La progettazione integrata territoriale nella Regione Lazio

La progettazione integrata territoriale nella Regione Lazio

Premessa

Un paio d’anni fa si analizzava in letteratura la distanza tra le strategie Ue di sviluppo rurale (Sr) e i risultati di queste sulla stesura dei Psr. Le analisi ponevano in risalto una serie di rischi, in termini di perdita di opportunità, mancando il traghettamento da una politica (parzialmente) agricola ad una di sviluppo locale (Fugaro, Giuliodori, 2006; Benelli, 2008).
Infatti, le innovazioni strategiche della programmazione Sr 2007-2013 riguardavano:
(a) il passaggio definitivo da una politica settoriale ad una politica di sviluppo non settoriale indirizzata a tutti gli operatori rurali;
(b) il perseguimento di obiettivi coerenti tra Ue, Stati membri, Regioni attraverso la stesura dei documenti strategici (Qsn - Psn) per delineare con chiarezza gli ambiti di azione e i gradi di libertà degli strumenti operativi (Por - Psr);
(c) il monitoraggio e la verifica dell’efficienza ed efficacia dei programmi per consentire un loro costante adattamento alle strategie;
(d) la “territorializzazione” degli interventi per rendere efficaci gli investimenti;
(e) la integrazione, la coerenza e la complementarità degli investimenti.
Quest'ultimo punto si sarebbe dovuto perseguire all’interno dei Psr mediante integrazione tra assi e misure, tra Psr e Politica di coesione unitaria e nazionale (Fondi strutturali e Fas), tra tutto ciò e le strategie trasversali dell’Ue (cambiamenti climatici, energia, biodiversità).
Nessuna tra queste innovazioni è stata intaccata dalle Nuove sfide derivate dall’Health Check, che peraltro non costituiscono priorità sostanzialmente diverse da quelle che si sarebbero dovute già considerare nei Psr, ma piuttosto in una loro messa a fuoco (Mantino, 2008).
Queste innovazioni strategiche vedevano un punto di forza nella creazione di strumenti di integrazione, due dei quali (i pacchetti aziendali e di settore) più tradizionalmente legati ad un approccio di politica agricola.
Escludendo il caso particolare dei Progetti tematici strategici (1), il terzo ambito, più nettamente innovativo, riguardava l’integrazione su base territoriale delle misure di sostegno allo sviluppo locale (2), già tradizionalmente coperte dal programma Leader.

I rischi

Da regolamento, l’accesso a forme diverse di partenariato rispetto a quelle Leader si sarebbe dovuto consentire solo per le misure dell’asse 3: diamo per scontato che questo limite non sia stato immaginato per fiaccare l’integrazione dei diversi strumenti di programmazione; ma piuttosto per ridurre le difficoltà dell’attivazione simultanea di strumenti diversi dai più tradizionali Psl.
Ma a prescindere dalle potenziali sovrapposizioni tra Psl e “altri strumenti”, il rischio maggiore poteva consistere nel non individuare quel nuovo equilibrio, ricercato dalla politica di sviluppo locale, tra territorio, filiera e “operatore rurale” (anche non agricolo). Ciò non solo per una scarsa propensione a percepire le politiche di sviluppo rurale come non meramente settoriali da parte dei territori, ma anche per altre ragioni: le viscosità degli apparati burocratici a modificare prassi, procedure ed abitudini; il peso relativo, in una struttura economica di riferimento sostanzialmente agricola, di operatori non direttamente agricoli; il ruolo ancor limitato delle istanze delle popolazioni rurali nelle dinamiche di sviluppo locale.
Lo scenario che si andava delineando a conclusione della stesura dei Psr sembrava in effetti ancora in buona misura settoriale, con sconfinamenti nella politica agraria privi della vecchia integrazione con il primo pilastro della Pac. Il rischio, come si scrisse (Franco, 2007), era di fiaccare l'obiettivo primario dello sviluppo sostenibile delle aree rurali mediante l'uso integrato e concertato delle risorse, mantenendo i Psr strumenti di sostegno al settore agricolo e agroalimentare.
Questo andamento si correlava al rischio di non massimizzare l’effetto delle sinergie tra investimenti e processi locali per mancanza di governance, necessaria per mettere in moto modelli di decentramento basati sulla reale implementazione di quei processi partecipativi tanto raccomandati. Pertanto, appoggiandomi alle “parole chiave” del Gruppo 2013 (Sotte, Ripanti, 2008), per ridurre i rischi sopra ricordati era necessario dare forma ai seguenti obiettivi: (1) garantire l’avvio di strategie di sviluppo locale basate su una gestione territoriale delle risorse naturali da parte di tutte le componenti delle comunità rurali (“sviluppo locale integrato, beni collettivi, gestione, valutazione”); (2) eliminare la confusione e il conseguente indebolimento degli strumenti previsti dai Psr per le strategie di sviluppo locale (PitPsl) (gestione); (3) garantire una reale integrazione delle singole operazioni nel perseguimento di una strategie di sviluppo locale, dando un significato cogente agli obiettivi enunciati dalla politica di Sr, (“integrazione, selettività e approccio strategico, partenariato e concertazione progettuale, gestione”); (4) garantire la costruzione di un modello di sviluppo locale a partire dalla capacità e dalle istanze territoriali, mediante una governance adeguata dell’allineamento dei processi locali agli obiettivi perseguiti dallo Sr, evitando un approccio command and control (“sviluppo locale integrato, selettività e approccio strategico, partenariato e concertazione progettuale, gestione”).
In questo lavoro cercherò di descrivere i meccanismi adottati per perseguire questi obiettivi nella predisposizione di una progettazione integrata di una regione Europea.

La progettazione integrata territoriale della Regione Lazio

Sviluppo locale, ruralità e patto di coesione per un modello di sviluppo equilibrato e duraturo (obiettivi 1, 4)

Nella sua definizione (3) il Progetto integrato Territoriale (Pit) deve garantire l’individuazione di quell’insieme organico di operazioni in grado di “creare opportunità di lavoro e di condizioni per lo sviluppo”, posto come obiettivo cardine di ogni ulteriore obiettivo.
La ruralità delle Pit è stata assicurata concentrando lo sforzo nelle zone D e C, e per garantire un utilizzo armonico delle risorse disponibili si è adottato un meccanismo di regolazione per favorire i proponenti a mantenere una visone complessiva delle operazioni attivate, sostenendo l’utilizzo di misure di impatto a medio-lungo termine (Tabella 1).

Tabella 1 - Meccanismo di armonizzazione dell’uso delle risorse nella predisposizione dei PIT

Per la strutturazione del partenariato ci si è basati su un meccanismo più agile del tradizionale Gal, individuando un percorso endogeno a garanzia della solidità nel tempo. La coesione si basa su un accordo che definisce vincoli e penali che ciascun aderente sottoscrive per rispettare reciprocamente gli impegni, i ruoli e le responsabilità relative.
L’accordo è una scrittura privata autenticata, sottoscritta successivamente all’avvenuta approvazione del progetto preliminare e precedentemente alla presentazione del progetto definitivo; e la sua durata è funzionale al completamento degli obiettivi del Pit.
La gestione risulta meno onerosa del tradizionale GAL, affidata ad un singolo proponente responsabile delle operazioni di coordinamento, fatta salva la responsabilità dei singoli beneficiari per quanto previsto dai singoli bandi di misura.

Più competizione e meno confusione (obiettivo 2)

La ricerca di soluzioni a garanzia della coerenza della Pit ha consentito sia di tracciare una demarcazione tra diversi strumenti di sviluppo locale, sia di predisporre quei congegni utili all’innesco di una virtuosa competizione, per risvegliare le capacità dei territori in base alla scelta tra percorsi alternativi (ma utili al perseguimento di obiettivi simili, Tabella 2). Infatti, ponendo il territorio comunale come unità minima di riferimento (spaziale e/o amministrativa), si stabilito il principio di univocità della strategia di sviluppo adottata, che si può collegare, senza possibilità di sovrapposizione, o ad un Gal o ad una Pit. Il principio è reso concreto dalla sincronia dei bandi relativi, che aveva lo scopo di indurre a scelte legate ad esigenze specifiche e sulla base di un processo genuinamente bottom up.
Altra innovazione introdotta riguarda i congegni utilizzati per arrivare a definire la coerenza territoriale della Pit e in particolare quello di responsabilità partecipativa, che presenta due risvolti. Da un lato l’amministrazione comunale deve scegliere entro i primi mesi se adottare, con la propria adesione ad un partenariato, una strategia di sviluppo locale Pit oppure Gal. Dall’altro, in mancanza di capacità o volontà di adesione di una amministrazione comunale sia ad un Gal sia ad un Pit, si assicura la possibilità dei cittadini di quel territorio di aderire comunque ad una Pit, e di rappresentare con la loro azione le caratteristiche di tutto il territorio nella Pit (superficie e popolazione).
Quindi la stesura dei bandi ha cercato di fornire le chiavi per individuare la scelta più congeniale di strategia locale Tabella 2).

Tabella 2 - Confronto sintetico tra opportunità offerte dai Pit e dai Psl.

La solidità della struttura: il progetto, la valutazione, la governance

Il PIT è costituito da un insieme di operazioni dell’Asse 3 del Psr, collegate tra loro per realizzare un risultato il cui vantaggio per l’intera comunità sia superiore a quello derivato dalla semplice attivazione delle stesse operazioni, se non coordinate in un progetto.
Per riuscire ad ottenere tale risultato, semplice da intuire ma difficile da realizzare/verificare, si è puntato ad una costruzione per fasi a partire da una articolazione strettamente confrontabile: (a) mettendo a punto meccanismi di governance dell’evoluzione delle strategie di sviluppo locale, per massimizzare i risultati dell’incontro tra aspettative del territorio e impulso innovativo legato alle politiche di sviluppo; (b) strutturando un formato che privilegiasse la verifica e minimizzasse la ridondanza delle informazioni; (c) individuando un sistema di valutazione il più possibile obiettivo e intrinsecamente collegato alla struttura di progetto.

Meccanismi di governance

Si è cercato di approntare un processo per fasi volto a rendere espliciti i miglioramenti nei diversi stadi di progettazione , e palese l’assunzione responsabilità reciproca dei diversi attori, in particolare degli enti locali e della Autorità di gestione: in altre parole di garantire il buon governo del processo a diversi livelli (Benelli, 2008), che chiameremo governance per convenienza (Figura 1).

Figura 1 - Fasi di costruzione della PIT e di articolazione della governance di processo

La prima fase, la manifestazione di interesse (Mi), ha lo scopo innescare il processo di formazione del partenariato a partire dalle iniziative delle singole reti di attori locali. Le Mi consistono nella indicazione pubblica delle intenzioni di “chi per fare cosa”, senza che questo pregiudichi la successiva aggregazione degli interessi di chiunque qualificato a farlo. Segue la seconda fase di costruzione dei partenariati e della progettazione preliminare, al termine della si giunge alla definizione di una Pit che contiene tutti gli elementi utili per una prima valutazione. La fase di valutazione si basa su un sistema di criteri riproducibile e strutturalmente collegato alle diverse componenti di progetto, che consente di fornire indicazioni puntuali e strutturate sui punti deboli del Pit, e di poter intervenire, da parte dei proponenti, nella sua implementazione. Solo al termine di questo processo di interscambio tra i diversi livelli amministrativi e di aggregazione partenariale, si giunge al momento valutativo/selettivo. È evidente l’intenzione di giungere ad un insieme finale di PIT territorialmente completo e progettualmente evoluto rispetto agli obiettivi comuni perseguiti.

Come assicurare il massimo vantaggio alle comunità?

Il formato progettuale (4) è stato predisposto per consentire tanto ai progettisti che ai valutatori un solido chassis per massimizzare il confronto, la valutazione e le verifiche nei PIT e tra i PIT presentati; minimizzare l’utilizzo di informazioni ridondanti; ottimizzare la quantità e qualità delle informazioni fornite.
Le componenti dello chassis indicano i criteri che saranno utilizzati per la loro valutazione /selezione. In questo modo si sono forniti ai progettisti i medesimi strumenti utilizzati dai valutatori, stimolando la costruzione di percorsi solidi e credibili. Inoltre, molte delle informazioni richieste in alcune parti di progetto devono essere utilizzate per comporre altre parti (incrocio informazioni) e molti dei criteri di valutazione sono utilizzati per valutare parti diverse del progetto (incrocio valutazioni).
D’altronde, la verosimiglianza e la credibilità rispetto alle analisi di partenza dei rapporti tra obiettivi, impatti e risultati viene rafforzata dalla necessità di descriverne le relazioni secondo uno schema logico che permette di collegare che cosa con chi (attori chiave e gruppi obiettivo) beneficerà, all’interno della comunità, dei risultati più che dei finanziamenti.

Figura 2 - Schema logico dei rapporti tra obiettivi, azioni, risultati e impatti del Pit

In questo modo la distinzione temporale tra i risultati ottenuti entro l’esecuzione delle operazioni o nel biennio/quinquennio successivo, permette di delimitare con chiarezza i tempi per la valutazione delle ipotesi di risultato e impatto proposti. Altrettanto stringente, per distillare le intenzioni e capacità progettuali e saggiarne la robustezza, è la definizione degli indicatori di performance (impatto e risultato) e la misura di successo (che stima quantitativamente il successo previsto, per verificarne l’efficacia nel tempo), come cartine al tornasole della solidità delle proposte formulate.
In coerenza con le innovazioni strategiche delle politiche di Sr, si è previsto di descrivere gli effetti della progettazione non semplicemente verso i beneficiari e partecipanti, ma verso descrittori più articolati della comunità locale: gli “attori chiave” beneficiari o partecipanti attivamente coinvolti nel progetto di sviluppo locale, e i “gruppi obiettivo” destinatari delle attività progettuali nella comunità, ovvero gruppi rappresentativi della società locale le cui criticità vengono affrontate con la PIT.
Per dare corpo al principio che quanto più il progetto è saldamente condiviso e si costruiscono sinergie finanziarie, tanto più la strategia di sviluppo locale ha la probabilità di condurre a risultati fruttuosi, sin dalla definizione progettuale si rendono esplicite e misurabili da un lato la forza e l’efficacia degli accordi sottoscritti tra partecipanti e beneficiari, dall’altro la complementarità del PIT con le Politiche di coesione unitaria (criterio premiante).

Il sistema di valutazione

Al di là degli inevitabili criteri minimi di ammissibilità, il sistema di valutazione (5) si basa su un metodo di ordinamento di alternative inquadrabile nelle tecniche di somma ponderata. Stabiliti dei criteri di valutazione e/o selezione dei singoli progetti (come qualità del programma di lavoro, coerenza tra obiettivi-azioni-impatti, ecc.) definiti dalla mediazione aritmetica semplice di giudizi espressi per descrittori finali, si costruisce giudizio sintetico complessivo sulla base della somma ponderata dei singoli criteri.
Il numero di descrittori finali per la composizione dei singoli criteri è stato compreso tra 2 e 5 per bilanciare da un lato la degradazione dell’informazione generata da un numero eccessivo di descrittori, dall’altra di ridurre il peso della soggettività dei singoli utilizzatori con un numero sufficiente di descrittori.
Il giudizio sintetizzato da ogni criterio viene ponderato da un fattore che corrisponde al ruolo di maggiore o minore rilievo che si è stabilito per la componente progettuale corrispondente: si è dato un ruolo centrale alla robustezza e qualità del progetto nel dimostrare gi effetti di sviluppo locale a medio termine, seguita dal tasso di rilevanza del progetto nel perseguimento delle politiche, e hanno invece un ruolo minore gli aspetti legati ai criteri di accesso.
Il set di criteri si utilizza nella sua completezza nella fase di valutazione del progetto preliminare, e solo in parte nella fase di selezione definitiva: il set più limitato corrisponde agli indicatori stabilito in sede di Comitato di sorveglianza in una fase precedente il lavoro di elaborazione del bando e delle sue caratteristiche. Dopo una fase di serrato confronto interno si è scelto di non modificare il set iniziale mantenendolo come previsto per la fase selettiva, ma di integrarlo di una serie di criteri più significativi per rafforzare la fase valutativa nel passaggio tra progetti preliminari a definitivi.

La genesi delle scelte

La predisposizione del bando Pit è stata il frutto di una lunga riflessione dell’apparato amministrativo riguardo sia alla migliore formulazione, sia sulla natura della Pit. Questa consapevolezza, condivisa con i tavoli partenariali, è maturata approfondendo progressivamente tutti gli aspetti innovativi, inquadrabili nel rapporto tra Psl e Pit; nel ruolo centrale del processo partecipativo e della governance del processo; nel ruolo centrale del progetto e della sua affidabilità per garantire risultati a medio/lungo termine.
La maturazione è costata intesi dibattiti volti a superare forti resistenze, né il processo è stato scevro da compromessi: particolarmente complessa è stata l’adozione convinta del formato di progetto e del meccanismo di valutazione intimamente connesso, nonché la struttura per fasi della procedura di costruzione ed approvazione, per la particolare esposizione delle strutture amministrative in termini tecnico/valutativi e di esplicitazione di responsabilità.
Altri compromessi necessari alla finalizzazione del bando hanno riguardato la limitazione della selezione ai progetti definitivi, o la strutturazione del sistema di valutazione, che nelle intenzioni iniziali avrebbe dovuto vedere l’utilizzo di un singolo set di indicatori (e la sostituzione/eliminazione di alcuni indicatori precedentemente approvati) nonché un diverso sistema di ordinamento gerarchico delle alternative (di tipo Analitic hierarchy process semplificato) con aggregazione moltiplicativa dei descrittori per implicare un pregiudizio del criterio generale dato dal basso valore di uno qualsiasi dei descrittori.

Conclusioni

Le scelte adottate per la predisposizione del bando Pit della Regione Lazio, mediate da una lunga maturazione condivisa con le parti sociali, hanno cercato di privilegiare l’esplicitazione dei fattori di rischio individuati in premessa. In questo modo si è cercato, in maniera altrettanto esplicita, di condividere i rimedi, favorendo l’assunzione di responsabilità tanto delle amministrazioni che dei singoli beneficiari nel perseguimento degli obiettivi di sviluppo dell’intera comunità.
Dopo qualche mese dall’inizio del processo, tanto i meccanismi di del partenariato che di governance hanno sofferto per due ordini di motivi: la resistenza socio culturale di alcuni territori a gestire autonomamente un percorso di sviluppo svincolato da antiche logiche di controllo, e una certa viscosità degli apparati burocratico-amministrativi ad assumersi ruoli diversi dal tradizionale command-controll.
Nel primo caso esiste una antica riluttanza a convincersi che sia la qualità delle proprie proposte e non le relazioni di potere locale a garantire l’accesso a finanziamenti. Nel secondo caso sono le difficoltà a modificare in senso proattivo un ruolo socialmente e culturalmente consolidato di controllo. Non a caso l’animazione preventiva prevista ha stentato ad avere luogo, e una serie di variazioni operative hanno di fatto indebolito il momento di costruzione del progetto preliminare a favore della gestione informatica di informazioni relative alle singole pratiche.
I meccanismi messi in atto però, hanno contribuito a incrinare queste resistenze, producendo reazioni (anche se a volte tardive) e relative retroazioni di quegli stessi meccanismi che stentavano ad innescarsi.

Note

(1) I Pts sembrano ricalcare le intenzioni della progettazione integrata Fesr della programmazione precedente.
(2) Piar: Piani integrati per le aree rurali , Pia: Pacchetti integrati di agevolazione, Pit:
(3) Progetti integrati territoriali
(4) [link]
(5) [link] [link] [link].

Riferimenti bibliografici

  • Benelli M. (2008). L’approvazione dei programmi di sviluppo rurale italiani: considerazioni su un esempio di governance multilivello. Agriregionieuropa n. 13 pp. 61-62 [link].
  • Franco D., 2007. Gli obiettivi di sostenibilità nelle politiche di sviluppo rurale: attese e risultati. Estimo e Territorio. Il sole 24 ore - Edagricole, Bologna. n. 11, pp. 2-9.
  • Fugaro A., Giuliodori A. (2006). Una visione integrata e strategica dei piani di sviluppo rurale 2007-2013; Agriregionieuropa. n. 6, pp. 22-25 [link].
  • Mantino F. (2008). Lo sviluppo rurale in Europa. Agriregionieuropa. n. 15, pp. 60. [link].
  • Sotte F., Ripanti R. (2008). I Psr 2007-2013 delle regioni italiane. Una lettura quali-quantitativa. Gruppo 2013, Working paper n. 6, aprile 2008.
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