PAC e mercati internazionali: cosa cambierebbe in un futuro senza WTO?

PAC e mercati internazionali: cosa cambierebbe in un futuro senza WTO?
a Confederazione Svizzera, Ufficio Federale dell’Agricoltura (UFAG)

I negoziati dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization, Wto) non registrano, ormai da tempo, alcun progresso significativo. Analizzando il succedersi di battute d’arresto e timide riprese nel percorso del Doha Round, l’attuale ciclo negoziale, può essere utile provare ad immaginare cosa succederà nei prossimi anni. Quali caratteristiche avrà, ammesso che esista ancora, il Wto, e quale sarà il ruolo della Pac per quanto riguarda la competitività dei prodotti europei sui mercati mondiali?

Un passo indietro, per spiegare i pochi passi avanti

Si potrebbe dire che l’avvio stesso del Doha Round sia emblematico delle difficoltà che hanno poi caratterizzato tutto il suo svolgersi. Fu, infatti, dopo il fallimento della Conferenza di Seattle (in cui per la prima volta la “società civile” si fece portatrice di una serie di problemi esclusi dai negoziati multilaterali), e all’indomani degli attentati dell’11 settembre (in un momento drammatico in cui era necessario un segnale di normalizzazione del clima internazionale), che il Doha Round riuscì a prendere effettivamente il via. Venne subito ribattezzato Development Round, perché nella Dichiarazione di Doha veniva fatto esplicito riferimento allo sviluppo e ai bisogni dei paesi più poveri. Meno di due anni dopo, però, anche la Conferenza di Cancun risultò in un clamoroso insuccesso, causato proprio dal conflitto tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo, questi ultimi, o almeno i più forti tra di loro, decisi a non lasciarsi sfuggire l’occasione di esercitare il proprio potere negoziale, proprio sulla base di quanto deciso a Doha. Da allora, si sono susseguiti deboli segnali positivi (come il cosiddetto Accordo Quadro sulle modalities del 31 luglio 2004, o la Conferenza di Hong Kong, in cui un accordo relativamente debole rappresentò in sé un segnale importante per la rilegittimazione delle trattative), e numerosi insuccessi, fino ad arrivare alla sospensione dei negoziati nei mesi tra il luglio 2006 ed il febbraio 2007.
Purtroppo, dalla loro ripresa, non si sono registrati progressi significativi; anzi, è naufragato anche l’incontro dello scorso giugno a Potsdam tra Unione Europea, Stati Uniti, India e Brasile, quattro paesi che rappresentano le principali istanze negoziali. È inevitabile il parallelismo con quanto accadde nell’Uruguay Round, quando l’Accordo di Blair House, siglato da Stati Uniti ed Unione Europea, fu in grado di sbloccare otto lunghi anni di trattative; ma il fatto stesso che India e Brasile siedano assieme alle due “vecchie” superpotenze è indice di quanto il clima mondiale e le relazioni commerciali internazionali siano cambiate negli ultimi dieci anni. I paesi in via di sviluppo più forti sembrano, infatti, intenzionati a non accettare un accordo “debole”, fino a rischiare il fallimento delle trattative. Oggi il pericolo, sempre più concreto, è che queste restino di fatto congelate almeno fino al 2009, sino a dopo le elezioni statunitensi; e probabilmente il contesto mondiale sarebbe allora ancora più complesso.
Mettendo per un momento da parte gli interrogativi sull’immediato futuro del negoziato (verrà raggiunto un accordo, “forte” o “debole”, o si prenderà infine atto del fallimento del Round?), non è facile immaginare cosa ne sarà di un’Organizzazione che ha poco più di dieci anni ma che Pascal Lamy non esitò a definire, qualche tempo fa, prima di diventarne l’attuale Direttore Generale, “medioevale”, anzi “neolitica”.
È lecito quindi chiedersi cosa implicherebbe un futuro senza Wto, e a quali nuovi scenari sarebbe chiamata a rispondere la Pac.
Nonostante lo stallo nella trattativa multilaterale, si è assistito ad un costante aumento degli scambi internazionali: negli ultimi sei anni, le esportazioni commerciali sono cresciute a ritmo doppio rispetto al PIL mondiale (l’8% contro il 3,5% nel 2006; Wto, 2007). La Pac del futuro dovrà confrontarsi con tutta una serie di nuovi fenomeni in atto: la pressione sulla domanda alimentare da parte di alcuni paesi in via di sviluppo e la crescente domanda di biocarburanti, che hanno contribuito a determinare l’impennata dei prezzi delle commodities agricole sui mercati internazionali, ma anche la crescita e la diversificazione della domanda di alimenti di migliore qualità ed a maggior contenuto di servizi, e gli sviluppi della tecnologia dei trasporti e delle comunicazioni. Ma quale contesto commerciale dobbiamo aspettarci, a livello globale?

Due scenari in parte già in atto: più dispute e accordi regionali e bilaterali

L’efficace meccanismo di soluzione delle dispute (che consente ai paesi riconosciuti parte lesa di imporre misure ritorsive in tempi relativamente brevi), rappresenta una caratteristica peculiare del Wto. È quindi una prospettiva verosimile che i paesi membri vi ricorreranno più spesso per tentare di assicurarsi quanto non riescono ad ottenere nei negoziati. Il futuro sarà quindi contraddistinto da un’atmosfera internazionale più litigiosa, mentre contemporaneamente potrebbe, di contro, crescere anche la pressione per riformare il Wto in modo da ridurne il potere.
Una seconda tendenza già in atto è l’aumento della stipula di accordi bilaterali o regionali di libero commercio. È qui possibile fare alcune considerazioni di carattere generale: tali accordi, coinvolgendo meno paesi, hanno portata liberalizzatrice meno forte di quanto accade con quelli, multilaterali, del Wto. Inoltre, non necessariamente pongono meno problemi negoziali (spesso proprio perché vi vengono incluse una serie di materie che per la loro complessità risultano fuori dalla trattativa del Wto), e sicuramente lasciano i paesi in via di sviluppo in una posizione negoziale più debole di quanto non avverrebbe se invece potessero fare fronte comune nella trattative multilaterale (opportunità, questa, che i paesi in via di sviluppo più forti hanno imparato a sfruttare). Non da ultimo, il sovrapporsi di una “ragnatela” di accordi bilaterali e regionali crea un ambiente complesso e incerto per gli operatori.
Per quanto riguarda l’Unione Europea, che negli anni a venire potremmo immaginare estesa alla Turchia ed ai Balcani, la sua strategia di integrazione commerciale include al momento, tra gli altri, negoziati con i paesi ACP, i paesi Mediterranei, il Mercosur, la Russia, la Cina e l’India.
Prosegue l’integrazione con i paesi del Mediterraneo: la strategia Euro-Mediterranea dell’UE è stata ricompresa all’interno della Politica Europea di Vicinato (European Neighbourhood Policy), che coinvolge anche i nostri “vicini” sul confine orientale, e prevede la liberalizzazione per i prodotti agricoli, per gli agricoli trasformati e per quelli della pesca, riducendo la protezione dei mercati comunitari. Dovrebbero infine approssimarsi ad una conclusione i negoziati per gli Accordi di Partneriato Economico (Economic Partnership Agreements, EPA) tra l’UE ed i paesi di Africa, Carabi e Pacifico (ACP). La deroga del Wto che ha concesso loro di usufruire di una serie di preferenze commerciali unilaterali, infatti, scadrà a fine 2007; obiettivo dei negoziati è quindi costituire un’area di libero scambio tra l’UE e ciascuno dei sei gruppi di paesi ACP. Le trattative si sono rivelate non facili, in primo luogo a causa della necessità di considerare in modo appropriato le caratteristiche e le necessità di queste economie, in cui le preferenze commerciali garantite dall’UE costituiscono una fonte di reddito cruciale. Al momento, è improbabile che un accordo venga raggiunto entro il 1 gennaio 2008, ed è comunque possibile che negli accordi la liberalizzazione del commercio dei prodotti agro-alimentari sia soggetta a limitazioni; tuttavia, l’approfondimento e l’ampliamento delle preferenze concesse ai paesi ACP determineranno verosimilmente l’aumento delle loro esportazioni agro-alimentari verso l’UE.

Un’ipotesi più difficile da immaginare: la riforma del WTO

Come già accennato, i fallimenti nelle trattative del Wto non sono una novità, e di per sé, non rappresenterebbero un problema. Tuttavia, gli eventi degli ultimi anni obbligano senza dubbio ad un ripensamento delle norme che regolano il funzionamento di questa Organizzazione, l’unica veramente “democratica” e “multilaterale”, in quanto le decisioni vengono prese con il sistema “un paese, un voto”, indipendentemente dal suo peso economico, demografico, politico, e vengono adottate solo se vi è il consenso tra tutti i paesi membri.
Se, in passato, un accordo concluso tra USA e UE è stato poi di fatto “multilateralizzato” agli altri membri, oggi questa strada appare impraticabile: proprio per il peso acquisito da paesi come Brasile e India (e, alle porte, il crescente ruolo della Cina e la prossima entrata della Russia), ma anche dagli altri paesi in via di sviluppo più piccoli, dalle cui istanze non è più possibile prescindere, è diventato forse impossibile giungere ad un compromesso che soddisfi veramente tutti, e l’attuale sistema appare inadeguato. L’ipotesi di fallimento dell’attuale Round negoziale non è così remota; se dovesse avverarsi, riformare il Wto potrebbe diventare indispensabile. In questo caso, cambiare l’istituzione esistente sarebbe molto difficile, proprio perché sarebbe necessario ancora una volta il consenso di tutti i membri. C’è chi suggerisce la nascita di una nuova organizzazione, a “due velocità”: si dovrebbero cioè prevedere regole “di base” applicate a tutti i paesi membri, e regole più restrittive, valide solo tra quelli che accettano di introdurle (Anania, 2007b). Si tratterebbe di un cambiamento molto importante rispetto al sistema attualmente in atto, che segnerebbe la scomparsa del multilateralismo, ed esporrebbe al rischio di proseguire nella globalizzazione senza norme condivise.
Sebbene a volte aspramente criticato, quando non proprio “demonizzato” da parte di certe frazioni della “società civile”, il Wto rappresenta uno strumento di regolamentazione molto potente, la cui assenza andrebbe a scapito proprio di quei paesi più poveri potenzialmente competitivi ma che godono di preferenze commerciali limitate (Anania, 2007b).
Infine, è forse appena il caso di menzionare come su una serie di temi molto complessi, probabilmente le vere “sfide” della globalizzazione (basti pensare agli standards di lavoro, o alla questione ambientale), non si sia mai riusciti ad ottenere neppure il consenso per la loro introduzione nell’agenda negoziale. Rinunciare all’esistenza del Wto in quanto tale significherebbe accantonare se possibile in modo ancora più definitivo quest’opportunità.

Quali sfide per la PAC?

In passato, le riforme della Pac sono sicuramente andate nella direzione “giusta” dal punto di vista dei negoziati del Wto. Alla riduzione dei meccanismi d’intervento e al progressivo riallineamento dei prezzi interni con quelli mondiali non si è però accompagnata l’effettiva diminuzione della protezione alla frontiera (per questo, ora richiesta con forza dai partner commerciali dell’UE). Gli effetti positivi delle riforme che si sono avute per i maggiori esportatori sono stati dovuti esclusivamente all’aumento dei prezzi sui mercati mondiali grazie alla minore offerta di esportazioni europea (Anania, 2007b).
L’introduzione di tali riforme è stata dettata innanzi tutto da considerazioni interne, più che dalla pressione in sede internazionale (questa ha comunque influito sull’evoluzione della Pac: basti pensare alla Riforma dell’OCM zucchero, in cui sicuramente ha giocato un ruolo l’esito sfavorevole della contemporanea disputa in sede Wto). Tuttavia, proprio grazie alle successive riforme della Pac, così come dell’iniziativa Everything But Arms (1), l’UE ha potuto assumere una posizione più credibile nei negoziati, a differenza di quando avvenuto in passato.
Nel prossimo futuro, la Pac sarà sottoposta ad ulteriori, importanti cambiamenti, ancora una volta determinati per lo più da motivazioni interne, più che dall’andamento del negoziato multilaterale. Se, infatti, un eventuale accordo finale risultasse vicino all’ultima proposta negoziale dell’UE, la sua portata liberalizzatrice sarebbe minima rispetto alle riforme già implementate o che stanno per esserlo. L’esempio lampante è la decisione, nella Conferenza Ministeriale di Hong Kong, di eliminare definitivamente i sussidi all’esportazione entro il 2013. Questa concessione segue l’uso sempre più ridotto che ne è stato fatto da parte dell’UE negli ultimi anni, grazie alle riforme e al favorevole andamento dei mercati internazionali. Il dibattito interno per il ri-orientamento al mercato delle politiche per l’agricoltura e quello sul bilancio avrebbero comunque drasticamente limitato il ricorso ai sussidi all’export.
Negli anni a venire, l’evoluzione della Pac verso strumenti disaccoppiati da includere nella scatola verde potrebbe, tuttavia, non essere più scontata. Il Pagamento Unico Aziendale della Riforma Fischler è, per vari motivi, non completamente disaccoppiato dalla produzione, anche se molto meno distorsivo degli strumenti della vecchia Pac. La sua collocazione nella scatola verde del Wto muove da ragioni politiche, e non economiche. Un segnale forte è già stato lanciato nella disputa che ha visto coinvolti i pagamenti statunitensi del settore del cotone, in seguito alla quale l’UE, con la riforma del settore ortofrutticolo, ha rimosso quegli elementi che mettevano il PUA a rischio. Tuttavia, vi sono numerosi paesi membri del Wto che reclamano la sostanziale revisione dei criteri alla base della scatola verde. Anche qui, però, è verosimile che le pressioni interne all’UE nel chiedere l’eventuale riduzione del sostegno al settore agricolo, e la definizione di criteri più stringenti sulla sua erogazione, siano a monte di quelle provenienti dalle sedi internazionali.
Il futuro del negoziato Wto è oggi quantomai incerto. Il suo definitivo fallimento sarebbe innanzi tutto il segno di un’opportunità mancata, e non soltanto per i settori dell’agricoltura dell’UE maggiormente vocati alle esportazioni, ma soprattutto per la possibilità di mantenere regole commerciali comuni a livello globale.
Tuttavia, la conclusione di accordi bilaterali e regionali prospetta un futuro di sempre maggiore apertura dei mercati comunitari verso quelli mondiali. Indipendentemente da quello che sarà l’esito della trattativa Wto, tutto lascia prevedere una maggiore apertura del mercato interno dell’UE ai mercati mondiali, il che implicherà la presenza di prezzi più volatili e più bassi.
La capacità delle imprese europee di sfruttare le nuove opportunità che emergeranno sarà un fattore decisivo; in questo senso, più che “difensiva” degli interessi del passato, la nuova Pac dovrà essere capace di promuovere ed incoraggiare la competitività delle imprese, facendo leva sui punti di forza dei prodotti europei (con adeguate politiche di promozione e protezione della qualità) e sul sostegno all’innovazione. Le misure destinate all’adeguamento strutturale che pure si renderanno necessarie dovranno tener conto della sostenibilità dei sistemi agricoli, territoriali e ambientali in un contesto mondiale in continua evoluzione.

Note

(1) Implementata nel 2001, garantisce accesso libero e senza limitazioni alle importazioni (di “tutto tranne le armi”) provenienti dai 49 Paesi Meno Avanzati

Riferimenti bibliografici

  • Anania G. (2007a). Il futuro delle politiche commerciali dell’Unione Europea, tra negoziato Wto ed accordi regionali. Forum internazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione, 19-20 ottobre 2007, Cernobbio.
  • Anania G. (2007b). Negoziati commerciali multilaterali, accordi preferenziali e politiche agricole dell’Unione Europea, QA- Rivista di dell’Associazione Rossi-Doria, in corso di stampa.
  • Listorti G. (2006). Finestra sul WTO, Agosto 2006, Agriregionieuropa. Finestra sul WTO,
  • WTO (2007). International trade statistics. [link]
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