L'evoluzione delle emissioni agricole di gas serra nelle regioni italiane

p. 71
L'evoluzione delle emissioni agricole di gas serra nelle regioni italiane
a Università Politecnica delle Marche (UNIVPM), Dipartimento di Scienze Economiche e Sociali

Introduzione

Le emissioni di gas serra derivanti dalle  attività agricole costituiscono un tema centrale nel dibattito sulle politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici nei paesi sviluppati (PS) (European Commission, 2009). Ci sono due principali motivazioni per prestare attenzione alle emissioni del settore agricolo. Prima di tutto, stando a quanto pubblicato nel quarto rapporto di valutazione dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), l’agricoltura rappresenta il 13,5% delle emissioni antropogeniche globali di gas serra al 20051 (Metz et al. 2007); in particolare, il settore è responsabile del 60% circa delle emissioni di protossido di azoto (N2O) e il 50% delle emissioni di metano (CH4) globali. Questo contributo riguarda anche i PS. Ad esempio, nel 2009 in Italia l’agricoltura è la seconda fonte emissiva (7%) dopo l’energia (83%)2, ed è la fonte predominante delle emissioni di metano (CH4) e protossido di azoto (N2O) (rispettivamente il 41% e il 69%) (ISPRA, 2011).
In secondo luogo, stando alle stime dell’IPCC, a livello globale le emissioni agricole dovrebbero aumentare, da oggi al 2030, del 35-60% per il N2O e del 60% per il CH4 (Metz et al. 2007). Appare quindi cruciale capire se i Paesi sviluppati abbiano già raggiunto una condizione di sostenibilità delle emissioni agricole, quali forze abbiano guidato questo processo e se, eventualmente, la loro esperienza possa rappresentare un termine di riferimento per i cosiddetti paesi emergenti o per i Paesi in via di sviluppo (PVS) in cui la trasformazione del settore agricolo è ancora in atto e, di conseguenza, le cui emissioni si muovono ancora lungo un trend crescente.
Questo breve contributo esamina l’evoluzione delle emissioni agricole di gas serra nelle regioni italiane per verificare se, pur nella loro eterogeneità, emergono profili comuni circa l’andamento delle emissioni agricole di gas serra, la loro relazione con l’aumento della produzione e della produttività agricole e, quindi, la loro sostenibilità nel lungo periodo.

L’evoluzione delle emissioni agricole di metano nelle regioni italiane

La ricostruzione delle emissioni agricole nelle regioni italiane è possibile per un periodo sufficientemente lungo (dal 1951 al 2008) solo per il CH4 e solo per alcune categorie emissive. Si tratta, tuttavia, di quelle fonti emissive (fermentazione enterica, gestione delle deiezioni e coltivazione delle risaie) che rappresentano, nel 2008, la quasi totalità (99,20%) delle emissioni agricole di metano e circa il 42% delle emissioni totali del settore (ISPRA, 2010).
La metodologia utilizzata per ricostruire queste serie storiche delle emissioni regionali è sia di tipo bottom-up che top-down, in entrambi i casi a partire dalle attività emissive. Dal 1990 al 2008 le emissioni sono ricostruite con una metodologia top-down che consiste nella disaggregazione a livello regionale, utilizzando dati di attività, dell’inventario nazionale delle emissioni redatto dall’ISPRA (ISPRA, 2010; De Lauretis et al. 2009). La metodologia bottom-up consiste, invece, nell’applicare un fattore di emissione ai dati di attività rilevanti a livello regionale per gli anni dal 1951 al 1989 (Coderoni e Esposti, 2011). Le fonti dei dati di attività impiegati sono la banca dati Agrefit (Rizzi e Pierani 2006) per gli anni dal 1951 al 2004 e ISTAT per gli anni dal 2005 al 2008. I dati sulle superfici coltivate a riso, invece, sono dell’Ente Nazionale Risi e quelle sui fattori di emissione e le emissioni nazionali, sono di fonte ISPRA3.
La figura 1 mostra, a titolo esemplificativo, come la ricostruzione delle emissioni nazionali da fermentazione enterica siano dipendenti da dati di attività, in questo caso la consistenza numerica di diverse categorie animali. Appare evidente come la variazione del livello complessivo delle emissioni dipenda dalle emissioni attribuite a ogni categoria, a loro volta dipendenti dalla composizione della mandria.

Figura 1 - Emissioni di metano da fermentazione enterica 1951-2008 (vacche da latte, equini e suini e totali)

Fonte: Ns elaborazioni su dati Agrefit, ISPRA e ISTAT

Nella tabella 1 vengono riportati i tassi di crescita percentuale medi annui delle emissioni agricole di metano ( gCH4) nel periodo 1951-2008 e nei relativi sottoperiodi. Non potendo includere tutti i 20 dati regionali, si riportano solo il valore medio e i valori “estremi”, cioè le regioni con la variazione massima e minima.
Analogamente, si riportano anche i tassi di crescita delle unità di lavoro agricolo (L), gL e della produttività del lavoro agricolo (espressa come valore aggiunto per unità di lavoro, VA/L), gP4. Tre aspetti principali sembrano emergere dalla tabella. La prima evidenza riguarda il fatto che, nel complesso nazionale, le emissioni crescono nei primi decenni (fino alla fine degli anni ’70) per poi diminuire a partire dagli anni ’80; questa seconda fase decrescente finisce per prevalere nell’intero arco temporale in cui si registra, complessivamente, un calo delle emissioni agricole di metano. La forza lavoro e la produttività del lavoro agricole, invece, hanno andamento regolare, rispettivamente decrescente e crescente. La seconda evidenza riguarda il fatto che si registra una forte eterogeneità regionale soprattutto per quanto riguarda le emissioni. Ci sono regioni, cioè, in cui le emissioni sono sempre in diminuzione, altre sempre in crescita, in tutto il periodo. La forza lavoro e produttività del lavoro hanno, invece, lo stesso andamento in tutte le regioni sebbene con eterogeneità crescente, come indicato dal valore della deviazione standard rispetto alla media. Queste due evidenze conducono al terzo aspetto di maggiore rilievo emergente dalla tabella 1. Si tratta del fatto che risulta difficile individuare una chiara relazione tra andamento delle emissioni, diminuzione della forza lavoro agricolo e crescita della sua produttività. Come si accennerà nel paragrafo successivo, e come sottolineato ampiamente in letteratura (Coderoni e Esposti, 2011), una relazione evidentemente sussiste alla luce del fatto che questi tre andamenti sono espressione delle medesime trasformazioni strutturali dell’agricoltura e concernenti la tecnologia, l’organizzazione della produzione, gli orientamenti produttivi. Eppure questa relazione non sembra univoca, né nel tempo (gL e gP sono monotone, mentre gCH4 non lo è), né nello spazio, visto il diverso comportamento delle regioni “estreme”. Sembra utile, perciò, provare ad approfondire l’analisi di questa relazione soprattutto alla luce di quanto essa ci può dire circa gli andamenti di lungo e lunghissimo periodo delle emissioni agricole di metano e circa la loro sostenibilità.

Tabella 1 - Tassi di crescita medi annuali delle emissioni agricole di metano (gCH4), del lavoro agricolo (gL) e della produttività del lavoro agricolo (gP ) nelle regioni italiane nel periodo 1951-2008

Fonte: Ns elaborazioni

Sostenibilità delle emissioni e transizione agricola

Per cercare di capire quali siano i processi che guidano l’evoluzione di lungo periodo delle emissioni agricole, consideriamo, in primo luogo, le due regolarità empiriche che caratterizzano la trasformazione agricola che accompagna la crescita economica; crescita che ha riguardato tutte le regioni italiane nel periodo considerato, seppur in maniera diversa. Prima di tutto, si osserva una forte riduzione della forza lavoro agricola prevalentemente a favore di altri settori in espansione. Secondo poi, aumenta sensibilmente la produttività del lavoro agricolo in modo tale che, nonostante il calo della forza lavoro, la produzione agricola (e il valore aggiunto in termini reali) aumenti comunque, così da soddisfare la crescente domanda di prodotti agricolo-alimentari.
Questi due processi di trasformazione a loro volta inducono tre aggiustamenti più interni al settore agricolo che direttamente incidono sulle attività produttive, quindi sulle emissioni. Sono la sostituzione di lavoro con capitale, i cambiamenti tecnologici e: il cambiamento di composizione “intra-settoriale” dell’output agricolo (in particolare il cambiamento del peso relativo di produzioni vegetali e allevamenti) a sua volta dovuto a cambiamenti nelle preferenze dei consumatori.
Alla luce di tali processi, è interessante chiedersi come questi incidano sulle emissioni e, soprattutto, cosa possano dirci in termini di sostenibilità delle stesse. Per valutare la condizione di sostenibilità delle emissioni viene qui proposta una semplice definizione, secondo cui, sostenibilità significa un livello di emissioni non crescente nel tempo.4 Per analizzare i fattori che condizionano questa sostenibilità si considerino due semplici scomposizioni delle emissioni agricole al tempo t (Et)5:

dove VAt e Lt indicano, rispettivamente, il valore aggiunto in termini reali e la forza lavoro agricola al tempo t.
Dalla (1) e (2) si ottengono, in termini di tassi di crescita, le seguenti condizioni di stabilità delle emissioni (CS):

dove gVCH4 e gLCH4 indicano, rispettivamente, il tasso di crescita dell’intensità di emissione di metano cioè emissioni per unità di valore aggiunto e di forza lavoro, mentre gPt e gLt indicano, rispettivamente, il tasso di crescita della produttività del lavoro agricolo e della forza lavoro. In pratica, la (3) ci dice che la CS delle emissioni è rispettata ogni qual volta la diminuzione dell’intensità di emissioni per unità di VA (effetto tecnologico), è abbastanza grande da compensare l’aumento della produttività del lavoro agricolo al netto dell’andamento della forza lavoro (puro effetto di scala), che nel caso del settore agricolo, risulta regolarmente negativo con il procedere della crescita economica (l’effetto declino). La (4) ci dice invece che la CS è soddisfatta solo se le emissioni per unità di lavoro crescono a un tasso inferiore al declino dell’occupazione agricola.
Va detto che, oltre al fattore tecnologico, l’intensità di emissione può variare a causa della variazione delle composizione dell’output. Questo effetto di composizione “intra-settoriale”, ovvero lo spostamento progressivo verso produzioni a maggiore/minore impatto in termini di emissioni di gas serra (per esempio dalle produzioni vegetali verso quelle animali e, tra quelle animali, da quelle a alto a quelle a basso impatto emissivo) si può combinare all’effetto tecnologico nel compensare il puro effetto di scala e, quindi, nel garantire o meno la sostenibilità delle emissioni.
E’ possibile verificare empiricamente queste CS con riferimento alle emissioni agricole di metano nelle regioni italiane. Lo si può fare stimando un’appropriata specificazione  panel della relazione funzionale tra intensità di emissione e produttività, eVt = f (pt) e eLI = f (pt) e, poi, testando le condizioni di sostenibilità attraverso le derivate prime delle funzioni stimate. Tale relazione funzionale può ovviamente assumere diverse forme. Nell’analisi empirica, perciò, va scelta una forma di sufficiente generalità. Viene qui adottata una funzione polinomiale di terzo grado espressa nei logaritmi. Tale specificazione , insieme, semplice (per numero dei parametri) e flessibile, cioè ammette diverse possibili forme senza assumerle. La specificazione nei logaritmi, inoltre, consente di interpretare i risultati ottenuti (e, quindi, le stesse derivate) in termini di tassi di variazione, cioè di gVCH4t, gLCH4t, gPt e gLt. Infine, ricorrere alla formulazione  panel, ove il  panel è costituito dalle 20 regioni italiane osservate nel periodo 1951-2008, consente di individuare una relazione tra eVt (o eLt) e pt uguale per tutte le regioni ammettendo, allo stesso tempo, quel necessario grado di eterogeneità che i dati chiaramente indicano.6 I risultati ottenuti da queste stime (Tabella 2) indicano una relazione cubica (a U rovesciata) nel caso delle emissioni per VA, relazione che è compatibile con un sentiero sostenibile delle emissioni stesse. Nel caso dell’intensità di emissioni per occupato, invece, la relazione risulta monotona e crescente che esclude la possibilità di un sentiero sostenibile delle emissioni. Questa sostanziale differenza nei due casi risulta difficilmente spiegabile visto che le serie delle emissioni sono le stesse e, quindi, la risposta circa la sostenibilità del loro andamento di lungo periodo deve essere univoca. Fatto salvo il fatto che tale differenza di risultati può essere spiegata dalla natura stocastica delle stime e dalla diversa qualità statistica delle stesse, è comunque possibile fornire una spiegazione teorica di questa apparente contraddizione. Coderoni e Esposti (2011), infatti, mostrano come lo stesso processo sottostante possa generare comportamenti opposti per eVt = f (pt) e eLI = f (pt) in un intervallo limitato della stessa produttività del lavoro, pt. Ciò accade nel caso di un andamento a U rovesciata per entrambe le relazioni in cui, però, mentre la prima relazione è già decrescente, la seconda è ancora crescente, a causa del tasso di crescita costantemente negativo del lavoro agricolo. I risultati ottenuti, perciò, sono compatibili con un andamento sostenibile nel lungo periodo delle emissioni agricole nelle regioni italiane. Questo risultato è vero, però, solo sei si accetta che il periodo di osservazione è solo una finestra temporale e non contempla l’intero periodo di transizione verso la stabile riduzione dell’intensità di emissione, che andrà confermato dalle osservazione dei prossimi decenni.

Tabella 2 – Stima della relazione tra tassi di crescita dell’intensità delle emissioni (gVCH4t, gLCH4t) e della produttività del lavoro (gPt) agricoli e verifica delle condizioni di sostenibilità (CS)

Fonte: Ns elaborazioni

Alcune considerazioni

Il lavoro proposto ha sviluppato un semplice quadro analitico che lega le condizioni di sostenibilità delle emissioni agricole di metano alla forma assunta dalla relazione tra l’intensità di emissione (per unità di valore aggiunto o di occupato) e la crescita della produttività del lavoro agricolo. Le serie storiche regionali delle emissioni di metano, adeguatamente ricostruite per un ampio periodo temporale, hanno consentito di stimare questa relazione e di testare le condizioni di sostenibilità. I risultati ottenuti non sono univoci e possono, anzi, sembrare contraddittori. In realtà, a un più attento esame, ciò che emerge appare compatibile con una traiettoria di trasformazione agricola che conduce alla sostenibilità delle emissioni. Tale interpretazione, tuttavia, andrà confermata alla luce dei dati almeno del prossimo decennio e, in ogni caso, implica che tale traiettoria verso la sostenibilità copra un arco temporale molto ampio. Quest’ultimo aspetto appare di particolare rilevanza quando si vogliano trarre dal caso italiano indicazioni utili per la trasformazione agricola in atto in molti PVS. Certamente sembrano necessarie ulteriori indagini riferite ad altri contesti agricoli nazionali, e ad altre esperienze storiche, per poter generalizzare a quanto osservato nel caso delle regioni italiane. Se, tuttavia, dovessimo concludere che anche nei PVS è prevedibile il compimento di una traiettoria simile, i risultati indicherebbero che la strada per raggiungere la sostenibilità delle emissioni agricole è ancora piuttosto lunga; forse troppo lunga, vista l’attuale urgenza di un contenimento, se non di una riduzione, dei livelli di emissione globale di gas serra. In tal caso, l’analisi delle relazioni sussistenti tra processi di trasformazione agricola e evoluzione delle emissioni può consentire di elaborare strategie e politiche per accelerare la transizione verso la sostenibilità.

Riferimenti bibliografici

  • Borghesi S., Vercelli A. (2009), Greenhouse gas emissions and the energy system: Are current trends sustainable? International Journal of Global Energy Issues, n. 32, pp.160-174

  • Coderoni S., Esposti R. (2011), Long-Term Agricultural GHG Emissions and Economic Growth: The Agricultural Environmental Kuznets Curve across Italian Regions. Paper prepared for presentation at the EAAE 2011 Congress, Change and Uncertainty Challenges for Agriculture, Food and Natural Resources, 30 Agosto-2 Settembre, Zurigo, Svizzera

  • De Lauretis et al. (2009), La disaggregazione a livello provinciale dell’inventario nazionale delle emissioni". ISPRA Rapporto tecnico 92/2009. Roma

  • European Commission (2009), A reform agenda for a global Europe (reforming the budget, changing Europe), The 2008/2009 EU budget review. DRAFT 6-10-09, European Commission, Brussels

  • Kaya Y. (1990), Impact of carbon dioxide emission control on GNP growth: interpretation of proposed scenarios. Paper presented to IPCC Energy and Industry Sub-Group, Response Strategies Working Group, Parigi

  • ISPRA-Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (2010), Italian Greenhouse Gas Inventory 1990-2008. National Inventory Report 2010, ISPRA Rapporto Tecnico 113/2010, Roma

  • ISPRA-Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (2011), Italian Greenhouse Gas Inventory 1990-2009. National Inventory Report 2011, ISPRA Rapporto Tecnico 139/2011, Roma

  • Metz B., Davidson O.R., Bosch P.R., Dave R., Meyer L.A., (2007), Climate Change 2007: Mitigation, Contribution of Working Group III to the Fourth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change, Cambridge, Cambridge University Press

  • Rizzi P.L. e Pierani P. (2006), Agrefit. Ricavi, costi e produttività dei fattori nell’agricoltura delle regioni italiane 1951-2002. Associazione Alessandro Bartola, Milano,: Franco Angeli Editore

  • Stephenson J., (2010), Livestock and climate policy: less meat or less carbon? Round Table on Sustainable Development (SG/SD/RT(2010)1), OECD, Parigi

  • 1. Pur non essendo molto recente, il dato fa riferimento all’ultimo rapporto di valutazione pubblicato dall’IPCC, che rappresenta la fonte principale di revisione di letteratura scientifica sui cambiamenti climatici.
  • 2. Nel settore “energia” sono stimate le emissioni derivanti dalla combustione di carburanti.
  • 3. Il ricorso alle due metodologie per ricostruire le serie regionali è dovuto al fatto che con la metodologia bottom up, non si può tenere conto dei alcuni dei miglioramenti nelle stime che l’ISPRA apporta annualmente. Infatti, la metodologia di base di stima delle emissioni consiste nel moltiplicare il dato di attività (fonte emissiva) per un fattore di emissione (Tier 1), mentre la metodologia usata per le fonti più importanti di emissione (Tier 2) si basa sulla stima di un fattore di emissione country specific, derivante da parametri tipici della realtà italiana. Se la ricostruzione delle serie storiche delle emissioni fosse effettuata solo con metodologia bottom-up, si trascurerebbero tutti quei miglioramenti delle stime che si ottengono con una metodologia Tier 2, che invece, disaggregando il dato nazionale, si possono distribuire in base ai dati di attività. Nella stima dei modelli analizzati è stata inserita una variabile dummy per tenere conto di questa differenza nella ricostruzione delle serie.
  • 4. Tale accezione di sostenibilità può sembrare semplicistica, in quanto non riferita al raggiungimento di specifici obiettivi di riduzione delle emissioni su scala globale. Da un lato, tuttavia, è pur sempre l’accezione letterale del termine sostenibilità, cioè quella proprietà di processo o di uno stato, che può essere mantenuto a un certo livello indefinitamente. Inoltre, rappresenta comunque un riferimento interessante. Infatti, secondo Stephenson (2010) se le emissioni derivanti dagli allevamenti rimanessero fisse ai livelli del 2000, invece di crescere ad un tasso dell’1%, l’ammontare di spazio liberato in atmosfera in 50 anni, sarebbe lo stesso delle emissioni globali da trasporti nel 2005.
  • 5. Si tratta di adattamenti della nota scomposizione IPAT (Kaya 1990; Borghesi and Vercelli 2009) ove l’impatto sull’ambiente (I) è dato dal prodotto tra P (Popolazione), A (Affluence-ricchezza) e T (Tecnologia).
  • 6. Per una descrizione dettagliata delle scelte di specificazione, dei metodi di stima utilizzati e delle questioni econometriche, si veda Coderoni e Esposti (2011).
Tematiche: 
Rubrica: