola e urbanizzazione dei suoli, produzione di cibo e di biocarburanti, produzione di alimenti per animali e per l’alimentazione umana, ecc.). Anche l’interesse verso gli enormi sprechi alimentari e l’impatto della cosiddetta transizione alimentare, ovvero il passaggio a diete con una maggiore proporzione di cibi trasformati e di origine animale, hanno una risonanza globale (Godfray et al., 2010; Drewnowski, Popkin, 1997).
Passando dal piano globale a quello nazionale e sub-nazionale, stabilità e controllo della disponibilità acquistano importanza di fronte a cali temporanei della produzione agricola, volatilità dei mercati, necessità di mantenere la capacità dell’agro-ecosistema. Durante le crisi alimentari del 2008, i forti rialzi dei prezzi hanno messo in luce le relazioni tra la rigidità della domanda di commodities agricole e gli incentivi alla produzione di biocarburanti e spiazzato tanto gli organismi internazionali quanto gli Stati, i quali nel frattempo, contando sulla liberalizzazione dei mercati, avevano ridotto al minimo gli stock. In quell’occasione, diversi Paesi hanno reagito alla crisi disincentivando le esportazioni e facendosi a loro volta responsabili, secondo alcuni, dell’ulteriore instabilità di Paesi strettamente dipendenti dal commercio internazionale. Tutto questo dibattito ha avuto importanti ripercussioni sull’accordo stipulato a Bali nel Doha Round (Anania, 2015), frutto di un compromesso tra opposti interessi e scuole di pensiero: da una parte, infatti, è stata portata avanti un’ulteriore liberalizzazione del commercio internazionale, mentre dall’altra sono state accettate misure, seppur transitorie, legate alla sicurezza alimentare, come stock domestici e quote massime per l’importazione. Questioni relative al controllo vengono sollevate anche in riferimento a politiche tecnologiche e di integrazione dei mercati: nel caso delle sementi, ad esempio, è stato rilevato che l’adozione di politiche di protezione della proprietà intellettuale, sul modello americano, rende l’agricoltura di un Paese dipendente dai grandi monopoli internazionali (Moschini, 2010). In modo analogo, l’integrazione nelle filiere globali del valore, se pure da una parte offre l’opportunità di accedere a nuovi mercati, dall’altra vincola le agricolture nazionali a standard di qualità definiti dall’esterno (Henson, Reardon, 2005).
Il problema della disponibilità tende a monopolizzare il dibattito sulla sicurezza alimentare, confondendo piani di analisi e orizzonti temporali. È chiaro per molti che il problema malthusiano – ossia il rapporto tra crescita della popolazione e crescita della disponibilità alimentare – è un problema concreto in relazione alla scarsità delle risorse del pianeta: tuttavia, mentre questo problema è riferito al medio o lungo periodo, lo stato di malnutrizione di un miliardo di persone richiede risposte immediate, che riguardano soprattutto l’accesso al cibo e la sua utilizzazione (Gomez et al., 2013; Pinstrup-Andersen, 2009).
L’accesso
Sebbene un gran numero di poveri sia ancora concentrato nelle aree rurali, in una società a crescente urbanizzazione l’accesso al cibo è sempre meno un problema agricolo e questo è ancora più vero se dai Paesi del Sud ci si sposta verso i Paesi del Nord. In Italia, ad esempio, recenti statistiche hanno rilevato sei milioni di poveri assoluti, corrispondenti a circa il 10% della popolazione6 (Istat, 2014). Tra le fasce più povere, molti manifestano difficoltà a consumare pasti adeguati nel corso della giornata: in particolare, i livelli più alti di insicurezza alimentare riguardano i soggetti più deboli, come gli anziani, le famiglie monogenitore, i bambini, i disoccupati e i precari (Gentilini, 2011; Riches, Silvasti, 2014).
Gli studi sulla dimensione dell’accesso nella sicurezza alimentare (cf. Corbett, 1988) beneficiano del lavoro teorico di Sen (1981), secondo il quale individui e famiglie possono produrre il proprio cibo (accesso diretto), acquistarlo (accesso indiretto) o riceverlo (trasferimento diretto a titolo non oneroso), in base alla titolarità di un diritto (entitlement), come la proprietà o l’affitto di un terreno, il reddito da lavoro o la pensione, la presenza di requisiti personali o familiari per l’accesso a sussidi monetari o in natura (Figura 2). Attraverso l’attività umana, la titolarità viene trasformata in un beneficio (‘funzionamento’ nella terminologia di Sen), in questo caso in accesso al cibo. Il rapporto tra titolarità ed entità del beneficio dipende dalle capacità individuali e dal contesto in cui la titolarità viene esercitata: ad esempio, la capacità di trasformare in cibo il possesso di un pezzo di terra dipende dallo stato di salute del titolare, dalle sue conoscenze, dalla motivazione e resistenza alle avversità (capacità), dalla disponibilità di sementi ed acqua (contesto). Le stesse titolarità, esercitate in contesti diversi, possono determinare diversi livelli di sicurezza alimentare.
Figura 2 - Le modalità dell'accesso al cibo
Fonte: nostra elaborazione da Sen (1981)
La stabilità dell’accesso viene messa in relazione alla gestione, da parte di individui e famiglie, di un portafoglio di titolarità, che permetta loro di ridurre il rischio di insicurezza alimentare e di gestire le carenze di una titolarità compensandola con altre. Nel caso di titolarità legata alla produzione agricola (accesso diretto), che ha natura stagionale e garantisce la sicurezza alimentare in un determinato periodo dell’anno, si può ricorrere a lavori occasionali (accesso indiretto) o al supporto offerto dalle reti di solidarietà familiari (accesso per trasferimento) per compensarne l’instabilità. In modo analogo, all’aumento dei prezzi dei generi alimentari, che diminuisce la titolarità di accesso indiretto, si può reagire intensificando la produzione dell’orto domestico, chiedendo un sostegno ai parenti oppure ricorrendo all’assistenza alimentare. Politiche locali per la definizione delle aree agricole o l’assegnazione di spazi per orti urbani possono influenzare in misura notevole la qualità dell’accesso, anche in presenza di fattori esterni di rilievo.
L’utilizzo
La dimensione dell’utilizzo attiene all’adeguatezza del cibo rispetto ai bisogni, i quali sono definiti sia sotto il profilo fisiologico che sotto il profilo culturale. L’utilizzo mette l’accesso al cibo in relazione con i benefici che possono derivarne: è questo aspetto, più che l’abbondanza in sé, a determinare una differenza fra livelli di sicurezza alimentare all’interno di un Paese e tra Paesi.
Il problema della malnutrizione, legato all’insufficienza di calorie, proteine, minerali e vitamine, è frequente tanto nei casi di consumo sovrabbondante e obesità quanto in quelli di denutrizione: fattori come la scarsa qualità dei cibi, ambienti malsani per la preparazione dei pasti, mancanza di acqua potabile, scarsa educazione alimentare e ridotte abilità nella preparazione e conservazione dei cibi sono in grado di condurre a diete sbagliate. Persino gli squilibri di potere interni alle famiglie possono procurare problemi specifici di malnutrizione alle fasce più deboli, dunque a donne e bambini (Pinstrup-Andersen, 2009).
Altro aspetto da non trascurare nella sfera dell’utilizzo è l’influenza degli aspetti culturali: ogni cultura ha un suo sistema di regole, più o meno rigide, per l’alimentazione, che spesso derivano da forme di adattamento a specifici contesti socio-ecologici (Messer, 1984). Talvolta queste possono comportare costi aggiuntivi per le politiche di assistenza alimentare, in quanto impongono uno studio attento delle abitudini e un’organizzazione più complessa. A tal proposito, ci sarebbe da chiedersi quante delle molteplici iniziative di sostegno allo sviluppo da parte dei Paesi occidentali tengano conto di questi aspetti. La dimensione del controllo, che in questo caso si declina in libertà di scelta del cibo da produrre e consumare da parte di una comunità, diventa dunque cruciale considerata in rapporto all’utilizzo.
Sicurezza alimentare, sistema alimentare e diritti
Se sicurezza alimentare e povertà sono così strettamente collegate è necessario domandarsi se le soluzioni al problema della sicurezza alimentare non siano da ricercare nelle politiche economiche e in quelle sociali piuttosto che in quelle agro-alimentari (Lang et al., 2009). La risposta a questa domanda è solo in parte positiva: qualora, infatti, il problema fosse legato all’accesso indiretto, ovvero alla disponibilità di reddito per l’acquisto di cibo, si potrebbe sopperire alle difficoltà croniche o temporanee con adeguate politiche per l’occupazione e trasferimenti mirati alle fasce più deboli. Tuttavia, l’intervento statale ha il limite oggettivo della disponibilità di risorse, che in gran parte dipendono dall’andamento dell’economia. Inoltre, un approccio in cui lo Stato interviene direttamente sui fallimenti del mercato anziché sulle loro cause è destinato all’insuccesso. È dunque necessario rivedere il rapporto tra sistema alimentare e protezione sociale per capirne connessioni, contraddizioni e possibili sinergie invece che considerarli due sistemi a sé stanti: esaminare le varie titolarità all’accesso e osservare in che modo agiscono su di esse i meccanismi di mercato, l’auto-organizzazione della società civile e i sistemi di protezione sociale è la chiave per trasformare le performance di un sistema.
È in questa prospettiva che va letto un recente documento del Comitato per la sicurezza alimentare della Fao (Hlpe, 2012), in cui viene identificato un insieme di strumenti a disposizione degli Stati per far fronte all’insicurezza alimentare. Tali strumenti sono indirizzati a tutte le fonti di titolarità dell’accesso e se ne ipotizza un uso calibrato in funzione del livello di povertà e degli aspetti dinamici della sicurezza alimentare. Il documento classifica gli interventi in quattro categorie (produzione, lavoro, commercio e trasferimenti) e ciascuno di essi mira a ottenere obiettivi specifici: riduzione del rischio stagionale, lavori socialmente utili per alleviare la disoccupazione temporanea, politiche del commercio in grado di garantire gli approvvigionamenti, programmi di refezione scolastica rivolti ai bambini per garantirne al tempo stesso il diritto al cibo e all’istruzione, trasferimenti monetari alle madri, per rafforzarne il ruolo all’interno della famiglia.
Un esempio di analisi sistemica è quella relativa all'assistenza alimentare ai più poveri. In Italia, una parte consistente dell’assistenza alimentare è gestita dal settore non-profit e da imprese sociali e interessa risorse di varia natura, che vanno dal lavoro volontario alle donazioni provenienti dal sistema produttivo e commerciale alle sovvenzioni pubbliche europee agli indigenti. In parte, questo fenomeno è spiegato dalla parziale incapacità delle politiche di entrare in rapporto coi soggetti più vulnerabili. Le cause di tale inadeguatezza vanno ricercate tanto nella natura multidimensionale della povertà – che richiede interventi compositi (educativi, sanitari, lavorativi, abitativi, psico-sociali) tra loro coordinati – quanto nella difficoltà di ottenere le informazioni necessarie a minimizzare il rischio di distribuire malamente le risorse a disposizione (Campiglio, Rovati, 2009). La sollecitazione dell’opinione pubblica ha spinto molte imprese a mettere in atto strategie per ridurre gli sprechi, come ad esempio i prezzi dimezzati per i prodotti in scadenza, e questo ha generato delle tensioni sul lato dell’assistenza, che contava su un flusso costante di questi prodotti. In che modo un approccio basato sul diritto al cibo può modificare un meccanismo fino ad ora efficace e flessibile proprio perché inserito all'interno di un vuoto di sistema?
Conclusioni
Le implicazioni derivanti dall’affermazione della sicurezza alimentare come diritto – riconosciuto ed esigibile – sollevano nuove sfide per il sistema politico e sociale e richiedono di adoperare strumenti adeguati all’ampiezza del problema. Lo sviluppo di un approccio sistemico consente di identificare i meccanismi attraverso cui l'insicurezza alimentare si manifesta e genera strumenti conoscitivi utili alla rivendicazione dei diritti e alla loro soddisfazione. In particolare, l'approccio sistemico può mettere in luce le vulnerabilità del sistema alimentare concentrandosi sui processi chiave: in questa prospettiva, la valutazione degli impatti delle diverse componenti del sistema alimentare sulla disponibilità di cibo, ma soprattutto sulle modalità di accesso e di utilizzo, rappresenta un passaggio fondamentale. Identificare situazioni critiche e condizioni virtuose può contribuire a migliorare la sicurezza alimentare e nutrizionale, sia a livello di singoli soggetti vulnerabili che a livello di sistema nel complesso. Se rivolgiamo lo sguardo all’Italia, al momento, l’approccio di sistema è assente dalle politiche: non esiste un monitoraggio sistematico delle aree di vulnerabilità alimentare, l’assistenza alimentare è delegata alle organizzazioni caritatevoli, i trasferimenti agli indigenti sono legati alle politiche di welfare e non prevedono un focus specifico sugli aspetti della nutrizione e l’educazione alimentare è molto influenzata dagli interessi delle imprese private. D’altronde, la richiesta di maggiore integrazione tra obiettivi delle politiche agricole e delle politiche mirate alla coesione sociale è al centro di un dibattito crescente. Infatti, i principi per il disegno di strumenti di intervento sistemici dovranno poggiare sulla necessità di mantenere vitale il sistema produttivo e, al contempo, di ridurre le diseguaglianze nell’accesso e nella disponibilità al cibo, le inefficienze e gli effetti distorsivi delle politiche. La crisi economica ha mostrato la fragilità dell’attuale sistema e con essa la percezione del problema della sicurezza alimentare: è giunto il momento di porre mano alle politiche.
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- 1. Questo costo è approssimato per difetto, dato che questo studio stima l’impatto sulla sola popolazione urbana di un campione di 72 Paesi in via di sviluppo.
- 2. Se si considera che gli Stati firmatari si impegnano a rendere effettivo il diritto al cibo, è significativo che Paesi come Usa e Australia non abbiano mai sottoscritto il General Comment no. 12.
- 3. Ogni giorno, a tutti gli alunni delle scuole primarie pubbliche viene fornito un pasto gratuito conforme ai requisiti minimi di 300 kcal e 8-12 grammi di proteine fissati dalla Corte Suprema indiana.
- 4. Nel 1974 la sicurezza alimentare era definita come disponibilità, in ogni momento, di una fornitura adeguata di alimenti di base a livello globale, tale da consentire una costante espansione dei consumi alimentari e da compensare le fluttuazioni della produzione e dei prezzi. (UN, 1975).
- 5. Si veda ad esempio [link]
- 6. Dati riferiti al 2013.