Le tre tendenze dello sviluppo agricolo
All’inizio del nuovo millennio lo sviluppo agricolo sembra dirigersi verso scenari alternativi. Tre traiettorie si distinguono nettamente. Ciascuna di esse si basa su un uso diverso delle risorse (risorse umane, economiche, sociali e naturali), sulla centralità di attori diversi e su diversi sistemi di governance.
Un primo modello sembra andare verso una nuova agricoltura di massa basata sull’applicazione industriale delle innovazioni tecnologiche. L’attore principale è l’industria biotecnologia che cerca di regolare e governare il sistema internazionale di produzione degli alimenti tramite il controllo proprietario della scienza e della tecnologia. Il rafforzamento dei regimi di proprietà intellettuale è il cambiamento istituzionale più importante in questa strategia. I tratti agronomici sono science-designed; le sementi transgeniche sono vendute con contratti dettagliati che stabiliscono quali prodotti industriali l’agricoltore può usare (ad esempio, quale specifico erbicida) e cosa può e non può fare (ripiantare sementi dal suo raccolto). Alle domande dei consumatori l’offerta risponde in modo puntuale, elaborando, con l’aiuto della scienza, tratti funzionali incorporati nell’alimento industriale personalizzato.
Un secondo modello sembra dirigersi verso mercati differenziati, governati tramite gli standard di qualità. In questo caso gli attori principali sono le imprese multinazionali della distribuzione (specialmente quella europea), che regolano la catena globale del valore tramite l’imposizione di standard caratterizzati da requisiti ambientali, igienici o sociali (ne sono esempi EUREPGAP, BRC, IFS). Si tratta di un modello che nel suo insieme tende a legittimare in modo esclusivo l’immagine della grande distribuzione organizzata ed i suoi marchi nei confronti dei consumatori a più alto reddito, con una nuova attenzione alla salute ed all’ambiente. Questi standard, che non sono comunicati direttamente ai consumatori attraverso forme di garanzia e certificazione espresse sui prodotti, sono finalizzati a rafforzare l’affidabilità del sistema distributivo nel suo complesso sui temi di maggiore interesse per i consumatori (sicurezza e legalità dei prodotti). Gli standard privati degli oligopoli della distribuzione diventano in tal modo lo strumento principale di controllo dei produttori agricoli su scala globale.
Negli interstizi di questi due modelli, che si contendono i mercati e lo spazio della regolazione, uno scenario alternativo si sta affermando, basato su sistemi di produzione locali degli alimenti, che valorizzano le diversità territoriali e culturali, le cosiddette catene alimentari “corte” e uno sviluppo agricolo attento alla sostenibilità ambientale, economica e sociale. Gli attori principali del cambiamento in questo caso appartengono alla società civile: le associazioni per l’agricoltura biologica e degli agricoltori (che si riconoscono nell’IFOAM, Via Campesina, Slow Food, ecc.), il movimento per il commercio equo e solidale, i gruppi autorganizzati di consumatori (come ad esempio i Gruppi di Acquisto Solidale), le cosiddette “filiere corte”, i movimenti per l’organizzazione di mercati agricoli locali diffusi sin dagli anni ’90 in Irlanda o le iniziative per la “ri-localizzazione” della produzione alimentare diffuse in molti paesi del Nord Europa e del Nord America. In Europa questo scenario ha guadagnato forza in seguito al cambiamento di rotta della Politica Agricola Comunitaria (PAC), ma già in passato le politiche per la valorizzazione della qualità e dei prodotti tradizionali (agricoltura biologica, indicazioni geografiche e denominazioni di origine) e le politiche territoriali di sviluppo rurale ne hanno rafforzato le potenzialità di diffusione.
I paesi mediterranei sono stati i più pronti a cogliere le opportunità offerte da questo modello. Molti attori del comparto agroalimentare italiano (le associazioni di categoria e le istituzioni pubbliche) sono convinti che su questo terreno l’Italia potrà giocare con maggiori probabilità di successo le carte della sua competitività. Proviamo quindi a vedere quali ne sono le caratteristiche, le potenzialità e i limiti principali.
I sistemi locali di produzione degli alimenti
Il territorio
Il punto focale da cui partire per l’analisi dei sistemi locali di produzione alimentare è il legame con il territorio. La produzione degli alimenti (del prodotto agricolo e trasformato) è contestualizzata nel tessuto economico, sociale, culturale, ambientale di uno specifico territorio. Per dirla in inglese, è una produzione in cui place matters. Il luogo conta sia come supporto fisico della produzione, a cui cede le proprietà delle sue caratteristiche fisiche e chimiche, sia come prossimità geografica nella quale si è costruita nel corso del tempo una cultura produttiva comune, che si incarna in regole e tecniche di coltivazione, in varietà autoctone, frutto dell’ “interazione di fattori naturali e umani”. Ancora, il luogo conta come cultura di consumo, nella quale l’alimento specifico ha un significato preciso legato ad eventi sociali, ricorrenze e feste religiose. La produzione e il consumo dell'alimento sono parte di un insieme di relazioni, spesso informali, che costituiscono il tessuto della vita sociale comunitaria.
Inoltre il territorio è importante dal punto di vista del sistema cognitivo. Il territorio "non è (solo) una risorsa in più di cui tener conto, ma un modo diverso di guardare al processo economico. Un modo che considera l'apporto della società locale e delle istituzioni locali alla produzione di valore economico e di vantaggi competitivi" (Rullani, 2003: 96). Per le piccole imprese, il territorio offre gli strumenti per ridurre la complessità del processo produttivo, abbassando le barriere all'ingresso nell'attività economica. Dal punto di vista delle conoscenze, è il luogo dove queste conoscenze si accumulano e sedimentano, ma anche si riproducono, si rinnovano, si creano, si condividono e si scambiano. Non è tuttavia solo luogo di conservazione di tecniche, ma anche luogo di innovazione, in quanto è un sistema "che trasforma e moltiplica la conoscenza sedimentata da fattori storici, ma continuamente riprodotta e amplificata dalle innovazioni dei soggetti che li abitano" (Rullani 2003: 111).
Come meccanismo di coordinamento delle attività il territorio favorisce i legami orizzontali e verticali tra i produttori e gli operatori economici. Nel territorio inoltre l’agricoltura può essere integrata alle altre attività per la valorizzazione delle risorse locali in una strategia complessiva di sviluppo rurale.
La qualità
Rispetto alla grande produzione industriale, il sistema di produzione locale degli alimenti è caratterizzato anche da una particolare accezione di qualità.
Qualità è un termine multidimensionale e quindi necessariamente ambiguo. In generale, "le qualità" (Callon et al. 2002) sono tutte le caratteristiche che contribuiscono a qualificare un prodotto, ossia a renderlo unico (trasformandolo in un "bene").
L'economia della domanda distingue tra le qualità soggettive (qualità percepite dal consumatore) e le qualità oggettive o "caratteristiche" del bene. Per la sociologia delle reti, invece, tutte le qualità di un prodotto (quelle materiali e quelle immateriali, relative alla presentazione) sono caratteristiche relazionali, derivano cioè da un processo di qualificazione - riqualificazione che coinvolge la rete di agenti umani e non-umani (per dirla con Latour) costruita da quel prodotto nel suo percorso, dalla progettazione/disegno fino al consumo. In questo senso la costruzione delle qualità implica un legame, un aggiustamento, una "co-costruzione" della domanda e dell'offerta e quindi del mercato del bene.
Nell'ambito dei sistemi locali di produzione di alimenti, si distinguono due principali categorie di "qualità". La prima è quella che sottolinea le caratteristiche specifiche del luogo di produzione (condizioni naturali, tradizioni culturali e gastronomiche…) o del processo di produzione (a carattere artigianale, legato ad aziende familiari e a tecniche agricole tradizionali), in quanto conferiscono al prodotto gusto e proprietà distintive (è questa la qualità che deriva dall’origine dei prodotti).
La seconda è quella legata a specifiche condizioni del processo produttivo o dello scambio (l'agricoltura biologica o la produzione integrata, l'insieme di prodotti vicini ad una condizione di "naturalità", come i prodotti selvatici, o i prodotti del commercio equo e solidale), in quanto conferiscono connotazioni di salubrità al prodotto e incorporano valori sociali, quali il rispetto dell’ambiente o l’esigenza di una giustizia distributiva fra gli attori nei mercati. Possiamo definirla, questa ultima, qualità derivante dal metodo di ottenimento o di scambio dei prodotti. Le due tipologie qui individuate non sono, peraltro, antitetiche, potendo essere contemporaneamente individuate sui medesimi prodotti (è il caso dei prodotti a doppia certificazione DOP o IGP e da agricoltura biologica).
La qualificazione del prodotto costruita attorno alle caratteristiche di un territorio (una "località") rimanda ai valori di appartenenza ad una tradizione, ad una storia, ad una cultura; mentre quella legata alle condizioni del processo produttivo biologico o dello scambio rimanda ai valori civici della difesa dell’ambiente come bene comune e della giustizia distributiva nel mercato. Esternalità positive della produzione locale degli alimenti derivano quindi dalle caratteristiche qualitative dei processi produttivi, dei beni prodotti e dello scambio, le quali consolidano i rapporti sociali e culturali ed esaltano i valori ambientali e di equità.
Le forme organizzative
Il diverso rapporto tra il produttore e il consumatore ci porta a differenziare i seguenti tipi di organizzazione nella produzione locale:
- sistemi di prossimità, basati sulla "produzione locale per consumatori locali";
- sistemi estesi spazialmente, basati sulla "produzione locale per consumatori distanti"1.
Nella logica dei sistemi di prossimità esiste un vincolo di luogo e di tempo (Boltanski e Thévenot, 1991), in quanto non ci sono i dispositivi per “l’azione a distanza”, che richiede un insieme di regole oggettive staccate dalle persone e dai meccanismi di rappresentazione. I beni scambiati non sono staccati dalle persone, ma ne sono una loro estensione; come il prodotto dell’artigiano, essi sono riconducibili all’abilità di chi li ha prodotti (un processo di mercificazione incompleta). Ne consegue una scarsa formalizzazione dei ruoli sociali, delle conoscenze, delle relazioni. Nello spazio della circolazione locale, le competenze tacite sono incorporate nelle persone e la fiducia resta strettamente ancorata ai rapporti personali. Non a caso una recente iniziativa di Civiltà contadina che promuove il sistema di prossimità, ha preso il nome “Il cibo locale ha una faccia”.
Questi sistemi locali si riscontrano più frequentemente nelle aree marginali, soggette nei decenni passati a tendenze demografiche negative. Nella misura in cui persiste la tendenza allo spopolamento e all’abbandono, essi rischiano l’estinzione. Se ciò avviene, andranno perse le varietà, le tecniche e le conoscenze locali ad essi associati.
Tuttavia, la recente dinamica dello sviluppo rurale può portare a nuove opportunità. La persistenza di rapporti sociali di tipo comunitario, di forme culturali specifiche e sempre più rare, la multifunzionalità dell’agricoltura e la diversificazione dell’economia delle aree rurali possono costituire un richiamo per un afflusso di nuovi residenti e di nuove forme turistiche, ma anche di ritorni, ed essere valorizzate nelle strategie di sviluppo promosse dalle nuove politiche di sviluppo rurale. La piccola scala dei contesti socio-economici in questione fa sì che basta poco perché un trend negativo s'inverta e si creino opportunità di reddito nuove per i residenti.
Anche lì dove queste “permanenze” non esistono, sin dagli anni ’90, si sono registrate delle iniziative promosse da associazioni della società civile o dalle istituzioni pubbliche locali per “ri-localizzare” il sistema di produzione-consumo di alimenti attraverso nuove forme di “filiere corte”: dalle vendite dirette in azienda, ai Gruppi di Acquisto Solidale, ai mercati locali (riservati ai produttori di un’area circoscritta).
Nel caso invece dei modelli di “produzione locale per consumatori distanti” diventa importante la certificazione del prodotto, come veicolo dell’informazione sul valore (locale) del prodotto e come meccanismo di appropriazione della rendita da esso derivante. Il Reg. 2081/92 sulle denominazioni di origine dei prodotti, il Reg. 2092/91 sull’agricoltura biologica, o gli altri schemi di certificazione volontaria (il commercio equo e solidale, i presidi di Slow Food, le certificazioni dei parchi) creano un "ordine di convenzioni" alternativo a quello industriale, in cui il valore sociale, culturale e ambientale della produzione agricola non possono essere sospesi né tanto meno soffocati dalle esigenze economiche. Nella misura in cui ciò risponde ad una domanda sociale, capace di trasformarsi in domanda economica del cittadino-consumatore, è un fattore di competitività sui mercati.
Il sistema di certificazione implica un cambiamento profondo nel sistema cognitivo dei processi produttivi locali. La tradizione è formalizzata, codificata e nuove dinamiche tra attori locali ed esperti sono attivati in questo processo. Il coordinamento della filiera rafforza i legami verticali tra gli operatori economici sociali e istituzionali, portando alla creazione o al rafforzamento delle istituzioni locali dello sviluppo rurale (associazioni professionali, cooperative, consorzi, enti locali), che mettono a punto i dispositivi istituzionali per la valorizzazione della qualità dei prodotti e delle aree rurali, in una logica collettiva d'appartenenza.
La competitività dell'agricoltura e dell’impresa agricola italiana
Molti operatori e studiosi concordano nel ritenere che è soprattutto il terzo modello (la produzione agricola legata al territorio) che esalterà la competitività dell’agricoltura italiana. L’agricoltura di qualità legata al territorio ha avuto già una grande affermazione e una grande diffusione nei decenni passati. La sua quota di mercato cresce ad un tasso più elevato della domanda degli alimenti convenzionali e si mantiene più stabile nei periodi di crisi.
Le organizzazioni professionali e i policy makers sono coscienti che il modello agricolo italiano di qualità va consolidato, esteso e difeso, per avere delle chance di competitività a livello globale. Nella stessa Unione Europea si parla di un “modello europeo” di agricoltura che valorizza la qualità dei prodotti e dei processi produttivi, la sostenibilità ambientale e la multifunzionalità dell’impresa. Nell’elaborazione delle nuove politiche agricole e soprattutto nel rafforzamento delle politiche di sviluppo rurale questo modello ha un ruolo fondamentale.
Per questo le politiche agricole europee nei prossimi anni saranno chiamate a meglio delineare le forme concrete dell’agricoltura legata l territorio, a partire dall’agricoltura biologica e dalle denominazioni di origine, riconoscendo loro l’importanza di veri e propri modelli di sviluppo, da cui dipende la sostenibilità dei sistemi territoriali di produzione e di consumo. Si vedano a tal proposito le proposte di revisione del reg. 2092/91 ed il reg. 510/062, che riforma il reg. 2081/92, e le possibili implicazioni che ne possono derivare a partire dalla prossima programmazione dei PSR (Piani di Sviluppo Rurale) per il periodo 2007-2013.
Nel contesto di una riflessione sull’impresa agraria, sorgono alcune domande. C’è uno specifico tipo di impresa rappresentativo di questo modello agricolo? Quale sarebbe il profilo dell’impresa competitiva per quest’agricoltura?
La risposta non è semplice. La stratificazione delle imprese agricole italiane (ma anche quella europea, come fa notare Sotte) è complicata e il dibattito sul dualismo dell'agricoltura italiana (negli anni '70) ci ha insegnato che non è saggio tagliare la realtà agricola con l'accetta. Nel lungo periodo, l'evoluzione del settore sembra dar ragione a Barberis, il quale ha sempre parlato di un continuum di realtà produttive e della centralità dell'impresa familiare in agricoltura. Si può parlare ancora di impresa familiare? Se la risposta è positiva, quali sono i suoi nuovi connotati? Com'è cambiata? E com’è cambiata quella che una volta si chiamava "azienda part-time" o “pluriattiva” e che probabilmente oggi svolge un ruolo centrale nello sviluppo territoriale delle aree rurali?
Se è forse vero che solo il 20% delle aziende censite può definirsi "impresa" (non dimentichiamo che su questo 20% si è sempre concentrato l'80% dei sussidi oltre che la maggior parte degli interventi di politica), oggi sappiamo che esistono altre forme di imprese, in agricoltura e negli altri settori. Ne sono esempi l'impresa non-profit in primo luogo, ma anche tutte le diverse forme di impresa dell’agricoltura sociale, ancora poco studiate nella loro logica di funzionamento. Interessanti ad esempio sono le prime realtà agricole che puntano ad affermare il profilo etico della propria organizzazione, interiorizzando requisiti di responsabilità sociale. Sono tutte nuove forme di impresa che si caratterizzano non solo per impostazioni e caratteri organizzativi, ma anche e soprattutto per i legami diretti ed innovativi che tendono ad instaurare con il mondo “esterno” all’agricoltura, cioè con la società civile e con i consumatori.
Dagli anni '90 l'attenzione del dibattito scientifico si è spostata sul sistema agroalimentare prima e sul territorio dopo, distogliendo lo sguardo dagli attori che calcano la scena agricola, i quali nel frattempo sono completamente cambiati. E' tempo di tornare a studiare come i protagonisti dello sviluppo agricolo sono cambiati, senza dimenticare però quello che abbiamo imparato dalla storia più lontana e da quella recente.
Riferimenti bibliografici
- Boltanski L. e L. Thévenot (1991). De la Justification. Les économies de la grandeur, Gallimard.
- Callon, M., C. Méadel e V. Rabeharisoa (2002). The economy of qualities, Economy and Society vol. 31, 2, May 2002: 194-217.
- Renting, H., Marsden, T.K. and Banks, J. (2003), Understanding alternative food networks: exploring the role of short food supply chains in rural development, Environment and Planning A, 35, 393-411.
- Rullani, E. (2003). Complessità sociale e intelligenza localizzata, 85-130 in Gioacchino Garofoli (a cura di), Impresa e territorio, il Mulino, Bologna.
- 1. Una terza nuova forma si va affermando, quella dei sistemi "informatizzati", basati su un rapporto virtuale (a-spaziale), tra il produttore e consumatore, che qui non prenderemo in considerazione.
- 2. Questo regolamento estende la possibilità di registrazione dei prodotti di origine ai paesi terzi, conferendo quindi a questo modello di agricoltura una valenza globale.