Introduzione
Area tra le più densamente abitate dell’intera Europa delimitata ad ovest dal fiume Ticino e a est dal fiume Adda, il bacino idrografico Lambro-Seveso-Olona attraversa territori fortemente urbanizzati dalle Prealpi fino Milano ed è stato individuato dalla Regione Lombardia come area prioritaria di intervento per le questioni di sicurezza idraulica, qualità delle acque e qualità paesaggistica che coinvolgono la popolazione locale. Lo strumento scelto per affrontare tali questioni è il Contratto di Fiume (CdF), inaugurato in Lombardia sull’Olona-Bozzente-Lura (2004) e poi esteso anche a Seveso (2006) e Lambro Settentrionale (2012), ed il cui coordinamento è affidato alla DG Ambiente Energia e Sviluppo Sostenibile regionale.
I CdF sono strumenti di programmazione negoziata collegati a processi di riqualificazione dei bacini fluviali attraverso una metodologia e un percorso di pianificazione e progettazione condivisi con tutti gli attori interessati. Si tratta di processi che tendono passare dalle azioni di tutela dell’ambiente a più ampie politiche di gestione delle risorse paesistico-ambientali. La Regione Lombardia ha individuato i CdF come strumenti di attuazione di norma per sottobacini fluviali dei piani emanati dall’Autorità di Bacino del fiume Po1 - Piano per l’Assetto Idrogeologico (Pai), Piano di Gestione – e, di conseguenza, dei piani di tutela regionali - Programma di Tutela ed Uso delle Acque (Ptua).
Il Progetto di Piano di Sottobacino del Lura
Dal 2013 le attività di accompagnamento dei CdF lombardi sono svolte dalle società Irs di Milano ed eco&eco di Bologna all’interno di un gruppo di lavoro interdisciplinare incaricato da Regione Lombardia tramite Ersaf. Particolare attenzione è stata rivolta alla predisposizione del Progetto di Sottobacino del Torrente Lura, esperienza “pilota” per la riqualificazione del territorio di un affluente del fiume Olona mediante l’attuazione di politiche integrate (dunque non semplicemente sommate) e condivise fra i soggetti afferenti ad uno stesso ambito fluviale. Affidato ad un soggetto istituzionale sovra-comunale (il Parco Locale di Interesse Sovracomunale - Plis - della Valle del Lura), il Progetto di Sottobacino aveva prodotto fino a quel momento un corposo quadro conoscitivo, da validare attraverso la condivisione con il territorio e sul quale sperimentare percorsi di co-progettazione. Nel primo caso, è stato ritenuto utile attivare 5 tavoli di lavoro che ricalcano altrettanti ambiti omogenei del bacino, funzionali alla presentazione di temi e contenuti e al loro aggiornamento, in particolare dell’insieme di indirizzi, misure ed azioni che si ipotizza di attuare in quei territori. In parallelo, si è provveduto ad organizzare alcuni workshop di co-progettazione, strutturati come discussioni aperte che, a partire dai problemi individuati da soggetti locali, hanno dato una dimensione territoriale e integrata ad alcune di quelle idee progettuali: un’attività di ascolto delle esigenze, discussione delle possibili soluzioni, progettazione condivisa di interventi adeguati a problemi localizzati, all’interno del quadro conoscitivo prodotto. Si è discusso, ad esempio, di interventi di tutela del sistema delle sorgenti; di riqualificazione ambientale di un invaso di laminazione esistente; di valorizzazione del reticolo secondario attraverso il recupero di architetture industriali; si è costruito, infine, un percorso partecipativo con la cittadinanza per la condivisione e il miglioramento del progetto definitivo per un’area di laminazione posta nel medio corso del torrente. L’esito di tale processo ha arricchito non solo il corpus di misure con ipotesi di intervento integrate, ma ha dato ulteriore forza al tentativo ambizioso di elaborare un piano-processo operativo e partecipato dagli stakeholder.
L’obiettivo ultimo è quello dell’ottemperanza della Direttiva Quadro sulle Acque 2000/60 e della Direttiva Alluvioni 2007/60 e, a tal fine, il gruppo di lavoro si sta adoperando affinché il Progetto Strategico di Sottobacino - attualmente in fase di approvazione da parte del partenariato locale – sia completato con elementi fondamentali per il suo funzionamento, quali un sistema di monitoraggio/valutazione che consenta definizione di priorità di intervento, correzioni in itinere, e modalità efficaci di governance del progetto.
Modelli interpretativi dei Contratti di Fiume applicati al caso del Lura
La modalità della gestione di un sottobacino si fonda su una distinzione tra momento tecnico-conoscitivo istruttorio e momento politico-decisionale e sulla loro interazione, da realizzare attraverso la partecipazione pubblica dei portatori di interesse. È necessario garantire a questi ultimi la conoscenza di condizioni e vincoli di riproducibilità di beni pubblici e comuni come l’acqua e della sostenibilità dei carichi sul territorio attraverso percorsi trasparenti e condivisi per regolare i conflitti e la formazione di scelte non precostituite, accompagnati da meccanismi autonomi di monitoraggio e controllo e di reindirizzo delle scelte.
Il processo intrapreso per il torrente Lura e, più in generale, le attività partecipative realizzate nei territori dei CdF lombardi, hanno permesso di riflettere sui significati attribuibili a tale istituto, anche alla luce di diversi approcci interpretativi e influenze disciplinari.
Seguendo le categorie proprie della scienza dell’organizzazione, il CdF può essere visto infatti come strumento di orientamento e coordinamento di attori, ciascuno dotato di spazi di autonomia di pianificazione, così da poter condividere indirizzi rilevanti in materia idrica; come strumento di strutturazione di un processo organizzativo che sia coerente con gli obiettivi posti, capace quindi di favorire la piena circolazione dell’informazione e di accrescere la consapevolezza degli attori; infine, come strumento di selezione e ordinamento delle priorità locali, così da ridurre il quadro di incertezza con cui è chiamato a confrontarsi chi deve prendere le decisioni a livello di bacino, ed i conseguenti tempi di realizzazione delle soluzioni.
Se si adottano le categorie proprie delle scienze economiche, il CdF si configura invece principalmente come strumento di negoziazione e scambio, mediante il quale attori con obiettivi e pay-off in conflitto reciproco sono chiamati a trovare un equilibrio pareto-efficiente, nel quadro degli strumenti volontari e delle compensazioni in campo ambientale. È questa, ad esempio, la logica di molti CdF europei, pensati come strumento per l’allocazione delle risorse raccolte in particolare con le tariffe dei servizi idrici, la cui entità è decisa dal “parlamento” dell’Autorità di Bacino, all’interno del quale sono rappresentati tutti gli stakeholder che gravitano sul fiume (Massarutto, 2008).
Dal un punto di vista della pianificazione territoriale, il CdF è da intendersi come spazio per la costruzione di progetti che, all’interno di una visione comune, conducano a trasformazioni territoriali di qualità, alla realizzazione di progetti concreti e coerenti. In questo senso, comune anche alle categorie proprie della scienza delle politiche pubbliche, il CdF può essere interpretato come strumento di innovazione locale, nelle forme del laboratorio per la sperimentazione di soluzioni da consolidare e codificare, facendone così un corpus di routine progettuali da replicare nei diversi contesti, quando i medesimi problemi relativi alle acque si ripropongono; o nelle forme dello strumento di approccio flessibile alle politiche pubbliche, con cui trovare soluzioni originali, non evidenti a priori, grazie a percorsi di co-progettazione, esplorazione di problemi, messa a fuoco di alternative, discussione con produzione di conoscenza.
Il processo avviato per il Lura risponde senza dubbio a quest’ultimo profilo. Al momento, soprattutto nell’interpretazione di approccio flessibile ed originale alle politiche pubbliche, sebbene lo spirito dell’attività sia proprio quello di sperimentare sul Lura una modalità di realizzazione dei progetti di sottobacino che possa poi fungere da modello replicabile sugli altri sottobacini fluviali lombardi.
Anche il primo profilo, quello organizzativo, pare pertinente. Si è cercato infatti di contribuire alla costruzione di un processo organizzativo che andasse nella direzione di far circolare l’informazione ed accrescere la consapevolezza degli attori. Questa funzione incide sul modo nel quale “si costruisce il problema”, ed è precisamente questo che, secondo alcuni, rende fondamentale il ruolo del pubblico nel processo di decisione: la conoscenza sposta i termini del problema e la contrattazione svolta entro il quadro creato da quella conoscenza, è diversa da quella che si svolge senza2.
Nel prosieguo delle attività, si lavorerà maggiormente su altri elementi della griglia di interpretazione proposta: la parte di negoziazione/scambio è, ad oggi, in difetto per il mancato coinvolgimento delle realtà economiche del bacino, nei cui confronti è necessario elaborare una proposta adeguata. Lo stesso può dirsi – nell’approccio della scienza della organizzazione – per “il coordinamento di attori con spazi di autonomia nella pianificazione e da cui estrarre un ordinamento delle priorità per le decisioni a livello di bacino”. Non tutti gli attori in gioco mostrano di riconoscere il CdF come strumento privilegiato a questi fini, nemmeno all’interno della medesima istituzione: se, ad esempio, esso lo è per la DG Ambiente regionale, non altrettanto si può dire per altre Direzioni Generali che agiscono in modo specialistico e settoriale sui medesimi territori e sulla base di altri accordi/strumenti senza la dovuta integrazione di priorità e obiettivi.
Ecco allora che, nel tentativo di operare tale ordinamento di priorità locali e di ridurre l’incertezza, il soggetto regionale tenta di favorire l’emersione di soggetti sovra-comunali (i Plis, i Parchi, i gestori dei servizi idrici), che fungano in qualche modo da “rappresentanti” delle compagini locali e da tramite operativo tra questi ultimi e la Regione.
La governance dei Contratti di Fiume
Il nodo cruciale dell’istituto del CdF, è che il soggetto gestore deve risultare credibile ed autorevole. Credibile nel comunicare ai diversi portatori di interesse pubblici e privati che quella - e non altre – sarà l’arena di decisione sulle questioni legate al bacino. Autorevole nel ritagliare per il CdF uno spazio decisionale proprio, in un territorio su cui già agiscono tanti soggetti e altrettanti piani e programmi (dal Pai al Ptua, dal PdG del Po ai Piani d’Ambito, …), organismi di gestione e di partecipazione, ma in cui si è oscurata la “unità di comando”, ossia il governo integrato e partecipato, riconosciuto ed efficace, dell’ecosistema di bacino. È questo un aspetto fondamentale, che chiama in causa il tema della governance.
Quella di governance è una nozione vaga, di grande forza penetrativa nel vocabolario dell’azione pubblica proprio per la sua plasticità, ma che pone più di un problema di definizione, soprattutto quando utilizzata in interazione con il concetto, altrettanto sfuggente, di deliberazione partecipativa (Bifulco, 2013).
La governance di un processo come il CdF può assumere sostanzialmente due versioni: una prima di carattere tecnocratico ed una seconda di carattere adattivo . La governance è tecnocratica nel momento in cui appunta maggiore attenzione sulle “regole del gioco” e meno sui comportamenti: si definiscono le condizioni di ingaggio, i vincoli, le condizioni a cui sottostare e si assume che la macchina vada poi avanti da sola. Anche quando sperimenta l’innovazione, obiettivo principale del processo è la ricerca di modelli da trasformare in nuove routine delle amministrazioni.
Viceversa, la governance è adattiva quando si incentra sui comportamenti dei soggetti, sulle loro azioni e sui risultati che così si producono. In questo secondo caso, la macchina non è lasciata andare in autonomia, ma continuamente presidiata, riorientata, messa in condizioni di funzionare meglio e di reagire al mutamento del contesto. Questo significa fare circolare l’informazione, produrre conoscenza, favorire il confronto di visioni diverse – anche derivanti da nuovi protagonisti - ed il mutuo adattamento tra esse, valutare il percorso ed avere il grado di discrezionalità necessario a definire nuovi e obiettivi e nuove azioni.
Se questo è lo stato dell’arte e se si intende elevare il Progetto di sottobacino a Piano del CdF, Progetto di cui il caso del Lura intende rappresentare un archetipo, si pone con decisione il tema di come ridisegnare la governance dell’istituto CdF in Lombardia. Fino ad ora, la strada scelta ha puntato sul dare visibilità all’istituto CdF, con una costruzione che ha nella Regione l’attore principale – basti pensare che il vertice del Comitato di Coordinamento di ogni CdF è il Governatore della Regione (o un Assessore da lui delegato), mentre Soggetto responsabile dell’Accordo Quadro di Sviluppo Territoriale che ha dato vita al CdF è oggi il Direttore Generale della DG Ambiente, Energia e Reti della Regione Lombardia.
La Regione, toccati con mano i limiti di una governance tecnocratica, sta correttamente tentando di introdurre modalità adattive di governance. La transizione è ancora in corso; per ora non è andata oltre le prime azioni di coordinamento, sia pure impreziosito dalla ricerca di soluzioni tecniche originali e di qualità. Tuttavia, lo sforzo che si sta affrontando va nella direzione di dare maggiore strutturazione al rapporto con i partenariati locali, così da valorizzare il ruolo di alcuni soggetti “forti”, incrementare le responsabilità degli attori, sviluppare modalità di azione virtuose e replicabili.
Ciò significa realizzare azioni e cercare soluzioni a problemi tangibili e reali ad un livello più vicino al territorio, pur mantenendo una logica di bacino, contrapposta ad una di intervento settoriale e puntuale. Questo potrebbe significare che la governance dei CdF dovrà spostarsi verso i firmatari, con nuovi strumenti di coordinamento giuridico, nuovi organi, il coinvolgimento di nuove categorie di attori a partire dalle imprese, modalità di attuazione politiche e non formattato Non solo spostamento del livello decisionale verso i protagonisti del CdF sul territorio, ma anche governance adattiva, con strutture che gestiscono l’informazione all’interno dei processi e favoriscono il mutuo adattamento dei partecipanti, produzione continua di conoscenza ad alimentare e sostenere il negoziato, apertura all’ingresso di nuovi soggetti, discrezionalità ed autonomia nel definire obiettivi e azioni, elaborazione di standard per valutare in modo aperto alla discussione l’avvicinamento o lo scostamento dei percorsi agli obiettivi.
Conclusioni: CdF, politiche territoriali e organizzazione istituzionale
Nato in Francia nei primi anni ’80 e diffusosi nel resto dell’Europa centrale nel decennio successivo, il CdF è uno strumento di programmazione negoziata collegato a processi di riqualificazione e valorizzazione dei bacini fluviali. In Italia il CdF conosce la sua originale ed ancora oggi più avanzata espressione nella esperienza della Lombardia, che ne ha sottoscritti tre tra il 2004 ed il 2012.
I CdF lombardi, di cui il Progetto di sottobacino del Lura rappresenta l’elaborazione più avanzata, mostrano come, nonostante l’impegno a utilizzare lo strumento, la natura del suo funzionamento e l’impiego di esso a supporto delle politiche territoriali sia ancora piuttosto indefinito.
Dal punto di vista dell’interpretazione, il CdF può essere visto come strumento di coordinamento degli attori, di condivisione degli indirizzi, selezione e ordinamento delle priorità, riduzione del quadro di incertezza di chi deve prendere le decisioni; oppure come strumento di ricerca di un equilibrio pareto-efficiente tra attori con obiettivi e pay-off in conflitto; o ancora come spazio per la ricerca di soluzioni originali per la trasformazione del territorio, con sperimentazione di soluzioni da codificare in routine progettuali.
La differente interpretazione dello strumento richiama diversi modelli di governance, da una più strettamente tecnocratica, ad una di carattere adattivo, finalizzata a riadeguare continuamente la capacità di azione e intervento al mutamento delle condizioni del contesto.
La prima filiera concettuale, quella che va dal CdF come strumento di coordinamento e selezione delle priorità alla governance tecnocratica è efficace quando messa al servizio di un soggetto con forte capacità di controllo e indirizzo. La seconda filiera, dalla sperimentazione di soluzioni alla governance adattiva, è più appropriata nei contesti magmatici, in cui agiscono molteplici soggetti e si sovrappongono piani e programmi da diversi livelli di governo del territorio.
È quest’ultima la circostanza che meglio descrive la situazione in Lombardia: in un momento in cui le amministrazioni regionali negli ultimi anni hanno esasperato l’attitudine a occuparsi degli aspetti di legislazione e pianificazione a scapito della gestione puntuale del territorio, mentre i livelli intermedi di governo, dalle Province alle Comunità Montane, sono in fase di completo smantellamento.
In quest’ottica e con questa logica, il CdF può imporsi allora come strumento di supporto alle politiche regionali per la gestione delle acque, in coerenza con gli strumenti di distretto idrografico, luogo in cui fare convergere i diverse attori e le loro istanze, fare circolare l’informazione e produrre la conoscenza necessaria a trovare le migliori soluzioni.
Riferimenti bibliografici
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Bifulco L. (2013), Governance e partecipazione, In: Vicari Haddock S. (a cura)
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Massarutto A. (2008), L’acqua, Il Mulino, Bologna
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Thompson J. D. (1988), L’azione organizzativa, Isedi, Torino
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Vicari Haddock S. (a cura) (2013), Questioni urbane, Il Mulino, Bologna
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Walker B.H., Salt. D. (2006), Resilience Thinking: Sustaining Ecosystems and People in a Changing World, Island Press, Washington
- 1. Le Autorità di bacino esistenti dovevano essere abrogate e sostituite da nuove Autorità di bacino distrettuali, a far data dal 30 aprile 2006. In realtà mancando l’atto normativo di istituzione si è creata una situazione di vuoto, parzialmente risolta dal primo decreto correttivo (D. Lgs. 284/2006) che ha prorogato le Autorità di bacino, in attesa delle conclusioni del processo di revisione e correzione del decreto.
- 2. Per i fondamenti teorici: si veda Dewey (1938). Per la discussione applicata ai negoziati sulle acque, Gavioli (2007).