Il mercato e le politiche per l’obesità infantile

Il mercato e le politiche per l’obesità infantile

 

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Adattato e tradotto da Francesca Hansstein (Università di Bologna) dall’articolo originale di John Cawley (2006), “Markets and Childhood Obesity Policy”, Future of the Children, 16(1) FONT>.

Assumendo una prospettiva economica, quest’articolo illustra come l’influenza del mercato abbia contribuito al recente aumento dell’obesità infantile negli Stati Uniti, e propone una serie di misure politiche per arginare il fenomeno. I rischi per la salute associati all’obesità infantile, tra cui asma, ipertensione, diabete di tipo II, malattie cardiovascolari e depressione, hanno indotto le autorità mediche a dichiarare la sua crescita sintomo di uno “stato di allerta” per la salute pubblica dei cittadini americani.

In che modo il mercato ha contribuito all’aumento dell’obesità infantile?

Ciò che innanzitutto ha contribuito all’affermarsi di un saldo calorico sempre più positivo, è stata la riduzione del prezzo dei beni alimentari più calorici. Secondo il U.S. Bureau of Labour Statistics infatti, tra il 1989 e il 2005, il prezzo reale dei grassi è diminuito del 26.5%, quello di dolci e zuccheri del 33.1%, mentre quello di frutta e verdura è cresciuto del 74.6%. Gli alimenti densamente energetici sono dunque disponibili sul mercato a prezzi nettamente inferiori rispetto a cibi a basso contenuto calorico.
La crescita dei salari ha inoltre aumentato il costo-opportunità della preparazione casalinga dei pasti, scoraggiando l’investimento di tempo in attività culinarie a favore della prima migliore alternativa disponibile. Questa circostanza è particolarmente vera per chi possiede almeno un diploma di scuola secondaria, perché in media chi è più istruito ha uno stipendio più alto rispetto a chi possiede un titolo di studio inferiore. Anche i cambiamenti tecnologici hanno favorito la riduzione del tempo per cucinare, creando incentivi per l’utilizzo di pasti preconfezionati. Si è così verificato un significativo spostamento dei consumi verso alimenti industriali trasformati che, considerato il prezzo basso e l’immediata reperibilità, hanno a loro volta influito sull’andamento dei tassi di obesità. L’evidenza empirica dimostra inoltre che tra coloro che hanno tratto maggiore vantaggio dalle innovazioni tecnologiche, si osservano i maggiori aumenti di peso. Del resto, l’incidenza dell’obesità è direttamente proporzionale alla disponibilità di alimenti trasformati, quindi superiore nelle economie più sviluppate. Anche i cambiamenti nel mercato del lavoro femminile hanno inciso sulla riduzione del tempo dedicato all’economia domestica. Insieme all’aumento del costo opportunità sopra menzionato, la crescente forza lavoro “in rosa” ha contribuito all’aumento della frequenza dei pasti consumati fuori casa.
Il consumo di pasti fuori casa è peraltro è strettamente connesso all’obesità perché da un lato è difficile stabilire il loro contenuto calorico e dall’altro le porzioni servite sono spesso molto più abbondanti del necessario.
Un ruolo importante in relazione all’aumento dell’obesità infantile è giocato dalla pubblicità. E’ stato dimostrato, ad esempio, che se un bambino consumasse soltanto alimenti pubblicizzati dai media, la sua dieta sarebbe ben lontano dalle raccomandazioni nutrizionali indicate per gli americani (Dietary Guidelines for Americans). Basti osservare la sostituzione progressiva delle pubblicità di frutta e verdura con quelle di ristoranti fast-food, bibite e snack.
Anche la politica agricola potrebbe incidere indirettamente sulla crescita dei tassi di obesità. La politica di sostegno agli agricoltori è infatti stata fortemente criticata perché sussidia la produzione di mais e, di conseguenza, quella di sciroppo di glucosio-fruttosio (ottenuto con amido di mais) che è largamente presente nelle bibite gasate, nei succhi di frutta, nelle caramelle e in molti altri alimenti dolci.

Le ragioni economiche per l’intervento nel mercato e strategie per scegliere le politiche pubbliche più efficaci

Le autorità di sanità pubblica devono intervenire nel mercato per contenere i costi e i rischi dell’obesità. Ci sono diverse ragioni economiche che giustificano l’intervento dello Stato e ognuna di esse si può tradurre in azione politica.
In primo luogo, nel libero mercato i produttori generalmente non forniscono tutte le informazioni di cui i consumatori avrebbero bisogno. Il governo dovrebbe dunque intervenire laddove il mercato fallisce, dando ai consumatori quelle informazioni nutrizionali che li aiutino a scegliere in modo più consapevole. Il Nutrition Labelling and Education Act (Nlea) del 1990 effettivamente obbliga i produttori a indicare i valori nutrizionali sulle confezioni degli alimenti, ma per il momento non esiste nessuna legge che vincoli anche ristoranti o fast-food a fare lo stesso. Intuitivamente, basterebbe estendere il campo di applicazione dell’Atto anche agli esercizi commerciali di ristoro, indicando il contenuto calorico dei piatti sul menu. La seconda ragione economica che spinge a chiamare l’intervento statale, riguarda il fatto che i costi dell’obesità sono largamente sostenuti dalla società nel suo complesso. Uno studio del 2003 stima per esempio che, attraverso Medicare e Medicaid – programmi federali per la sanità negli Usa – i contribuenti statunitensi pagano soltanto metà dei costi per la cura di malattie legate all’obesità (Finkelstein et al., 2003).
Il terzo motivo riguarda nello specifico l’obesità dei più giovani. I bambini non sono ovviamente ciò che tradizionalmente gli economisti definiscono “consumatori razionali”: non possono valutare in modo critico le informazioni a loro destinate, né sanno pesare in anticipo le conseguenze delle loro azioni.
Se il problema dell’asimmetria informativa può essere risolto con politiche mirate, lo stesso non si può dire per le altre due questioni, che necessitano invece un intervento di tipo indiretto. Da un punto di vista economico, il modo più corretto per scegliere tra diversi interventi è analizzare il rapporto costo-efficacia. Il primo passo da fare dovrebbe essere stimare tutti i costi e i benefici associati a ogni possibile intervento e ordinarli sulla base del costo, per consentire ai policymaker un’allocazione delle risorse il più efficiente possibile.
L’interesse della politica si può concretizzare in diverse azioni. Si potrebbero ad esempio introdurre delle tasse o dei sussidi che scoraggino il consumo di alcuni alimenti e incoraggino quello di cibi più sani insieme alla pratica di attività fisica. L’introduzione di una tassa su un prodotto molto calorico può rivelarsi efficace a tal punto da incidere sui livelli di obesità, agendo così anche sui suoi costi sociali. Un’altra possibilità è il sussidiare uno stile di vita sano e “colpire” l’obesità in modo indiretto. Ad esempio, negli Stati Uniti, alcuni governatori locali hanno dato dei sussidi per la frequentazione di parchi pubblici, palestre o piscine, e hanno finanziato corsi di educazione alimentare o attività di sport di squadra nelle scuole pubbliche. Tanto negli Stati Uniti quanto altrove, un luogo in cui si potrebbe rivelare molto utile intervenire sono proprio gli istituti scolastici. Le autorità locali potrebbero ad esempio richiedere il ritiro dalle scuole dei distributori automatici di bibite e merendine o proteggere i bambini dalle pubblicità dei cibi spazzatura. I più giovani sono infatti più sensibili al consumo dei prodotti reclamizzati e questo ha chiaramente conseguenze negative sui trend dell’obesità.
Per quanto concerne le politiche agricole, i Governi dovrebbero invece promuovere analisi costi-benefici per valutare il beneficio netto dei sussidi alla produzione e del sostegno dei prezzi, in modo da identificare – ed eventualmente modificare o cancellare – quei programmi pubblici che indirettamente contribuiscono all’incremento dell’obesità.

 

Conclusioni

Sono oggi ancora poche le analisi costi-benefici per valutare l’efficacia dell’intervento pubblico. Tuttavia in letteratura ci sono diversi studi che, utilizzando il metodo Qaly – Quality Adjusted Life Years – , hanno calcolato quanto costerebbe alle casse statali “risparmiare un anno di vita umana” attraverso l’attuazione di una determinata misura politica. Il criterio decisionale per un’analisi costi-benefici dovrebbe essere, in generale, scegliere l’intervento con il più basso costo per Qaly e continuare lungo quella strada finché il budget non si esaurisce o finché il costo non supera una certa soglia. Un segnale importante arriva dal recente innalzamento di tale soglia che da 50mila dollari è arrivata addirittura a 200mila dollari (Roux, 2000; Hirth, 2000). Studi recenti dimostrano che, potenzialmente, sono molti gli interventi da mettere in atto per la diminuzione dei tassi di obesità: alcuni riguardano la prevenzione, mentre altri, più specifici, le cure mediche. Anche piccoli cambiamenti nel comportamento, diretti o indiretti che siano, potranno infatti rivelarsi un aiuto sostanziale per la riduzione dei tassi di obesità in età infantile nei prossimi decenni.

Riferimenti bibliografici

  • Finkelstein, E., Fiebelkorn, I., and Wang, G., “National Medical Spending Attributable to Overweight and Obesity: How Much and Who’s Paying?” Health Affairs Web Exclusive, May 14, 2003.
  • Hirth, R.A. (2000) Willingness to pay for a QALY: in search for standards Medical Decision Making Vol.20 No3
  • Roux, L. (2000) “Evaluation of Potential Solutions to the Health and Economic Problems Presented by Physical Activity: A Cost-Utility Analysis,” unpublished manuscript, Centers for Disease Control and Prevention, 2005.
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