La Pac dopo il 2013: una riforma (troppo) annunciata

La Pac dopo il 2013: una riforma (troppo) annunciata
a Università di Roma Tre, Dipartimento di Economia

Introduzione1

Dopo la Budget review lanciata dalla Commissione nel 2007 (Commissione europea, 2007), già dalla fine del 2009 e poi nel corso del 2010, il dibattito sul futuro della politica agricola comune (Pac) è stato alimentato dall’uscita di alcuni documenti di fonte Ue (Commissione, Parlamento, Comitato economico e sociale europeo) e da prese di posizione e studi di provenienza “accademica”. In questo quadro, un passaggio importante si è avuto con la conferenza sulla Pac dopo il 2013 promossa dal commissario all’agricoltura Dacian Cioloş e tenuta a Bruxelles il 19 e 20 luglio 2010. Siamo ancora all’inizio di un dibattito destinato a durare a lungo e che entrerà nel vivo tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011, dopo che la Commissione avrà presentato le sue riflessioni e proposte sulla Pac (previste per il 17 novembre) e quando anche il negoziato sulle prospettive finanziarie dopo il 2013 (su cui il 7 ottobre è previsto un primo documento della Commissione sulle opzioni possibili) dovrebbe essere avviato. In ogni caso, questa prima fase è stata importante perché in essa si sono delineati i riferimenti-chiave e l’agenda del futuro dibattito fissandone, per così dire, i relativi “paletti”. Provo nel seguito a sintetizzarli e a proporre qualche ragionamento a margine, anche in riferimento ai risultati della Conferenza luglio del 19-20 luglio 2010.
Gli attori rilevanti di cui vale la pena richiamare le posizioni sono i seguenti:

  • i principali Stati membri dell’Ue;
  • la Commissione europea (sia nel suo insieme che in riferimento al Commissario agricolo e alla Direzione generale agricoltura);
  • il Parlamento europeo (in particolare le Commissioni Agricoltura e Bilancio);
  • il COPA-Cogeca e le organizzazioni professionali;
  • la Comunità “scientifica” e accademica degli studiosi.

Le questioni più importanti sul tappeto possono sintetizzarsi nei seguenti punti:

  • l’ammontare di spesa per la Pac dopo il 2013 (ma anche) la sua (diversa) distribuzione tra Stati membri;
  • il futuro del Pagamento unico aziendale (Pua) e la modalità (e gradualità) della sua inevitabile e auspicabile trasformazione;
  • gli obiettivi, gli strumenti e i beneficiari della spesa agricola;
  • il mantenimento della struttura in pilastri della Pac e la questione del cofinanziamento.

Gli attori in gioco

Gli Stati membri, nella loro maggioranza, non hanno ancora assunto posizioni nette sulla Pac del futuro (di certo lo faranno più in là, in risposta alle proposte della Commissione), ma si possono sottolineare i seguenti due punti:

  • La Francia da tempo ha espresso una posizione decisa, per bocca dello stesso Sarkozy, manifestando la chiara volontà di assumere un ruolo guida nel dibattito sulla Pac; rispetto al tradizionale atteggiamento del passato di difesa dello status quo, l’attuale posizione francese è in favore di una politica agricola forte ma anche significativamente riformata. Tale posizione è stata sostenuta da 22 ministri agricoli dei paesi dell’Ue (compreso quello italiano), che il 10 dicembre del 2009 hanno firmato una dichiarazione in favore della Pac promossa dal ministro francese Bruno Le Maire, ma i rispettivi ministri delle finanze e i governi non si sono ancora esposti. Oltre a Svezia, Danimarca, Olanda, Regno Unito e Malta (i cui stessi ministri agricoli non firmarono la dichiarazione pro-Pac), molti paesi sembrano in attesa degli sviluppi della più generale partita sul bilancio dell’Ue.
  • La Germania è uscita un po’ più allo scoperto, sottoscrivendo il 14 settembre una presa di posizione congiunta con la Francia per una Pac forte e ambiziosa, da riformare senza stravolgere il suo attuale impianto2. Il documento è alquanto generico e comunque riflette la posizione dei ministri dell’agricoltura, tutta da verificare in sede di negoziato sul bilancio, ma è evidente la sua importanza nel quadro del dibattito sulla Pac.
  • I paesi dell’Europa centro-orientale, rafforzati dalla nomina di un Commissario all’agricoltura la cui origine rumena fa ipotizzare una particolare sensibilità ai loro interessi, sono favorevoli a difendere la Pac e a mantenere un’adeguata spesa per l’agricoltura, ma pongono il problema di un riequilibrio a loro favore sia del tipo di strumenti attivati sia, soprattutto, della relativa spesa.

Riguardo alla Commissione europea, va distinta la sua posizione complessiva - ed allo stato anche più generica - rappresentata dal Presidente Barroso, da quella più specifica del Commissario all’Agricoltura Cioloş e della Direzione Agricola della Commissione stessa: decisamente pro-Pac quella del Commissario agricolo e della sua Direzione, molto più distaccata ed ovviamente più attenta ad interessi extra-agricoli e a questioni più generali quella della Presidenza Barroso; e le differenze sembrano più accentuate rispetto a quanto, su questo fronte, ci si attende dal comprensibile gioco delle parti già visto in passato.
Barroso, certo molto attento al negoziato sulle prospettive finanziarie dopo il 2013, sembra interessato all’agricoltura soprattutto per il suo peso significativo sul bilancio Ue, e dunque come una componente da cui eventualmente attingere risorse per alimentare nuove politiche: non a caso nel suo “non paper” di fine 2009 (Commissione europea, 2009a) si parlava di un “terzo pilastro” dedicato a nuove sfide ambientali ed energetiche, da finanziare con risorse della Pac; né sorprende che nel documento ufficiale della Commissione “Europa 2020” (Commissione europea, 2010) l’enfasi sull’agricoltura e le politiche agricole sia a dir poco marginale. Cioloş, al contrario, ha esplicitamente dichiarato in più occasioni di lavorare per il mantenimento di una Pac forte dopo il 2013 e in un discussion paper sul futuro della Pac la DG Agricoltura (Commissione europea, 2009b) ha sostenuto l’idea di non smantellare il Pua, per conservare una forma di sostegno fisso al reddito degli agricoltori e metterli in condizione di continuare a produrre i “beni pubblici” legati all’attività agricola.
Il Parlamento europeo è stato fin qui molto attivo nel dibattito sulla Pac, anche grazie ad una serie di studi che aveva a suo tempo commissionato e che sono usciti tra la fine del 2009 e l’inizio del 2010 (Buckwell, 2009; Bureau e Witzke, 2010; Zahrnt, 2009). Come in passato, la posizione del Parlamento europeo (e in particolare quella della Commissione Agricoltura) è favorevole alla Pac. Rispetto al passato, tuttavia, forse anche grazie al maggior peso che questa istituzione è destinata ad avere con il nuovo meccanismo della co-decisione, il Parlamento europeo sembra meno arroccato su una posizione di difesa dell’esistente e più aperto ad un approccio (sia pur cautamente) riformatore3.
Nella relazione della Commissione agricoltura, elaborata da G. Lyon (2010) e poi adottata dal Parlamento europeo in seduta plenaria nel luglio scorso, si parla di una Pac “più equa e più verde”, in grado di perseguire obiettivi economici e sociali e di promuovere la produzione di beni pubblici legati all’agricoltura. In questo quadro, si propone il mantenimento dell’attuale ammontare di risorse, da ripartire secondo un impianto non troppo dissimile da quello attuale, anche se in larga misura ridisegnato nella sua articolazione: da un lato uno sviluppo rurale potenziato, specie sul fronte ambientale; dall’altro un (ex) primo pilastro “spacchettato” in diverse componenti: un Pua di ammontare ridotto rispetto a quello attuale e omogeneo su base territoriale, a fronte di una condizionalità “di base”; misure di mercato contro la volatilità dei prezzi; azioni selettive, tipo Art. 68, gestite su base nazionale; misure ad hoc (accoppiate e cofinanziate) per mantenere l’attività agricola nelle aree svantaggiate.
Il COPA-Cogeca ha espresso una posizione che è ovviamente in favore del mantenimento di una Pac forte e generosa, ma con un approccio più articolato e più aperto al cambiamento rispetto al passato, quando questa organizzazione si limitava alla pura difesa dello status quo. In particolare, il COPA-Cogeca invoca una Pac rivolta a garantire la sicurezza alimentare, ad assicurare che gli agricoltori siano in grado di trarre un reddito equo dal mercato e a remunerarli per i servizi e i beni pubblici che essi producono (COPA-Cogeca, 2010). Si può segnalare una particolare attenzione all’obiettivo di migliorare la competitività e rafforzare la posizione degli agricoltori nella filiera alimentare, anche se le misure che si citano appaiono alquanto generiche.
Riguardo alle organizzazioni professionali dei singoli paesi, più che posizioni articolate nel merito delle specifiche questioni, si registrano per ora “posizionamenti” di carattere generale. Una preoccupazione diffusa, enfatizzata soprattutto da parte francese, riguarda la necessità di colmare il vuoto lasciato dallo smantellamento delle vecchie misure di intervento sui mercati, tanto più sentito dopo le ampie oscillazioni dei prezzi agricoli degli ultimi anni.
La comunità scientifica ha prodotto numerosi studi sul futuro della Pac, alcuni direttamente promossi dalla Commissione o dal Parlamento, altri da think tanks di vario tipo, altri ancora del tutto indipendenti. Alcuni studi si cimentano nella definizione degli obiettivi desiderabili delle politiche agricole, distinguendo tra quelli da perseguire da parte dell’Unione europea e quelli che sarebbe invece opportuno lasciare ai livelli di governo più bassi; e indicano quali strumenti dovrebbero essere utilizzati per minimizzare le distorsioni e massimizzare l’efficienza dell’intervento pubblico. Come osservato in altra sede (De Filippis, Henke, 2010), la maggioranza degli studiosi concorda sull’idea che la Pac, anche in ragione della sua natura di politica sovranazionale, debba avere quale obiettivo la produzione di beni pubblici di livello europeo, da perseguire con incentivi volti a premiare i comportamenti dei beneficiari piuttosto che il loro status passato. Naturalmente, una volta accettato questo approccio, il dibattito si sposta sulla definizione di quali siano i beni pubblici di livello europeo: per gli economisti più “ortodossi” (AA.VV., 2009; Swinnen, 2009) si tratterebbe di un ventaglio relativamente limitato di obiettivi, molto generali ed alquanto periferici rispetto al tradizionale core business della Pac: lotta al cambiamento climatico, protezione della biodiversità, nonché alcuni aspetti della salvaguardia dell’ambiente e della gestione delle risorse idriche, quando non perseguibili in modo più efficiente a livello locale4.
Ribadendo anche qui quanto già sottolineato in altra sede, tali esercizi sono utili come benchmark teorici generali, rispetto ai quali valutare le opzioni concretamente possibili; il loro limite sta nel fatto che talvolta, nel proporli, alcuni economisti tendono a ripetere la loro lezione normativa dimenticando l’importanza della path dependency, ossia il fatto che “le politiche del futuro, anche quelle che derivano da riforme radicali, non si scrivono - per così dire - su una “pagina bianca” ma sono sempre frutto di una modifica delle politiche del passato; per cui il modo di essere e l’evoluzione di queste ultime sono determinanti per individuare le opzioni su cui è utile ragionare: se non quelle astrattamente ottimali, certamente quelle possibili” (De Filippis, Henke, 2010). Non tutti i lavori degli economisti sono soggetti a questa critica. Ad esempio, sono da segnalare gli studi di Bureau e Mahé (2008 e 2009) che riescano a coniugare in modo equilibrato rigore, realismo e flessibilità: in particolare, il rapporto redatto da Bureau e Witzke (2010) per la Commissione Agricoltura del Parlamento europeo propone un impianto di riforma molto convincente, con un’ipotesi ragionevole di spacchettamento e diversificazione del Pua, adattabile ai vincoli o alle opportunità presenti sul mercato politico in modo che la sua carica riformatrice risulti più o meno accentuata.

Le questioni e gli scenari

La spesa per la Pac dopo il 2013 è destinata ad essere la questione più calda. Anche se molti affermano che prima vanno definiti obiettivi e strumenti della nuova Pac e poi la spesa necessaria, è evidente che le due cose andranno di pari passo, giacché il tipo di riforma possibile è legato all’ammontare di risorse su cui si potrà contare. Le indicazioni concordano nell’attendersi un minor peso della Pac sul bilancio Ue, ma spaziano in un range molto ampio, da una lieve limatura per alcuni ad una riduzione drastica per altri: in termini assoluti, si va dalla sostanziale riconferma dell’attuale spesa Pac al suo dimezzamento o anche oltre, come proposto da Zahrnt (2009) o nello scenario estremo di liberalizzazione analizzato in uno studio promosso dalla Commissione (ECNC, LEI e ZALF, 2009).
Gli obiettivi, gli strumenti e i beneficiari della futura Pac sono diversi a seconda dei casi. Nella versione più “rigorosa”, come si è detto, accanto ad una serie di standard e di regole comuni per la salvaguardia della concorrenza, l’unico obiettivo della Pac dovrebbe essere la produzione di beni pubblici di livello europeo, che né il mercato da solo né le politiche a livello locale sono in grado di assicurare e che per lo più riguardano servizi ambientali, paesaggistici e territoriali di natura transfrontaliera. In questo quadro, oltre agli agricoltori, i beneficiari della politica agricola possono essere anche tutti i soggetti in grado di contribuire alla produzione dei suddetti beni pubblici nelle aree rurali. Diversamente, chi pensa che la Pac debba anche e soprattutto mantenere e valorizzare l’agricoltura europea come settore capace di produrre cibo sano e di qualità, considera gli agricoltori i principali beneficiari della Pac. In Italia, che più di altri paesi sconta un problema di estrema polverizzazione aziendale, si è esplicitamente suggerita, anche da fonti ministeriali, l’opportunità di rivedere l’applicazione dell’art. 28 del regolamento orizzontale, per restringere la platea dei beneficiari alle “vere” imprese agricole, ovviamente da definire con parametri obiettivi.
Il futuro del Pua è la questione più concreta e ineludibile in cui ci si imbatte quando si pensa alla Pac da disegnare per il dopo 2013. Tutti, infatti, concordano sull’insostenibilità a lungo termine della forma attuale del Pua, specie laddove (come in Italia) esso è ancora calcolato su base storica e dà luogo ad ingiustificabili differenze di trattamento tra agricoltori, anche quando si tratta di soggetti del tutto simili, sia nello status che nei comportamenti. Come si è accennato, l’idea che si profila, in varianti più o meno radicali ed in tempi di applicazione più o meno rapidi, è quella di un suo “spacchettamento”: da un lato, una parte del Pua sarebbe da trasformare in un pagamento omogeneo su base territoriale (in teoria, si può andare da aree sub-regionali all’intera Comunità) da erogare a tutti gli agricoltori (e qui si ripropone la questione della platea dei beneficiari): una sorta di “zoccolo duro” di sostegno fisso e generalizzato al reddito, dato in cambio di una condizionalità “di base”, obbligatoria per tutti. Dall’altro, ci sarebbe un sistema di pagamenti selettivi, per chi si impegna a “fare di più” sul fronte della produzione di beni pubblici o come compensazione per chi opera in zone svantaggiate, da erogare in forme più o meno flessibili su base nazionale o locale. In linea di massima, la componente comune del Pua potrebbe rimanere tutta a carico del bilancio Ue, mentre i pagamenti selettivi, modulati a livello nazionale o locale, andrebbero cofinanziati, sul modello di quanto accade con le attuali misure del secondo pilastro. Ovviamente, all’interno di un impianto di questo tipo, si può pervenire ad approdi molto diversi in termini di cambiamento rispetto allo status quo: da qualcosa di molto vicino ad una Pac attuale condita con maggiori dosi di regionalizzazione e di misure tipo Art. 68, ad una revisione anche molto profonda dell’impianto della politica e dei parametri con cui modularla5. Inoltre, in tutti i casi, la tempistica e la modalità del phasing out del vecchio sistema e del phasing in del nuovo sono questioni tutt’altro che marginali che certamente saranno oggetto di negoziato.

Pilastri e cofinanziamento

L’attuale distinzione della Pac in due pilastri ha perso parte del suo significato, con una serie sempre più nutrita di misure che sono collocate nell’uno o nell’altro pilastro non per la natura degli obiettivi che perseguono ma per motivi contingenti o per opportunità politica (De Filippis, Henke, 2010). L’unica reale diversità è il regime di finanziamento: tutto dal bilancio Ue per il primo pilastro; cofinanziamento nazionale per il secondo. Si tratta di una differenza di non poco conto, giacché l’idea di estendere il principio del cofinanziamento anche al primo pilastro della Pac è presente in modo esplicito nel dibattito. Al riguardo, anche se di difficile attuazione e gestione, la posizione più rigorosa sarebbe quella di eliminare la distinzione in pilastri e definire se e quanto co-finanziare le diverse misure o pacchetti di misure, a seconda dell’obiettivo che perseguono e delle procedure di programmazione e di spesa che prevedono.
In ogni caso, il cofinanziamento della Pac (sul modello di quanto oggi avviene per il secondo pilastro), o la semplice possibilità per gli Stati membri di aggiungere risorse nazionali a quelle comunitarie (come oggi avviene per il Pua erogato dai nuovi Stati membri) sarà un punto caldo del negoziato sul bilancio. Ed è ovvio che l’unica forma di cofinanziamento accettabile (per molti versi auspicabile) è quella obbligatoria, eventualmente con percentuali differenziate a seconda delle misure e dei paesi interessati.

La tempistica della riforma

Poiché la Pac del dopo 2013 sarà il frutto di un’evoluzione più o meno graduale della Pac che c’è ora, è ovvio che la tempistica dell’entrata a regime della sua riforma sarà un punto cruciale. Ad esempio, una cosa è pensare ad uno spacchettamento dell’attuale Pua ed alla sua sostituzione con un pagamento omogeneo nel giro di un paio d’anni, entro il 2015; altro è immaginarsi una nuova Pac che (come avvenne con la riforma Fischler) annuncia un percorso di graduale transizione - a partenza ritardata o ad “andamento lento” - che finisce con l’entrare a pieno regime solo verso la fine del periodo delle nuove prospettive finanziarie. Senza contare che, per mettere in fase la durata dei mandati della Commissione con quella dei periodi di programmazione, vi potrebbe essere uno slittamento delle attuali prospettive finanziarie fino al 2015, per cui il prossimo periodo di programmazione finanziaria (dunque successivo a quello attuale, per ora in scadenza nel 2013) potrebbe arrivare fino al 2020.
Sintetizzando, mi pare che gli scenari possibili dipendano dalle seguenti variabili, fortemente interrelate, e dalle loro tante combinazioni, che possono dar luogo a risultati molto diversi e diversamente appetibili per i vari attori in gioco:

  • l’esito del più generale dibattito sul bilancio Ue, sia in termini di riforma del sistema delle risorse proprie e delle entrate sia, soprattutto, in termini di ammontare di spesa complessiva da destinare alle politiche comuni nell’Ue-27;
  • l’ammontare di spesa per la Pac e l’estensione o meno del principio del cofinanziamento al primo pilastro o a sue componenti;
  • la distribuzione della spesa agricola tra Stati membri, oggi fortemente squilibrata a danno dei 10 nuovi entrati, che pongono con forza una richiesta di riequilibrio;
  • il mantenimento dell’attuale struttura dicotomica della Pac in due pilastri con procedure di spesa rigidamente differenziate e la (ri)collocazione delle diverse misure nell’uno o nell’altro pilastro; oppure la possibilità di definire pacchetti di misure differenziati per obiettivi e per le diverse procedure di (co)finanziamento, a prescindere dai pilastri;
  • il destino del Pua, sia come ammontare di risorse che rimarranno al suo interno che della modalità con cui esso sarà eventualmente “spacchettato”;
  • l’eventuale revisione e razionalizzazione della platea dei beneficiari della Pac, sia in termini di Pua che di interventi dell’attuale secondo pilastro;
  • Il margine di flessibilità dato agli Stati membri nella gestione a livello nazionale di envelope di misure sul modello dell’Art. 68: sia riguardo alla dimensione delle envelope, sia alle possibilità di scostamento da criteri e parametri “medi” comunitari.

La conferenza di Bruxelles luglio 2010

In questo quadro di grande fluidità, si è inserita la conferenza sulla Pac dopo il 2013, tenuta a Bruxelles il 19 e 20 luglio 2010. La conferenza, in sé, è stata un evento di grande importanza politica, per giunta inedito rispetto al passato, soprattutto nella sua caratteristica voluta ed enfatizzata dal Commissario Cioloş, di essere il coronamento di un largo processo di consultazione “dal basso”. Nonostante ciò - o forse proprio per questo - l’impressione che ho tratto dai risultati della conferenza è che non siamo alla vigilia di una riforma radicale della Pac. Naturalmente posso sbagliarmi e certamente rischio di essere smentito dai fatti (come tante volte accade agli economisti…) ma questa mia impressione si basa su una serie di spunti di ragionamento che sintetizzo nel seguito.

Il metodo della riforma

Le riforme, specie quelle radicali, difficilmente si costruiscono “dal basso”, chiamando a raccolta gli “Stati generali” dei comparti interessati e censendo le esigenze delle diverse rappresentanze; così facendo, infatti, gli stakeholder inglobano le linee di riforma nelle loro aspettative e nei loro comportamenti e hanno tempo e modo di organizzare le difese dai cambiamenti potenzialmente più “dolorosi”. In altre parole, il rischio di un processo di riforma bottom up, basato su larghe consultazioni è quello di tendere verso un compromesso al ribasso, in grado di rassicurare tutti o comunque di non scontentare troppo. Al contrario, è più facile che le riforme radicali si facciano “a sorpresa”, con approcci decisamente top down, o magari partendo alla chetichella, come accadde nei casi della riforma Mac Sharry del 1992 e soprattutto della riforma Fischler del 2003, spacciata come semplice “revisione di medio termine”. Non a caso, invece, non era stato così per quella che doveva essere la riforma di Agenda 2000, annunciata dal documento del 1997 che aveva alimentato grandi attese, approfondita in un dibattito ampio e vibrante, ma poi edulcorata nel compromesso di Berlino del 1999, dove i pezzi più qualificanti del pacchetto di riforma furono sacrificati ai veti incrociati dei diversi paesi.

I contenuti della riforma

La conferenza è stato un utile momento di confronto, ma rispetto all’obiettivo di costruire un percorso di riforma è stata alquanto autoreferenziale. Nessuno ha parlato “contro” la Pac; tutti hanno sostenuto la necessità di una Pac “forte ed ambiziosa”; le stesse componenti più periferiche della rappresentanza, che in passato avevano assunto posizioni molto critiche (ambientalisti, ruralisti, Via Campesina, terzomondisti…) sono sembrate “più realiste del re” e hanno tirato fuori un’anima molto protezionista. Insomma, molta retorica e pochi contenuti innovativi, che fanno prevedere l’emergere di una ipotesi di riforma graduale, nel solco tracciato dalla riforma Fischler. I tratti essenziali di una tale riforma potrebbero essere i seguenti:

  • conferma del disaccoppiamento come principio guida;
  • più “regionalizzazione” (anche se con percorsi graduali e comunque all’interno di massimali nazionali, tutt’al più limati di qualche punto a favore dei nuovi Stati membri);
  • mantenimento dei due pilastri, anche se con qualche “contaminazione” (ad esempio, il passaggio dell’intervento per le zone svantaggiate dal II al I);
  • spacchettamento del pagamento del I pilastro: da un lato, una componente uguale per tutti e data a tutti, a fronte di una blanda condizionalità; dall’altro, un paio di altre componenti più selettive, erogate con approccio “contrattuale” e condizionate a comportamenti virtuosi;
  • rinnovata attenzione alla sfera del mercato: in riferimento sia alla necessità di trovare strumenti di gestione dei mercati alternativi alle vecchie misure distorsive, sia alle questioni relative al rafforzamento degli agricoltori nella filiera;
  • grande cautela sul cofinanziamento, perché Francia e Germania non sembrano gradirlo e molti paesi (specie i nuovi Stati membri) non se lo possono permettere.

Le forze in gioco

Cioloş si sta rivelando un Commissario molto attivo e sta cercando con successo spazio e consensi. Su questo terreno è importante il sostegno dei nuovi Stati membri su cui Cioloş certamente può contare e, soprattutto, l’atteggiamento benevolo e cooperativo nei suoi confronti da parte della Francia, uscita dal “fortino” conservatore in cui si era rinchiusa ai tempi della riforma Fischler, quando aveva ostinatamente osteggiato l’idea del disaccoppiamento. Oggi la Francia, forse proprio avendo fiutato che nella sostanza tira aria di cauto gradualismo, è pronta ad accettare qualche cambiamento e si appresta a svolgere quel ruolo di leadership nel processo di revisione della Pac che molti Stati membri, come si è visto, sembrano disposti a riconoscerle. Su questo terreno, la recente uscita di una posizione comune franco-tedesca chiaramente favorevole alla Pac, di cui si è detto, rappresenta un sostegno importante per l’azione di Cioloş all’interno della Commissione, in vista del documento di proposte che la Commissione stessa si accinge a presentare il 17 novembre 2010

La Pac e il bilancio

Molti continuano a descrivere la Pac come una politica impopolare, inefficiente e dispendiosa, assediata da lobby extragricole fameliche e agguerrite e/o da nuove e più virtuose politiche che reclamano risorse finanziarie da spendere meglio. Secondo questa visione, che lo stesso commissario ha contribuito ad alimentare, la Pac è destinata a perdere quote di bilancio a favore di altre voci, a meno che non arrivi alla trattativa finanziaria con una buona riforma, in grado di “convincere” i cittadini europei e i diversi paesi che vale la pena mantenere una politica agricola ambiziosa.
Non c’è dubbio che la battaglia nella allocazione delle risorse finanziarie tra le diverse politiche sarà dura. Ed è ovvio che arrivarci con una riforma tecnicamente valida e politicamente condivisa da una rappresentanza coesa aiuterebbe. Tuttavia a me sembra che, rispetto ad altre stagioni della storia dell’Ue, oggi non sia questo il principale problema della Pac. Ai consumatori e ai cittadini, tutto sommato, la Pac piace; molti paesi contributori netti al bilancio la considerano un “male minore” rispetto ad altre politiche più redistributive (De Filippis, Sardone, 2010; Salvatici, 2010); la Pac è comunque una politica collaudata e molto bene incardinata nel sistema amministrativo dell’Ue e degli Stati membri; l’altra grande politica comune, quella di coesione, oggi sembra messa peggio, mentre le politiche dell’agenda di Lisbona sono state un mezzo fallimento proprio sul versante del loro effettivo gradimento politico e della loro fattibilità. Inoltre, la stessa recente strategia 2020 per una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva, nella sua grande genericità, non sembra essere un’alternativa credibile all’attuale impianto delle politiche Ue. Insomma, se si ipotizza il mantenimento dell’attuale dimensione del bilancio Ue (1% del PIL), penso ci si possa ragionevolmente attendere la conferma delle attuali risorse finanziarie per la Pac, sia pure al netto di qualche limatura graduale da qui al 2020, nell’ordine del 10-15%, eventualmente compensata da un po’ più di cofinanziamento. In altre parole, a me pare che oggi il vero pericolo per la Pac non stia tanto nella concorrenza delle altre politiche: questa c’è, ma è forse meno agguerrita del passato (come fu ad esempio ai tempi di Agenda 2000, quando si rafforzavano i fondi strutturali e partiva la politica di coesione) e non dovrebbe avere conseguenze devastanti. Piuttosto, la vera questione è quanta Europa avremo in futuro: se ancora ci sarà la volontà politica di mantenere l’attuale bilancio o se piuttosto esso non subirà un secco ridimensionamento, al di sotto dell’attuale 1% del Pil. È chiaro, infatti, che se il bilancio Ue dovesse ridursi, la Pac subirebbe tagli che potrebbero essere molto pesanti.

Conclusione

Che vuol dire tutto ciò? Forse che (a seconda dei punti di vista) non c’è nulla da temere oppure niente di nuovo da aspettarsi dalla riforma della Pac? Che tutto dipende dalla grande politica, e che dunque non vale la pena impegnarsi troppo nel dibattito sulla nuova Pac? Tutt’altro. Proprio in una situazione fluida come quella attuale, in cui non emergono grandi idee-guida e dove il rischio (o per alcuni la speranza) è che la riforma si risolva in una rivisitazione inerziale del percorso avviato con la riforma Fischler, c’è bisogno e forse spazio per lavorare di fantasia su temi nuovi, sui quali né il mercato da solo né i vecchi sistemi di regolazione cui la Pac si affidava in passato danno risposte soddisfacenti. Ad esempio, si può lavorare sull’idea di usare (anche) la Pac come leva per mettere in trasparenza i meccanismi di formazione dei prezzi dei prodotti agroalimentari e per ridurre i margini di rendita e di inefficienza presenti nelle relative filiere, possibilmente contribuendo a correggere la distribuzione del valore e del potere di mercato tra i diversi soggetti, attualmente troppo sperequata a danno della parte agricola e dei consumatori: è un percorso molto difficile, di cui è solo abbozzata l’esigenza mentre è tutta da costruire la sostanza; ed è un percorso non privo di rischi, in termini di possibili evoluzioni distorsive degli strumenti da mettere in campo. Ai tempi della riforma Fischler sembrava così anche con il disaccoppiamento, eppure qualche risultato lo si è ottenuto.

Riferimenti bibliografici

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  • Swinnen J. (2009), The Future of Direct Payments: Better targeting, Phasing-out, New Objectives… Or a Time for a ‘Great Deal’ for EU Agriculture?”, Bepa Workshop on Reflections on the Common Agricultural Policy from a long run perspective, February, Bruxelles
  • Zahrnt V. (2009), The budgetary aspects of the new CAP payments, Directorate-General for Internal Policies, European Parliament, Brussels
  • 1. Questa nota è frutto di una ricerca che beneficia del sostegno finanziario del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (Programma di Ricerca Scientifica di Rilevante Interesse Nazionale 2007 su “Politiche dell’Unione Europea, processi di integrazione economica e commerciale ed esiti del negoziato Wto”).
  • 2. Ci si riferisce al documento “Franco German position for a strong Common Agricultural Policy beyond 2013[link].
  • 3. Su una posizione non dissimile da quella del Parlamento europeo, decisamente orientata alla difesa della Pac ma aperta ad un approccio di riforma, troviamo anche il Comitato economico e sociale europeo (CESE, 2010).
  • 4. Naturalmente gli economisti citati ritengono che vi siano anche altri obiettivi degni di essere perseguiti dalle politiche agricole, ma la loro natura non sarebbe tale da giustificarne il perseguimento a livello europeo. Su questo terreno, invece, Buckwell (2009) e Cooper, Hart e Baldock (2009) attribuiscono alla Pac una capacità di contribuire a produrre un insieme più ampio di beni pubblici di livello europeo.
  • 5. Nel rivedere il sistema di pagamenti diretti e le loro modalità di erogazione, si potrebbe anche pensare a modifiche fortemente innovative, quali la possibilità di utilizzare il lavoro come parametro di calcolo dell’ammontare del Pua e/o per definirne e modularne eventuali tetti massimi per beneficiario.
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