L’ammodernamento nel settore primario e il distretto rurale: una concreta opportunità?

L’ammodernamento nel settore primario e il distretto rurale: una concreta opportunità?
a Università di Teramo, Dipartimento di Scienze degli Alimenti

Introduzione

L’ammodernamento del settore agricolo, iniziato con l’applicazione del Decreto Legislativo 228/2001 e proseguito nel 2004 con l’emanazione di una serie di provvedimenti finalizzati a rendere maggiormente competitivo il settore primario, ha previsto il recepimento di alcuni istituti e strumenti giuridico-operativi, presi in prestito dalla politica industriale e dallo sviluppo locale, tra i quali possiamo annoverare il distretto (Becattini, 2004). Il legislatore ha inteso, in questo caso, inserire i distretti rurali e i distretti agro-alimentari di qualità all’interno dei sistemi produttivi locali secondo quanto definito dalla legge 317 del 5 ottobre 1991. I requisiti necessari per l’individuazione di un distretto prevedono la presenza univoca e ben definita di una precisa identità storica e territoriale omogenea, capace di dare origine a dei sistemi produttivi caratterizzati da elevate interazioni e integrazioni tra tutti i soggetti che in esso operano, delegando, secondo il principio di sussidiarietà, introdotto con il Trattato di Maastricht, agli enti locali e nello specifico alle Regioni, la funzione di mettere in essere tutti gli adempimenti fondamentali per il riconoscimento e la promozione dei distretti rurali (Galluzzo, 2005).

Vantaggi competitivi vs vantaggi comparati: brevi cenni

Il distretto è stato individuato quale strumento di gestione socio-economica del territorio capace di generare dei vantaggi competitivi rispetto ad altre realtà grazie alla capacità di generare un’atmosfera collaborativa in grado di valorizzare tutte le realtà produttive che operano nel proprio ambito territoriale di riferimento (Becattini, 2000) in antitesi con i vantaggi comparati osservati in altre aree produttive nelle quali non è stato possibile evidenziare la presenza di distretti.
Il vantaggio comparato si ha nei casi in cui una realtà produttiva può competere più efficientemente ed efficacemente con altre realtà vicine, perché può disporre di fattori produttivi in quantità maggiori oppure, a parità di quantità di fattore disponibile, di un minore costo di acquisto e utilizzo del fattore. Nel settore primario si viene a determinare un vantaggio comparato allorché un’impresa riesce ad acquistare dei fattori produttivi ad un prezzo più conveniente rispetto ad un’altra, oppure l’impresa riesce ad utilizzare in maniera efficiente i fattori produttivi impiegati nel processo di produzione, riducendo quegli elementi improduttivi che rendono viscosa ed economicamente meno efficiente la funzione di produzione. Dei casi significativi di vantaggio comparato si hanno, ad esempio, confrontando l’attività agricola di due contesti produttivi nei quali i fattori hanno dei costi abbastanza ridotti e che consentono, in un’economia di scala, di massimizzare i ricavi. Il caso più interessante, ad esempio, è rappresentato dalla zootecnia italiana che ha per l’impresa agricola dei costi di acquisto dei fattori produttivi (lavoro, energia, trasporti) maggiori rispetto a quelli di altre realtà europee (Olanda e Germania) e mondiali (Nuova Zelanda, Stati Uniti); altro caso interessante di vantaggio comparato nel settore agricolo italiano si ha nell’orticoltura da serra che, molto spesso, deve sostenere dei costi energetici abbastanza elevati, rispetto ad altre realtà europee, con il conseguente incremento dei costi produttivi e la perdita di competitività verso altri paesi europei ed extraeuropei (1).

Fondamenta operative del distretto

Appare chiaro come la presenza di soggetti istituzionali ed economici attivi sul territorio, diventa il primo tassello, necessario e fondamentale, per rendere attuabile e funzionale il mosaico del distretto.
L’istituzionalizzazione di un distretto, il cui obiettivo fosse quello esclusivo di generare un vantaggio prevalente per alcuni soggetti economici attivi sul territorio, appare un’ipotesi abbastanza riduttiva e restrittiva verso la finalità nobile del distretto, ossia quella di valorizzare l’intero territorio e le comunità socio-economiche locali che in esso risiedono (Galluzzo, 2006). Il distretto, in questo caso, diventa un elemento di valorizzazione e tutelare del trinomio comunità locale-territorio-prodotto; il distretto rurale, inoltre, deve ispirarsi e fondarsi su criteri oggettivi e condivisi dalla comunità locale e non su criteri selettivi, creati esternamente ed esogenamente da terzi, senza una concertazione tra tutti i soggetti imprenditoriali e le istituzioni locali con la conseguenza di promuovere le specificità di alcune aree rurali a scapito di altre, non trovando, invece, un comune denominatore che caratterizzi e coinvolga un determinato tessuto socio-economico e un determinato ambito e contesto territoriale.
Il distretto potrà affermarsi in quelle realtà rurali nelle quali sono presenti e ben sviluppate elevate interazioni tra tutti i soggetti economici e istituzionali in grado di generare dei vantaggi competitivi legati alla presenza di precise specificità produttive e di una elevata integrazione tra tutti i soggetti, in maniera tale da generare, in ambito regionale, dei pool distrettuali con proprie peculiarità. Puntare sul riconoscimento di alcune tradizioni e produzioni agricole e/o rurali con caratteristiche di residualità, potrà rappresentare un grave errore; il distretto, infatti, non sarà in grado di rispecchiare e rispettare le effettive esigenze e le sollecitazioni che provengono dal territorio e dal contesto agricolo di riferimento, considerato nella sua interezza e complessità. Il distretto rurale che cerchi di valorizzare delle produzioni agricole declinanti vedrà venir meno la sua principale funzione di animazione socio-economica sul territorio a vantaggio di una funzione non di sua diretta competenza di tutela delle tradizioni e/o produzioni a rischio marginalizzazione. Un esempio concreto di mancata presa di coscienza del distretto, individuato quale esclusivo strumento di difesa di produzioni marginali e di salvaguardia dell’occupazione, si è avuto nella provincia di Rieti. In questa provincia fu fatta una proposta, ben presto abbandonata in sede di commissione consultiva, nella quale si voleva promuovere, senza successo, l’istituzione di un distretto della barbabietola da zucchero senza che nel territorio prescelto fosse presente alcun elemento specifico e necessario per il riconoscimento di un distretto bieticolo-saccarifero, ma al solo scopo di difendere una produzione, che a seguito della Mid Term Review della Politica agricola comunitaria (Pac), ha visto azzerare la propria superficie coltivata.

Criticità interpretative nella fase di definizione del distretto rurale

L’elevata integrazione e reciprocità tra i soggetti coinvolti nel distretto rurale deve sviluppare elevate interazioni tra coloro i quali devono mettere a sistema e scambiare le varie conoscenze (saper fare) per dare luogo ad una cultura condivisa e di scambio reciprocamente vantaggioso coinvolgendo, in modo particolare, le istituzioni che operano sul territorio e quegli enti che fanno ricerca sul territorio.
Nei provvedimenti legislativi istitutivi dei distretti, sia essi industriali (Legge 317/1991 art.36 comma 1), sia rurali che agro-alimentari di qualità (Decreto Legislativo 228/2001), appare abbastanza chiara la volontà del legislatore, al fine di prevenire una banalizzazione dello strumento normativo distrettuale, di individuare e valutare obbligatoriamente tre elementi fondamentali quali:

  • la presenza di un contesto territoriale spazialmente definito e omogeneo;
  • la concentrazione statisticamente significativa di imprese attive in un determinato settore e/o ambito produttivo rispetto alla totalità delle imprese presenti;
  • la specializzazione produttiva delle imprese in produzioni di qualità certificate che si localizzano nel distretto agro-alimentare (specificità produttiva) rispetto a tutte le imprese attive in quel determinato settore o in una determinata attività produttiva.

Questi presupposti normativi appaiono, di conseguenza, stringenti e inequivocabili anche nelle fasi di individuazione, istituzionalizzazione e formalizzazione giuridica del distretto nel settore primario; gli enti locali, secondo le funzioni demandate dal legislatore nazionale dovranno, a livello di ciascuna provincia, agire quali soggetti intermediari deputati a validare, qualificare e promuovere quelle realtà agro-alimentari e rurali degne di attenzione e che possono essere riconosciute nel distretto.
Le criticità più importanti e che è possibile individuare nelle prime fasi tese al riconoscimento e alla istituzionalizzazione del distretto sono:

  • creare un unico distretto, generando una forzatura normativa finalizzata a ricomprendere nel distretto rurale la maggiore superficie territoriale possibile e il maggior numero di imprese, senza tener conto e valutare le specializzazioni produttive presenti economicamente più significative e rappresentative dello spazio rurale;
  • creare, in senso opposto, una pletora di distretti, individuando nel territorio rurale una molteplicità di realtà agricole e produttive eterogenee e non connesse tra loro, facendo venire meno il principio cardine del distretto ossia il soddisfacimento dei requisiti di omogeneità, concentrazione e specializzazione produttiva che sono criteri normativi oggettivi sui quali deve fondarsi, istituirsi ed istituzionalizzarsi un distretto rurale.

Una criticità interpretativa frequente che si osserva è insita nella difficoltà di tenere distinti due concetti: il concetto di distretto e quello di presidio del territorio rurale (multifunzionalità). Tutto ciò finisce per fare in modo che al distretto rurale sia assegnata la funzione diretta, non pertinente, di strumento operativo e gestionale di iniziative e progetti comunitari e nazionali tesi ad erogare finanziamenti ad hoc per realizzare interventi di salvaguardia dello spazio rurale previsti, invece, nel secondo pilastro della Pac. Creare un unico distretto rurale di ampie dimensioni, con l’intento di poter beneficiare di maggiori risorse finanziarie, di marketing, economiche e commerciali, finirebbe per svantaggiare quelle realtà produttive agricole all’avanguardia, le quali, molto spesso, già presentano, al loro interno, una struttura pre-distrettuale informale e non codificata, che sarebbero penalizzate dalla creazione di un distretto allargato, poiché vedrebbero rallentare il loro processo di crescita economica e di scambio reciproco delle informazioni.
Il distretto rurale, inoltre, non potrà essere individuato come un’occasione per valorizzare e implementare le produzioni agricole di nicchia sul mercato nazionale e internazionale. Per la valorizzazione dei prodotti di nicchia, infatti, si può ricorrere ad altri provvedimenti dell’Unione Europea, finalizzati al riconoscimento delle attestazioni di specificità, Dop, Igp, o come proposto da alcuni le De.C.O (Denominazioni Comunali di Origine).
Le realtà agricole, agro-alimentari e, in modo particolare, le istituzioni che devono essere coinvolte nella realizzazione di un distretto rurale quali soggetti capofila, di raccordo e di animazione, dovranno cambiare il loro approccio nei confronti delle problematiche del territorio, passando da una visione di filiera ad una di network, con il fine ultimo di creare una rete di relazioni e di scambio reciproco che il distretto, necessariamente, richiede.

Conclusioni

Il distretto rurale presenta delle specificità, degli elementi differenziativi sostanziali e degli aspetti formali rispetto a quelli previsti nella definizione e individuazione di distretto industriale introdotto con la legge 317 nel 1991. La legislazione regionale istitutiva dei distretti rurali e agroalimentari di qualità, ha cercato di considerare le peculiarità del mondo rurale definendo degli elementi di raccordo con la normativa quadro nazionale di riferimento e con le caratteristiche socio-economiche e fisiche che contraddistinguono le diverse realtà produttive agricole presenti sul territorio.
Il distretto rurale va considerato come uno strumento e non un fine cui tendere, da utilizzare per affrontare i problemi di un determinato contesto produttivo agricolo omogeneo; esso rappresenta un approccio innovativo che richiede un’ampia condivisione delle relazioni tra imprese e istituzioni che operano in determinato territorio, al fine di dare una maggiore concretezza alle imprese agro-alimentari e alle aziende agricole attive in filiere produttive già consolidate e/o ben sviluppate. In particolare verso le imprese agro-alimentari e le aziende agricole il distretto dovrà svolgere una funzione super partes di coinvolgimento, di innovazione, di promozione e di coordinamento, incentivando l’adesione, alla struttura giuridica del distretto, di tutti i soggetti imprenditoriali portatori di interesse e la partecipazione fattiva alla realizzazione dello strumento progettuale e di programmazione condiviso, rappresentato dal piano di distretto. L’imprenditore agricolo, tuttavia, dovrà percepire che la funzione primaria del distretto non sarà quella di erogare finanziamenti e/o di fare da tramite per la gestione di fondi comunitari, ma sarà quella di essere uno strumento di coordinamento orizzontale, capace di migliorare la competitività integrata del contesto produttivo rurale; il distretto rurale dovrà essere uno sprone alla collaborazione tra tutti gli imprenditori e all’incremento degli investimenti tecnologici, al fine di migliorare l’approccio al mercato ed esaltando le eccellenze produttive presenti sul proprio territorio.
La necessità di investire e promuovere la circolazione dell’informazione, la sua integrazione e lo scambio del know-how e delle best practices aziendali tra tutti i soggetti istituzionali e imprenditoriali del distretto rurale, mediante il coinvolgimento e il supporto delle strutture di ricerca presenti nell’ambito territoriale, devono essere gli elementi cardine sui quali dovrà strutturarsi il distretto rurale, evitando interventi fini a se stessi, ma promuovendo azioni di animazione locale per fare sistema. Una condizione necessaria ma non sufficiente per l’affermazione del distretto rurale sarà la presenza di strutture di ricerca pubbliche o private che sappiano, utilizzando delle fonti di finanziamento specifiche, fare innovazione, far circolare l’informazione e fare animazione sul territorio, affinché ci sia una rapida introduzione di nuove tecnologie. Le strutture di ricerca devono essere, di conseguenza, delle infrastrutture di supporto tecnologico e di innovazione al distretto rurale.
La programmazione pluriennale del distretto rurale, da attuarsi mediante lo strumento programmatorio del piano, dovrà raccordarsi con altre iniziative dell’Unione Europea; in modo particolare sarebbe opportuno che la struttura di gestione del distretto rurale sappia integrarsi con quanto predisposto dal Piano di sviluppo rurale regionale (Psr) 2007-2013 al fine di garantire nel piano di distretto degli interventi che avvantaggino un intero territorio per promuovere ricerca e innovazione e generare un vantaggio competitivo nello spazio rurale. La funzione del distretto, soprattutto nelle realtà rurali a rischio marginalizzazione, non potrà essere, come purtroppo da molti auspicato, quella di strumento di presidio del territorio, necessario a limitare l’esodo rurale, visto che su tale problematica l’Unione Europea è stata chiamata ad intervenire con azioni specifiche previste nel Piano di sviluppo rurale da attuare nel prossimo settennio 2007-2013.

Note

(1) Il differenziale nei costi energetici (in grado di incidere per un terzo sul costo di produzione totale dell’orticoltura in serra italiana), rispetto all’orticoltura olandese, ad esempio, è imputabile ad un diverso regime di esenzione dell’accisa praticata. Infatti, in Italia l’aliquota di riduzione sull’accisa per il gasolio agricolo è del 22%, contro un’aliquota di riduzione sul gasolio ad uso agricolo pari al 90% applicata in Olanda; inoltre, le aziende orto-floricole olandesi utilizzano, prevalentemente, come combustibile per riscaldare le serre, il metano, il quale ha dei costi minori rispetto ad altre tipologie di combustibile fossile quali il gasolio o il cherosene (E.na.M.A., 2008).

Riferimenti bibliografici

  • Becattini G., (2000), “Sistema locale e mercato globale”, in Becattini G., Il distretto industriale, Rosenberg & Sellier, Torino, pp. 93-116
  • Becattini G., (2004), “Lo sviluppo locale” in Becattini G., Per un capitalismo dal volto umano, Bollati Boringhieri, Torino, pp.202-244
  • E.na.M.A., Ente Nazionale per la Meccanizzazione Agricola, (2008), “La tassazione dei prodotti energetici nell'Unione Europea, con particolare riferimento alla fiscalità relativa ai carburanti e ai combustibili impiegati in agricoltura”, disponibile sul sito [pdf]
  • Galluzzo N. (2005), “I distretti nel Lazio: una proposta in divenire”, L’agrotecnico oggi, 11, 22, pp. 28-31
  • Galluzzo N. (2006), “Il sistema museale del distretto per le aree interne montane della regione Lazio: un progetto preliminare per l’agricoltura della provincia di Rieti”, disponibile sul sito [link]

 

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