Le sfide dell’innovazione in ambito rurale e il cambio di passo promosso dai Pei
Il sistema di innovazione in agricoltura è da anni oggetto di motivate critiche e di una promessa di profondo rinnovamento, spinto da sollecitazioni interne ed esterne al settore agroalimentare. Ne rappresentano motivazioni: lo stallo delle rese agricole, il perseguimento di esigenze produttivistiche, la stagnazione dei redditi agrari, l’inadeguatezza delle pratiche agrozootecniche di fronte alle sfide ambientali e climatiche, il fallimento del trasferimento lineare di tecnologie e tecniche dalla scienza formale agli utilizzatori (Colombo e Onorati, 2009; Sundkvist et al., 2005; Thompson e Scoones, 2009). Gli esiti di tale rinnovamento restano incerti, ma le pressioni che lo reclamano stanno già determinando un ridisegno dei percorsi di ricerca e di generazione dei saperi, riposizionandoli all’interno di un processo sociale che coinvolge attori diversi e che mobilita molteplici fonti di conoscenza, con la prospettiva di integrare distinti saperi in un reciproco consolidamento.
Il notevole riorientamento nella concezione delle scienze agrarie e nella ridefinizione della loro funzione sociale che le ricolloca come agenti di cambiamento (Abate et al., 2008; Esposti, 2014; EU Scar, 2012), si vede parzialmente tradotto nell’approccio avanzato dai Partenariati Europei di Innovazione (Pei-Agri1). In questa direzione, i Pei si possono leggere come utile schema di rottura nel contesto dei processi di sviluppo agricolo in Europa, promuovendo un sistema reticolare di soggetti eterogenei chiamati a concorrere all'individuazione e determinazione delle innovazioni più pertinenti, la cui sfida può essere abbracciata coraggiosamente dagli attori del sistema di conoscenza rivedendo e rinnovando il proprio modus operandi. Si palesa altresì il rischio che questo quadro – a sua volta innovativo - possa essere svilito in un sostanziale riciclaggio del business as usual nel nuovo orizzonte di indirizzo e finanziamento dell'innovazione in agricoltura.
L’applicazione del Pei-Agri, la sua governance e le regole di ingaggio nell’ambito dei Gruppi Operativi (ovvero le unioni pluriattoriali che implementeranno il Pei-Agri, concretizzando l'innovazione) sono infatti ancora oggetto di elaborazione e comprensione da parte di coloro che li dovranno attuare. L’efficacia di tali scelte può anche essere perseguita tramite la consapevolezza che, per raggiungere l’obiettivo di un profondo riallineamento dei sistemi di innovazione alle esigenze del settore produttivo e all’urgenza di (ri)generare beni comuni a beneficio della collettività, risultano strategici il riconoscimento, il recupero e la valorizzazione dei sistemi di conoscenza e dei saperi locali e una più circolare rete di co-produzione e condivisione delle conoscenze.
Sotto questo profilo, i processi di rete e la “cooperazione” (non meglio definita in termini di processi partenariali) tra attori diversi per statuto, ruolo, competenze e obiettivi vengono sempre più riconosciuti come essenziali, a partire da un coinvolgimento a tutto tondo dei produttori nel percorso di innovazione. Il loro contributo diretto nella interpretazione della realtà, nell’esplorazione di tecniche produttive, nel loro concepimento, perfezionamento e condivisione rappresenta inoltre un prezioso incentivo a rendere l’agricoltura più sostenibile, un ambito, quello della sostenibilità, dove è urgente un mutamento radicale. Ciò implica la necessità di nuovi approcci, mentalità e linguaggi che determinino la costruzione di un ambiente favorevole affinché si possa dispiegare il confronto creativo tra sistemi di conoscenza (ossia capace di dare spazio e voce ai vari attori secondo le loro specificità), oltre che un’eventuale ibridazione culturale e socio-tecnica che renda i processi e i risultati dell'innovazione più pertinenti e di lunga durata e più proficuo il diálogo de saberes (Leff, 2006), ossia il dialogo di e tra saperi.
La duplice transizione, agroecologica e del sistema di generazione e condivisione della conoscenza, richiede quindi di sostanziare l'approccio partecipativo, sempre più evocato, ma più raramente declinato in termini di lessici, ridefinizione professionale e istituzionale, aspetti metodologici e pedagogici. In questa direzione, avanziamo la proposta di abbracciare i criteri della co-ricerca nel dispiegamento dei Pei e nella costituzione e attivazione dei Gruppi Operativi, rendendo gli atti partecipativi più riflessivi e consapevoli, genuini e coerenti all’interno del sistema di innovazione.
Origine della ricerca partecipativa
La cosiddetta “ricerca partecipativa” in agricoltura nasce come risposta alla concezione e diffusione di fattori di produzione inappropriati in sé o nella loro prevalente modalità di impiego: tipicamente, lo sviluppo di pacchetti composti da varietà di sementi ibride, pesticidi, erbicidi e concimi chimici legati ad una visione primariamente produttivista e a una pratica dell’agricoltura rivelatasi non sostenibile. Una visione accompagnata dall’assegnazione di un ruolo limitato alla funzione produttiva dell’agricoltore e del contesto agro-ambientale e socio-fondiario. L’idea o il paradigma fondamentale che viene contestato è quello del “trasferimento di tecnologia” (modello dominante negli anni ‘50 e ‘60, alla base della Rivoluzione Verde), ovvero di un metodo di diffusione dell’innovazione lineare ove questa viene sviluppata nella stazione sperimentale dalla ricerca scientifica, per essere poi trasmessa agli agricoltori (tramite i dispositivi di divulgazione), chiamati ad adottare passivamente le proposte a loro veicolate.
In un primo momento, gli studi sulla non-adozione o sul rifiuto delle tecnologie proposte da parte degli agricoltori, considerati “recalcitranti al progresso”, hanno generato una serie di modelli centrati sull’intensificazione dell’opera di convincimento dei potenziali adopters da parte dei servizi di sostegno all’agricoltura, intensificando la comunicazione tra attori in maniera unidirezionale (tipico di questo approccio top-down è il sistema T&V, Training and Visit), senza prendere in considerazione la qualità delle relazioni e soprattutto la loro simmetria.
In un secondo momento, tra gli anni ’70 e gli anni ’80, con la nascita della farming system research, l’accento si sposta sul tentativo di comprensione di difficoltà e circostanze limitanti a livello dell’unità di produzione tali da restringere le possibilità di adozione di determinate tecnologie. E’ a questo stadio che vengono integrate nelle analisi nuove discipline come la sociologia, l’antropologia o in alcuni rari casi anche la psicologia comportamentale e il contributo degli storici dello sviluppo tecnologico.
Con l’emergenza della ricerca partecipativa negli anni ’90, il focus si ritrae dal sistema di produzione o dal contesto socio-culturale dell’agricoltore, per centrarsi sul processo di sviluppo delle conoscenze e dei saperi.
Varietà di definizioni della ricerca partecipativa
Sotto il termine partecipazione si sono nel tempo nascoste gradazioni diversissime di livello di controllo e di gestione della ricerca da parte dei diversi attori implicati, andando da un estremo all’altro, ovvero dall’apertura delle sperimentazioni scientifiche allo sguardo degli agricoltori (campi vetrina) fino al sostegno all’autogestione da parte dei produttori delle proprie prove in campo, passando per vari livelli di consultazione e collaborazione tra le parti.
La ricchezza della terminologia impiegata nel mondo anglosassone, in particolare nel quadro della cooperazione allo sviluppo, rivela questa difficoltà: si passa dalla Pra (Participatory Rural Appraisal) alla Fpr (Farmer Participatory Research), poi Ptd (Participatory Technology Development) e Pid (Participatory Innovation Development), Par (Participatory Action Research), Pla (Participatory Learning and Action), fino alla community-based natural resource management e sustainable livelihood approach, senza dimenticare gli approcci passati sotto definizioni quali farmer-led research, campesino a campesino, farmer-back-to farmer e farmer first, poi completati da farmer first and last.
Valori comuni fondanti della co-ricerca
Abbandonando il paradigma del trasferimento di tecnologia, la ricerca partecipativa radica le sue pratiche e i suoi concetti nell’inclusione degli agricoltori in tutte le tappe decisionali del processo di ricerca. Da qui l’espressione co-ricerca, intesa come:
- partecipazione attiva degli agricoltori nella definizione del problema di ricerca;
- partecipazione attiva degli agricoltori nella scelta e nella formulazione delle domande di ricerca, incluse le ipotesi fondanti;
- partecipazione attiva degli agricoltori nella determinazione ed elaborazione del metodo di ricerca (co-ricerca) e nell’implementazione del design sperimentale;
- partecipazione attiva degli agricoltori nella definizione, misura e validazione (co-validazione) dei risultati di ricerca;
- partecipazione attiva degli agricoltori nella disseminazione dei risultati di ricerca, sia in termini di prodotti che di processi.
Alcuni corollari fondamentali della co-ricerca, che ne costituiscono le premesse irrinunciabili, sono:
- il riconoscimento non solo dei saperi locali, ma della (più o meno manifesta) capacità degli agricoltori nel produrre questi saperi attraverso i propri metodi di sperimentazione e investigazione;
- il riconoscimento della necessità imprescindibile di valorizzare questi saperi e queste capacità per lo sviluppo di tecnologie appropriate (al clima, al suolo, ai sistemi colturali, ma anche al contesto sociale, culturale, istituzionale, economico di riferimento);
- la crucialità della sperimentazione aziendale come luogo di conduzione della ricerca (in ambiente reale);
- il rapporto simmetrico tra agricoltori e ricercatori, sulla base dell’apprendimento reciproco;
- un approccio sistemico, ove la tecnologia non è che una componente di un tutto che tiene in conto gli elementi ambientali e sociali;
- un approccio graduale al cambiamento, che include processi lenti di adattamento piuttosto che di adozione delle tecnologie e delle pratiche, e che privilegia la flessibilità.
La transizione verso la co-ricerca
Va in primis riconosciuta l’oggettiva difficoltà, nel percorso verso e dentro la co-ricerca, nel convergere su di un corpo di valori comuni. Questo è dovuto a una conoscenza diretta e a un’esperienza concreta limitate in materia di ricerca partecipativa, la quale, unita ad una mancanza di capitalizzazione e diffusione dei casi probanti sul tema, ha finito per alimentare una varietà di punti di vista - per lo più teorici. Ciononostante, avanziamo una serie di ipotesi operative utili nell’implementazione dell’approccio Pei, alla luce di sostanziali esperienze maturate (monitorate e documentate attraverso dei dispositivi ad hoc di meta-ricerca – ovvero ricerca sui processi e metodi di ricerca - vedi bibliografia e soprattutto i lavori di De Leener et al.) – in particolare attraverso operazioni di sviluppo agricolo di ampio respiro – nell’ambito della cooperazione al Sud del Mondo e che si rivelano pertinenti per i processi di cambiamento al Nord. Questi elementi di transizione, essendo interconnessi, necessitano di essere affrontati in maniera coordinata.
Il cambiamento metodologico
La co-ricerca, in pratica, significa saper mettere in piedi e gestire efficacemente dei nuovi metodi di lavoro tra attori dell’innovazione. In concreto e nella ipotizzabile applicazione nell’ambito di istituendi Gruppi Operativi, questo significa stabilire o facilitare dei partenariati costruiti attorno a tre principi essenziali che rappresentano, a loro volta, requisiti e coordinate operative per la cantierizzazione dell’innovazione concreta in un quadro Pei:
- tutti i partecipanti possiedono saperi e savoir faire indispensabili alla riuscita delle iniziative e per lo sviluppo delle innovazioni;
- i partenariati si realizzano a molteplici livelli – tra produttori, tra ricercatori, tra agenti tecnici, tra tutti questi attori tra di loro e con altri potenziali soggetti quali i consumatori, i finanziatori, i decisori pubblici, le Amministrazioni locali, le Agenzie di sviluppo agricolo, le imprese di trasformazione e distribuzione…;
- sebbene i Pei siano orientati alla generazione e condivisione di innovazione ed escludano l’attività di pura investigazione scientifica, i partenariati combinano ricerca – intesa come sperimentazione e riflessione congiunta – e azione concreta – intesa come azione collettiva.
D’altro canto, il nuovo processo sperimentale sul quale poggia la co-ricerca richiede di massimizzare le dinamiche di innovazione radicate nelle aziende agricole. Questo nuovo punto di partenza – l’assunto cioè che gli agricoltori sono loro stessi degli innovatori – necessita di nuove metodologie per reperire e identificare le innovazioni esistenti (in particolare quelle diffuse e ignorate dalla letteratura), sperimentare insieme (co-sperimentazione) e validare insieme (co-validazione).
Questo tipo di cambiamento metodologico difficilmente si realizza senza un sostegno e un accompagnamento costante sul terreno da parte di operatori dotati di una forte esperienza nel campo della ricerca partecipativa, intesa come co-ricerca.
Il cambiamento professionale
Impostare una nuova relazione tra servizio di sostegno all’innovazione e agricoltori - sulla base di quanto finora evocato - implica non solo un cambiamento metodologico, ma anche una profonda trasformazione dell’attività professionale degli attori del processo. Questo deve avvenire in termini di competenze e savoir faire richiesti – che richiamano anche capacità inter-personali e di mediazione molto più spinte (aprendo alla figura del knowledge broker) – così come e soprattutto a livello del cambiamento di saper essere e di atteggiamento. Ci riferiamo qui in particolare alla capacità di mettere in discussione le proprie conoscenze, di riconoscere e valorizzare le altrui potenzialità anche inaspettate e inedite (saperi, dinamiche di innovazione e facoltà di resilienza), di lasciarsi interpellare da queste. Aprirsi ad una relazione di autentico partenariato per l’innovazione significa ripensare la logica di dover dispensare risposte tecnico-scientifiche a pronto uso, compatibili con le norme e le regole della produzione scientifica (up-ward accountability), riorientandosi verso una (cor)rispondenza molto più forte alle esigenze degli agricoltori (down-ward accountability), diventati co-responsabili nell’apprendimento e nell’innovazione.
Una trasformazione di questo genere ha profonde ripercussioni sul piano identitario nel senso stretto del termine (rappresentazione e immagine di sè), dovute alla presa di coscienza del proprio campo di competenze e dei suoi limiti, oltre che sulle prospettive di carriera degli operatori del settore, e richiede, per essere avviata, di precisi sostegni in termini di capacità di auto-analisi (self-reflexivity), di accompagnamento professionale e di adeguate misure (incentivi economici, in termini di risorse messe a disposizione, ma anche gratificazioni sostanziate da dei riconoscimenti sia simbolici che di avanzamento professionale) che premino il lavoro sul campo volto all’applicazione concreta delle conoscenze generate. Gli operatori delle istituzioni dedicate al sostegno all’innovazione possono infatti vivere una difficile esperienza di double bind quando si trovano incastrati tra un’osservanza alla propria mission di ricercatori o divulgatori, che rendono conto primariamente ai loro enti o alla comunità scientifica, e la lealtà di servizio a logiche, visioni e istanze degli agricoltori.
Gli stessi produttori sono chiamati a riposizionarsi nell’ambito del partenariato di co-ricerca. Dal recupero dell’autostima e costruzione di un nuovo rapporto di reciproco rispetto con il sapere scientifico, specialistico e disciplinare, al compito della sistematizzazione del lavoro sperimentale, al confrontarsi con linguaggi, obiettivi e incentivi diversi per ambizione e statuto, tanto per fare alcuni esempi.
Il cambiamento istituzionale
Il passaggio da una logica di intervento direttiva (propria dei processi lineari) ad un’altra genuinamente partecipativa (logica circolare o ispirata all’idea di forum) ha profonde ripercussioni sullo stile di management proprio delle istituzioni di sostegno all’innovazione, il cui funzionamento viene in qualche modo contagiato dalla trasformazione dei processi decisionali, che dal terreno infuenzano la governance più globale. Nasce l’esigenza di una leadership from behind che anima e garantisce le decisioni collettive. La cultura istituzionale va sburocratizzata e ricostruita sulla base di un gioco di squadra che rompe i confini gerarchici e include gli agricoltori non solo in tutte le tappe cruciali degli interventi concepiti e messi in opera a loro favore, ma anche nell’universo cognitivo e riflessivo dei responsabili del sistema. Quest’ultimo si vede quindi costretto a ridefinire le norme e regole del suo funzionamento.
Mutamenti delle istituzioni di tale portata sono possibili solo attraverso la spinta di una forte richiesta di cambiamento espressa da parte della società. Può essere questo –almeno in parte- il caso dei Pei, forieri, in potenza, di liberare nuove energie, di rimescolare ruoli, di dinamizzare l’ascensore del sapere.
Il cambiamento pedagogico
La costruzione di nuove competenze (di carattere trasversale: pensiamo alla capacità di facilitare la nascita e lo sviluppo di reti e processi partenariali, all’attitudine necessaria per riconoscere saperi e sistemi di conoscenza diversi dal proprio, ad altre qualità di comunicazione inter-personale e intra-personale indispensabili per prendere parte a delle dinamiche partecipative) richiede dei metodi e dei contenuti di formazione inediti. Questo implica uno sforzo importante di adattamento dei curricula esistenti, attualmente centrati sugli aspetti tecnici dell’agronomia e dell’innovazione, da svilupparsi con gli attori che hanno messo in piedi nuove metodologie di intervento in ambito rurale improntate alla co-ricerca.
Quale spazio di azione nei Pei
Ad avviso degli autori, quindi, i Pei offrono l’opportunità, oltre che di riorganizzare gli elementi appena illustrati, anche di avviare una presa di coscienza, un’analisi, un profondo ripensamento. Come già accennato, le esperienze in Italia in tale direzione risultano tuttora limitate, non sistematiche e scarsamente disseminate. Nell’ambito del progetto Pei-Agri-Bio, finanziato dall’Ufficio Agricoltura biologica Pqa V del MiPaaf, la Fondazione Italiana per la Ricerca in Agricoltura Biologica e Biodinamica (Firab) collabora con il Consiglio per la Ricerca in Agricoltura (Cra) e con Veneto Agricoltura con l’intento di mettere a fuoco le condizioni metodologiche essenziali affinché il quadro di applicazione dei Pei si possa dispiegare nel settore biologico con la maggiore efficacia possibile e con una strumentazione operativa tale da garantire una proficua cooperazione tra i vari attori della co-innovazione.
Il biologico presenta infatti un ambito in cui il potenziale innovativo prodotto dai Pei può esprimersi con maggiore impatto che altrove, in virtù della minore età media e della maggiore scolarizzazione degli operatori, del più intraprendente spirito innovativo, della tendenza – financo necessità- a sperimentare per colmare il gap di soluzioni tecniche adeguate alla complessità degli agroecosistemi e alle specifiche esigenze, della più pronunciata attenzione agli equilibri tra risultato economico di breve periodo e sostenibilità nel lungo termine. In questo senso, il settore bio può interpretare, ancora una volta, un ruolo di avanguardia e di nicchia esplorativa capace di generare una traiettoria di sviluppo – nel caso specifico dell’innovazione e del processo che la genera- e di trainare il restante mondo agricolo.
La comprensione, a partire dallo specifico ambito del biologico, delle modalità più idonee nello stabilire la relazione cooperativa degli attori della co-innovazione nel quadro della dinamizzazione dei Gruppi Operativi Pei può pertanto catalizzare un processo più vasto di legittimazione democratica sotto il duplice profilo dell’avanzamento di conoscenze e tecniche e del perseguimento della sostenibilità della produzione e circolazione di cibo.
Conclusioni
La prospettata trasformazione della governance della ricerca agricola si inserisce nel quadro più ampio delle dinamiche attualmente all'opera nella società che vanno nel senso di rafforzare le modalità di partecipazione dinamica, di conoscenza attiva e di controllo diretto da parte dei cittadini sulle scelte pubbliche considerate strategiche per il benessere individuale e collettivo. Anche attraverso il paradigma Pei, la direzionalità tipica delle politiche della ricerca, che in parte già risente delle spinte volte a maggiore rilevanza sociale ed ambientale soffrendo al contempo di molteplici resistenze, sembra dunque avviata a permearsi alla democratizzazione dei processi direttivi e attuativi.
Così come per gli orientamenti politici generali sui grandi temi sociali o per le scelte amministrative più concrete e locali, non è forse ora troppo utopico immaginare un avvenire in cui un numero rilevante di soggetti (di un livello educativo e di una consapevolezza di ruolo sempre più qualificati) potranno imprimere, direttamente o attraverso le forme di rappresentanza più idonee, una propria impronta anche in tema di ricerca e innovazione. Sul fronte della co-innovazione agricola, questa può svilupparsi nelle capacità di expertise e di esercizio del ruolo nei processi di governance della figura di esperto-contadino, contribuendo anche alla definizione di politiche e strategie di medio-lungo periodo.
L'emergenza di questa competenza, in capo ai produttori, di presa in carico diretta della riflessione sul futuro dell'agricoltura e della ricerca per l'innovazione, richiede ovviamente tempo, sia per i processi di trasformazione istituzionale evocati (e non solo in seno alle istituzioni pubbliche, ma anche nell'ambito della stessa rappresentanza di categoria), sia per la messa in campo di adeguati supporti che vadano nella direzione dell'autonomizzazione crescente dei professionisti della terra. Analogamente, questa assunzione di un ruolo amplificato può anche essere rigettata da parte di quegli agricoltori che ritengono di aver già ampiamente spinto la frontiera della propria attività aziendale oltre i confini produttivi nel soddisfacimento della multifunzionalità. Quando e laddove possibile, come comunque testimoniano diverse comunità di produttori biologici, questa funzione di co-innovatori si basa sulla presa di coscienza dei propri saperi, implicando anche la crescita della propria autostima e della fiducia nell'investire ambiti tradizionalmente considerati appannaggio degli esperti e delle istituzioni.
L’auspicio e il convincimento che esprimiamo è che l’avanzamento nelle conoscenze disponibili coniugato alla circolarità dei saperi possa così dar vita a un’elica dell’innovazione capace di carattere propulsivo.
Restano comunque dubbi e ostacoli. Il lavoro di produzione di innovazione determinato dal processo di co-ricerca è dunque foriero di determinare avanzamento di conoscenza scientifica (nel quadro di discipline tecniche e sociali), oltre che sociale, produttivo, economico e politico (nel senso della ridefinizione delle regole e norme che gesticono la polis del sapere). Come veicolare questo avanzamento socio-tecnico nella letteratura di riviste che operano secondo criteri di peer review? Chi, quali e quanti sono i ‘pari’ del lavoro di co-innovazione, inevitabilmente "dispari" rispetto ai criteri di validazione scientifica? Quale snowball effect è opportuno che si verifichi nel sistema di produzione, validazione e trasmissione dei saperi e della loro governance, sotto l’impulso della democratizzazione della ricerca, e quali resistenze o camouflage si materializzeranno?
Riferimenti bibliografici
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- 1. I Partenariati Europei di Innovazione (Pei) 'Produttività e Sostenibilità in Agricoltura' sono stati lanciati dalla comunicazione n. 79 della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio nel 2012 con l'obiettivo di stimolare e integrare le istituzioni e i soggetti coinvolti nella produzione e diffusione della conoscenza.