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Traduzione di Emilio Chiodo1
La Pac è stata rinazionalizzata? Ad un primo sguardo sembrerebbe proprio di sì. Se la definizione dei Programmi di sviluppo rurale – pur all’interno di un quadro di regole comuni – è sempre stata lasciata alla discrezionalità degli Stati membri - che dopotutto devono cofinanziarli – ora anche il 1° pilastro sembra essere divenuto un po’ meno comunitario. Non meno di quaranta decisioni rilevanti sull’implementazione di questa parte della Pac, che ancora costituisce i tre quarti del budget totale, sono state lasciate agli Stati membri o alle Regioni. La motivazione sarebbe che ciò darà ai singoli Stati maggiore flessibilità per affrontare le questioni nazionali, regionali o locali. La realtà politica naturalmente è che – prendendo atto di non poter trovare un accordo a livello comunitario su queste “patate bollenti”- si doveva comunque arrivare ad un accordo politico sotto la presidenza irlandese. Quaranta temi lasciati alla scelta di 28 Stati membri – e per alcuni le scelte saranno ulteriormente decentralizzate a livello regionale – possono portare in teoria a un impressionante numero di combinazioni, tale da far sembrare l’obiettivo di semplificazione della Pac una barzelletta. In ogni modo rappresentano una sfida interessante per gli statistici e una buona notizia per i ricercatori, che avranno lavoro assicurato nel fare il bilancio dei molti modi in cui la nuova Pac sarà implementata e nell’analizzarne gli effetti.
Ma cosa avranno da guadagnare gli agricoltori e i cittadini europei da questo guazzabuglio? Porterà ad una più equa distribuzione delle risorse tra gli agricoltori dei diversi Stati membri e all’interno degli stessi? Aiuterà gli agricoltori a mettere in piedi e mantenere il proprio business? Darà maggior efficacia alla spesa pubblica per la gestione dei beni pubblici? Renderà la produzione agricola più sostenibile e favorirà uno sviluppo territoriale più bilanciato?
D’altro canto sarebbe troppo facile giudicare l’accordo sulla riforma della Pac raggiunto lo scorso giugno come un compromesso incruento; il risultato più o meno inevitabile di quello che è stato senza dubbio il processo decisionale più complesso della lunga storia della Pac. Naturalmente le aspettative si erano accresciute dopo la pubblicazione della bozza di proposta del Commissario Ciolos nell’ottobre 2011. La società civile, guidata dalla coalizione Arc 2020 e coinvolta attivamente nel dibattito dal Commissario, che si era preparata a chiedere una Pac in linea con le aspettative dei cittadini europei - un cambio di paradigma verso un’agricoltura realmente sostenibile ed un nuovo slancio sullo sviluppo rurale – si è sentita presa in giro.
Le organizzazioni agricole e i rappresentanti dell’agroindustria si leccano le ferite e rimangono preoccupati per i tagli al budget e per l’incertezza riguardante il risultato finale e le conseguenze dei molti dettagli che ancora debbono essere definiti, i loro possibili effetti redistributivi e la minaccia di distorsioni al mercato interno.
Ora che la polvere si è in qualche modo posata, è tempo di fare un primo bilancio del buono, del cattivo e del brutto dell’accordo trovato tra Commissione, Europarlamento e Consiglio. Come per molte cose nel momento in cui accadono, secondo lo sguardo di ciascuno sul mondo, si può vedere l’accordo sulla Pac da una prospettiva negativa/pessimistica a una positiva/ottimistica.
Poiché nel Groupe de Bruges sono rappresentate entrambe le visioni, cercheremo di fare un’equilibrata prima analisi dell’accordo sulla Pac, usando come riferimento il position paper da noi presentato in gennaio dell’anno scorso, come reazione alle proposte originarie della Commissione.
Iniziamo prima dalle cattive notizie. Il primo dei nostri principali elementi di critica era, ed è tuttora, il fatto che il sistema dei pagamenti diretti (Saps negli nuovi Stati membri) rimane al centro della Pac. In origine, questi pagamenti erano stati pensati dal Commissario Fischler come una misura temporanea, per offrire agli agricoltori un atterraggio morbido in grado di compensare la perdita di reddito derivante dal fatto che l’agricoltura doveva orientarsi maggiormente al mercato per rispettare gli obblighi europei in sede Wto.
Estendo il sistema dei pagamenti diretti al nuovo periodo, il timore è che diventi definitivo. Evidentemente il settore agricolo europeo – sperimentando anni di alta volatilità dei prezzi – non è dopotutto abbastanza pronto per confrontarsi con la piena forza del mercato. Mantenendo il sistema dei pagamenti diretti, i leader politici stanno implicitamente ammettendo che la politica per rendere l’agricoltura maggiormente orientata al mercato non è stata fino ad ora di grande successo.
Sebbene una parte non trascurabile del sostegno sarà indirizzata a comportamenti specifici, attraverso il greening e altre misure specifiche (giovani agricoltori, piccoli agricoltori, aree svantaggiate) che erano precedentemente parte del 2° pilastro, il grosso dei pagamenti andrà ancora agli agricoltori per il solo fatto di essere tali (quelli che poi sono effettivamente veri e “attivi” agricoltori), senza alcuna ulteriore giustificazione sociale o economica e senza ulteriori obblighi ambientali se non quelli di rispettare le regole esistenti.
E non si tratta ancora di un sostegno al reddito, perché non c’è mai stato né ci sarà una relazione diretta con il reddito effettivo del singolo agricoltore. Questa resta una delle maggiori anomalie della Pac.
Abbiamo poi giudizi contrastanti sul fatto che i pagamenti diretti saranno ora connessi alle superfici. In generale ciò favorirà l’agricoltura estensiva e le aziende di grandi dimensioni, riducendo l’impatto positivo che i pagamenti potrebbero avere sull’occupazione e sulla competitività. E’ anche discutibile se, con il sistema attuale, il pagamento ad ettaro possa avere effetti ambientali positivi. Alla luce delle previsioni di aumento della domanda della maggior parte delle commodity, le grandi imprese estensive potrebbero anche decidere di rinunciare alla parte dei pagamenti diretti dipendente dal greening se questo desse loro maggiore flessibilità per rispondere a più profittevoli andamenti dei mercati.
Altra cattiva notizia, almeno nella nostra opinione, è che il rapporto tra primo e secondo pilastro è rimasto inalterato con un rapporto di 3 a 1. Chiaramente, con un 2° pilastro realmente mirato, calibrato e contrattualizzato sulla base di impegni pluriennali (mentre tipicamente gli obblighi del primo sono annuali), avrebbe avuto più senso dare al 2° pilastro più importanza in termini di budget, a maggior ragione in quanto questa spesa è molto più facilmente giustificabile nei confronti dell’opinione pubblica2. Alla luce dei crescenti sentimenti antieuropeisti, questa non sembra solo un’opportunità persa, ma anche una decisione che dimostra ulteriormente quanto le negoziazioni si siano svolte senza tenere in grande considerazione l’attuale contesto sociale.
E’ vero che gli Stati membri hanno l’opzione di spostare il 15% del budget nazionale dal primo al secondo pilastro, anche senza l’obbligo di ulteriore cofinanziamento, ma è anche vero il contrario. E visti i generali problemi finanziari che la maggior parte dei paesi europei si trova a fronteggiare, essi possono essere facilmente tentati di scegliere l’opzione con il costo minore.
L’ultima delle cattive notizie che vogliamo affrontare – ce ne sarebbero in effetti molte altre ma ciò richiederebbe troppo spazio in questo contesto – è il fatto che l’accordo sulla Pac sembra mancare completamente di attenzione al contesto internazionale. A parte la decisione di eliminare i sussidi alle esportazioni – per ora – tutte le misure di mercato sono esclusivamente mirate a ridurre le turbative sul mercato interno.
Con le negoziazioni nel Wto in coma da anni è facile dimenticarsi del “mondo esterno”, ma la realtà è che l’Unione era, ed è ancora, il principale importatore ed esportatore di commodity agricole. Da questa posizione discende la responsabilità non solo di migliorare la sostenibilità delle produzioni all’interno dell’Unione, ma anche nei paesi da cui importiamo le commodity stesse3. Infine, i risultati dei negoziati per il Partenariato transatlantico su commercio e investimenti (Transatlantic Trade and Investment Partnership - Ttip) recentemente avviati tra Europa e Stati Uniti potrebbero facilmente stravolgere l’accordo sulla Pac4.
Fortunatamente, ci sono anche delle buone notizie. Su alcuni temi cruciali assistiamo a una chiara rottura con il passato e ad alcune innovazioni nelle politiche. Il greening del 1° pilastro – nonostante le critiche che si possono fare alle misure proposte – è ora un fatto incontestabile. E con esso anche il suo principale fondamento logico, così come inteso originariamente dalla Commissione: piccoli passi per tutti gli agricoltori – o comunque per una parte sostanziale di essi – sotto il 1° pilastro, mentre il 2° pilastro continua ad offrire ampie opportunità per coloro che vogliono andare oltre. Poiché, per fortuna, non sarà permesso il doppio finanziamento, le misure agro-ambientali del secondo pilastro dovranno realmente andare un gradino oltre gli obblighi previsti dal greening nell’ambito del primo.
Dobbiamo osservare attentamente come gli agricoltori più sensibili al rispetto dell’ambiente implementeranno – individualmente o attraverso azioni collettive a carattere territoriale – le misure del 2° pilastro, perché queste potrebbero e dovrebbero diventare le basi per la definizione di standard più avanzati per tutti gli agricoltori nel futuro. Perché non c’è dubbio che nella Pac post 2020 (o anche prima) il greening dovrà essere sostanzialmente ampliato per giustificare l’ammontare di spesa pubblica del primo pilastro.
Diamo il benvenuto, poi, al pagamento supplementare obbligatorio ai giovani agricoltori nel primo pilastro e al sostegno sempre per i giovani previsto dal secondo. Un successo duramente conquistato dal Ceja. Queste misure non solo sono importanti per il necessario ringiovanimento dell’agricoltura in tutta Europa, ma potrebbero anche contribuire ai più generali obiettivi europei di combattere la disoccupazione giovanile e mantenere la popolazione nelle aree rurali.
Per quanto riguarda in generale il secondo pilastro, possiamo ampiamente confermare il nostro iniziale giudizio positivo: le proposte della Commissione sono rimaste in larga misura immodificate. La principale differenza rispetto al primo è che offrirà una migliore base per un intervento più mirato, calibrato e contrattualizzato sulla base di impegni pluriennali.
C’è inoltre uno spostamento di attenzione dal singolo agricoltore agli agricoltori (e agli altri stakeholder) che si impegnano in azioni collettive e sistemiche. Il sostegno agli approcci collaborativi va guardato come un’importante innovazione nella politica, in grado di offrire migliori basi per perseguire gli obiettivi europei di una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva.
Plaudiamo inoltre agli sforzi compiuti per arrivare ad una migliore integrazione con le altre politiche attraverso la previsione di un Quadro Strategico Comune (Qsc) per i diversi fondi comunitari: Fondo europeo di sviluppo regionale, Fondo sociale europeo, Fondo di coesione, Fondo europeo agricolo di sviluppo rurale e Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, sebbene rimane da verificare se e come gli Stati affronteranno questo nuovo aspetto, che implica notevoli sforzi per abbattere i muri che ancora dividono i diversi ambiti.
Rientra nel Qsc anche lo Sviluppo locale di tipo partecipativo (Community Led Local Development - Clld), basato sull’approccio Leader che in 20 anni di esistenza ha dimostrato il suo valore aggiunto e che può offrire più spazio a soluzioni e innovazioni bottom-up e per la cooperazione urbano-rurale, sebbene un minimo del 5% del budget al Leader per implementare questa innovazione sembri ancora troppo poco.
Lo stesso, fortunatamente, può non essere detto per le misure legate all’innovazione e alla ricerca: il budget di 5 miliardi di euro proposto dalla Commissione è stato raddoppiato, fornendo un reale incentivo per arrivare ad un approccio multi-stakeholder nell’ambito del Qsc per la ricerca e l’innovazione. Abbiamo grandi speranze che il Partenariato Europeo per l’Innovazione (Pei) in materia di produttività e sostenibilità dell'agricoltura avrà successo nel colmare il gap esistente tra l’attività di ricerca e l’introduzione nella pratica dei suoi risultati.
Sebbene consideriamo i precedenti aspetti come importanti e rilevanti innovazioni – almeno in teoria – ci piacerebbe sapere perché un simile approccio integrato non sia stato seguito anche in altri campi, quali la lotta al cambiamento climatico, l’aumento della biodiversità e il consumo di cibo sostenibile.
Nonostante queste buone notizie il sentimento generale è pero di scetticismo. Con tante opzioni lasciate agli Stati membri, i governi nazionali e regionali possono essere facilmente tentati di prendere la piega sbagliata nell’implementazione della Pac e scegliere quelle opzioni che abbiano il minimo costo e il massimo ritorno politico nel breve periodo, senza tenere in molta considerazione i passi necessari da compiere nel lungo periodo.
Inoltre il greening del primo pilastro, sebbene sia ora una parte integrante del sistema dei pagamenti diretti, è stato diluito e molte categorie di agricoltori sono state esentate, al punto che sarà difficile convincere i contribuenti europei che si siano compiuti reali progressi nel rendere l’agricoltura maggiormente benefica per l’ambiente.
Sotto questa luce sembra fortemente improbabile che questo accordo sulla Pac rimanga invariato fino al 2020. Sebbene una revisione di medio termine non sia stata inclusa nell’accordo stesso, con le prossime elezioni europee del 2014 e la revisione del Quadro Finanziario Pluriennale prevista per la fine del 2016 è molto probabile che anche la Pac sarà rivista e riformata a metà percorso. Potrebbe essere un’opportunità per ricalibrare la Pac, specialmente per quanto riguarda un ampliamento del greening ed un miglioramento del rapporto tra primo e secondo pilastro, a favore di quest’ultimo.
Gli Stati membri devono ora realmente fare dei passi in avanti e prendere il loro accresciuto spazio di manovra come un’opportunità per mostrare ai contribuenti europei che stanno usando seriamente il denaro pubblico per una produzione di cibo realmente sostenibile e per una gestione responsabile delle risorse naturali. Altrimenti vi è il reale pericolo politico che nell’ambito della revisione del Quadro Finanziario Pluriennale prevista per la fine del 2016 l’evidente mancanza di giustificazione della spesa possa portare a nuovi ed anche maggiori tagli di risorse.
- 1. L’articolo è la versione italiana della posizione del Groupe de Bruges sull’accordo sulla Pac. Il Groupe de Bruges è un network e un think-tank indipendente sulle politiche agricole e di sviluppo rurale europee. I membri vi partecipano individualmente, non come rappresentanti del paese o della regione di provenienza, di lobby o altre organizzazioni politiche (www.groupedebruges.eu).
- 2. Basta pensare che i sussidi del 1° pilastro sono completamente invisibili all’opinione pubblica, mentre i contributi del 2° pilastro devono essere messi in evidenza attraverso l’apposizione del logo comunitario.
- 3. Ad esempio l’Unione Europea ha recentemente messo al bando l’allevamento in batteria per i polli. Gli accordi commerciali regionali con India e America Latina (Mercosur) potrebbero permettere l’importazione di uova da polli allevati in batteria.
- 4. E lo stesso potrebbe avvenire con gli accordi commerciali regionali con India e Mercosur.