Formazione permanente e frontiera evolutiva delle professioni: i dottori agronomi e forestali

Formazione permanente e frontiera evolutiva delle professioni: i dottori agronomi e forestali

Premessa

Il tema della formazione permanente dei professionisti sottoposti a tutela e vigilanza della pubblica amministrazione, quali sono le professioni intellettuali protette in Italia, è balzato all’evidenza delle cronache sospinto da tre fattori principali:

  • l’oggettiva necessità di un continuo aggiornamento professionale di fronte alle conquiste della scienza e della tecnologia;
  • le attese della società, sempre più esigente, coerentemente con lo sviluppo dei livelli di civiltà;
  • il tentativo di differenziare il “prodotto professionale”, sia tra i soggetti che esercitano la stessa professione sia tra professioni diverse che si rivolgono allo stesso campo di attività e che presentano parziali sovrapposizioni delle competenze professionali.

Si tratta di un percorso evolutivo che affonda le radici molto lontano. Senza scomodare le dichiarazioni propagandistiche del regime durante il quale hanno trovato statuto le professioni intellettuali, gli ordinamenti professionali vigenti attribuiscono agli Ordini il compito di curare l’aggiornamento professionale degli iscritti. In questo la legge che regola la professione dei dottori agronomi e dei dottori forestali (1) è particolarmente avanti in una visione olistica del ruolo del professionista, un compito non solo tecnico e scientifico, ma più in generale culturale.
Le spinte più recenti provengono dal diritto comunitario (2) sulla base dell’idea che l’apprendimento “lungo tutto l’arco della vita” sia indispensabile per assicurare prestazioni professionali “sicure ed efficaci”.

Traiettorie formative

In effetti il rapporto tra vita professionale e formazione segue una traiettoria temporale3 nella quale si possono distinguere quattro fasi principali, più una quinta eventuale:

  • la formazione di base di tipo universitario (fino ai 23-27 anni);
  • la formazione di accesso che ha per obiettivo la preparazione (4) per l’esame di Stato (25-30 anni);
  • la formazione di affermazione attraverso lo sviluppo di una specializzazione o comunque attraverso la delimitazione di uno o più campi professionali, fino ai 35-40 anni;
  • la formazione meta-professionale (oltre i 40 anni) orientata alla gestione dei rapporti e dei processi;
  • l’eventuale riqualificazione, che interviene quando, a specializzazione già attuata, il professionista decide di orientarsi completamente verso un altro settore.

In generale vi è una tendenza all’unificazione delle fasi nella traiettoria tanto che non sono più distinguibili tra loro e i riferimenti temporali possono essere anche molto diversi. A differenza di un tempo, la quinta fase (quella dinamica) è sempre più importante e frequente al punto che molti professionisti tendono a riconoscere dei veri e propri cicli di sviluppo e rallentamento circoscritti a specifiche attività, cui segue la riqualificazione per dedicarsi a temi professionali collaterali o addirittura diversi, in una costante evoluzione dell’impegno e della responsabilità professionale. In molti casi questo deriva da una tendenza al cambiamento – connaturata a qualsiasi lavoratore, e particolarmente ai liberi professionisti, che trova maggiori motivazioni in nuove attività non appena ritiene di padroneggiare quelle che sta svolgendo – e alla volontà di raccogliere nuove sfide in una costante rincorsa di motivazioni e gratificazioni.
Un’ulteriore necessità di aggiornamento deriva dal cambiamento del contesto normativo e procedurale che coinvolge i processi all’interno dei quali si collocano i saperi tecnici. In particolare, nei campi applicativi dell’agricoltura e del territorio l’apporto tecnico scientifico è indissolubilmente legato alle procedure e alle opportunità tracciate dalle norme.
I dottori agronomi e i dottori forestali sperimentano un’evoluzione del proprio ruolo professionale da soggetto rivolto alla soluzione dei problemi a soggetto dotato di abilità fortemente orientate alla gestione e all’organizzazione della conoscenza, capace di ampia flessibilità in rapporto al ritmo con cui incalza l’innovazione e che cerca di essere in linea con le esigenze del mercato.
Per non parlare di quei campi di attività ove il fatto tecnico – tecnico-scientifico e tecnico-professionale –, pur importante, non lo è meno del modo in cui ci si relaziona alle autorità deputate ad approvarlo, autorizzarlo, validarlo.

Aggiornamento delle competenze

L’evoluzione delle conoscenze tecnico-scientifiche ha come conseguenza l’inadeguatezza del concetto di competenza professionale. Dal punto di vista giuridico la “competenza” é la declaratoria di “ciò che compete a” un determinato soggetto; in pratica corrisponde ai campi che possono formare oggetto di attività (esclusiva o meno) del professionista (per i dottori agronomi e dottori forestali, l’art. 2 della legge 3/1976 e ora anche l’art. 11 del Dpr 328/2001).
L’individuazione degli ambiti di competenza, tuttavia, si accompagna alla scarsa flessibilità e alla mancanza di tempestività nell’adeguamento degli stessi di fronte all’innovazione. Mentre, al contrario, la società della conoscenza pone nuove domande e ha necessità di un aggiornamento continuo delle “competenze” che, nella prassi, assumono il significato di “capacità”. Si passa da una condizione oggettiva, per cui la competenza giuridica è un “ambito circoscritto e dettagliato”, a una condizione soggettiva che attiene alla capacità di rispondere alla domanda di prestazione professionale adeguando il comportamento alle necessità del contesto in modo rapido ed efficace, cioè [in modo da] produrre una adeguata lettura e analisi del contesto per organizzare e gestire la propria conoscenza”.
Ne deriva che occorre integrare nel concetto di competenza la capacità del soggetto di produrre cognizioni e rappresentazioni mentali nuove mediante un processo di assimilazione e di accomodamento, all’interno di un ambito. Poiché l’ambito definito dalla legge è fisso per lunghi periodi, scaturisce la necessità di un meccanismo di riconoscibilità del processo di adeguamento dinamico delle capacità/competenze e questo processo può essere offerto dalla formazione permanente (cfr. oltre). Questa nuova condizione è per propria natura dinamica e si rifà a qualcosa che non é acquisito una volta per tutte nella vita in quanto corrisponde a un processo di apprendimento che armonizza numerosi fattori in continua evoluzione, revisione e ristrutturazione.

Campo professionale

La caratteristica che più differenzia i campi professionali (5) é il grado di autonomia e il diritto di ingresso. Attualmente l’autonomia si fonda su principi normativi e il diritto di ingresso é misurato esclusivamente in termini scolastici (corso di laurea ed esame di Stato di abilitazione all’esercizio della professione): nella società dell’apprendimento sono divenuti entrambi troppo deboli e sempre meno difendibili. L’autonomia non é un dato acquisito, ma una conquista che va sempre rinnovata; il diritto di ingresso, dato dal capitale tecnico-scientifico e dalla predisposizione allo svolgimento (6) delle attività professionali maturati al momento della prova di accesso (l’esame di Stato per la normativa italiana) va integrato con il diritto alla permanenza.

Il percorso didattico

Mentre l’attività professionale evolve, anche l’Università cerca di accompagnare il cambiamento con una riforma dei cicli e del sistema di misura dell’apprendimento. Senza soffermarsi sulle ragioni della riforma (DM 509/99 e seguenti provvedimenti di riordino) ciò che emerge è il sistema di comparazione dei livelli formativi basato sull’unità di misura, il credito formativo universitario (CFU), che registra l’avanzamento della formazione raggiunta durante il corso universitario e permette di comparare – entro i limiti derivanti dalle diversità scientifico-disciplinari – corsi di laurea diversi, pur rimanendo la valutazione del profitto legata ai tradizionali metodi.
La “trasparenza” del sistema di valutazione consente di identificare le tre componenti del percorso formativo universitario:

  • un percorso minimo corrispondente al titolo accademico ambìto all’interno della stessa classe di laurea, pari al 50% di attività comuni alla classe;
  • una formazione caratterizzante il singolo corso di studi;
  • una formazione assolutamente libera – quest’ultima residuale, ma comunque dell’ordine del 5-6% del totale su base triennale e dell’8% per il biennio magistrale – che consente un completamento secondo le più profonde attitudini dell’allievo, anche in campi non strettamente correlati a quelli del corso di laurea.

Non è poca cosa nella prospettiva di un sapere non relegato ad ambiti compartimentati e chiusi allo scambio di conoscenze, ma aperto alla contaminazione culturale, quindi attenti alla radice più profonda del sapere di livello universitario.
Una formazione che si modula secondo le esigenze delle realtà economiche, sociali e culturali locali – in questo favorita dalla politica di “una università ogni campanile” – al punto da definire all’interno delle classi corsi differenti – e curricula differenziati fino al livello individuale di ogni singolo studente – è destinata a un grande successo, a patto che siano rispettate due condizioni essenziali:

  • il percorso minimo deve essere improntato al raggiungimento di un elevato profilo di conoscenze di base e un buon livello di conoscenze caratterizzanti il corso di studi;
  • gli studenti devono essere pienamente edotti di queste opportunità.

Il primato del comportamento

In una chiave prevalentemente culturale della formazione l’attenzione sul piano professionale si sposta verso obiettivi di comportamento (saper essere) ben più cogenti per un professionista, all’interno dei quali collocare conoscenza ed esperienza in posizione leggermente più defilata rispetto a prima, senza per questo rinnegare traguardi di tipo applicativo (saper fare) o i tradizionali obiettivi di tipo cognitivo (sapere).
Il primato dell’essere, del comportamento – che diviene necessario precisare, comportamento etico (7) –, è evidentemente la forma più alta dell’espressione della professionalità del lavoratore autonomo libero professionista perché coglie pienamente l’aspetto trascendente della professione, nel superamento della mera applicazione del puro sapere tecnico-scientifico per attestarsi nell’impegno alla responsabilità: professare significa “parlare apertamente e pubblicamente di”, rappresenta una professione di fede verso la verità – negli interessi più generali della collettività che particolari del cliente – e, perciò, nella sua essenza profonda essa é libera.
Sebbene l’eccezione possa sembrare un po’ sacerdotale va ricordato che le aspettative nei confronti delle professioni liberali, intese come attività economiche intellettuali, sono sempre più orientate all’autonomia e alla responsabilità verso il singolo utente e verso la collettività dei cittadini. Tanto è vero che agli Ordini spetta la tutela non già dei propri iscritti, ma della pubblica fede dei cittadini cui si chiede di avere fiducia che gli iscritti all’Ordine sono competenti, rispettano regole comportamentali (deontologiche) e sono di specchiata moralità.
Nella vita recente della categoria dei dottori agronomi e dottori forestali, ciò ha avuto due momenti particolarmente forti allorché si è voluto ribadire l’importanza di un atteggiamento che andasse al di là degli obiettivi deontologici (8) sui due fronti che nelle epoche sono stati di punta:

  • il rispetto per l’ambiente (9), in epoche in cui l’ambiente non era ancora utilizzato come copertura di comportamenti non sempre coerenti;
  • la modernizzazione della professione (10), in una prospettiva di profondo rinnovamento della stessa e degli accessi ad essa, in un momento in cui campagne mediatiche e iniziative legislative tendevano a ridimensionare il ruolo delle professioni intellettuali, viste come retaggio di un passato corporativo.

Primi passi

Nella riflessione metaprofessionale i dottori agronomi a i dottori forestali a partire dal 2006 (11) hanno iniziato a confrontarsi fattivamente sulla necessità di dotarsi di un sistema di formazione permanente e sui modi per strutturarlo.
Alcuni organismi territoriali (Ordini e Federazioni regionali) hanno abbozzato dei regolamenti; nel 2008 alcuni Ordini li hanno adottati con lo scopo di sperimentare e avviare nella pratica un maggiore impegno sia per l’istituzione ordinistica sia per i colleghi, costretti a riflettere su se stessi e sulle opportunità di un sistema di formazione permanente e a superare le resistenze ad agire.

Il modello della formazione permanente professionale

Dall’esame di queste (poche) iniziative e, più in generale, dall’esame di quanto quasi tutte le categorie professionali strutturate in ordini o collegi hanno avviato, emergono le caratteristiche comuni del modello necessario a comporre un sistema di formazione permanente. Queste dovrebbero essere le seguenti:

  • attività formativa (numero di ore o di crediti formativi) da svolgere nell’arco di un certo periodo (un biennio, un triennio);
  • attività formativa minima annuale, per assicurare una certa costanza nel tempo;
  • unità di misura della formazione, ad esempio il credito formativo professionale;
  • eventuali esenzioni, per età, situazioni particolari, non esercizio della professione;
  • riduzioni, per i giovani iscritti o, meglio, per i neolaureati;
  • possibilità di fare valere attività differenti orbitanti nell’ambito della formazione (docenze, partecipazione a convegni, ricerca professionale, ecc.);
  • materie obbligatorie (con un minimo annuale o di periodo);
  • materie caratterizzanti e altre materie suscettibili di essere oggetto di formazione continua;
  • modalità di programmazione delle attività formative, che attiene ai soggetti deputati a questo ruolo e alle potenzialità di interazione delle iniziative locali tra loro, fino a formare un bacino unico formativo di livello nazionale;
  • accreditamento delle attività formative, ossia la valutazione per il riconoscimento dei crediti formativi, sia in termini di procedura, sia in termini di soggetto/i abilitato/i a rilasciare l’accredito;
  • rilevanza deontologica della formazione continua;
  • evidenza pubblica del raggiungimento degli obiettivi formativi dei singoli professionisti da parte degli Ordini.

Tra questi, gli aspetti che paiono di maggiore interesse – in questo particolare momento – e che meritano di essere affrontati per primi sono l’accreditamento e la rilevanza deontologica.

L’accreditamento

I principi di fondo dell’accreditamento derivano dal fatto che questo deve essere riconosciuto sia all’interno che all’esterno della categoria e che dovrebbe essere indipendente.
Sul ruolo dell’indipendenza, per cui potrebbe sembrare inopportuno che sia l’Ordine a valutare i risultati ottenuti dai propri iscritti, si deve ricordare che anche in campo disciplinare l’Ordine è “magistratura” di primo grado nei confronti dei propri iscritti. Perciò non deve stupire che spetti agli Ordini il compito di valutare i risultati raggiunti dai propri iscritti. L’Ordine potrà eventualmente demandare alcune funzioni tecniche a livello sovraordinato, soprattutto ove – come nel caso dei dottori agronomi e dei dottori forestali – esistono strutture intermedie di livello regionale previste dalla legge. Resterà nel contempo in capo al singolo Ordine territoriale il compito di accertare le eventuali violazioni di carattere deontologico.
Di importanza strategica è la potenziale sinergia che si potrebbe creare con l’Università. A partire dalla scelta dell’unità di misura della formazione – il credito formativo professionale potrebbe essere uguale al credito formativo universitario (12) – che renderebbe più semplice ogni paragone, anche intertemporale, è strategica soprattutto la possibilità di ottenere il doppio riconoscimento (13), professionale e universitario, in quanto i crediti acquisiti con la formazione professionale potrebbero essere poi impiegati, oltre che per assolvere agli obblighi stabiliti dalla categoria, anche per conseguire, al termine di un percorso concordato, titoli universitari (master, lauree magistrali, ecc.).

La rilevanza deontologica

Assai più delicata e di maggiore spessore concettuale è la discussione sulla rilevanza deontologica dell’obbligo di formazione permanente stabilito dall’articolo 5 del Codice deontologico dei dottori agronomi e dei dottori forestali.
Richiamato il significato di “deontologia” come “complesso delle regole e dei principi che disciplinano particolari comportamenti non di carattere tecnico del professionista, attuati o comunque ricollegati all’esercizio della professione e all’appartenenza al gruppo professionale (14)”, va altresì ricordato il principio metodologico-giuridico secondo cui il ruolo degli Ordini è quello di tutela del pubblico interesse, in particolare la sicurezza, la salute e la pubblica fede, che la legge pone a carico degli Ordini tramite la fissazione di regole il cui corpus è soggetto al controllo dell’organo vigilante (il Ministero competente).
È evidente che, in ogni caso, andranno valutate le cause e le motivazioni che originano le inosservanze dell’obbligo, ma la modulazione delle sanzioni sarà lo specchio del peso attribuito a questo carattere della professione e alla volontà di prendere atto di un’evoluzione e di un nuovo metodo di porsi nella società.
La ragion pratica della scelta risiede nell’insieme delle considerazioni sopra richiamate, in particolare nelle motivazioni di carattere socio-pedagogico – l’evoluzione della società come società dell’apprendimento –, scientifico-tecnologico – la rapida evoluzione delle conoscenze –, giuridico – l’inserimento tra gli obiettivi di tutela dei diritti dei cittadini europei nei riguardi degli esercenti le professioni –, con la conseguenza che si tratterebbe di trasferire nell’ordinamento professionale un principio innovativo sì, ma non tale da rischiare di essere avulso dalla realtà moderna.
È evidente che ciò comporterà cambiamenti, ma sono proprio questi cambiamenti gli unici elementi in grado di giustificare la permanenza di un sistema – quello ordinistico – che altrimenti rischia di essere percepito esclusivamente come inattuale.

Note

(1) Legge 7 gennaio 1976 n. 3, e succ. mod., in particolare all’art. 13, co. 1, lett. n, prevede che il Consiglio dell’Ordine curi “il perfezionamento tecnico e culturale degli iscritti”.
(2) A questo valga per tutti la direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 settembre 2005 relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, in particolare l’art. 22, lettera b (secondo le procedure specifiche di ciascuno Stato membro, la formazione e l’istruzione permanente permettono alle persone che hanno completato i propri studi di tenersi al passo con i progressi professionali in misura necessaria a mantenere prestazioni professionali sicure ed efficaci) e il precedente e collegato considerando 39 (data la rapidità dell’evoluzione tecnica e del progresso scientifico, l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita è particolarmente importante per numerose professioni. In questo contesto, spetta agli Stati membri stabilire le modalità con cui, grazie alla formazione continua, i professionisti si adegueranno ai progressi tecnici e scientifici).
(3) Cfr. Pulina G., Bosu C., Chiappe I.M., Dimauro C., Indagine sulle esigenze formative dei dottori agronomi e dei dottore forestali, Conaform, Roma, 2003.
(4) In realtà accade sempre più frequentemente che la prova di accesso sia prolungata oltre l’esame di abilitazione – che spesso viene sostenuto immediatamente al termine del corso di laurea – e sia svolta come affiancamento nell’attività lavorativa.
(5) Cfr. Pulina G., Bosu C., Chiappe I.M., Dimauro C., Indagine sulle esigenze formative dei dottori agronomi e dei dottore forestali, Conaform, Roma, 2003.
(6) Vale la pena ricordare la finalità cui è rivolto l’esame di Stato di abilitazione all’esercizio della professione di dottore agronomo e dottore forestale, così come statuita dall’art. 12 della legge 10 febbraio 1992, n. 152: “L'esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio della professione di dottore agronomo e dottore forestale, previsto dall'articolo 1 della legge 8 dicembre 1956, n. 1378, è finalizzato all'accertamento della conoscenza delle normative che regolano l'attività professionale nonché ad una verifica delle capacità di uso del sapere tecnico professionale e dell'attitudine all'esercizio della professione”.
(7) Per “etica” si dovrebbe intendere un sistema normativo che regoli i rapporti tra gli individui e i valori che ciascuno deve realizzare nel suo comportamento facendo appello al sentimento di responsabilità nei confronti di qualcosa che va al di là dell’individuale (cfr. Fabbri M., “Governo etico nei processi di trasformazione territoriale”, Estimo e territorio, 12, 2004, p. 4).
(8) Il codice deontologico, nella versione più aggiornata che risale al 30 novembre 2006.
(9) Cfr. Carta di Vieste, X Congresso nazionale dei dottori agronomi e dei dottori forestali, Vieste, 12-14 giugno 1997.
(10) Cfr. “Forum 2003: La modernizzazione delle professioni del sistema rurale, dell’ambiente e dell’alimentazione”, Roma, 24-26 settembre 2003.
(11) Cfr. Forum di studio “Formazione continua, nuova frontiera di una professione che cambia, Calvagese della Riviera (BS), 13 maggio 2006.
(12) Il CFU è pari a un impegno totale di 25 ore che può essere suddiviso – a seconda degli Atenei – in 8-10 ore di didattica frontale, 16-14 di studio individuale e una prova di grado; 16-20 ore di esercitazioni (o laboratori, visite di studio, ecc.), 8-4 ore di studio individuale e una prova di grado; 25 ore di studio individuale.
(13) L’unità di misura, il credito formativo universitario, si presta bene anche per la valutazione dell’attività formativa professionale, per cui potrebbe valere la corrispondenza 1 cfu = 1 credito formativo professionale.
(14) Cfr. Lega C., Deontologia forense, Milano, 1975, citato in Bergamini E., La concorrenza tra professionisti nel mercato interno dell’Unione europea, Editoriale scientifica, Napoli, 2005, p. 15

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