Istituto Nazionale di Economia Agraria |
Il tema dell'assetto fondiario e della gestione delle terre agricole ha assunto negli ultimi anni una rilevanza a livello mondiale che da tempo non si ricordava. L'evoluzione tumultuosa delle economie meno progredite e le prospettive di ulteriori incrementi demografici hanno segnato in modo particolare gli scambi commerciali e la domanda di prodotti agricoli con conseguenze in parte inattese anche per il fattore terra. In un certo senso è quasi naturale che la terra - il principale fattore produttivo in ambito agricolo - sia diventata oggetto di interesse da parte di investitori privati e istituzioni pubbliche animati da diverse finalità: dalla preoccupazione per la sicurezza alimentare alla ricerca di nuove occasioni di investimento. Accaparramento delle terre (land grabbing) e nuove opportunità di investimento (land deal), sfruttamento delle terre per la produzione di biocarburanti e gestione sostenibile delle pratiche agricole sono termini ricorrenti nel dibattito internazionale, dove visioni diverse si confrontano su quale sia il futuro più auspicabile per l'uso delle terre agricole (De Castro et al. in questo numero).
In Italia non esiste una corsa alla terra nei termini del land grabbing, così come sta accadendo in vaste aree del sud del mondo. Eppure la pressione sulla terra si mantiene costante al di là dei cicli economici. Dopo alcuni anni di crisi economica la domanda di terra non sembra essere crollata come è successo per le costruzioni; e così anche il suo prezzo è rimasto pressoché stabile. Malgrado una attività di compravendita sempre piuttosto scarsa, la terra rimane un bene rifugio di sicuro interesse per gli investitori (e tra loro primeggiano gli agricoltori). I prezzi della terra piuttosto elevati (in molti casi largamente superiori ai 50.000 euro per ettaro) soprattutto per i terreni dotati di buona fertilità e adeguate infrastrutture rendono sempre più difficile l'accesso alla terra per i giovani e per gli imprenditori più dinamici.
Pur nella costanza, la pressione che si registra sulla terra in Italia non cessa di rinnovarsi; sorgono nuove attenzioni, richieste, bramosie che però mantengono forti ambivalenze: da un lato si punta alla conservazione del bene, si pensi a tutto il movimento sul blocco del consumo di suolo (Frascarelli in questo numero), dall’altro si mira ad uno sfruttamento esasperato, tali sono ad esempio le colture dedicate alle agro energie (Cilio, Quagliarotti in questo numero). Le ambivalenze più forti si registrano nelle aree periurbane sulle quali insiste non solo una domanda di verde, di orti e di prodotti agricoli di qualità, ma anche di spazi per infrastrutture siano esse strade tangenziali o impianti per incenerire i rifiuti (Cattivelli in questo numero). Nei centri urbani come nelle aree marginali la pressione non esiste, anche se per ragioni diverse. Nei centri storici non vi sono progetti di abbattimento di edifici per lasciar spazio ad aree verdi, nelle aree remote la domanda è quasi zero perché in via di rapido spopolamento. Comunque, è interessante notare in entrambi i casi un certo movimento per la riqualificazione rispettivamente di aree industriali dismesse delle città o di borghi rurali sperduti. Infatti le uniche novità che si registrano nel panorama delle città italiane sono le riqualificazioni di ex siti industriali, convertiti a quartieri residenziali, centri culturali, poli sportivi. Molto più sommesso, anche perché i valori in gioco sono più modesti, è il movimento per la riqualificazione di borghi rurali semiabbandonati. In questo caso la destinazione d’uso era (la crisi evidentemente ha colpito anche questo fenomeno) quella di abitazioni per stranieri ricchi o convivenze ispirate a principi ecologici (eco-villaggi). Nel caso delle aree marginali non è da trascurare la rivitalizzazione di piccole borgate da parte di stranieri poveri (Osti e Ventura, 2012).
Le ambivalenze si mantengono se ci spostiamo dall’aspetto funzionale – cosa viene chiesto alla terra di fornire – agli assetti proprietari e gestionali. Da un lato vi è un lento, lentissimo processo di ampliamento della maglia poderale (Povellato, 2012). In tutti questi anni le imprese agricole attive sono calate di numero e parallelamente sono riuscite ad ampliarsi. Il processo è stato rallentato da fattori interni ed esterni all’agricoltura. Quelli interni riguardano forme modulate di part-time agricolo, con occupati in settori extragricoli che hanno mantenuto la capacità di coltivare in proprio un appezzamento di terreno. La qual cosa si è avverata un po’ in tutti i segmenti del primario, forse con la sola eccezione dell’allevamento. I fattori esterni riguardano il processo di diffusione extraurbana della residenza. L’urbanizzazione è arrivata ad anelli assai lontani dai centri urbani. Borghi rurali periurbani sono diventati area residenziale privilegiata. Il podere agricolo quasi sempre fornito di abitazione è stato riattato per popolazioni senza alcun legame con l’attività agricola. A causa di questi fenomeni la proprietà della terra si è mantenuta frammentata.
La volontà di tenersi il pezzo di terra con annessa, quasi sempre un’abitazione, anch’essa spezzettata a causa dei paesaggi ereditari ha favorito la formazione di un esercito di piccoli proprietari terrieri, quasi sei milioni secondo le statistiche fiscali (Cristofaro, 2011). Ma se gli agricoltori professionali non sono più di mezzo milione (Arzeni e Sotte, 2013), tutti questi terreni come vengono condotti? Molti sono appezzamenti di bosco semiabbandonato in zone montane e collinari; vi sono poi le coltivazioni per l’autoconsumo; si parla a questo proposito di qualche milione di italiani che possiedono e coltivano l’orto (Merlo, 2006). Gli orti urbani sono i più visibili, ma la stragrande maggioranza sono “orti rurali”. Chi ha appezzamenti più grandi ma non ha tempo e mezzi per coltivarli si affida a contoterzisti (Povellato et al. in questo numero). La loro diffusione è stata notevole in questi ultimi anni e possiamo dire che mantengano una singolare pressione sulla terra. Essi infatti sono anche spesso coltivatori diretti di propri appezzamenti e, data l’elevata dotazione di macchinari, sono alla continua ricerca di terreni per realizzare economie di scala. Quindi, le modalità di presa in carico del terreno altrui è assai varia: si va dalla fornitura di alcune basilari lavorazioni dei terreni, fino alla gestione completa, coperta o meno da un affitto. Ma la loro pressione sulla terra è anche qualitativa: fornendo un servizio altamente meccanizzato essi sono tentati di gestire solo i terreni adatti a tale scopo; su tali terreni cercano di spingere al massimo sulle rese; tendono poi ad eliminare tutti gli accidenti siano questi fossi, cespugli, carreggiate che limitino la lavorazione su scala industriale. In altre parole, la loro azione forma una corsa ad una terra quanto più omogenea possibile, tale da essere lavorata rapidamente secondo procedure altamente standardizzate (Antonazzo et al. in questo numero).
Il fenomeno del contoterzismo riproduce la struttura fondiaria, frammentata, tipica dell’Italia. Fenomeni di ricomposizione fondiaria sono rari e le politiche che cercano di incentivarla raramente risultano veramente efficaci (Ferrucci in questo numero). Al contrario, dato che la proprietà è assai difficile smuoverla (inerzia), si creano interessanti e incipienti forme di gestione associata di appezzamenti frammentati sia dal punto di vista proprietario che geografico. Vi sono attori che spingono in tal senso, anche in questo caso con varietà di forme. Vi è la cooperativa agricola che raccoglie un gran numero di piccoli appezzamenti, li gestisce in maniera unitaria e distribuisce ai soci proprietari un riconoscimento economico, una sorta di ristorno-affitto (Solustri e Sotte in questo numero). Troviamo poi tentativi di azionariato fondiario, gruppi di risparmiatori disposti a versare cifre consistenti per acquisire collettivamente terreni da affidare ad un fattore, oggi diremo manager, affinché lo coltivi secondo parametri stabiliti dall’assemblea dei soci. Nel caso dei Gruppi acquisto terreni, i Gat, in genere si spinge verso l’agricoltura biologica e multifunzionale (Moiso e Pagliarino in questo numero). Vi sono infine pressioni su terreni semiabbandonati e/o di proprietà demaniale che vengono reclamati da giovani in cerca di lavoro e di stili di vita alternativi. In questo caso la proprietà può rimanere in capo all’ente pubblico oppure essere acquisita da un organismo finanziario creato ad hoc e sostenuto da una vasta platea di sottoscrittori non direttamente coinvolti nella conduzione agricola (Zanetti, Lodatti in questo numero).
La corsa alla terra può diventare anche ricerca di finanziamenti che esaltano il ruolo multifunzionale della terra, utile oltre che per produrre, per divertire, educare, mantenere il paesaggio, smaltire sostanze inquinanti (Buscemi et al. in questo numero). Esempi in tal senso sono quelli della progettazione socio-economica dell'Unione Europea che promuovono progetti di una certa durata e spesso le attività che da questi sono scaturite durano il tempo del finanziamento esterno. E’ il caso ad esempio di qualche ardito esperimento di rinaturalizzazione di terreni soggetti a recente bonifica, non sempre destinati a diventare iniziative di successo (Natali in questo numero). Ciononostante, la gamma delle iniziative in cui si combinano aspetti agricoli produttivi ed extra sembra non arrestarsi. Lo testimoniano due ambiti nuovi di intervento come l’agricoltura sociale e le agro energie. In modi non sempre lineari e proficui entrambi richiedono terra a fini multipli.
Allora per sintetizzare la ricca casistica può essere utile uno schema nel quale da un lato poniamo le gestioni della terra che mantengono una forma spiccatamente individuale e proprietaria e dall’altro quelle che promuovono gestioni associate, siano o meno accompagnate da passaggi di proprietà a soggetti collettivi. Un secondo criterio di distinzione riguarda la destinazione dei terreni prevalentemente alla produzione efficiente di beni alimentari (sicurezza alimentare) oppure alla produzione combinata di beni di natura diversa come energia, cura dell’ambiente, assistenza sociale, commercio locale su base solidale. Come si può vedere da figura 1, la casistica appena citata viene collocata in uno o nell’altro quadrante, quasi ad individuare un modello.
Tabella 1 - Schema di inquadramento del fenomeno di corsa alla terra in Italia
Invece, i casi presenti nel numero speciale dedicato alla corsa alla terra rientrano in maniera meno idealtipica nello schema; alcuni cadono a cavallo dei quadranti, altri su più quadranti. Non è il caso di compiere in questa sede una preventiva collocazione della casistica. Si lascia al lettore la scoperta della fenomenologia dei singoli casi assai più ricca della schematizzazione qui proposta.
Riferimenti bibliografici
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Arzeni A., Sotte F. (2013) Imprese e non-imprese nell'agricoltura italiana. Una analisi sui dati del Censimento dell'agricoltura 2010, Working Paper n. 20, Gruppo 2013, Roma
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Cristofaro A. (2011), Le statistiche tributarie: una lente deformata ma necessaria per l’analisi del mondo agricolo, Agriregionieuropa, n. 26
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Merlo V. (2006), Voglia di campagna, Città Aperta, Troina
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Osti G. e Ventura F. a cura di (2012), Vivere da stranieri in aree fragili. L'immigrazione internazionale nei comuni rurali italiani, Liguori, Napoli
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Povellato A. (2012), La questione fondiaria oggi. Dalla piccola proprietà contadina all’aggregazione tra imprese, in Istituto Alcide Cervi "Riforma fondiaria e paesaggio. A sessant’anni dalle Leggi di Riforma: dibattito politico-sociale e linee di sviluppo" Rubettino Editore, Soveria Mannelli