Istituto Nazionale di Economia Agraria |
Introduzione
Nel dibattito che ha preceduto l’emanazione dei nuovi regolamenti della Pac 2014-2020 è emersa in maniera molto netta la necessità, apparentemente condivisa da tutti i portatori d’interesse, di ri-orientare in maniera sostanziale questa politica verso la produzione di beni pubblici. Nel corso degli ultimi anni sono state così formulate numerose proposte sulle modalità attraverso le quali la Pac potrebbe favorire una migliore gestione delle risorse naturali e al contempo assicurare il raggiungimento degli obiettivi di competitività del settore agricolo, di sicurezza alimentare e di vitalità delle aree rurali. In alcune proposte è stata affrontata la questione della collocazione delle misure con obiettivi ambientali - ovvero il primo o il secondo pilastro (si veda, ad esempio, Hart et al., 2011) - mentre in altre è stata addirittura messa in discussione l’attuale architettura della Pac, enfatizzando la necessità di superare il sistema dei due pilastri per favorire l’adozione di interventi più selettivi, ma soprattutto maggiormente finalizzati alla produzione di beni pubblici ambientali (Anania et al., 2009; Frascarelli e Sotte, 2010). La Commissione europea però, sin dalle prime proposte che ha formulato, non ha mai messo in discussione l’attuale struttura di questa politica, ponendosi piuttosto l’obiettivo di vincolare maggiormente i pagamenti diretti del primo pilastro a pratiche agricole benefiche per l’ambiente, seguendo l’approccio già sperimentato con la condizionalità. Il greening o inverdimento dei pagamenti diretti è divenuto così lo strumento centrale attorno al quale si sarebbe dovuta articolare una politica agricola più verde e più attenta alla produzione di quei beni e servizi d’interesse collettivo di cui tanto si è parlato. A seguito di un complesso e articolato negoziato, che ha visto intrecciarsi il disegno delle politiche con le questioni del bilancio comunitario, si è arrivati ad una strategia di inverdimento dei pagamenti diretti molto leggera e poco incisiva, che probabilmente avrà come effetto principale quello di aggravare sensibilmente il fardello burocratico della Pac a fronte di effetti ambientali molto limitati. Nell’ambito del secondo pilastro, al contrario, la nuova struttura e le finalità degli interventi in campo agro-ambientale sembrano offrire nuove opportunità che potranno stimolare azioni innovative nel favorire la gestione sostenibile delle risorse naturali e a contrastare i cambiamenti climatici.
Alla luce delle scelte nazionali e dalle strategie regionali sin qui emerse, in questo contributo si propone una riflessione sull’insieme delle misure della nuova Pac finalizzate alla gestione dell’agro-ambiente e ai loro possibili effetti in Italia.
L’“inverdimento” dei pagamenti diretti
Attraverso il greening, per la prima volta, la Pac lega una quota dei pagamenti diretti ad alcune pratiche agricole ritenute positive per l’ambiente. Dal punto di vista normativo, il cosiddetto “inverdimento” è regolato dagli articoli 43-47 del Reg. 1307/2013 e prevede l’applicazione, sulla superficie ammissibile ai pagamenti diretti, di tre tipi di pratiche agricole: la diversificazione delle colture per le aziende con più di 10 ettari di seminativi, il mantenimento dei prati permanenti e, per le aziende con più di 15 ettari di seminativi, l’introduzione di aree di interesse ecologico1. Alla componente verde dei pagamenti diretti è riservato il 30% del massimale nazionale, per un totale che in Italia varia da 1.170,6 milioni di euro nel 2015 a 1.111,3 milioni di euro nel 2019 (Mipaaf, 2014). Il valore del pagamento verde viene calcolato annualmente ed è dato dal rapporto tra il massimale spettante al greening a livello nazionale o regionale ed il valore totale di tutti i diritti all’aiuto attivati in un dato Stato membro.
A questo “inverdimento” dei pagamenti diretti corrisponderà inevitabilmente un notevole aggravio burocratico, dettato soprattutto dalla necessità di monitorare in maniera rigorosa e capillare l’uso del suolo delle aziende sottoposte ai nuovi requisiti ambientali. Per queste aziende sarà necessario, da parte degli organismi pagatori, monitorare annualmente l’estensione delle colture praticate (diversificazione colturale), l’estensione e la localizzazione dei prati permanenti e, non ultimo, effettuare una ricognizione delle superfici agricole che soddisfano i criteri delle aree d’interesse ecologico.
La complessità amministrativa del greening non sembra però giustificata dall’efficacia dello strumento, le cui criticità sono state ampiamente mostrate da autorevoli studi internazionali. Tra questi vale la pena citare un articolo recentemente apparso su Science, nel quale si sottolinea come con l’inverdimento dei pagamenti diretti “l’UE abbia perso un’importante opportunità per definire efficaci linee guida volte ad incrementare la sostenibilità agricola” (Pe’er et al., 2014). Gli autori dello studio mettono in discussione l’intero impianto del greening, evidenziando la necessità di mettere in campo nuove soluzioni, in particolare da parte degli Stati membri, volte ad integrare e rafforzare i vincoli ambientali del pagamento verde, che da soli difficilmente potranno incidere in maniera significativa sulla gestione sostenibile delle risorse naturali, ed in modo particolare sulla conservazione della biodiversità.
Il pagamento verde si configura, inoltre, come uno strumento fortemente discriminatorio sia per la sua elevata selettività, sia per il fatto che viene semplicemente calcolato come una quota fissa dei pagamenti diretti percepiti dagli agricoltori.
Per quanto riguarda il primo fattore, è evidente che gli obblighi del greening interesseranno un numero molto limitato di aziende, ovvero le aziende di medio-grandi dimensioni specializzate nella produzione di seminativi. Le stime disponibili mostrano che, a livello nazionale, le aziende interessate dalla diversificazione colturale e/o dall’introduzione delle aree d’interesse ecologico saranno circa 108 mila, pari solamente al 6,6% delle aziende italiane, a cui corrisponde un’estensione limitata di superficie agricola interessata, pari rispettivamente al 18,8% e al 30,9% (Vanni e Cardillo, 2013). Inoltre, la volontà di introdurre pratiche agricole benefiche per l’ambiente su scala europea ha portato alla definizione di uno strumento orientato prevalentemente all’estensificazione dei terreni a seminativo e al mantenimento dei terreni a prato permanente, lasciando perlopiù invariata la gestione degli altri usi del suolo.
A partire dal 2015 a queste pratiche ecologiche corrisponderà il cosiddetto pagamento verde, al quale dovrà essere riservato il 30% del massimale nazionale annuale. L’entità di questo pagamento sarà quindi calcolata sulla base del pagamento unico a superficie, il cui modello di applicazione di fatto determinerà l’entità dei pagamenti verdi percepiti dagli agricoltori. Se la subordinazione dei pagamenti diretti al rispetto di determinate norme ambientali era già stata introdotta con la condizionalità (attraverso un sistema sanzionatorio in caso d’inadempienza), per la prima volta viene espressamente legata una quota di pagamenti diretti a pratiche agricole omogenee e standardizzate a livello comunitario. Questa quota, fissata arbitrariamente al 30%, non tiene di conto dei diversi costi di adeguamento che le aziende dovranno sostenere per l’introduzione delle nuove pratiche ecologiche, e soprattutto non considera la disomogeneità dei pagamenti diretti ricevuti dagli agricoltori. Infatti, a parità di requisiti ambientali e di condizioni strutturali delle aziende, gli agricoltori europei percepiranno somme molto differenti di pagamenti verdi, sia a causa della diversa entità degli aiuti diretti, sia per i diversi regimi di pagamento unico adottati nei vari paesi.
Se questi due fattori sono riconducibili alle scelte comunitarie, è opportuno evidenziare come le scelte applicative italiane, di fatto, hanno accentuato l’iniquità del greening. Infatti, i problemi evidenziati sopra sono stati ulteriormente aggravati a seguito della scelta nazionale di calcolare il pagamento verde come percentuale dei titoli percepiti da ogni agricoltore. A seguito di questa scelta in Italia non ci sarà così nessuna uniformità nell’entità del pagamento verde, in quanto la quota di pagamenti diretti vincolata alle pratiche ecologiche sarà diversa per ogni beneficiario, che riceverà un pagamento ecologico personalizzato, svincolato dai costi aggiuntivi collegati alle pratiche agricole che dovrà introdurre. Infine, a seguito del modello di (parziale) convergenza dei titoli al 2020, in Italia l’entità dei pagamenti verdi varierà non solo nello spazio ma anche nel tempo: il valore dei pagamenti verdi potrà aumentare o diminuire annualmente in base alla specifica situazione del beneficiario (Comegna, 2014).
Per quanto riguarda gli aspetti tecnici del greening, vale la pena ricordare che esistono alcuni margini di discrezionalità per gli Stati membri nell’applicazione nazionale dei diversi obblighi ambientali. Ad esempio esiste la possibilità, da parte di ogni Stato membro, di selezionare le misure equivalenti al greening (in base all’allegato IX del Reg. 1307/2013), nonché le varie tipologie di uso del suolo che possono soddisfare il requisito delle aree d’interesse ecologico (Allegato X). Le tipologie di aree d’interesse ecologico individuate dall’Italia riguardano, oltre ai terreni lasciati a riposo, le fasce tampone, le superfici con bosco ceduo a rotazione rapida e le superfici agroforestali, anche le colture azoto-fissatrici quali erba medica, trifoglio, soia e altre leguminose.
La possibilità di utilizzare le colture azoto-fissatrici come aree d’interesse ecologico - unitamente alla recente modifica del relativo fattore di ponderazione, passato da 0,3 a 0,7%2 - ha suscitato molte polemiche da parte del mondo ambientalista, che ha duramente criticato non solo la possibilità di introdurre queste colture in aree a finalità ecologica, ma soprattutto la possibilità concessa agli Stati membri di regolare autonomamente l’eventuale uso di agrofarmaci e fertilizzanti in queste superfici. È del tutto evidente come la possibilità di soddisfare il requisito delle aree d’interesse ecologico attraverso le colture azoto-fissatrici ridurrà ulteriormente l’efficacia ambientale di questa misura, potenzialmente la più incisiva nel favorire la valorizzazione paesaggistica e l’introduzione di corridoi di biodiversità laddove viene praticata un’agricoltura intensiva e fortemente specializzata.
L’agro-ambiente nel secondo pilastro
In Italia il valore complessivo dei fondi per lo sviluppo rurale (Feasr) per il nuovo periodo di programmazione sarà di 10,4 miliardi di euro, di cui circa 9,4 andranno ai programmi di sviluppo rurale regionali. Come specificato nel Regolamento 1305/2013, le Regioni dovrebbero dedicare almeno il 30% di queste risorse ad interventi di carattere agro-ambientale. Per qualificare questo tipo d’interventi, il nuovo regolamento mette a disposizione una serie articolata di misure che auspicabilmente potranno favorire un utilizzo più efficace delle risorse disponibili rispetto al passato. Allo stesso tempo la revisione e la riorganizzazione degli strumenti di intervento agro-ambientale, pensate per rendere più mirata ed efficace la loro azione, comporteranno inevitabilmente fabbisogni aggiuntivi in termini di innovazione e di governance a livello locale.
Tra i principali nodi che le autorità di gestione stanno affrontando nella definizione dei nuovi programmi di sviluppo rurale vi è il problema di demarcazione con il greening del primo pilastro, in modo da evitare il doppio finanziamento degli interventi. Infatti, nella nuova programmazione, la soglia di accesso ai pagamenti agro-ambientali non sarà esclusivamente quella della condizionalità ambientale, ma a questa “baseline” si aggiungeranno i requisiti minimi per l’utilizzo dei fertilizzanti e dei prodotti fitosanitari, eventuali requisiti obbligatori stabiliti da normative nazionali e soprattutto i nuovi requisiti del greening, che si prefigurano come una sorta di baseline aggiuntiva rispetto a quella individuata dalla normativa (Rete Rurale Nazionale, 2014). In particolare, le pratiche agricole del pagamento verde determineranno un restringimento delle condizioni di accesso ai pagamenti agro-climatico-ambientali che, dovendo essere più mirati e selettivi, più difficilmente riusciranno a coprire realmente i minori redditi e/o i maggiori costi sostenuti dagli agricoltori (Mantino, 2012). L’assenza di una doppia remunerazione degli interventi dovrà essere garantita, oltre che per i pagamenti agro-climatico-ambientali (art. 28), anche per l’agricoltura biologica (art. 29), per le indennità Natura 2000 e per le indennità connesse alla direttiva quadro sulle acque (art. 30).
L’interazione degli interventi agro-ambientali con il primo pilastro comprende anche la definizione delle cosiddette “pratiche equivalenti”, ovvero quelle pratiche analoghe al greening che, generando effetti ambientali simili, danno diritto ai beneficiari di ricevere automaticamente i pagamenti verdi. Il regolamento prevede che i pagamenti del secondo pilastro siano concessi solo per gli impegni che vanno oltre i requisiti del greening, mentre in caso d’impegni equivalenti si procederà ad una riduzione dei pagamenti agro-climatico-ambientali3.
La necessità di predisporre interventi in campo ambientale maggiormente innovativi e ambiziosi non deriva però esclusivamente dall’introduzione delle pratiche ecologiche nel primo pilastro, ma piuttosto da una struttura della nuova politica di sviluppo rurale in cui la gestione sostenibile delle risorse naturali e la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici sono considerati obiettivi prioritari4. La nuova struttura dei Psr, articolata in priorità e focus area, dovrebbe favorire l’individuazione di opportuni target ambientali, misurabili e verificabili, ma soprattutto dovrebbe incentivare l’implementazione delle misure più adeguate ed efficaci nel raggiungimento di tali obiettivi. A questo proposito nel regolamento viene molto enfatizzata la necessità di prefigurare azioni collettive che possano, da un lato, favorire una maggiore partecipazione dei beneficiari nella definizione degli interventi e, dall’altro, assicurare effetti ambientali su scala territoriale (Chiodo e Vanni, 2014). Al fine di incentivare questo tipo di approccio si prevede una copertura maggiore per i costi di transazione, che potrà raggiungere fino il 30% del premio pagato per gli impegni agro-climatico-ambientali se tali impegni sono assunti da associazioni di agricoltori o da associazioni miste di agricoltori e altri gestori del territorio.
Un’altra importante innovazione è quella introdotta dall’articolo 35 del regolamento dello sviluppo rurale, che mira a sostenere una gamma molto più ampia di forme di cooperazione e di beneficiari, inclusa la promozione di approcci comuni alle pratiche ambientali. Questo tipo d’intervento dovrebbe stimolare la nascita di progetti pilota finalizzati a superare il tradizionale approccio alle misure agro-ambientali, spesso scarsamente efficaci perché non riescono ad assicurare un’adeguata copertura territoriale. Il sostegno a progetti territoriali di carattere ambientale potrebbe favorire un maggior coinvolgimento dei beneficiari (anche attraverso un maggior incentivo economico) e soprattutto assicurerebbe benefici ambientali e climatici più incisivi e coerenti di quelli ottenibili attraverso azioni individuali. Tra le proposte dei nuovi Piani di sviluppo rurale italiani, che dovranno essere negoziate e validate dai servizi della Commissione europea nei prossimi mesi, si segnala come alcune Regioni abbiano cercato di promuovere in maniera più incisiva questo tipo di approccio, supportato con strumenti quali gli accordi territoriali agro-ambientali (es. Regione Marche) e i progetti integrati d’area agro-ambientali (es. Regione Veneto).
La validità e l’efficacia di queste nuove tipologie d’intervento saranno pertanto verificabili solamente nella fase applicativa della riforma, auspicando che la nuova impostazione delle misure sia stata utile a sollecitare il disegno di azioni più incisive ed efficaci nel perseguimento degli obiettivi ambientali sempre più ambiziosi che si pone la politica di sviluppo rurale.
Considerazioni conclusive
L’inverdimento dei pagamenti diretti rappresenta la principale strategia agro-ambientale della nuova Pac, nonché lo strumento attraverso il quale l’agricoltura dovrebbe fornire beni pubblici ambientali su scala comunitaria. L’introduzione del greening è stata dettata principalmente dai seguenti fattori, strettamente collegati tra loro: (i) la necessità di legittimare l’elevata spesa agricola nel bilancio comunitario ancorando la strategia ambientale al primo pilastro, ovvero laddove sono concentrate le risorse finanziarie; (ii) la volontà di adottare misure standardizzate e obbligatorie per favorire la produzione di beni pubblici su scala europea. Questa scelta, di per sé discutibile, potrebbe comunque produrre effetti positivi se adeguatamente adottata e interpretata a livello nazionale.
Un’interessante modalità di applicazione del greening, ad esempio, è quella che sarà adottata dall’Olanda, dove si è stabilito che almeno il 30% delle aree d’interesse ecologico sia gestito dalle cooperative che ricevono uno specifico sostegno agro-ambientale nell’ambito del secondo pilastro (Maler, 2014). Questa scelta appare significativa non solo per rafforzare le sinergie tra le misure d’inverdimento dei pagamenti diretti e gli interventi del secondo pilastro, ma anche per valorizzare il ruolo ambientale delle aree d’interesse ecologico, facilitandone il mantenimento e la corretta gestione a livello territoriale.
In Italia, nella sua attuale forma, l’inverdimento dei pagamenti diretti non sembra invece destinato ad incidere in maniera significativa sulla gestione del territorio e probabilmente avrà effetti ambientali modesti, a fronte di un carico amministrativo e gestionale ancora tutto da verificare. Inoltre, la scelta nazionale di calcolare il pagamento verde su base individuale acuisce gli elementi critici di questo strumento, ovvero la sua scarsa flessibilità e il mancato collegamento tra i costi sostenuti dagli agricoltori ed il pagamento percepito.
Nonostante gli evidenti limiti del greening, il percorso però sembra ormai segnato: la Pac sarà sempre più orientata a mettere in campo un sistema d’interventi, auspicabilmente più efficaci e selettivi di quelli attuali, a sostegno della produzione di beni e servizi “non di mercato”. L’inverdimento dei pagamenti diretti rappresenta solo il primo passaggio di un percorso che probabilmente porterà, seppure nel medio-lungo periodo, a un condizionamento molto più incisivo del sostegno pubblico al settore primario alla fornitura di beni pubblici che gli agricoltori dovranno assicurare ai cittadini e ai contribuenti europei.
Nel frattempo, per far sì che la nuova Pac sia effettivamente più verde, emerge una forte necessità d’innovazione nell’ambito degli interventi del secondo pilastro, che dovranno essere sempre più finalizzati al raggiungimento di obiettivi ambientali ai quali inevitabilmente anche la nostra agricoltura dovrà fare fronte, tra cui una maggiore produzione di beni pubblici (es. conservazione della biodiversità e paesaggio), un uso più efficiente delle risorse naturali (es. gestione sostenibile del suolo e delle risorse idriche), e non ultimo l’attenuazione dei cambiamenti climatici e l’adattamento ad essi. La velocità e l’efficacia di questo percorso non saranno determinate esclusivamente dalle future revisioni dei regolamenti comunitari e delle scelte nazionali, ma soprattutto dalla loro attuazione su scala locale, ed in particolare dalla capacità, da parte delle autorità di gestione, di mettere in campo azioni innovative e lungimiranti che sappiano cogliere in anticipo la portata di questo cambiamento.
Riferimenti bibliografici
-
Anania G. et al. (2009), Una Politica agricola comune per la produzione di beni pubblici europei, Agriregionieuropa, n. 19
-
Chiodo E., Vanni F. (2014), La gestione collettiva delle misure agro-ambientali: oltre le esperienze pilota?’, Agriregionieuropa, n. 36
-
Comegna E. (2014), Greening, il lato “verde” della Pac, in La visione verde della nuova Pac 2014-2020, Le guide dell’Informatore Agrario
-
Frascarelli A., Sotte F. (2010), Per una politica dei sistemi agricoli e alimentari dell'UE, Agriregionieuropa, n. 21
-
Hart K., Baldock D., Weingarten P., Povellato A., Pirzio-Biroli C., Osterburg B., Vanni F., Boyes A. (2011), What tools for the European agriculture to encourage the provision of public goods?, Study for the European Parliament's Committee on Agriculture and Rural Development
-
Maler T. (2014), ‘Greening’, other member state CAP reform choices revealed, AgraEurope, 22 August
-
Mantino F. (2012), Alla ricerca dell’integrazione perduta tra aiuti Pac, sviluppo rurale e politiche di coesione nella riforma 2014-2020, Agriregionieuropa, n. 29
-
Mipaaf (2014), Greening e pratiche equivalenti, un’analisi sulle possibili ripercussioni del pagamento verde in Italia, documento di lavoro del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali di lavoro, febbraio 2014 [link]
-
Pe’er G. et al. (2014), EU agricultural reform fails on biodiversity, Science, Vol. 344, Issue 6188, pp. 1090-1092
-
Rete Rurale Nazionale (2014), Orientamenti preliminari per la definizione della baseline delle misure agroambientali e climatiche Periodo di programmazione 2014-2020, Documento prodotto nell’ambito della Rete Rurale Nazionale, Gruppo di lavoro Ambiente e condizionalità – Disr 3 Mipaaf
-
Vanni, F. e Cardillo, C. (2013). The effects of Cap greening on Italian agriculture, Pagri/Iap Politica Agricola Internazionale, n. 3/2013, pp. 7-21
- 1. Le aziende le cui superfici aziendali ricadono nelle aree designate ai sensi della direttiva Natura 2000 e della Direttiva acque sono tenute al rispetto del greening solo nella misura in cui i relativi obblighi siano compatibili con gli obiettivi delle direttive stesse. Sono esonerate invece completamente da questi obblighi le aziende o le porzioni aziendali che sono condotte secondo il metodo di produzione biologico ed i beneficiari del regime dei piccoli agricoltori (titolo V del regolamento UE n. 1307/2013).
- 2. Negli atti delegati del regolamento (UE) n. 1307/2013 sono riportati i fattori di conversione e di ponderazione per i diversi tipi di aree d’interesse ecologico. Per le colture azoto-fissatrici inizialmente il fattore di ponderazione era stato fissato a 0,3: ovvero ad 1 ha di colture azoto-fissatrici corrispondevano 0,3 ha di aree d’interesse ecologico. Con una modifica degli atti delegati tale fattore è stato innalzato a 0,7 (ad 1 ha di colture azoto-fissatrici corrispondono 0,7 ha di aree d’interesse ecologico). Con questa modifica per introdurre 1 ettaro di aree d’interesse ecologico sarà sufficiente coltivare circa 1,4 ha di colture azoto-fissatrici come soia, erba medica e trifoglio.
- 3. Tale riduzione viene calcolata con modalità differenti se gli impegni volontari sono di natura simile o di natura diversa rispetto alle pratiche del greening. Nel primo caso (ad esempio diversificazione con 4 colture), il calcolo del pagamento riguarda solo le perdite di reddito e i costi aggiuntivi derivanti dall’applicazione degli impegni che vanno al di là delle pratiche del greening (es. differenza di costi per l’introduzione di 4 colture rispetto a 3 colture). Nel secondo caso, ovvero quando non è possibile fare un confronto diretto tra gli impegni, si effettua una riduzione forfettaria dei pagamenti del secondo pilastro pari ad un terzo del pagamento medio del greening.
- 4. Nel nuovo regolamento innovazione, ambiente e mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici sono definiti obiettivi “trasversali”. In ogni modo, tra le sei priorità dell’Unione europea in materia di sviluppo rurale, quelle a carattere strettamente ambientale sono la priorità 4 ‘Preservare, ripristinare e valorizzare gli ecosistemi connessi all'agricoltura e alla silvicoltura’ e la Priorità 5 ‘Incentivare l'uso efficiente delle risorse e il passaggio a un'economia a basse emissioni di carbonio e resiliente al clima nel settore agroalimentare e forestale’.