Una proposta metodologica per un indice della qualità della vita nei comuni rurali piemontesi

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Una proposta metodologica per un indice della qualità della vita nei comuni rurali piemontesi
a Università di Torino, Dipartimento di Economia e Ingegneria Agraria, Forestale e Ambientale
b Polo universitario di Asti Studi Superiori (ASTISS)

Il miglioramento della qualità della vita (Qdv) è uno degli obiettivi prioritari nella Politica agricola comunitaria (Pac) e nei Programmi di sviluppo rurale (Psr, terzo asse). Gli indici complementari al Pil, ai quali appartengono quelli per misurare la Qdv, sono tornati di grande attualità all’interno dell’Unione Europea anche grazie alla pubblicazione del rapporto Stiglitz1 (Stiglitz 2009) che pone il miglioramento della qualità della vita e lo sviluppo sostenibile come base imprescindibile per il progresso della società. Nell’ambito dei Psr è ancora in fase di definizione sia un set di indicatori per costruire un indice di Qdv, sia la metodologia per il trattamento dei dati.
In questa ricerca, sono stati ipotizzati due indici - uno regionale e uno provinciale - per la misurazione della Qdv nei Comuni rurali e i dati sono stati trattati con il Mazziotta Pareto Index (Mpi), metodologia proposta dall’Istat (Mazziotta 2011). Il primo indice denominato Qdv1 utilizza tre indicatori mentre il secondo, Qdv2, nove.
Dalle graduatorie ottenute, sono state ipotizzate due zonizzazioni, una regionale e una provinciale, per affinare quella elaborata dal Mipaaf2, ideale per descrivere le aree rurali nell’ambito nazionale, risulta affinabile per contesti minori come quello regionale e provinciale. La zonizzazione Mipaaf inoltre risulta poco adatta a descrivere l’eterogeneità della collina dove molte aree hanno problemi di sviluppo e presumibilmente una bassa Qdv. Questi problemi, già sollevati dalla Regione Toscana, sono stati affrontati per la regione Piemonte e per la provincia di Asti totalmente collinare.
Nel primo paragrafo si introducono gli indici complementari al Pil e le misure relative al progresso della società; nel secondo è trattato il tema del miglioramento della qualità della vita nel contesto del Psr della regione Piemonte e i problemi relativi alla collina nella zonizzazione Mipaaf; nel terzo sono esposti gli indicatori scelti, la metodologia utilizzata e i risultati.

Le misure complementari al Pil

All’interno dell’Unione Europea sia i cittadini sia i decisori politici stanno mettendo in discussione l’attuale modello di sviluppo economico, sociale e ambientale. L’Ocse, attraverso il rapporto Stiglitz, ha voluto portare in primo piano la necessità di mettere la persona al centro delle politiche e di valutare il progresso della società in senso olistico, ossia, pur riconoscendo la centralità dell’economia e del Pil nelle politiche di sviluppo, vanno considerati anche altri aspetti e in particolare quelli relativi alla sostenibilità. La Commissione (coordinata dai premi Nobel per l’economia Stiglitz e Sen, e dal ministro francese Fitoussi) sottolinea come il Pil non sia sbagliato in quanto tale, ma è usato in modo sbagliato. Le argomentazioni sui limiti del Pil sono ormai consolidate (Scidà 1981, Sen 1999, Cheli 2000, Parra Saiani 2009, Stiglitz 2009). Il rapporto Stiglitz approfondisce il legame esistente tra la qualità della vita, il progresso e l’economia, evidenziando l’importanza delle misure complementari al Pil.
Il Pil, sviluppato negli anni trenta da Kuznets (Wolverson 2010) per sopperire alla carenza d’informazioni nei conti pubblici statunitensi, misura il potenziale di un sistema economico stimandone la capacità di creare ricchezza; per tale motivo viene usato spesso come sinonimo di benessere ampliandone indebitamente il significato.
Questa ambiguità è dovuta al fatto che mentre la povertà è accompagnata da una bassa Qdv, superata una certa soglia di ricchezza, al crescere del Pil non corrisponde un miglioramento del benessere e della Qdv (Easterlin 2010). Gli indici complementari aggiungono quindi alla dimensione economica, quella sociale e ambientale.
Secondo Land (1999) gli indici alternativi al Pil possono essere utilizzati per tre grandi aree d’intervento: a) attività di monitoraggio; b) attività di reportistica sociale (social reporting) per le autorità pubbliche; c) attività di previsione (social forecasting).
Essi possono essere raggruppati in tre macro-categorie: a) indicatori sulla soddisfazione individuale e/o sulla “felicità” (life satisfaction and/or happiness indicator); b) indicatori descrittivi (descriptive indicator); c) indicatori normativi (normative welfare indicator).
Dalla nascita del movimento degli indicatori sociali negli anni Sessanta (Nuvolati 2002, Aiquav 2010) a oggi, i modelli complementari al Pil si sono sviluppati su tematiche specifiche, come “l’indice nazionale sulla felicità” commissionato dallo Stato del Bhutan e introdotto nelle politiche ufficiali ai fini normativi nel 1972 (Bompan 2011); o come quello per “lo sviluppo sostenibile” presentato nel rapporto Stiglitz che affina i modelli precedenti elaborati dall’Ocse (Istat 2010).
Una netta distinzione tra gli indici complementari al Pil (inerenti alla povertà, al progresso sociale, alla felicità, al benessere, alla sostenibilità e alla marginalità) non sempre è possibile (Massetti, 2006).
In questa ricerca sono stati presi come riferimento internazionale l’indice di sostenibilità del rapporto Stiglitz e l’indice di sviluppo umano (Isu) utilizzati nell’ambito dello United Nations Development Programme (Undp), mentre a livello nazionale è stato scelto quello sulla Qdv pubblicato dal Sole 24 Ore.
L’indice di sostenibilità poggia su 10 dimensioni, circa 30 sotto - dimensioni e 78 indicatori, dai quali si ricava un indice per ogni dimensione, pensato per le regioni dell’Unione Europea.
L’Isu è costituito invece da tre indici: aspettativa di vita, istruzione e reddito ed è specifico per comparazioni internazionali tra Stati.
Il rapporto del Sole 24 Ore si pone a metà strada tra i precedenti con sei dimensioni e 36 indicatori, dai quali si ricava un indice per ogni dimensione e uno generale relativo alle province italiane.
In oltre cinquant’anni di ricerca, gli indicatori utilizzati negli indici complementari al Pil, inerenti anche alla Qdv, sono ormai nell’ordine delle centinaia tra indicatori semplici ed elaborazioni (Massetti 2006, Parra Saiani 2009).
Vista la complessità del problema e la sostanziale arbitrarietà nella scelta degli indicatori, si è deciso di elaborare un indice regionale, denominato Qdv1, tra i più semplici ipotizzabili, con tre dimensioni (economia, società, ambiente e sviluppo) e tre indicatori3 semplici (Pil-procapite, saldo demografico, raccolta differenziata). L’indice Qdv1 tuttavia risulta poco sensibile alle problematiche locali, sono quindi stati inseriti sei indicatori ritenuti utili nell’ambito dello sviluppo rurale per costruire un secondo indice denominato Qdv2; pensato per aree territoriali più ristrette, dovrebbe essere specifico per ogni provincia e le sue criticità. L’indicatore Qdv1 ha la funzione di inquadrare i Comuni nel contesto regionale, l’indice Qdv2 di affinare la zonizzazione provinciale.

La qualità della vita nel contesto dello sviluppo rurale

Il tema della qualità della vita, e il suo miglioramento nelle aree rurali, è uno degli obiettivi strategici della Pac ed è trattato specificatamente nel terzo asse dei Psr. Con l’introduzione del Quadro comune di valutazione e monitoraggio (Qcvm, art. 80), il regolamento 1698/05 richiede di valutare l'impatto delle misure (primo e secondo asse) sui diretti beneficiari ma anche di considerare l’impatto sul territorio e sulla comunità (terzo asse, asse Leader), lavoro questo complicato dalle molte variabili in gioco. Il dibattito internazionale e nazionale sul tema della Qdv (Ocse-Pisa, 2009), compreso il suo miglioramento nelle aree rurali (Croci 2011, Salvioni 2011), è aperto sia dal punto di vista teorico sia metodologico ai fini valutativi (Cagliero 2011).
Nell’ambito dei Psr sono ancora in fase di elaborazione sia gli indicatori per la valutazione della Qdv nei Comuni rurali (Psr 2007-2013, terzo asse) sia le tecniche per il trattamento dei dati e quindi non esiste ancora una zonizzazione specifica relativa alla Qdv.
La zonizzazione attualmente utilizzata, elaborata dal Mipaaf, migliora a livello nazionale quella dell’Ocse (Rnn 2010, 2012) affinando l’individuazione dei comuni urbani e dividendo i comuni rurali in tre classi secondo la densità abitativa e l’altimetria (Figure 1 – 2), ma risulta ancora poco adatta a descrivere la complessità dei fenomeni nel contesto regionale e l’eterogeneità della collina, interamente classificata come area intermedia.

Figure 1- 2 - Zonizzazione Mipaaf e altimetria Piemonte

La Regione Toscana (Psr 2008) in passato aveva sottolineato questi limiti e la loro rilevanza nel contesto operativo dello sviluppo rurale optando per un’ulteriore suddivisione delle aree intermedie in due sottoclassi: le aree rurali intermedie in transizione (C1) e le aree rurali in declino (C2).
La zonizzazione territoriale Mipaaf e la variante toscana, pur non essendo state create per le ricerche specifiche sulla qualità della vita che si concentrano sulla società, offrono spunti metodologici interessanti per la zonizzazione del territorio e rappresentano un modello di riferimento nel contesto dei Psr e per l’individuazione dei comuni con problemi complessivi di sviluppo, concetto questo fortemente collegato al tema della Qdv.

La scelta degli indicatori

Il set di indicatori ipotizzato in questa ricerca voleva essere di semplice costruzione e consultazione come quello elaborato dal Mipaaf, ma anziché essere costruito su indicatori territoriali (densità abitativa e altimetria), utilizza indicatori riconducibili alla Qdv.
I database utilizzati sono stati “L’atlante statistico dei Comuni” (Asc) messo a disposizione dall’Istat, “Ancitel la rete dei comuni”, “ Legambiente”, per un totale di oltre 800 indicatori. Per le analisi statistiche sono stati usati i software R ed Excel e per le figure l’Asc. L’indice Qdv1 è composto da tre indicatori, uno per ogni dimensione (Tabella 1).
Per la dimensione “economia” è stato scelto il Pil-procapite. Utilizzato nella maggioranza degli indici complementari tale misura presenta generalmente i valori più bassi nelle zone rurali e con problemi di sviluppo, anche se questo non implica necessariamente che la Qdv sia bassa4.
Per la dimensione “società” è stato scelto il saldo demografico connesso al problema della marginalità e dello spopolamento; secondario nei comuni peri-urbani, può costituire un serio problema nei comuni più isolati. L’intervallo considerato è annuale ma potrebbe essere utile considerare intervalli più lunghi.
L’indicatore per la terza dimensione, “ambiente e sviluppo”, è relativo alla raccolta differenziata: implica necessariamente collaborazione degli abitanti ed efficienza degli amministratori e del sistema locale per uno sviluppo sostenibile (Capra 1997).

Tabella 1 - Indicatori utilizzati per l'indice Qdv1 e Qdv2

Poiché il rischio di errate o superficiali interpretazioni dei risultati aumenta con il numero di indicatori, e poiché maggiore è l’area territoriale considerata minore è la sensibilità verso le criticità e le risorse locali (tema portante delle politiche di sviluppo rurale), l’indice Qdv2 sembra più adatto a contesti provinciali. Il modello scelto è stato sviluppato a titolo esemplificativo per la provincia di Asti e aggiunge agli indicatori precedentemente considerati altri sei indicatori. I primi tre - disoccupazione, indice di vecchiaia e grado di istruzione - sono stati scelti in quanto utilizzati frequentemente. Gli altri tre, utilizzati con meno frequenza negli indici complementari, ma ritenuti utili nel contesto specifico dello sviluppo rurale sono i seguenti: a) pendolarismo, perché da una stima dell’offerta di lavoro locale, riduce il tempo a disposizione delle persone e potrebbe essere un costo per il singolo e le famiglie e quindi valori alti dell’indicatore sono considerati come negativi; b) case vuote, perché considera il problema della marginalità e degli spazi non utilizzati5; c) entrate comunali - procapite: nel modello è considerato positivo perché dà una stima ipotetica della capacità del comune di creare servizi. Nel caso questi non fossero realizzati l’indicatore dovrebbe essere considerato come un costo e quindi negativo.

Il trattamento dei dati

Una regola assoluta per il calcolo di un indice sintetico da cui ricavare una graduatoria sulla Qdv non esiste (Capursi 1998, Pagnotta 2003, Terzi 2005, Ocse 2009, AA.VV. 2009). Inoltre la metodologia per il trattamento dei dati può variare nel tempo come è successo per l’Isu o l’indice del Sole 24Ore.
Il trattamento dei dati inizia con la normalizzazione (Attanasio 1994, Ocse 2009, Mazziotta 2011) per rendere i numeri puri, adimensionali e comparabili tra loro e termina con l’aggregazione delle nuove variabili. Le tecniche per aggregare i dati sono molteplici. Le dimensioni e i relativi indicatori possono essere valutati con pesi diversi, per esempio in base a dei sondaggi (Ocse 2011) o statisticamente utilizzando l’analisi delle componenti principali (Lauro 2006); tuttavia non potendo conoscere la reale importanza per la società dell’indicatore, sì è preferito considerarli tutti dello stesso peso come nei tre indici citati. In questa analisi è stato utilizzato il metodo di costruzione di un indice sintetico proposto dall’Istat6, il Mazziotta Pareto Index7(Mazziotta 2011). Il Mpi si differenzia dai tre indici di riferimento, che aggregano le variabili con la media aritmetica, perché introduce l’utilizzo del Coefficiente di Variazione (CV). Con l’introduzione del CV si considera per il singolo Comune oltre al punteggio finale anche la varianza tra gli indicatori, penalizzando i Comuni al crescere della varianza e riducendo quindi la perdita d’informazione. Il Mpi risulta quindi interessante perché sottolinea l’importanza di uno sviluppo armonico delle dimensioni “economia” “società” e “ambiente”.

La determinazione dei livelli di qualità della vita e il confronto tra i due indici

Stilata la graduatoria sulla Qdv si è scelto di dividere i Comuni in quattro classi come nella zonizzazione Mipaaf; non potendo definire dei valori assoluti per delimitare le classi, si è scelto di creare gruppi di Comuni dove ogni classe fosse rappresentativa di un quarto della popolazione (Tabella 2, Qdv1). Prima è stata definita la classe poli urbani ordinando i Comuni secondo il numero di abitanti. (il primo quartile è risultato essere composto dai comuni di Torino, Alessandria e Novara). I poli urbani sono stati quindi esclusi e i comuni rimanenti ( riordinati secondo la graduatoria sulla Qdv) sono stati suddivisi in tre gruppi (Tabella 2, Qdv1 - B, C, D); nel gruppo denominato B i comuni sono considerati con una buona Qdv, in C hanno Qdv intermedia e in D bassa.

Tabella 2 - Piemonte, numero di abitanti ( x 1000) nella classificazione Mipaaf e in quelle della Qdv.


*Tipologie territoriali adottate nel Psn e nel Psr della Regione Piemonte: A poli urbani; B comuni rurali agricoltura intensiva; C comuni intermedi; D comuni con problemi di sviluppo.
Fonte: elaborazione propria su dati Istat

Seguendo la stessa metodologia è stato calcolato l’indice Qdv2 per la provincia di Asti. I dati sono stati normalizzati, aggregati e quindi è stata creata la graduatoria provinciale. Il comune di Asti è il polo urbano di riferimento (in quanto da solo supera il quartile di abitanti di tutta la provincia) ed è stato quindi escluso per la determinazione dei livelli di Qdv. Infine, individuati i valori che delimitano le tre classi B, C e D, al comune di Asti è stato assegnato il livello di Qdv secondo il punteggio ottenuto nella graduatoria.
La tabella 3 mostra la distribuzione degli abitanti della provincia secondo i due indici. Si può notare che, sia con l’indice Qdv1 sia con l’indice Qdv2, i comuni astigiani sono distribuiti nelle tre classi mentre nella zonizzazione nazionale (Figura 2) rientrano tutti nei comuni intermedi. Dai totali dell’indice Qdv1 i comuni extra-urbani si collocano principalmente nella classe D (52%), indizio che nella collina astigiana la Qdv è inferiore alla media regionale. Infine, la popolazione e relativi comuni appartenenti alla classe D sono uguali nei due indici per l’87%. I comuni di questa classe tendono ad avere valori bassi per molti indicatori riferibili alla Qdv di conseguenza risultano meno sensibili alla scelta e al numero degli indicatori. Al contrario i comuni con una buona e media Qdv (B, C) risultano i medesimi solo per il 37% e 32% in quanto la scelta e il numero di indicatori hanno un maggior effetto sulla graduatoria finale.

Tabella 3 - distribuzione degli abitanti della provincia di Asti nelle diverse classificazioni per numero e relativa percentuale.


Fonte: elaborazione propria su dati Istat.

La mappatura finale

Determinate le due graduatorie e definite le classi, i risultati sono riassunti con una mappa regionale e una provinciale dove ad ogni gruppo corrisponde un quartile della popolazione.
La figura 3.1 è riferita alla zonizzazione con l’indice Qdv1 applicata alla regione Piemonte. I poli urbani più importanti sono risultati Torino, Alessandria e Novara, rispettivamente con una bassa, media e buona Qdv. Le aree peri-urbane di tutti i capoluoghi di provincia e i comuni di pianura hanno tendenzialmente valori medi e buoni. I comuni con i valori più bassi sono generalmente quelli montani e collinari. I comuni collinari, classificati come intermedi nella zonizzazione ufficiale, sono risultati i più eterogenei: quelli peri-urbani hanno generalmente valori buoni mentre quelli più marginali presentano una bassa Qdv, risultati questi coerenti con la classificazione Mipaaf e la variante adottata dalla regione Toscana.
Le figure 3.2 e 4 sono relative alla provincia di Asti e permettono di confrontare l’indice Qdv1 con il Qdv2. I comuni appartenenti alla classe D si collocano principalmente a nord e sud-est della provincia con entrambi gli indici, mentre la distinzione tra quelli con una media e buona Qdv risulta più incerta e maggiormente soggetta alla scelta degli indicatori. Il comune di Asti con l’aumento delle variabili migliora la sua posizione in graduatoria passando dal gruppo C al B.

Figura 3.1 – risultati distribuzione popolazione nella regione Piemonte secondo l’indice Qdv1

Figura 3.2 - dettaglio provincia di Asti per l’indice Qdv1

Figura 4 - distribuzione popolazione nella provincia di Asti secondo l’indice Qdv2

Conclusioni

Il miglioramento della qualità della vita nelle aree rurali, tema di crescente interesse all’interno della Comunità europea, è ancora un concetto ambiguo e necessita quindi di ulteriori approfondimenti (Cagliero 2009), tuttavia la misurazione della Qdv nei comuni rurali può essere utile per evidenziare le criticità e i punti di forza di un territorio e individuare le aree con maggiori problemi di sviluppo. Nell’ambito dei Psr sono ancora in fase di studio set di indicatori sulla Qdv e manca una metodologia ufficiale per il trattamento dei dati. La zonizzazione Mipaaf di conseguenza rimane l’unico riferimento per la classificazione dei Comuni rurali, ma non individua i comuni montani con una buona qualità della vita e sottostima quelli collinari con problemi di sviluppo.
In questo articolo si è voluto principalmente proporre una metodologia alternativa per la classificazione dei comuni rurali e affinare nel contesto regionale e provinciale la zonizzazione Mipaaf. La novità più importante nel lavoro presentato riguarda la definizione delle classi, che non è più dipendente da indicatori territoriali ma si sposta su quelli demografici considerando il numero di abitanti.
Dal confronto dei due indici, i comuni con una bassa QdV (D) sono quelli meno influenzati dal numero e dalla scelta degli indicatori. L’utilizzo di pochi indicatori sembra quindi sufficiente per individuare i comuni con una bassa Qdv e presumibilmente problemi di sviluppo; l’aumento delle variabili condiziona relativamente la composizione finale del gruppo D, complicando invece l’interpretazione dell’indice. La distinzione tra i Comuni con una buona e intermedia Qdv risulta invece più complessa e maggiormente dipendente dalla scelta degli indicatori. L’utilizzo di set di indicatori complessi, ossia che utilizzano un numero di indicatori nell’ordine della decina o più, è consigliato quindi per aree territoriali limitate così da cogliere le criticità locali e favorire la sinergia tra i diversi attori coinvolti nelle politiche di sviluppo.

Siti di riferimento

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  • 1. Il rapporto della Commissione sulla misurazione della performance economica e del progresso sociale voluta dal Presidente francese Nicholas Sarkozy, coordinato dagli economisti Stiglitz, Sen e Fitoussì, sviluppa il precedente lavoro Ocse “Beyond GDP” coordinato da Stiglitz e Sen (Istat 2010) ed è convenzionalmente denominato rapporto Stiglitz (Gay 2011).
  • 2. Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf), di concerto con le Regioni, ha individuato una classificazione dei comuni in tre tipologie di aree rurali e una denominata poli urbani. Tale zonizzazione è adottata nel Psn, nei Psr e nel Quadro strategico nazionale relativo alla politica di coesione.
  • 3. Come si accennerà in seguito con l’Isu, non può esistere un modello univoco d’indicatori che spieghi tutte le dimensioni del sistema. Gli indici complementari, accumunati dall’idea che la realtà non possa essere misurata solo dalla dimensione economica, si differenziano principalmente nell’avere una dimensione o più sotto - dimensioni extra-economiche (sociale o ambientale) dominanti. La nuova generazione di indici deve essere incentrata sul futuro e gli indicatori aggiornati secondo le criticità.
  • 4. Gli indici complementari non mettono in dubbio la validità del Pil ma ne riducono il peso, in questo caso il Pil – pc pesa 1/3 nel contesto regionale, 1/9 in quello provinciale.
  • 5. L’indicatore case vuote non distingue le abitazioni a uso turistico, spesso vuote per gran parte dell’anno. Pur essendo disponibili i dati per considerare in futuro questo fattore, si è preferito in questo modello esemplificativo utilizzare indicatori semplici per dare la priorità alla metodologia.
  • 6. L’Mpi è la metodologia di riferimento nell’ambito del progetto Istat-Cnel “Benessere equo e sostenibile” (Bes) dove gli statistici Mazziotta e Pareto fanno parte del gruppo di lavoro. Il progetto terminerà nel 2013 e si prefigge di individuare un modello di indicatori per misurare il progresso della società italiana, ossia sviluppa il rapporto Stiglitz nel contesto nazionale.
  • 7. Il Mazziotta - Pareto Index prevede che data la matrice originaria X={xij } e indicati con Mx j e Sx j la media e lo scostamento quadratico medio del j-mo indicatore, dove:

       
      la matrice normalizzata Z={zij} è definita nel seguente modo,

     

    dove:
    xijè il valore del j-esimo indicatore nell’i-esima unità;
    ± è il segno della relazione tra il j-esimo indicatore e il fenomeno da misurare (gli indicatori dell’indice Qdv1 sono tutti considerati positivi per la società e quindi si utilizza il segno “+”, mentre per quelli considerati negativi si utilizza il segno “-”, tabella 1 ).
    L’aggregazione dei dati normalizzati prosegue utilizzando il coefficiente di variazione (CV= {cvi}) in cui:

    dove:
        
    L’indice sintetico dell’i-esima unità MPcvj si ottiene mediante la formula:

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