Nella sua nuova veste, il presidente della European Association of Agricultural Economists (Eaae) ha gentilmente scritto questo editoriale per Agriregionieuropa.
Le sfide relative all’alimentazione che sono davanti a noi sono tutte legate alla sfera dei legami tra cibo e diritti fondamentali: diritti dei consumatori, diritti dei lavoratori, diritti degli agricoltori e, più in generale, delle imprese agricole, diritti delle generazioni future.
Quattro le grandi sfide con cui dobbiamo fare i conti.
- Ancora nel 2014, più di 800 milioni di persone - sui 7,1 miliardi che abitano il pianeta, l’11,3% - si vedono negato in maniera sistematica (non, quindi, episodica) il diritto ad una nutrizione sufficiente, in qualità e qualità, per poter condurre una vita sana (Fao, 2014). Se è vero che il numero dei malnutriti si sta progressivamente riducendo, sia in termini assoluti che relativi, è vero anche che la velocità alla quale sta diminuendo è molto minore di quella che sarebbe auspicabile e non è la stessa in tutte le aree del globo. Nel mondo nel suo insieme il numero delle persone cronicamente malnutrite è diminuito tra il triennio 1990-92 e quello 2012-14 da poco più di un miliardo a 805 milioni, dal 18,7% della popolazione complessiva all’ 11,3%. Nei paesi dell’Africa Sub-Sahariana i malnutriti sono però ancora oggi quasi un quarto della popolazione (il 23,8%) ed il loro numero è cresciuto nello stesso periodo da 176 milioni (il 33,3% della popolazione) a 214. La causa fondamentale della malnutrizione non è oggi un’insufficiente disponibilità di alimenti, ma la povertà in cui versa una quota rilevante della popolazione mondiale. Ciononostante, l’agricoltura conserva un ruolo centrale nelle strategie per eliminare la malnutrizione per almeno due ragioni: essa è chiamata a svolgere un ruolo importante per la riduzione della povertà rurale nelle aree meno sviluppate del pianeta; garantire una crescita della produzione di alimenti al passo con i tassi attesi di crescita della popolazione rimane una sfida che sarebbe sbagliato, guardando semplicemente al passato, sottovalutare.
- Molti lavoratori senza terra - a casa nostra come altrove, sia pure in misura e con modalità molto diverse - vedono negato il loro diritto ad una remunerazione equa ed a condizioni di lavoro accettabili dal punto di vista della loro salute, delle condizioni di sicurezza, del numero di ore lavorate, della tutela dei diritti dei minori. Essi costituiscono la componente in assoluto più debole (e meno capace di farsi valere nei processi di decisione politica) tra i soggetti coinvolti, a vario titolo, nella produzione e nella distribuzione di alimenti.
- In gran parte delle "filiere" agro-alimentari globali la distribuzione del valore prodotto è oggi tutt’altro che equa. Le grandi imprese attive nell’intermediazione commerciale su base globale e quelle attive nella distribuzione al dettaglio degli alimenti appaiono spesso in grado di limitare il diritto delle imprese agricole ed agro-industriali a ricevere un prezzo equo per i loro prodotti. Le grandi imprese attive nella produzione e nella distribuzione su base globale di mezzi tecnici appaiono, sempre più, in grado di condizionare in maniera determinante ciò che viene prodotto e consumato, riducendo gli spazi della libertà tanto dei produttori che dei consumatori finali, e di catturare una quota crescente del valore generato dalla produzione di alimenti.
- Il diritto di coloro che verranno dopo di noi ad avere a disposizione risorse naturali equivalenti, in quantità e qualità, a quelle che abbiamo ricevuto in dote dalle generazioni che ci hanno preceduto appare messo in discussione dalla diffusione in molte aree del pianeta di pratiche produttive insostenibili dal punto di vista dell’equilibrio ecologico, da un insufficiente progresso tecnologico di tipo resource-saving e da reazioni sistemiche agli effetti previsti dei cambiamenti climatici che ci aspettano che appaiono ancora troppo deboli.
Sfide enormi. Ciò che è in gioco sono l’eradicazione della malnutrizione e, allo stesso tempo, l’equità e la sostenibilità, ambientale e sociale, del sistema alimentare globale.
Queste sfide coinvolgono direttamente, in prima fila, gli economisti impegnati su temi legati alla produzione agricola ed agro-industriale, ai nessi tra questa e le risorse naturali, al funzionamento dei mercati dei prodotti alimentari, ed alle politiche pubbliche rilevanti per la produzione ed il consumo di alimenti. Nostra la responsabilità di studiare questi temi analizzando i processi economici rilevanti sottesi ed i comportamenti degli attori coinvolti, e valutando l’efficacia delle politiche pubbliche, sia di quelle utilizzate che di quelle che si potrebbero introdurre. Ma le responsabilità degli economisti non si fermano qui: abbiamo anche la responsabilità di diffondere i risultati del nostro lavoro su questi temi, per informare la pubblica opinione ed i decisori pubblici - una responsabilità questa cui, soprattutto in Italia, siamo ancora poco abituati (e poco motivati dalle istituzioni per le quali lavoriamo).
Strano paese quello in cui si può sostenere da posizione autorevole che le decisioni politiche non hanno bisogno del sostegno di competenze! La mia opinione è che l’idea che la politica possa fare a meno dei "professori" nelle sue scelte sia sbagliata almeno quanto quella che "professori" chiamati a responsabilità di governo compiano scelte "tecniche". La buona politica è tale solo se le sue scelte sono basate su solide analisi realizzate da "competenti". Il ruolo dei competenti non è quello di indicare la strada su cui incamminarsi, ma di consentire di valutare gli effetti che ci dobbiamo attendere incamminandoci lungo le diverse strade possibili. La scelta tra queste strade è poi propria della sfera della politica - sia che a compierla sia stato chiamato un "professore", sia che essa sia stata presa da un decisore politico "puro".
È per questo che scelte pubbliche efficaci in materia di agricoltura, alimentazione e sviluppo rurale dipendono anche da noi ricercatori. La nostra capacità di fare buona ricerca sui temi legati alle sfide che ci attendono è sicuramente molto importante, ma, da sola, non basta; è anche necessario investire tempo ed energie per divulgare in maniera efficace i risultati del nostro lavoro al di là dei confini della comunità scientifica. E’ questa una condizione necessaria perché i risultati delle nostre ricerche possano avere rilevante valore sociale, oltreché scientifico. Nel nostro paese si ha spesso l’impressione che i benefici sociali della ricerca scientifica siano solo quelli che possono derivare dallo sviluppo industriale dei risultati della ricerca applicata…come se quelli dei risultati di una ricerca che individuasse politiche economiche più efficaci per raggiungere un rilevante obiettivo sociale fossero trascurabili!
Da questo punto di vista le istituzioni nell’ambito delle quali lavoriamo sono spesso indietro. Questo non può però costituire un alibi. Investire tempo ed energie nella divulgazione dei risultati delle nostre ricerche che possono avere rilevanti ricadute sociali è tra le nostre responsabilità, a prescindere che ci venga richiesto o meno; dobbiamo farlo semplicemente per la rilevanza dei problemi dei quali ci occupiamo e per l’importanza del riuscire a dare ad essi risposte collettive adeguate.
A distanza di quasi dieci anni dalla sua nascita, Agriregionieuropa si è dimostrata uno strumento di straordinaria efficacia per aiutarci a realizzare in maniera rapida il necessario scambio di informazioni sui risultati delle ricerche economiche sui temi dell’agricoltura, dell’alimentazione e dello sviluppo rurale realizzate nel nostro paese tra quanti lavorano sui temi dell’agricoltura nel mondo della ricerca, da un lato, ed in quello delle imprese e delle istituzioni, dall’altro.
Grazie Are!
Riferimenti bibliografici
- Fao (2014), The State of Food Insecurity in the World 2014, Rome