I migranti nelle aree interne. Il caso della Calabria

I migranti nelle aree interne. Il caso della Calabria
a Università della Calabria, Dipartimento di Sociologia e Scienza Politica
b Università della Calabria, Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali

Introduzione

La strategia nazionale per le aree interne è finalizzata a contrastare il declino di una vasta parte del territorio italiano, lontana dai centri di servizio e caratterizzata da fenomeni di invecchiamento, spopolamento e declino economico. Le “nuove popolazioni” sono viste come una componente cruciale per lo sviluppo delle aree interne e soprattutto una risposta al problema dello spopolamento: giovani agricoltori o nuovi contadini, montanari per scelta, persone che rinunciano alla vita di città sempre meno sostenibile, lavoratori autonomi, quelli dei green jobs, rural users (Meloni, 2006), residenti part-time o definitivi. Secondo Barbera (2016), la rilevanza delle “nuove popolazioni” ha tre conseguenze principali: a) legami affettivi, culturali e di scambio economico con la popolazione autoctona, che dispone delle risorse locali e dei saperi sedimentati nel luoghi; b) la promozione di azioni collettive e di governance dei beni comuni che vadano oltre la semplice mobilitazione individualistica; e c) nuove interdipendenze tra montagna e pianura (aree deboli e aree forti, tra “pieni” urbani e “vuoti” delle aree marginali, tra le risorse locali e il più ampio contesto nazionale e internazionale), mettendo a valore le reti lunghe a cui afferiscono le nuove popolazioni insediate. La costituzione di nuove comunità, la gestione delle risorse, la creazione di nuove economie sono dunque viste come correlate alle nuove popolazioni e auspicate leve per la rigenerazione delle aree interne.
Fra le nuove popolazioni, seguendo una tendenza emersa negli anni 2000 e rafforzatasi dopo il 2008 con la crisi, sempre più significativa risulta essere la componente degli stranieri, soprattutto nei piccoli comuni1 (cfr. Balbo, 2015) o nelle aree più fragili (cfr. Osti e Ventura, 2012). Sono oltre 5 milioni gli stranieri residenti in Italia, di cui 645.573 residenti nei Piccoli comuni (il 12,9% degli stranieri), il 6,4% della popolazione residente totale. Emilia Romagna, Toscana e Umbria sono le regioni con la più alta incidenza di stranieri, mentre nelle regioni meridionali la percentuale di stranieri tra la popolazione è intorno al 3% (Anci, 2015). Alla fine del 2014, gli stranieri residenti nelle aree montane rappresentano il 6,3% della popolazione, con punte del 9,9% in Emilia-Romagna e percentuali più basse in Campania (3,3%), e una media nazionale pari all’8,3% (Fmi, 2015). Le presenza degli stranieri nei comuni classificati come aree interne vede una maggiore incidenza in alcune regioni: Umbria (10,39), Veneto (10,37) ed Emilia Romagna (10,33). Seguono le regioni del Centro Italia: Toscana (9,86), Marche (9,57) e Lazio (9,51). In alcuni casi la crescita della popolazione straniera ha dato un contributo significativo per la tenuta complessiva della popolazione nei comuni delle aree interne. La crisi da una parte, percorsi plurali dall’altra, hanno attivato dinamiche di mobilità interna o l’orientamento verso piccoli centri, dove i migranti trovano impiego spesso in agricoltura, settore dall’andamento anticiclico (tanto da parlare di un processo di rururbanizzazione e di agrarizzazione del lavoro migrante), anche in virtù di una maggiore disponibilità di abitazioni a basso costo (Caruso e Corrado 2015; Pugliese, 2012). In specifiche aree si è assistito al radicamento di determinate comunità, “con una sorta di etnicizzazione delle opportunità residenziali e lavorative” (Lucatelli e Nori, 2016). Nel Casentino, la componente immigrata (rumeni e macedoni) riveste un ruolo fondamentale nella conservazione ed evoluzione del settore forestale (idem). Si stima che negli Abruzzi il 90% dei pastori sia di origine straniera, mentre nelle regioni del Nord Italia si stima una quota del 70%; si tratta di rumeni, bulgari, marocchini, albanesi e macedoni (Nori e Fossati, 2016; cfr. anche Nori, 2015; Nori e de Marchi 2015). L’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati rappresenta poi una nuova risorsa per i territori (D’Agostino, 2013; Sarlo, 2015; Semprebon, 2016; Semprebon et al., 2015).
Tuttavia, l’inserimento di nuove popolazioni come quelle migranti si presenta come un processo complesso e problematico, che si configura in maniera diversa soprattutto in rapporto a specifiche dinamiche sociali e caratteristiche strutturali dei contesti locali, pure presentando indubbi elementi di innovazione e di rilevanza strategica per la sostenibilità dei servizi locali, dei sistemi produttivi e ambientali. Il caso della Calabria può dirsi da questo punto di vista emblematico, poiché assunto come modello di riferimento a livello nazionale ma anche per le fragilità di fondo che esso evidenzia. Già nel 2009, il Governo regionale varava un’apposita legge che individua nell’accoglienza di titolari e richiedenti protezione internazionale una occasione per promuovere percorsi di riqualificazione e di rilancio socio-economico e culturale di contesti con problemi di spopolamento o di sofferenza socio-economica. Dopo un periodo di stasi, la Regione Calabria sta oggi lavorando per articolare questo sistema di governance stabilmente orientato a favorire l’inserimento di lungo periodo dei migranti all’interno dei piccoli comuni.
In questo lavoro, dopo una breve presentazione delle aree interne in Calabria, vi analizzeremo la presenza degli stranieri e le loro modalità di inserimento, per poi focalizzare l’attenzione sul ruolo assegnato a richiedenti asilo e rifugiati per promuovere lo sviluppo delle comunità locali e il mantenimento al loro interno dei servizi collettivi. L’obiettivo è quello di discutere le caratteristiche, le potenzialità e i limiti delle strategie di sviluppo delle aree interne o fragili della Calabria basate sull’accoglienza dei migranti, valutando i diversi progetti e programmi messi in atto sia a livello regionale che locale.

Le aree interne in Calabria

Il territorio calabrese si caratterizza per una morfologia prevalentemente montana e collinare, con solo il 5% di pianura. Nel tempo la popolazione ha prediletto la zona costiera, attraverso una urbanizzazione disordinata e il progressivo abbandono delle aree interne e delle zone meno accessibili. Il sistema insediativo si presenta come disarticolato, alla luce del numero elevato di comuni e della bassa popolazione che li caratterizza. Su 409 comuni, 323 (79% sul totale dei comuni regionali, 5.7% del totale nazionale) hanno una popolazione non superiore a 5 mila abitanti; sono dunque piccoli comuni. In questi comuni dimora abitualmente il 33,5% dei residenti; mentre sono quasi 470 mila le persone (24% della popolazione regionale) che vivono nei 5 comuni (Reggio Calabria, Cosenza, Catanzaro, Lamezia Terme e Crotone) con più di 50 mila abitanti. I Comuni fino a 1000 abitanti sono 79 (24,5% dei piccoli comuni e il 19,3% sul totale dei comuni a livello regionale). Negli ultimi decenni, la crescita insediativa a bassa densità ha determinato un consumo eccessivo del suolo. La superficie urbanizzata è aumentata a fronte di una riduzione della popolazione, che negli ultimi 20 anni è stata di oltre 111.000 unità. Al 2011, l’incidenza percentuale media delle abitazioni occupate esclusivamente da non residenti o non occupate è pari al 32,6% corrispondente a oltre 366 mila abitazioni, il valore più alto in Italia dopo la Valle d’Aosta (46,7%). La media nazionale è del 17,2%.
La classificazione del territorio, elaborata dal Dps (Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica) per la definizione della Strategia Nazionale per le Aree Interne, evidenzia la prevalenza all’interno del territorio regionale dei comuni classificati come Aree Interne, 323 ovvero quasi l’80% del totale (contro la media nazionale del 52%), in cui risiede poco più della metà della popolazione calabrese). La tabella 2 e la figura 1 mostrano la distribuzione della numerosità dei comuni nelle sei tipologie adottate dal Dps: costituiscono “aree interne” i comuni intermedi, periferici e ultraperiferici; mentre i rimanenti comuni - poli, poli intercomunali e cintura - compongono la macro-tipologia “centri”. Nel contesto regionale, rilevante appare l’incidenza dei comuni periferici e ultraperiferici (Regione Calabria, 2015a).

Tabella 1 - Principali caratteristiche dei comuni calabresi classificati secondo la metodologia proposta dal Dps

Fonte: Regione Calabria (2015a)

Tabella 2 – Andamento demografico dei comuni calabresi classificati secondo la metodologia proposta dal Dps

 

Fonte: Regione Calabria (2015a)

Tabella 3 – Analisi demografica per tipologia di comuni (2011)

Fonte: Regione Calabria (2015a)

Figura 1 – La geografia dei comuni calabresi secondo la classificazione del Dps

Fonte: Regione Calabria (2015)

Tra 1981 e 2011 la popolazione calabrese si è ridotta del 5%. Per il complesso delle Aree interne, si è data una perdita di popolazione del 21% circa, in particolare nelle aree ultraperiferiche (-27,2%) e in quelle periferiche (-15%). Un incremento della popolazione si registra invece nei comuni di cintura (+9% circa) e dei poli intercomunali (+6%), mentre perdono residenti anche i poli della regione (-5,8%) (Tabella 2). Oltre che dal processo di spopolamento, le Aree interne sono caratterizzate da una popolazione sparsa sul territorio; vi prevalgono infatti piccoli comuni con meno di 5 mila abitanti (il 74% del totale), molti dei quali localizzati in aree particolarmente disagiate e di difficile accesso (aree montane del Pollino, della Sila e dell’Aspromonte, le Serre Vibonesi e Catanzaresi, il Basso e l’Alto Crotonese). Queste aree registrano indici di vecchiaia (dato dal rapporto percentuale tra ultra-65enni e popolazione con meno di 15 anni) elevati: nei comuni periferici del 160% e in quelli ultraperiferici del 172%, contro una media regionale pari al 134% (nel 2001 era al 102,3%). Anche nel caso dell’indice di dipendenza - che misura il peso delle fasce demografiche “fragili” della popolazione (ovvero che si trovano nelle età non lavorative) su quelle più “forti” (nelle età lavorative) - si registra una maggiore criticità nei comuni periferici e ultraperiferici, dove l’indice si attesta intorno al 52% contro il 50% della media regionale (e il 53,1% della media nazionale) (Tabella 3). Anche i dati riguardanti i redditi imponibili per le persone fisiche mostrano una spiccata disparità tra Aree interne (nel 2010, il reddito medio è € 16.292 nei comuni ultraperiferici e di € 17.717 dei comuni intermedi) e i Poli (al 2010, il reddito medio è di € 23.153, un valore di poco inferiore a quello nazionale € 23.241) (Regione Calabria, 2015a).
Ai fini della partecipazione della Calabria alla Strategia Nazionale per le Aree Interne e dell’attuazione della Strategia Regionale per le Aree Interne, si è deciso di concentrare gli interventi negli ambiti territoriali caratterizzati da comuni classificati come “periferici” e “ultra-periferici” che mostrano un trend consolidato di spopolamento uguale e/o superiore al 10% nel corso degli ultimi 30 anni (Figura 2). Gli ambiti territoriali individuati sono: Pollino occidentale, Pollino orientale, Sila orientale, Valle dell’Oliva, Presila catanzarese, Reventino-Savuto, Serre calabresi, Versante Ionico-Serre, Aspromonte, Area grecanica. Il Reventini-Savuto è stato scelto come “area pilota” per avviare un primo esperimento regionale di applicazione della Snai.

Figura 2 – I territori di intervento per la Strategia Nazionale e Regionale per le Aree

Fonte: Regione Calabria (2015a)

Stranieri, piccoli comuni e aree interne

La presenza degli stranieri regolarmente presenti in Calabria ha visto un’accelerazione significativa soprattutto negli anni 2000 con un aumento in termini assoluti degli stranieri residenti che ne quadruplica il numero. Nell’ultimo censimento del 2011, gli stranieri residenti in Calabria, ammontavano a 66.925 unità (di cui il 55,4% costituito da donne), per poi passare a un totale di 91.354 unità nel 2015, con un incremento del 35,5% (pari al 4,6 % della popolazione regionale). Mentre la popolazione residente in Calabria nel decennio 2002-2012 è diminuita del 2,5% (passando da 2.007.392 a 1.958.238), il numero dei cittadini stranieri residenti è quadruplicato. Rilevante è poi la presenza quella dei soggiornanti stagionali o irregolari (per lo scadere del permesso di soggiorno, anche in seguito al licenziamento, o richiedenti asilo cui è stato negato lo status), impiegati prevalentemente in agricoltura. La presenza di stranieri è però articolata in misura diversa nelle cinque province calabresi. I due terzi circa dei residenti stranieri in Calabria alla fine del 2015 risulta concentrato nelle province di Cosenza e Reggio Calabria (rispettivamente 30.275 e 29.129); seguono la provincia di Catanzaro (16.175) e, con un notevole distacco, per i valori assoluti nettamente inferiori, le due province di Crotone e Catanzaro (rispettivamente 9.063 e 6.712). Questa distribuzione rispecchia le dimensioni della popolazione residente nei diversi contesti provinciali.
In Calabria, come nel resto del paese, si sono progressivamente determinati processi di diffusione territoriale dell’immigrazione (Balbo 2015). Le percentuali più alte si registrano in comuni di piccole o piccolissime dimensioni (Sarlo 2015; Sarlo et al. 2014). In particolare in cinque comuni viene superata la soglia del 10%: a Gizzeria e Falerna, nella Piana di Lamezia in provincia di Catanzaro, rispettivamente con il 15,4% (su una popolazione totale di 4829 residenti) e l’13,8% (su una popolazione totale di 4057 residenti); in provincia di Reggio Calabria, a Roghudi, nell’area grecanica, con il 14,2% (su una popolazione totale di 1137 residenti), Sant’Alessio in Aspromonte 13,5% (su un totale di 347 residenti) e a Riace con il 16,8% (su un totale di 2155 residenti); e Vaccarizzo Albanese, nell’area Arbëreshë in provincia di Cosenza, con il 11,6 % (su una popolazione totale di 1156). In diversi Comuni della Piana di Sibari, si registrano percentuali tra il 6,1 e il 9,6% ( quest’ultimo è il caso di Rossano con 36.889 residenti) (dati Istat, 2015).
Sarlo (2015) identifica distinti sistemi locali ad alta intensità di lavoro immigrato e in cui spesso sono concentrate le presenze anche in piccoli comuni: le polarità urbane della stanzialità che coincidono con i cinque capoluoghi di provincia; i sistemi agricoli specializzati della stagionalità e della transumanza (le piane di Sibari, Gioia Tauro, Lamezia Terme e il Marchesato di Cirò-Crotone); i sistemi agricoli minori - definiti dell’interstizialità per evidenziare una modalità di fruizione dello spazio in cui prevale l’uso sul reale vissuto, ovvero una limitata partecipazione sociale - (le aree del Pollino Meridionale, Valle del Crati e della Sila; l’Altopiano del Poro; Locride e Area Grecanica), caratterizzati dalla zootecnia, dal florovivaismo e da produzioni di nicchia; i sistemi turistici della stagionalità (Alto Tirreno cosentino; area di Capo Vaticano; area costiera della Piana di Sibari; area costiera crotonese; costa ionica catanzarese-Golfo di Squillace); la cosiddetta Dorsale dell’ospitalità (da Badolato a Riace), in virtù delle esperienze pionieristiche di accoglienza a richiedenti asilo e rifugiati (Cfr. anche Cicerchia e Pallara, 2009).
In numerosi casi, i migranti alternano attività varie (commercio ambulante, edilizia, agricoltura, turismo), spostandosi anche in località diverse, dalle aree interne (dove spesso risiedono) alle pianure costiere dove sono localizzate le attività stagionali, in agricoltura o nel settore turistico (ad es. l’ambulantato estivo).

Richiedenti asilo e rifugiati nei piccoli comuni

Dalla fine degli anni Novanta, esperienze di accoglienza di migranti e rifugiati sono state promosse soprattutto all’interno di piccoli comuni calabresi per fronteggiare i processi di abbandono e spopolamento, favorendo l’integrazione in loco. Queste esperienze hanno interessato in particolare i piccoli comuni della Locride, un’area poco significativa per numero di presenze straniere, ma dal valore emblematico (D’Agostino, 2013). Ciò che distingue queste realtà è un approccio che vede nei migranti una risorsa per lo sviluppo locale, soggetti con i quali strategicamente allearsi per costruire alternative di vita che diano centralità alla prossimità sociale, oltrepassando i vecchi ideali della cittadinanza nazionale. A partire da questa diversa narrativa, è stato favorito un ampio consenso locale intorno alle iniziative messe in campo per promuovere l’inserimento dei migranti in crescente arrivo in Calabria. Impiegando prima risorse esclusivamente locali e successivamente quelle provenienti dall’adesione alla rete nazionale del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (Sprar), nei comuni di Riace, Badolato, Caulonia e Stignano sono stati avviati vasti interventi di riqualificazione del patrimonio immobiliare esistente per facilitare l’accoglienza dei rifugiati nei centri storici, ma anche per sviluppare innovativi circuiti di turismo solidale che negli anni hanno portato migliaia di curiosi e visitatori provenienti da tutto il mondo. Progressivamente, sono state inoltre aperte botteghe artigianali e altre piccole attività basate sul recupero di vecchie tradizioni e antichi mestieri, mobilitando il capitale sociale di queste realtà. L’impatto di queste esperienze è stato nel complesso significativo sotto il profilo culturale, economico e istituzionale. Come si diceva, il loro principale valore attiene all’apertura di una fase culturalmente nuova in Calabria, caratterizzata dalla ferma volontà di vedere la figura del rifugiato come una risorsa per lo sviluppo e incrinare gli stereotipi che, invece, lo rappresentano come una minaccia ovvero come semplice vittima da accudire temporaneamente. Questa diversa concezione del rifugiato ha avuto, infatti, un impatto importante sulla coesione sociale delle comunità locali, oltre ad aver munito l’intero territorio della Locride di un’identità marcata e riconosciuta per la sua “vocazione all’accoglienza” a livello finanche internazionale. Contemporaneamente, l’arrivo in numero crescente di rifugiati ha consentito, da un lato, di rafforzare i servizi pubblici dei comuni coinvolti da questi programmi di accoglienza, soprattutto delle scuole, grazie all’incremento della popolazione in età scolastica. Dall’altro, questi programmi hanno permesso di prevenire l’emigrazione di tanti giovani locali, spesso laureati, che sono stati collocati, in numero significativo, nelle diverse attività di assistenza e orientamento avviate sul territorio. Anche in ambito istituzionale si apprezza infine l’importate ruolo che queste esperienze hanno giocato producendo innovazione politica, sia a livello centrale che regionale. Nel 2002, a livello nazionale, venne infatti introdotta la legge n.189 che recepì l’approccio decentrato all’ospitalità fino a quel momento sviluppatosi in maniera del tutto spontanea in Calabria attraverso l’esperienza del Pna (Programma Nazionale Asilo), istituzionalizzando un sistema reticolare di seconda accoglienza (lo Sprar), il cui elemento cardine è dato dal coinvolgimento degli enti locali. Successivamente, nel 2009, la Regione Calabria licenziò una legge che adotta in pieno l’impianto di governance etico sviluppatosi nella Locride con l’obiettivo di metterlo a sistema sull’intero territorio calabrese, per sostenere progetti realizzati in «comunità interessate da un crescente spopolamento o che presentino situazioni di particolare sofferenza socio-economica che intendano intraprendere percorsi di riqualificazione e di rilancio socio-economico e culturale collegati all’accoglienza dei richiedenti asilo, dei rifugiati, e dei titolari di misure di protezione sussidiaria o umanitaria» (art. 1, Legge reg. n. 18 del 2009). Ad oggi questa legge regionale, unica in Italia sull’asilo, non ha tuttavia trovato sostanziale applicazione. Essa prevedeva infatti l’elaborazione di un Piano triennale, che fu varato però da una nuova Giunta regionale solo nel marzo del 20132. Il Piano punta a sostenere interventi che valorizzino le produzioni artigianali, le competenze e le tradizioni locali, di commercio equo e solidale, turismo responsabile, di economia solidale e cooperativa. Nel luglio 2014 per darne attuazione venne emanato un “Avviso pubblico per il finanziamento di azioni di Formazione, Cooperazione e Sviluppo di Reti nel settore dell’Accoglienza dei Rifugiati”, con l’obiettivo di promuovere forme consortili nel campo dell’economia solidale e in grado di organizzare nuove competenze, reti transnazionali e consenso politico3. Tuttavia, giunto allo scadere del periodo di programmazione 2007-2013, questo Avviso è stato congelato e tuttora rimane senza una graduatoria ufficiale.
Di fatto, dal 2009 ad oggi, attraverso l’impiego dei fondi strutturali, le uniche misure regionali attivate per stabilizzare i rifugiati presenti nella Locride sono consistite nell’attivazione di borse lavoro che però non hanno consentito di avviare duraturi percorsi di sviluppo e inserimento lavorativo, foraggiando piuttosto un sistema di tutela che già a livello centrale si connota, sostanzialmente, come assistenzialistico, a causa dei suoi limiti temporali, che non consentono ai rifugiati di acquisire quelle competenze e abilità necessarie per rendersi completamente autonomi e inserirsi nella società di arrivo. Il sistema delle borse lavoro varato in Calabria si prefiggeva, per l’appunto, di estendere temporalmente questo regime di tutela per promuovere l’ingresso stabile e regolare del rifugiato nel mercato locale del lavoro. Ma solo limitatamente questi programmi sono riusciti ad innescare localmente nuove dinamiche di sviluppo e ad offrire contemporaneamente ai rifugiati un ruolo che non sia quello di semplici spettatori dell’altrui protagonismo sociale. Le sperimentazioni effettuate sono rimaste sostanzialmente deboli e frammentate per diverse ragioni legate alla fragilità economica complessiva della Calabria, all’avvicendamento di diverse coalizioni politiche nel governo regionale ma anche perché, in questi anni di crisi, di fronte all’ingrossamento dei flussi e alle risposte di carattere emergenziale varate dal governo nazionale, gran parte delle risorse regionali, umane e finanziarie, sono state inesorabilmente assorbite dalle varie problematiche pertinenti alla sicurezza e l’ordine pubblico, che hanno portato alla realizzazione di grandi strutture collettive d’accoglienza, sfornite di servizi di qualità, responsabili di coltivare nei rifugiati, come nelle popolazione, locale pregiudizi e frustrazione.
La mancanza di un orientamento regionale continuativo e specifico per lo sviluppo delle aree interne attraverso l’accoglienza di cittadini migranti, associato alla fragilità dei contesti in cui queste esperienze sono state promosse, ha insomma ingenerato col passare degli anni una serie di disfunzioni e criticità che hanno portato a discutere l’insostenibilità di questo modello e la sua stessa degenerazione in quanto incapace di realizzare effettive opportunità di empowerment e sostegno all’integrazione di migranti e rifugiati (Papadopoulou et al., 2013).
Oggi, tuttavia, non si può non osservare come la trasformazione dell’immigrazione a Sud, sempre più legata all’arrivo in massa di nuovi richiedenti asilo che hanno scarsamente programmato la fuga in nuovo paese, o comunque privi di risorse economiche che ne garantiscano l’autosufficienza, stia determinando un forte consolidamento di queste presenze in Calabria, anche nelle aree più interne, al di là dell’esistenza di reali opportunità di lavoro. Per richiedenti asilo e rifugiati in particolare, si osservano ormai, in tutti i periodi dell’anno, non più limitati a quelli delle stagioni agricole e delle connesse attività bracciantili, situazioni diffuse di esclusione socio-abitativa (con la conseguente esposizione a gravi patologie) e di protratta inattività lavorativa (Msf 2016). Molte associazioni si stanno attivamente impegnando per attirare l’attenzione pubblica su tali questioni promuovendo dure campagne di denuncia politica ma anche l’avvio di nuove esperienze di auto-impiego in agricoltura e mutuo-aiuto che trovano crescente attenzione presso gli enti locali4, e che soprattutto la classe politica regionale potrebbe in futuro sostenere valorizzando i fondi messi a disposizione dal nuovo ciclo di programmazione 2014-2020.
L’interlocuzione avvenuta con i comuni calabresi nell’ambito dei “Laboratori per lo sviluppo delle Competenze della P.A. in materia di programmazione e progettazione di interventi finalizzati all’inclusione dei migranti”, dimostra la presenza di interessanti potenzialità da questo punto di vista, dovute alla diffusa consapevolezza ormai esistente presso gli amministratori locali che in una regione come la Calabria, la presenza dei migranti può concorrere al mantenimento o all’integrazione dei servizi di base, a sostenere le attività economiche (in particolare quelle agricole) e i consumi locali, allo sviluppo di nuove opportunità di impiego, soprattutto nell’abito della cooperazione sociale e dei servizi di accoglienza e di integrazione. Molti funzionari e amministratori pubblici, nel corso dei Laboratori, hanno infatti confermato il desiderio e la ferma volontà di replicare all’interno dei territori di loro competenza le migliori esperienze di accoglienza avviate in seno allo Sprar, o comunque di adottare un approccio al governo delle migrazioni capace di concepire i rifugiati come vettori di flussi di relazioni e risorse (D’Agostino, 2015). Tra il 2013 e il 2015, la rete dello Sprar in Calabria si è anche per questi motivi estesa considerevolmente. In particolare, dei 50 enti locali aderenti allo Sprar in ambito regionale, per un totale di 1966 presenze, 41 oggi ricadono nelle aree interne, accogliendo 1552 beneficiari. I progetti di accoglienza sono distribuiti in tutto il territorio regionale: 13 sono in provincia di Catanzaro, 12 in quella di Cosenza, 7 in quella di Crotone, 14 in provincia di Reggio Calabria, 4 in quella di Vibo Valentia. A queste presenze si sommano poi i numeri altrettanto importanti nei Centri di Accoglienza Straordinaria istituiti dal 2013: 30 strutture con un totale di circa 2000 presenze. Presso l’ex C.A.R.A. di Crotone sono inoltre ospitati dai 1000 ai 1500 profughi (Ministero dell’Interno, 2015).
Riassumendo, in Calabria attualmente dimorano circa 5000 richiedenti asilo. Tuttavia, i progetti d’accoglienza operativi sul territorio, caratterizzati da un elevato turn over, da un approccio assistenzialista e dalla mancanza di progettualità di lungo periodo, rischiano di lasciare sul territorio migliaia di persone senza mezzi, spesso prive di competenze adeguate e di una meta sicura verso cui proseguire il viaggio. Anche per intervenire su tali criticità, l’attuale Governo regionale, subito dopo l’insediamento, avvenuto nel maggio del 2015, ha indicato fra i suoi compiti prioritari quello di articolare una nuova politica in materia d’asilo per dare stabilità e continuità ai progetti di accoglienza attivi sui territori. In particolare, la Regione Calabria ha presentato alla Commissione Europea il Piano “Calabria. Terra di Sole e di accoglienza”, proponendo il reinsediamento sul territorio regionale di 3000-4000 rifugiati, intorno a cui costruire un “Laboratorio di civiltà” attraverso il potenziamento delle competenze individuali, l’ampliamento dell’offerta all’abitare non segregato con il recupero del patrimonio immobiliare pubblico esistente, e il sostegno alla creazione di imprese sociali innovative, nel campo delle energie sostenibili, dell’agricoltura biologica, dei servizi alla persona.

Conclusioni

In Calabria, negli ultimi anni, i piccoli comuni, fragili o interni, hanno conosciuto l’arrivo di immigrati stranieri, secondo proporzioni significative, in maniera stabile o temporanea, per effetto delle dinamiche economico-produttive, in virtù del funzionamento di reti sociali, oppure in conseguenza di iniziative di accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo, nell’ambito delle politiche nazionali, spesso grazie alla dinamicità di amministrazioni ed organizzazioni della società civile, nella prospettiva di promuovere nuove forme di sviluppo locale. Anche in quest’ultimo caso però i trend negativi sono difficili da invertire, per la dimensione spesso assistenziale degli interventi e soprattutto per l’incapacità di progettare nuovi itinerari di sviluppo in un ottica integrata, che promuovano il miglioramento delle condizioni di vita nei diversi contesti, forme di reale integrazione e lo sviluppo di progetti di lungo periodo. Gli strumenti di intervento messi a disposizione dai Programmi Operativi nazionali e regionali potrebbero essere invece utili per attrarre nuove popolazioni, ma soprattutto per promuovere progetti di lungo periodo e migliorare complessivamente le condizioni di vita.
Più precisamente, la Strategia per le Aree Interne della Regione Calabria fa riferimento a popolazioni immigrate sotto l’ambito “valorizzazione delle risorse naturali e culturali per lo sviluppo del turismo sostenibile”, identificando come obiettivi quelli di “contribuire alla realizzazione di nuova e qualificata occupazione, al recupero del patrimonio artistico e abitativo, alla creazione di forme alternative e integrative di reddito per la popolazione locale, alla conoscenza presso un pubblico più ampio di territori che erano del tutto fuori dai grandi circuiti turistici”. E ancora, alla promozione di “un processo di attrazione della popolazione, favorendo l’integrazione con le popolazioni immigrate e la costituzione, da parte dei giovani locali, di iniziative imprenditoriali per la produzione e il commercio”. A questo proposito sono indicate in particolare le aree del Reventino-Savuto e del versante Ionico-Serre, dove diversi comuni hanno partecipato al bando Sprar, ricevendo finanziamenti per i piani di accoglienza ai rifugiati. Alcuni comuni dell’area del versante Ionico-Serre, come già ricordato, hanno sperimentato per primi forme innovative di accoglienza dei migranti in Calabria (Riace, Badolato, ecc.) e, nel periodo di programmazione 2007-2013, progetti di sviluppo locale attraverso la progettazione territoriale integrata (Regione Calabria, 2015a).
Le risorse dei fondi strutturali UE 2014/2020 (Fesr - Fse - Feasr - Feamp) potrebbero altresì essere utilizzate per correggere i limiti che hanno contrassegnato le esperienze passate. Questo nuovo ciclo prevede un insieme assai vasto di meccanismi che, ispirandosi all’esperienza trascorsa dei programmi Leader, si caratterizza proprio per la volontà di mobilitare e mettere in rete il potenziale locale in modo da contribuire ad una più efficace attuazione degli obiettivi della Strategia Europa 2020, in particolare del suo obiettivo ultimo, che è quello di ridurre di 20 milioni il numero di persone a rischio di povertà e di esclusione sociale. Anche il Por Calabria, in accordo con quanto sancito dalla nuova regolamentazione europea per il ciclo 2014-2020, prevede un apposito obiettivo tematico (OT9) “Inclusione sociale e lotta alla povertà”, che richiede di essere portato avanti attraverso proposte progettuali e azioni di sistema che dovranno intervenire in modo da garantire la presa in carico globale dei migranti e dei loro nuclei familiari, evitando approcci eccessivamente indifferenziati o assistenzialistici, soluzioni sempre meno etnicamente connotate per privilegiare invece strategie di empowerment e sviluppo locale di tipo partecipato. Si fa così riferimento all’incremento dell’occupazione e della partecipazione al mercato del lavoro, rafforzando la capacità imprenditoriale delle categorie più svantaggiate, anche ricorrendo a strumenti di innovazione sociale. La gestione di beni, aziende e terreni confiscati alla mafia potrà essere per esempio funzionale a ciò. Si fa inoltre riferimento a misure finalizzate a sperimentare modelli innovativi per affrontare il disagio abitativo, ad incrementare le attività economiche (profit e non-profit) a contenuto sociale e le attività di agricoltura sociale attraverso il rafforzamento della attività delle imprese sociali, la promozione delle reti e sistemi di cooperazione regionale e interregionale tra imprese e amministrazioni che producono servizi rivolti al territorio locale (Regione Calabria 2015b).
Il Programma di Sviluppo Rurale della Calabria 2014-2020 non prevede, invece, azioni specificamente mirate alla tutela degli immigrati. Tuttavia, in attuazione della Priorità P6 - 'Adoperarsi per l'inclusione sociale, la riduzione della povertà e li sviluppo economico nelle zone rurali' – esso promuove iniziative volte al superamento delle specifiche difficoltà connesse alla condizione dei soggetti svantaggiati. Le misure utili per lo sviluppo di una strategia più ampia in favore degli immigrati presenti nelle aree rurali, sono soprattutto quelle previste per favorire la diversificazione, la creazione e lo sviluppo di piccole imprese nonché dell'occupazione, in particolare attraverso lo sviluppo di attività extra-agricole e dell’agricoltura sociale (M01, M02, M06, M16) e dei servizi di base (M07) (Regione Calabria, 2015c).

Riferimenti bibliografici

  • Anci 2015, Atlante dei Piccoli Comuni, Anci

  • Balbo M. (a cura), Migrazioni e piccoli comuni, Franco Angeli

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  • 1. I Piccoli Comuni (PC) italiani, ovvero quelli con popolazione compresa entro i 5.000 abitanti residenti, sono 5.627 e rappresentano il 69,9% delle 8.047 realtà amministrative presenti nel nostro paese (riferimento 31 gennaio 2015).
  • 2. Burc n. 7 del 2/4/2013, p. 9602.
  • 3. Burc n. 34 del 28/07/2014.
  • 4. Ci si riferisce in particolare ad esperienze come quelle portate avanti dall’associazione Sos Rosarno, promotrice della cooperativa agricola Mani e Terra, nella Piana di Gioia Tauro, al progetto “Pomodori solidali” promosso dal Centro sociale “Rialzo” a Cosenza o alle iniziative dell’Associazione di volontariato “La Ginestra” operante nel comune di Mendicino (Cosenza).
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