Obesità e ricerca economica: una sfida “preistorica”

Obesità e ricerca economica: una sfida “preistorica”
a University of Wyoming, Department of Economics and Finance

 

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  Articolo originale

Adattato e tradotto da Sara Capacci (Università di Bologna) dall’articolo originale di J.S. Shogren (2005), “Economics of diet and health: Research challenges”, Food Economics - Acta Agriculturae Scandinavica – Food Economics, Section C, 2-3: 117-127.

Le politiche nutrizionali e sanitarie possono essere migliorate attraverso l’integrazione delle scienze economiche nelle discipline biomediche e di sanità pubblica. Questa affermazione è meno audace di quello che potrebbe inizialmente sembrare, se si accetta la semplice idea che il comportamento umano fortifica le politiche nutrizionali e sanitarie. Le persone influenzano il proprio mondo interiore, e ne sono influenzate. Capire i fattori determinanti che guidano le decisioni su cosa mangiare, quando fare attività fisica, che livello di prestazioni sanitarie domandare è cruciale, e spesso i costi relative e i benefici hanno qualcosa da dire riguardo queste scelte (Mazzocchi, Traill, Shogren, 2009). L’integrazione delle scelte private con le decisioni pubbliche richiede informazione sull’interazione tra circostanze economiche e biomediche, conoscenza sulle capacità individuali idiosincratiche per adattarsi ai rischi, sul prezzo relativo degli alimenti e dei servizi per la salute, e qualche idea su come identificare le scelte razionali rispetto a quelle situazionali.

Commercio e biologia nel passato

Adam Smith scrisse nella “Ricchezza delle Nazioni” che “‘ogni uomo cerca di soddisfare con la propria operosità le sue necessità occasionali nel momento in cui si presentano. Quando ha fame, va nella foresta a cacciare; quando la sua pelliccia e consumata, si veste con la pelle del primo grande animale che uccide; e quando il suo rifugio va in rovina, lo ripara, al meglio delle sue possibilità, con gli alberi e le zolle d’erba più vicine”. Quello che era vero allora, è vero anche oggi. Le persone usano le risorse naturali per il proprio beneficio, a volte a proprie spese, altre volte a spese degli altri individui. L’obiettivo dell’economia alimentare e nutrizionale è di studiare queste necessità umane e i limiti delle risorse naturali per definire i vincoli, affrontarli, e per pianificare regolamentazioni che migliorino l’efficienza nell’uso di terre, foreste e risorse. Con questo in mente, torniamo indietro nel tempo fino alla “paleoeconomia”.
Dopo circa 260mila anni passati a sbarcare il lunario nell’Eurasia glaciale, l’uomo di Neanderthal si estinse improvvisamente attorno al 30mila/ 40mila. I primi uomini moderni (homo sapiens), giunti sulla scena poco prima, sono sospettati di essere stati i perpetratori dell’estinzione del Neanderthal, ma non è noto in che modo l’abbiano causata. Mellars (2004) riassume lo stato dell’arte nel dibattito sull’estinzione dell’uomo di Neanderthal e suggerisce che la sostituzione dei Neanderthal con i primi uomini moderni è probabilmente il risultato di un processo di esclusione, cioè la popolazione più efficiente prevale su quella meno efficiente e alla fine la rimpiazza. Horan et al. (2005) hanno sviluppato un modello di paleoeconomia che supporta la tesi di Mellars nel sostenere che le differenze comportamentali avrebbero giocato un ruolo importante nell’estinzione dell’uomo di Neanderthal. In poche parole, la loro stilizzazione è la seguente. Inizialmente i Neanderthal vivono in una situazione di equilibrio con una popolazione di megafauna che costituisce la loro principale base predatoria. Gli esseri umani entrano nel territorio dei Neanderthal, e comincia la competizione per le risorse di base. La fertilità è legata ai consumi calorici, e l’esclusione comportamentale si verifica quando il consumo di carne pro-capite degli esseri umani è regolarmente superiore a quello dei Neanderthal, o viceversa. Assumendo che esistano cacciatori qualificati e non-qualificati in entrambe le popolazioni, l’evento principale è l’invenzione dell’istituzione del commercio da parte degli esseri umani. Favoriti dalla propria abilità di parlare e usare la comunicazione simbolica, il commercio fornisce incentivi per la specializzazione e divisione del lavoro, consentendo ai cacciatori “qualificati” di concentrarsi sul lavoro che fanno meglio. Il modello di Horan et al. suggerisce la seguente evoluzione. I cacciatori umani qualificati sono inizialmente pochi, ma crescono nel tempo. La selezione naturale aumenta la proporzione di cacciatori umani qualificati fino ad un livello che permette una divisione del lavoro completa. Gli esseri umani mantengono questa divisione del lavoro finché i Neanderthal non si estinguono nei secoli successivi. Anche con una proporzione più alta di cacciatori qualificati, i Neanderthal non possono competere con il sistema economico degli umani. Le forze economiche elementari di scarsità e i costi e benefici relativi hanno giocato un ruolo fondamentale nell’indirizzare le società attraverso la storia umana.

L’integrazione di economia e biologia

Come mai l’uomo di Neanderthal non ha più recuperato il terreno perduto, sebbene abbia imparato a commerciare? Grazie alle interazioni positive tra commercio, nutrizione e produttività, gli esseri umani riuscirono a mantenere il vantaggio competitivo. Un commercio efficiente conduce ad una nutrizione migliore e, di conseguenza, ad una maggiore produttività. Il successo nella caccia alla megafauna dipende da forza e resistenza, quindi da buona salute e nutrizione. Il consumo calorico è associato con un aumento nel consumo di ossigeno, quindi con una migliore forma fisica. I Neanderthal non raggiunsero mai gli esseri umani, perché questi ultimi diventavano sempre più produttivi. Infatti, la scomparsa dei Neanderthal diventa più rapida una volta che gli effetti di produttività vengono presi in considerazione. E’ grazie a questi che gli esseri umani possono compensare in misura crescente la superiore efficienza biologica dei Neanderthal. In un equilibrio commerciale, il consumo pro capite di carne degli esseri umani è maggiore della produzione pro-capite di carne da parte dei Neanderthal. Di conseguenza, ogni singolo homo sapiens consuma almeno la stessa quantità di carne, se non di più, di un cacciatore Neanderthal qualificato, mentre i Neanderthal meno qualificati consumano meno carne. La maggiore quantità di carne consumata dai cacciatori sapiens implica una migliore nutrizione e quindi maggiore produttività nel periodo successivo. Al contrario, la fertilità e la nutrizione dei Neanderthal diminuiscono nel tempo, poiché la compresenza di produzioni dei sapiens e dei Neanderthal riduce gli stock di fauna e flora, di fatto diminuendo la produzione dei Neanderthal. La nutrizione e la produttività relativamente più ampie degli umani nei periodi successivi, in combinazione con le carenze di nutrimento e produttività nei Neanderthal, aumentano in pratica l’efficienza biologica relativa degli esseri umani. Interazioni positive esistono tra produttività e consumo, il che si somma al vantaggio competitivo degli esseri umani, creato dalla loro superiore efficienza economica indotta dal commercio.
La lezione del passato è che possiamo vedere come l’economia interagisca con i fattori biologici per generare migliore o peggiore nutrizione. La biologia influenza la scarsità, che influenza il commercio, che influenza la scarsità, che influenza il commercio… e così via. Il commercio può ridurre il tasso di selezione naturale quando uno assume l’utilità e la fertilità come funzioni del consumo di carne. E mentre il commercio viene tradizionalmente visto come un fattore di aumento dell’efficienza, in realtà può anche ridurre l’efficienza evolutiva attraverso una riduzione delle abilità medie. Oggi la questione aperta è se (e come) i fattori economici in atto differiscano da quelli della storia paleoconomica. La biologia non crea il nostro destino e non lo crea neppure l’economia, è la combinazione che cattura le azioni e reazioni tra i due sistemi che conta. Se uno accetta l’idea che né la biologia, né l’economia costituiscano la “provvidenza”, la sfida alla ricerca scientifica è quella di trovare meccanismi ed istituzioni che siano in grado di integrare meglio l’economia con le scienze mediche ed epidemiologiche.
I rischi che affrontiamo con le nostre scelte dietetiche sono endogeni. La politica sanitaria è finalizzata a ridurre i rischi di morbidità e mortalità. L’obiettivo è di investire risorse scarse per ridurre i rischi per la propria pelle per le persone che decidono di affrontare i pericoli legati a cibi insalubri. Il rischio è definito come combinazione di due elementi: la probabilità (o l’eventualità) che un evento positivo o negativo si realizzi, e l’esito o le conseguenze che si realizzano nel caso l’evento si verifichi nel concreto. Le risorse scarse generano dei costi-opportunità, che rendono l’idea di una società senza rischi un obiettivo nobile ma irrealizzabile. Piuttosto, le nostre scelte private e collettive su come produrre cibo e su quali cibi consumare generano rischi per noi stessi. Per esempio mangiamo cibi salati che temiamo siano la causa dell’ipertensione. Ognuno può creare la propria “lotteria della salute”: le scommesse che la gente accetta per migliorare il proprio benessere. La politica sanitaria deve cambiare le probabilità e gli esiti, in modo tale che la gente e la natura si trovino a giocare ad una lotteria diversa, auspicabilmente una con un rischio inferiore.
L’idea è che le azioni private dominino le scelte di alimentazione e nutrizione. Quando la gente affronta rischi da patogeni, può auto-proteggersi lavandosi le mani, conservando meglio i cibi e cucinandoli bene. Si comprano bottiglie di acqua minerale quando si sospetta che l’acqua corrente sia inquinata. Le persone sostituiscono l’auto-protezione con la protezione pubblica offerta da programmi di sicurezza collettiva. Il valore assegnato da ciascun individuo ad un programma collettivo di riduzione del rischio dipende quindi dalla propria preparazione e dall’impegno nella salvaguardia personale. La prospettiva del rischio endogeno è particolarmente rilevante per i problemi sanitari, perché i mercati sono incompleti, il che impedisce la creazione di un insieme completo di informazioni che permettano una perfetta diversificazione del rischio fino ad escludere solo il rischio esogeno.
Per esempio Fogel (1994) sostiene che i miglioramenti nella salute nell’ultimo secolo sono dovuti ad una migliore nutrizione e ad una maggiore capacità dei consumatori di tradurre l’informazione nutrizionale negli stati di salute desiderati. Poiché questa capacità dipende dai prezzi relativi e dalla ricchezza, il richiamo è per un uso congiunto di scienze biomediche ed economiche per esaminare più in dettaglio le conseguenze di una migliore nutrizione per il benessere umano. L’appello di Fogel, però, è stato raramente raccolto, sia nella letteratura biomedica che in quella di economia sanitaria. Chen et al. (2002) sottolineano come gli studi biomedici lavorino nell’ambito di un dualismo mente-corpo che tratta i processi mentali e biochimici come separabili. Questa interpretazione implica che la biochimica e la biofisica siano in grado di spiegare le scelte nutrizionali e la salute umana.
Gran parte dell’analisi economica della relazione nutrizione-salute ha mantenuto questo dualismo mente-corpo. Studi nutrizionali che mostrano come i consumi rilevanti per la salute siano manifestazioni delle scelte individuali sono limitati nel numero e si trovano esclusivamente nella letteratura economica (Behrman & Deolalikar, 1988).
I rari tentativi in biomedicina di introdurre considerazioni comportamentali non modellizzano formalmente le decisioni individuali su cosa mangiare in funzione di prezzi e reddito. La stima dell’impatto in termini di salute legata ad una variazione di un nutriente e indotta da un cambiamento di prezzo sarà una risposta aggregata della salute a cambiamenti nel consumo di tutti i beni rilevanti per la salute, indotti da tale variazione di prezzo. La raccomandazione di cambiare il consumo di un nutriente può condurre gli individui a variare anche il consumo di altri beni rilevanti per la salute. La dimensione di tale scelta dipende da fattori quali le preferenze, i salari, i prezzi e il reddito. Le conseguenze quotidiane per la salute di aderire alla raccomandazione possono essere diverse dal risultato di laboratorio.
E sebbene esistano conflitti tra scienze sociali e mediche, l’economia e le scienze mediche e biologiche hanno molte cose in comune. Entrambe le discipline studiano come affrontare la scarsità. Che sia la reazione umana ad un budget limitato e a desideri illimitati o la risposta fisiologica alla quantità e qualità degli alimenti, gli esseri umani e i loro corpi devono fare i conti con i propri limiti. I fattori limitanti in entrambe le discipline sono alla base degli sforzi di ricerca. Eppure, il fallimento nel considerare influenze congiunte sui vincoli esistenti nei sistemi economici e biologici può generare percezioni inaccurate sul funzionamento di ciascun sistema e produrre raccomandazioni politiche fuorvianti.

Razionalità economica e comportamenti effettivi

Cattive diete e scelte insalubri stanno dominando il dibattito sulle politiche pubbliche in molte nazioni sviluppate. Piuttosto che troppo poco cibo, la preoccupazione da tempi antecedenti l’uomo di Neanderthal, oggigiorno il problema è il troppo cibo o la qualità troppo scarsa. Per esempio, sette individui su dieci negli Stati Uniti sono classificati come sovrappeso o obesi. E secondo Finkelstein et al. (2004), problemi di obesità e fumo generano circa il 10% della spesa sanitaria complessiva degli Stati Uniti.
La sfida di ricerca per il futuro è quella di definire e controllare queste scelte private apparentemente deficitarie. Per economisti interessati alla relazione tra dieta e salute, questa agenda richiede un maggiore sforzo di ricerca indirizzato a quantificare la distanza tra le azioni individuali e quelle dell’homo economicus razionale assunto nei modelli tradizionali di economia sanitaria (si veda ad esempio Mancino & Kinsey, 2004). Affidarsi alla teoria delle scelte razionali per guidare politiche nutrizionali e sanitarie avrebbe più senso se le persone facessero scelte coerenti e sistematiche rispetto ad eventi sicuri e rischiosi. Ma una domanda fastidiosa persiste: i problemi nutrizionali e salutistici sono una questione di fallimento del mercato, di progresso tecnologico, oppure un fallimento comportamentale o ancora una combinazione di tutto ciò? Al momento di pianificare le politiche sanitarie, quale livello di razionalità dovremmo assumere? Quanto è importante il contesto delle scelte? Gli incentivi contano… davvero? Che ruolo giocano le emozioni nei comportamenti economici che toccano dieta e salute? Quanto complessa è la funzione di utilità di una persona? Quanto le istituzioni influenzano la natura di questa funzione di utilità?
La lezione per vincere le sfide future nell’economia della dieta e della nutrizione è quella di affrontare di petto la questione della razionalità e le sue ramificazioni. Separare le condizioni rispetto alle quali la razionalità è sufficientemente valida come finzione necessaria per guidare la politica dalle circostanze in cui non lo è sarà un’area di ricerca fondamentale. Una differenza chiave esiste nel dibattito su cosa significhi la razionalità nel contesto comportamentale. Il punto è se uno sceglie di credere che la scelta razionale sia una proprietà del singolo individuo o se appartenga al contesto sociale ed economico in cui si colloca. La gente fa scelte sia in situazioni non di mercato che in situazioni di mercato socializzato. La sensibilità dei fallimenti comportamentali al contesto istituzionale illustra come il comportamento cambi secondo che una decisione sia fatta in isolamento, all’interno di un mercato attivo o in entrambe le situazioni. Affrontare la questione se la razionalità sia una guida attendibile o una vestigia confusa richiederà più informazione e ricerca basata su esperimenti che siano in grado di controllare il contesto della scelta e le istituzioni esistenti con il compito di alterare le scelte alimentari e di salute. Il messaggio di fondo è che gli economisti dovrebbero continuare a sfidarsi in terreni oltre i propri confini consueti, per lavorare di più con biologi, medici, antropologi, epidemiologi e scienziati del comportamento. Integrando l’economia nel cuore di queste altre discipline, la previsione del comportamento, razionale o meno, può essere più precisa con una migliore descrizione delle azioni e reazioni private alle politiche pubbliche sanitarie, specialmente per aspetti così fondamentali come nutrizione e salute.

Riferimenti bibliografici

  • Behrman, J. R., & Deolalikar, A. B. (1988). Health and nutrition. In H. Chenery & T. N. Srimivasan (Eds.), Handbook of development economics, Vol. 1. (pp. 631771). Amsterdam: North-Holland.
  • Chen, S-N., Shogren, J., Orazem, P., & Crocker, T. (2002). Prices and health: Identifying the effects of nutrition, exercise and medication choices on blood pressure. American Journal of Agricultural Economics, 84, 9901002.
  • Finkelstein, E., Fiebelkorn, I., & Wang, G. (2004). State-level estimates of annual medical expenditures attributable to obesity. Obesity Research, 12,1824.
  • Fogel, R. W. (1994). Economic growth, population theory, and physiology: The bearing of long-term processes on the making of economic policy. American Economic Review, 84, 369395.
  • Horan, R., Bulte, E., & Shogren, J. (2005). How trade saved humanity from biological exclusion: An economic theory of Neanderthal extinction. Journal of Economic Behavior and Organization, 58,129.
  • Mancino, L., & Kinsey, J. (2004). Diet quality And calories consumed: The impact of being hungrier, busier and eating out. Working Paper 04-02, The Food Industry Center, University of Minnesota.
  • Mazzocchi, M., Traill, W.B., Shogren, J.S. (2009). Fat Economics: Nutrition, health and economic policy. Oxford: Oxford University Press.
  • Mellars, P. (2004). Neanderthals and the modern human colonization of Europe. Nature, 432, 461465.
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