Istituto Nazionale di Economia Agraria |
Introduzione
Il rapporto che nei secoli ha legato l’uomo, le sue attività produttive e il suo sviluppo socioeconomico e culturale alle risorse naturali (con particolare riferimento a quelle forestali), ha incontrato negli ultimi duecentocinquanta anni la crisi più profonda. Negli ultimi decenni sempre di più la società civile, e non più la sola comunità scientifica, ha preso coscienza di come lo sviluppo delle civiltà umane sia oggi e a questi ritmi insostenibile. Hanno quindi preso forma i principi teorici dello sviluppo sostenibile (sviluppo economico, equità sociale e rispetto dell’ambiente), espressi nella sintetica definizione1 del Rapporto Brundtland (Wced, 1987). Questi rimangono però difficilmente applicabili, sopratutto per la visione troppo antropocentrica, focalizzata sui bisogni umani essenziali, delle problematiche correlate. Da allora comunque il termine sostenibilità è indissolubilmente presente non solo nelle politiche di sviluppo comunitarie, nazionali e locali, ma sempre più spesso accompagna anche le quotidiane scelte della società.
Il dibattito che la definizione di sviluppo sostenibile ha aperto dimostra però come la necessità di mantenere uno sviluppo economico compatibile con l'equità sociale e gli ecosistemi, debba obbligatoriamente operare in un regime di equilibrio ambientale, cioè di equilibrio tra uomo ed ecosistema. Lo sviluppo sostenibile diventa quindi più verosimilmente, quello “sviluppo che offre servizi ambientali, sociali ed economici di base a tutti i membri di una comunità, senza minacciare l'operabilità dei sistemi naturali, urbani e sociale da cui dipende la fornitura di tali servizi” (ICLEI, 1994). In questa accezione, il termine sostenibilità non è una novità nella storia della montagna italiana e in particolare per l’Appennino.
Il progetto
Il sistema produttivo agrosilvopastorale istituito e gestito per oltre otto secoli dai monaci Benedettini della Congregazione Camaldolese è un esempio tangibile di gestione multifunzionale, flessibile e durevole delle risorse ambientali, e di sviluppo socio-economico per molte comunità locali dell’Appennino italiano e non solo. Qui l’ambiente, le risorse naturale e in particolare quelle forestali, sono state profondamente trasformate dalla prolungata azione dell’uomo, diventando il prodotto di un processo storico e culturale, di interazione tra fattori sociali, economici e naturali. Comprenderne i principi di base, analizzarne i dinamismi e attualizzarne i significati sono gli obiettivi del progetto Codice forestale camaldolese, le radici della sostenibilità.
L’idea progettuale nasce dal Collegium Sriptorium Fontis Avellanae che dopo un primo avvio dei lavori (2003-2005) con l’Ente italiano della montagna, grazie a un finanziamento del Mipaaf, nel 2008 firma una convenzione con l’Osservatorio foreste dell’Istituto nazionale di economia agraria, che ne amplia e riorganizza il campo di indagine. Il nuovo progetto intende, infatti, valorizzare e recuperare il patrimonio storico culturale inerente la gestione del territorio e delle risorse naturali realizzata dai monaci camaldolesi, tra 1027 e il 1866. In particolare il progetto si concentra sul Monastero di Camaldoli in Toscana e sul Venerabile Eremo di Fonte Avellana situato nell’Appennino umbro-marchigiano, rispettivamente per la gestione dei boschi Casentinesi il primo e per la gestione delle terre agricole il secondo.
Nei primi mesi del 2009 sono quindi iniziate le attività di recupero dei documenti storici inerenti la gestione realizzata dalla Congregazione camaldolese, attraverso una meticolosa attività di digitalizzazione dei documenti custoditi presso la biblioteca di Camaldoli e di altri libri, fondi, fogli sparsi e lettere conservati presso l’Archivio di Stato di Firenze oggi disponibili e consultabili sul sito www.codiceforestale.it2. Non si tratta di un semplice studio rivolto al passato, bensì di un’opportunità per poter comprendere il senso profondo e le motivazioni che stanno alla base del rapporto uomo ambiente, fondamento etico essenziale per l’avvio di politiche che riconoscano il ruolo storico e insostituibile svolto dagli operatori agricolo-forestali e artigianali residenti nella montagna italiana.
Il recupero del Codice forestale camaldolese, costituito da una serie complessa di norme e disposizioni, non è legato alla sola testimonianza di profonda sintonia tra ricerca spirituale e cura della foresta con cui i monaci hanno gestito e tutelato per secoli le loro foreste. Si tratta anche di ricercare le tracce dei moderni concetti di “sostenibilità dello sviluppo” e in particolare di “sfruttamento sostenibile delle risorse naturali”.
La gestione forestale dei monaci Camaldolesi
Il monachesimo fu determinante nello sviluppo della civiltà rurale occidentale dei primi secoli del secondo millennio e nella definizione del paesaggio che tutt’oggi conosciamo e tuteliamo. Fin dalla sua nascita, l'Ordine benedettino, con i suoi monasteri, determinò una radicale trasformazione dell’economia e del paesaggio rurale, non solo per il disboscamento, il dissodamento e le numerose bonifiche a fini agricoli realizzate, ma anche per le innovative tecniche di gestione e di utilizzazione forestale intraprese. L’equilibrio nella gestione delle risorse, ad opera dei benedettini nell’arco appenninico tosco-umbro-marchigiano fin dall’XI secolo rappresentò una costante nel modo di utilizzare la natura, generando modelli ed economie locali autosufficienti, di cui è ancora oggi percepibile la presenza nel paesaggio, nei toponimi, nella cultura locale.
Le diverse famiglie religiose (camaldolesi, vallombrosiani, francescani), insediatesi nel Casentinese e nel Pratomagno, hanno nel tempo e con differenti metodi utilizzato la foresta con un approccio lungimirante che andava ben oltre le esigenze strettamente economiche del momento. In particolare, per la Comunità di Camaldoli, se inizialmente l’approccio alla gestione delle risorse forestali era solamente dettato da esigenze spirituali3, con il passare del tempo si è arricchito e adattato alle necessità delle popolazioni locali e alle esigenze economiche che il periodo storico richiedeva. Con una meticolosa attività di sostituzione del faggio con nuovi impianti di abete bianco, già presente in forma relitta, i monaci hanno unito la simbologia spirituale ascetica a una essenza particolarmente apprezzata sul mercato, definendo un nuovo equilibrio ecologico stabile. La progressiva diffusione dell’abete, nata quindi da una “violenza ambientale” viene perseguita nei secoli con interventi colturali, tagli, semine e piantagioni fino a delineare quel paesaggio da tutti oggi riconosciuto come un patrimonio ambientale unico.
La gestione dei boschi, in partenza trasmessa oralmente, rientra ufficialmente nelle regole della vita quotidiana dei monaci con le prime norme scritte a tutela dell'integrità della foresta già nel XIII secolo, fino a essere incorporata in La regola della vita eremitica di Paolo Giustiniani nel 1520, comunemente ed erroneamente conosciuta come Il Codice Forestale. Proprio dell’analisi di questo volume, nella traduzione in lingua toscana del 1575 realizzata dal monaco Silvano Razzi, si è occupata la prima pubblicazione del progetto, integralmente e gratuitamente scaricabile dal sito.
Importante sottolineare che in questa Regola, come in altre che l’hanno preceduta e seguita, tornano con insistenza le parole “custodire” e “coltivare”, aventi un duplice significato strettamente correlato e di interesse nel mondo attuale. Dal punto di vista religioso, con queste parole il Creatore affida all’uomo la terra (Genesi; cap 2,15), facendo riemergere la dimensione biblica del progetto divino da realizzare in armonia con tutta la Creazione. Ma questi due termini sono anche parte integrante del linguaggio selvicolturale e in particolare dei più moderni principi di gestione forestale sostenibile, oggi tanto auspicati e base fondamentale per lo sviluppo socioeconomico delle aree montane.
Dai primi studi effettuati sui fogli sparsi, i libri, gli atti, i permessi, le concessioni e le “fatture” di vendita del legname (circa 40 mila pagine), emerge una responsabile e attenta amministrazione del territorio e una straordinaria capacità tecnica. L’analisi del materiale storico permetterà di scoprire il vero Codice forestale e realizzare una prima ricostruzione del complesso ed efficiente sistema di gestione delle foreste camaldolesi durato per quasi nove secoli. Un raro esempio di gestione forestale equilibrata. Di questo tratterà un secondo volume di approfondimento dal titolo “La gestione delle foreste: l’esperienza di Camaldoli” dove verrà evidenziato, da un lato, l’evoluzione delle comunità che abitano questi luoghi e che ancora oggi rivendicano con orgoglio il loro passato, dall’altro, la presenza ereditata di un patrimonio ambientale e paesaggistico di inestimabile valore; dimostrando come la produttività e la salvaguardia ambientale possano coesistere in un “equilibrio sostenibile”.
Una terza pubblicazione verrà dedicata al Venerabile Eremo di Fonte Avellana,. attraverso lo studio delle trascrizioni di atti, compravendite e contratti dove traspare l’originalità della gestione agricola praticata dai monaci, grazie alla quale si è realizzata una crescita culturale ed economica delle popolazioni locali, di quei contadini considerati per la prima volta “uomini” e non “servi” come era consuetudine nel Medioevo.
Questo progetto, oltre a raccogliere e rendere fruibili le fonti storiche, intende mettere in luce come il rispettoso e reciproco rapporto fra uomo e natura sviluppatosi nei secoli, possa essere ancora oggi una valida base di modello economico, quel modello sostenibile tanto invocato quanto eluso se si tratta di passare dalle parole ai fatti. Dagli studi svolti emerge una reciprocità sorprendente: i monaci custodivano una foresta che li custodiva. Generazione dopo generazione, garantivano la vita alla foresta assicurando le risorse necessarie allo sviluppo di un’economia locale, e allo stesso tempo la foresta garantiva loro il silenzio di cui avevano bisogno per poter ascoltare la voce di Dio e degli uomini.
Oggi vi è la necessità di riscoprire e mettere in pratica un giusto equilibrio tra sviluppo economico e salvaguardia dell’ambiente. Tale equilibrio si fonda su un rispettoso e reciproco rapporto fra uomo e ambiente, attraverso il quale, con l’uomo e per mezzo dell’uomo, si concretizzi il precario equilibrio tra aspetti ambientali, produttivi e sociali. Questa ricerca storica dimostra come sia possibile.
Di estrema attualità ritorna l’affermazione di Nelson Henderson secondo la quale: the true meaning of life is to plant trees, under whose shade you do not expect to sit.
- 1. “Lo sviluppo sostenibile è quella forma di sviluppo che riesce a soddisfare i bisogni delle attuali generazioni senza compromettere tale possibilità per le generazioni future. Questo concetto comporta un bilanciamento tra fattori ecologici, economici e sociali” Rapporto Brundtlandt (WCED, 1987).
- 2. A questo sito si rinvia per ulteriori approfondimenti e per i riferimenti bibliografici.
- 3. Ci si riferisce ai sette alberi elencati nel libro di Isaia (41,19) quali segno della fertilità della terra d’Israele rifondata da Dio, e a cui ogni monaco deve aspirare contemplandone le proprietà, e le virtù. “Pianterò, Egli dice, nel deserto, il cedro e il biancospino, il mirto, l’olivo, l’abete, l’olmo e il bosso”. L’abete bianco (Abies alba Mill.), diventa per eccellenza simbolo dell’eremita, dell’elevazione spirituale e della meditazione.
Commenti
Utente non regi... (non verificato)
Gio, 01/01/1970 - 01:00
Collegamento permanente
Come l'abete, sapiente delle cose dall'alto
La Fargo Film e la Filmrouge stanno preparando un film documentario che potrebbe cambiare la visione e la gestione del nostro patrimonio naturale, attraverso un apporto di esperienza e fede millenari, come millenaria è la Comunità Monastica Camadolese.
La Comunità Monastica compirà quest'anno mille anni di fondazione. Anni nei quali i monaci hanno fatto della foresta che li circonda il loro deserto ascetico, al quale hanno garantito la sopravvivenza e con essa la vita di migliaia di persone. Nel 1852 le soppressioni monastiche e le politiche che sono seguite hanno consegnato questo ''giardino'' alla gestione dello Stato, che ha suddiviso il territorio fra Corpo Forestale, Ente Parco e Comunità Montana del Casentino.
Oggi, grazie all'accordo fra il Collegium Scriptorium Fontis Avellanae e INEA, avremo presto, on line, il Codice Forestale Camaldolese, nel quale potremo trovare ispirazione fra migliaia di documenti, usufruendo di una saggezza millenaria nel rapporto uomo-natura. Da qui nasce l'idea di documentare e portare alla sensibilità del pubblico un evento unico in Italia.
Possiamo dunque creare un giardino decoroso e degno?
Raccogliamo la sfida!
www.comelabete.it
Commento originariamente inviato da 'Comelabete' in data 17/04/2012.