Abstract
L’avvio di un processo innovativo richiede un adeguato contesto socioeconomico in grado di recepire i cambiamenti. Nelle aree rurali questa situazione è meno presente, e per favorire questo processo la SNAI propone il metodo di co-progettazione, basato sull’ascolto degli attori rilevanti e sull’interazione tra livelli di governo (centrale, regionale, locale), per accompagnare la costruzione di un percorso di sviluppo territoriale condiviso, anche integrando le competenze locali.
Introduzione
In questi ultimi anni abbiamo assistito a mutamenti epocali indotti da fenomeni globali come la crisi finanziaria del 2008 fino alla recentissima pandemia. Inoltre, è in atto un cambiamento climatico, di cui non abbiamo ancora piena consapevolezza, che sta determinando le principali scelte strategiche per lo sviluppo socioeconomico mondiale. In questo contesto di forte cambiamento che ha portato a profonde crisi sistemiche, la dimensione locale sembra essere stata sopraffatta dalle emergenze globali.
In realtà, i cambiamenti nello scenario globale non solo inducono ad una riflessione sugli effetti a livello locale ma occorre anche considerare un processo inverso in cui le comunità locali, ed in particolare quelle delle aree rurali, possono svolgere un ruolo rilevante nel favorire o ostacolare questa evoluzione. A tal fine appare necessario un ribaltamento degli attuali paradigmi produttivi che conducano a un superamento della visione della natura come mera risorsa per l’economia, attraverso l’introduzione di modelli alternativi a quelli di business tradizionali con l’adozione di logiche cooperative e in cui l’ancoraggio al territorio, l’orientamento alle pratiche1 e il recupero di produzioni tradizionali siano l’elemento chiave di innovazione e di cambiamento delle comunità agricole locali.
Un percorso di sviluppo locale deve quindi tener conto del contesto globale per individuare quei cambiamenti della situazione attuale che possono migliorare la capacità della comunità locale di reagire, cogliendo le opportunità e affrontando le minacce. L’evoluzione del contesto globale ha radicalmente modificato lo stesso concetto di sviluppo economico (López-Claros, 2010). L’idea è che sia possibile uno sviluppo diverso, dove anche le aree meno industrializzate possono dare un consistente contributo ripensando il loro futuro e cogliendo quelle opportunità post-crisi globali in termini di crescita sostenibile e innovativa, a partire da nuovi modelli di agricoltura e gestione delle risorse naturali
Per favorire questa evoluzione non basta però diffondere nuove tecnologie a partire da quelle digitali o sviluppare nuovi prodotti ma servono nuovi modi di concepire le relazioni tra produttori ed è necessaria una loro partecipazione attiva al cambiamento delle comunità locali: questo richiede una capacitazione degli attori locali che va sostenuta investendo sulla formazione non solo dei giovani, attraverso la sperimentazione di pratiche innovative di accompagnamento ai processi locali, facilitando la creazione di network locali e l’attivazione di reti anche lunghe con centri di competenza e di ricerca. Solo così si creano le condizioni necessarie per l’innesco di un’evoluzione verso modelli di agricoltura più coerenti con le caratteristiche delle aree rurali.
Nel processo di adeguamento strategico delle politiche di sviluppo attualmente in corso, la Strategia nazionale per le aree interne (SNAI) ha introdotto interessanti processi innovativi indirizzati a sostenere questi cambiamenti a livello locale anche se ha evidenziato come l’utilizzo di questi approcci implichi tempi lunghi e un forte rallentamento nella spesa.
Sotto questo profilo, le aree interessate dalla SNAI rappresentano un laboratorio territoriale dove si è tentato di applicare questa idea di sviluppo “alternativo”, in cui la capacità di innovare rappresenta una leva fondamentale per attuare le strategie e produrre i cambiamenti desiderati.
In questo contributo a partire da tali esperienze è stata svolta una riflessione2 sul ruolo dell’innovazione come fattore determinante per lo sviluppo locale dei territori rurali, ed in particolare sulle modalità con le quali stimolare i processi che possono favorire un cambiamento positivo in questi contesti.
Innovare l’idea di sviluppo territoriale
Il recepimento e la diffusione delle innovazioni in un territorio dipendono dalle risorse umane presenti in termini di competenze e di propensione al cambiamento ed al rischio. In un contesto a minore densità demografica, come quello delle aree rurali, è meno probabile che siano presenti quelle risorse umane capaci di cogliere le opportunità, sia per le maggiori difficolta di accesso ai mercati ed ai servizi, sia in quanto impegnate a contrastare un contesto ambientale sfavorevole.
L’approccio interattivo e multi-attoriale adottato dalla SNAI è un processo in grado di favorire il cambiamento e quindi l’innovazione ma richiede la partecipazione attiva dei soggetti che hanno ruolo diretto o indiretto (stakeholder) per l’individuazione e il raggiungimento degli obiettivi strategici dello sviluppo locale.
L’impoverimento del capitale umano rappresenta un punto di debolezza delle comunità rurali, ma la rarefazione demografica ha però il vantaggio di rendere più facile l’individuazione e il coinvolgimento dei soggetti sul territorio che sono interessati al suo sviluppo per delineare e condividere con questi un’idea di futuro (approccio multi-attoriale). In questi contesti sociali, l’integrazione di competenze esterne al territorio nella rete di relazioni diventa pressoché indispensabile, in un’ottica di partecipazione attiva finalizzata alla co-progettazione del percorso di sviluppo che va oltre il singolo contributo professionale o esperienziale.
Il processo di cambiamento, in direzione di uno scenario condiviso, è quindi di per sé la principale innovazione che una comunità locale dovrebbe essere in grado di recepire, ma non è affatto semplice passare da una situazione in cui sono pochi i decisori, anche esterni al territorio, a fare le scelte determinanti, all’approccio di governance multilivello che la SNAI ha provato ad attuare. Le azioni di co-progettazione degli interventi richiedono infatti la condivisione dei processi decisionali a vari livelli e il coinvolgimento dei soggetti pubblici e privati che hanno un ruolo per lo sviluppo del territorio, indipendentemente dalla loro localizzazione nell’area.
La progettazione sui territori
La SNAI si è riproposta di agire sulla capacitazione delle persone e delle comunità sui territori, per stimolare l’innovazione intesa come abilità di immaginare nuove economie, nuove modalità̀ di realizzazione di servizi di cittadinanza, nuovi modelli di agricoltura e di gestione delle risorse ambientali e del patrimonio culturale locale. L’idea di fondo è che l’innovazione territoriale intesa in questo senso possa introdurre una discontinuità rispetto al passato, innescando un cambiamento che arresti il trend di perdita demografica che caratterizza da decenni le aree interne nel nostro Paese.
La SNAI è essa stessa un modello di policy innovativo che ribalta le logiche consuete di intervento pubblico proponendo la co-progettazione (Storti, 2021) come via per costruire un ragionamento strategico che travalichi le separazioni tra amministrazioni settoriali e coinvolga i diversi livelli di governo dei territori (Stato, Regioni, Associazioni di sindaci).
Per realizzare questa visione la SNAI ha aperto nelle aree di intervento innumerevoli laboratori di ascolto e progettazione territoriale che hanno generato un processo di apprendimento collettivo senza precedenti nella storia delle politiche per lo sviluppo in Italia.
Nel lavoro di campo grande è stata l’attenzione a valorizzare la presenza e l’impegno dei giovani sui territori, perché sono loro i principali agenti di innovazione e senza di loro sarebbe difficile immaginare evoluzioni positive per queste aree. Il tema della valorizzazione delle produzioni locali ha assunto sempre un ruolo centrale.
Dagli ascolti è emerso come l’agricoltura, le produzioni identitarie e l’introduzione di innovazioni che facciano leva sulla tradizione siano spesso al centro dei ragionamenti strategici dei territori e possano rappresentare un ancoraggio per i giovani a questi luoghi.
Per esempio, l’area interna Madonie in Sicilia ha promosso un progetto di ricerca-azione per i giovani che coniuga la formazione come elemento di attivazione della loro partecipazione al cambiamento delle comunità agricole ad un “censimento attivo” dei terreni pubblici e privati disponibili da mettere a disposizione dei giovani per la loro utilizzazione in progetti innovativi che riguardino le vocazioni agricole dell’area.
In Basilicata le aree Montagna Materana, Alto Bradano e Marmo Platano hanno puntato sulla rivalutazione del mestiere del pastore e delle piccole produzioni casearie di montagna come elemento chiave nella costruzione dell’attrattività dell’area. Al centro c’è un approccio alla capacitazione soprattutto dei giovani cui saranno rivolte azioni di informazione e formazione, tutoraggio e accompagnamento nell’introduzione di innovazioni di processo e/o di prodotto, con il supporto di enti di ricerca regionali che rappresentano l’avanguardia nel comparto zootecnico lucano.
Il tema della formazione, e la curvatura sulla zootecnia di montagna, ricorre in diverse aree appenniniche sempre con l’obiettivo della valorizzazione delle produzioni casearie identitarie e dei modelli zootecnici estensivi. Per citarne alcune l’area Alto Medio Sannio in Molise, l’Area Appennino Emiliano in Emilia-Romagna, la Valnerina in Umbria e l’Alta Irpinia in Campania.
Nell’Area Alto Medio Sannio, nella fase di scouting gli attori locali sono stati concordi nell’individuare il settore lattiero caseario come il settore di spicco identificandolo come settore prioritario su cui concentrare gli sforzi. La strategia ha quindi costruito una serie di azioni funzionali al miglioramento della gestione dei pascoli e all’accompagnamento ai produttori locali per l’inserimento di innovazioni tecniche e organizzative nell’ottica del rafforzamento della qualità.
L’area Appennino Emiliano, in Emilia Romagna, grazie al lavoro sui processi messo in campo dalla Strategia, è riuscita a rafforzare le relazioni di fiducia tra gli attori locali e creare un legame di collaborazione tra gli agricoltori e gli allevatori della filiera del parmigiano reggiano e i centri di ricerca locali, funzionalmente alla valorizzazione del Parmigiano Reggiano (PR) di Montagna attraverso l’incremento della produzione marcata come “Prodotto di Montagna” e quindi in grado di ottenere una migliore remunerazione sul mercato. A tal fine sono stati posti in essere diversi interventi finalizzati a sostanziare la distintività del Parmigiano‐Reggiano prodotto dai caseifici dell’area come “PR di Montagna” attraverso innovazioni tecniche organizzative dell’intera filiera di produzione a partire dalle imprese agricole fino a coinvolgere i caseifici. Qui la componente legata agli interventi di formazione è stata indirizzata al rafforzamento delle competenze in materia di internazionalizzazione.
La strategia individuata dai sindaci della Valnerina, all’indomani del sisma che ha colpito il centro Italia nel 2016, punta su alcuni degli asset storicamente trainanti per l’area: la pastorizia e la norcineria - di cui vuole salvaguardare l’aspetto artigianale del cibo - e il turismo. Si è partiti da un percorso di facilitazione e di ascolto che in fase di co-progettazione ha visto, nell’ambito di workshop dedicati, l’interazione tra produttori locali e ricercatori sui fabbisogni di consulenza e trasferimento di innovazione, sull’esigenza di creazione di strutture comuni e di capacitazione degli attori locali. L’ingegnerizzazione delle soluzioni prospettate nell’ambito della strategia ha richiesto un intenso confronto tra l’Area, le Istituzioni statali e quelle regionali, per riallineare almeno parzialmente le risposte dei programmi rispetto alle richieste degli allevatori.
Anche l’Area Interna Alta Irpinia in Campania ha deciso di investire sulla zootecnia di montagna. L’azione realizzata grazie ad una misura di cooperazione dedicata alla SNAI nell’ambito del PSR ha previsto la costituzione di un partenariato pubblico privato e la progettazione di un piano di investimenti. Il progetto, sostenuto da un ampio partenariato, ha visto l’attivazione di centri di ricerca che nella prima fase hanno messo in campo azioni mirate di ascolto e sopralluoghi in circa 700 aziende nell’area finalizzati a individuare le maggiori criticità degli allevamenti ovini e caprini, in particolare, dal punto di vista igienico-sanitario e produttivo. Nella seconda fase, attualmente in corso, si stanno ponendo in essere investimenti per l’ammodernamento delle strutture presenti e attività di formazione e consulenza per accompagnare gli operatori del settore nell’implementazione dei miglioramenti tecnici necessari alla valorizzazione qualitativa delle produzioni locali.
Altre aree hanno puntato sulle produzioni cerealicole attraverso il recupero di varietà tradizionali di grano. Quelle che hanno messo in atto un’azione più articolata su questo tema sono il Vallo di Diano in Campania e la Valmarecchia in Emilia-Romagna.
Nell’Area Interna Vallo di Diano in Campania l’idea, sfruttando anche le peculiarità del territorio (sia in termini geofisici che in termini culturali), è quella di recuperare e valorizzare i grani antichi già oggi rimessi in produzione da una cooperativa locale. Il progetto per la filiera cerealicola prevede la produzione e trasformazione di varietà di grano locale, grazie alla messa in rete delle aziende e la realizzazione di un pacchetto di investimenti. In questo caso la scelta ha un grande valore simbolico e di “traino” perché fonda le sue radici nell’eredità storica di queste terre: il ruolo culturale e economico che un tempo aveva la Certosa (di Padula) che deteneva il “sapere” e il “saper fare” e assicurava l’organizzazione territoriale della produzione, dettando non solo le regole economiche e gestionali ma controllando anche la qualità dei prodotti attraverso la distribuzione delle sementi ai suoi possedimenti, le Grancie. L’azione, grazie alla misura dedicata alla SNAI dal PSR per la cooperazione, ha previsto un’intensa attività di progettazione partecipata che ha coinvolto i comuni dell’Area Interna “Vallo di Diano”, le aziende agricole del settore e diverse imprese di trasformazione (un mulino, pastifici e panifici).
L’area Valmarecchia in Emilia-Romagna prevede interventi a supporto della cooperazione tra produttori sia per il recupero delle produzioni della cerealicoltura “storica” (grani antichi) che per la zootecnia di montagna con un focus sulla lavorazione delle carni. A differenza dell’area Vallo di Diano, che ha fatto riferimento a sperimentazioni sostenute localmente per il recupero di varietà locali, l’area Emiliana ha messo in campo per la filiera cerealicola anche un intervento di innovazione e ricerca finanziato dal PSR (misura 16.1).
Il valore aggiunto di queste esperienze sta nella capacità di creare relazioni tra gli attori territoriali, i centri di ricerca e le istituzioni pubbliche che insieme collaborano per la definizione di interventi rispondenti alle visioni degli attori locali e allo stesso tempo adeguati alle loro capacità. Non sempre però è stato possibile mettere in atto azioni in grado di dare seguito alla domanda espressa o per carenza di coesione delle comunità locali o per rigidità dei programmi che spesso non hanno previsto gli strumenti adeguati e le necessarie flessibilità.
Va anche tenuto presente che le aree selezionate per l’attuazione della strategia sono aree fragili composte per due terzi da comuni montani che hanno subito negli ultimi decenni forti fenomeni di spopolamento e abbandono della superficie agricola. In questi territori, sebbene le risorse agro-pastorali rappresentino ancora oggi un elemento forte nell’immaginario collettivo e fondante per la tenuta economica e sociale, l’esigenza di assicurare la sostenibilità ambientale e il prevalere di un’agricoltura di piccola scala poco redditiva rendono difficilmente percorribile la costruzione di filiere che producano per un mercato più ampio. Qui “vanno sostenuti modelli di agricoltura più solidali innescando un cambiamento delle comunità agricole attraverso la condivisione di pratiche, l’innovazione nelle relazioni tra produttori, l’avvio di forme nuove di cooperazione e di mutualismo e l’adozione di approcci che prevedano la produzione congiunta di beni e servizi, la creazione di sinergie rispetto a un turismo lento ed esperienziale” (Storti, 2021).
Per questo servono interventi complessi che coinvolgono una molteplicità di attori e temi e un paziente lavoro sui processi che la SNAI ha consentito di avviare attraverso lo scouting, la co-progettazione, l’accompagnamento ai territori. In alcuni contesti proprio mediante la co-progettazione e grazie alla forza di visioni condivise tra gli attori locali, si è riusciti ad aprire spazi utili a sostenere le domande di intervento provenienti dai territori attraverso progetti (anche piccoli interventi che stentano a trovare collocazione nei consueti ambiti di programmazione) e strategie mirati rispetto alle esigenze e alle capacità dei luoghi.
Innovare per cambiare o cambiare per innovare?
La propensione all’innovazione è una delle principali leve su cui agire per innescare un deciso cambiamento di rotta rispetto al passato, per mitigare i fenomeni regressivi, in atto in molti territori rurali, di carattere ambientale, economico e sociale, che stanno producendo effetti sempre più marcati e a volte difficilmente reversibili. Come si è visto, in alcuni contesti l’approccio della co-progettazione ha facilitato i processi innovativi favorendo la condivisione di obiettivi e quindi di strategie di interesse comune, limitando al contempo i comportamenti isolati e a volte contrastanti e legittimando l’interlocuzione del livello locale con quelli regionali e nazionali.
La debolezza della situazione socioeconomica nelle zone rurali, più lontane dai poli di offerta dei servizi essenziali, limita sicuramente la possibilità di innescare un processo partecipativo efficace, sia per la minore presenza di soggetti competenti e/o interessati a innovare, sia soprattutto perché esiste una competizione con altri territori, in cui sono presenti soggetti pubblici e privati che hanno maggiori capacità e, soprattutto, risorse e strumenti adeguati. Attraverso la co-progettazione e la governance multilivello gli attori territoriali hanno la possibilità di essere ascoltati ed eventualmente trovare un sostegno alle proprie intenzioni di cambiamento.
Il processo innovativo va quindi opportunamente stimolato ed accompagnato anche con risorse umane e con professionalità esterne ai territori rurali socialmente meno strutturati, attraverso una strategia di intervento integrata e multi-tematica, che riguardi tutti gli ambiti funzionali allo sviluppo locale e garantisca anche i servizi essenziali, coinvolgendo quindi tutti i principali stakeholder, per evitare una visione settoriale, favorendo una reale integrazione nell’azione dei diversi livelli di governo (locale, regionale, centrale) e rafforzando la capacità dei territori di intervenire nelle decisioni che riguardano il loro futuro. In questo modo la co-progettazione diventa uno strumento efficace che consente di finanziare con risorse pubbliche azioni innovative, altrimenti non attuabili in contesto socioeconomico fragile e rarefatto.
È chiaro che questo approccio integrato, multi-attoriale e multilivello, è un percorso complesso ma può rallentare e a volte invertire il processo di destrutturazione dei territori caratterizzati dallo spopolamento. L’esperienza SNAI ha messo anche in evidenza come le attività agricole e le produzioni identitarie, vengono spesso individuate dagli attori locali come un elemento centrale per rafforzare l’attrattività dei luoghi.
In effetti non solo l’agricoltura si è evoluta e sono ormai molteplici i percorsi imprenditoriali innovativi che possono essere intrapresi, ma proprio il nuovo contesto di transizione ecologica delinea un diverso ruolo per l’agricoltura. Lo sviluppo della bioeconomia e dell’economia circolare non può che coinvolgere i territori e le comunità rurali che sono in grado di contribuire alla crescita del livello di sostenibilità dei sistemi socioeconomici locali e globali.
Si pensi ad esempio alla capacità del suolo agricolo di sequestrare l’anidride carbonica e quella delle filiere corte di ridurre i consumi di carburanti ma anche di favorire il riciclo degli scarti delle produzioni agroalimentari. Sono molti gli ambiti in cui le innovazioni sono in grado di restituire all’agricoltura un ruolo determinante per lo sviluppo locale sostenibile e quindi offrire nuove opportunità occupazionali anche nei contesti rurali. Questi processi possono essere diffusi e i loro risultati amplificati a livello territoriale da un approccio integrato dove la collaborazione tra gli attori su diversi livelli (locale/regionale/nazionale, settoriale/trasversale, privato/pubblico) è in grado di produrre un effetto leva moltiplicatore delle singole azioni di intervento.
In definitiva le innovazioni favoriscono i cambiamenti coerenti al perseguimento dei nuovi obiettivi di sviluppo globali ma necessitano anche di un cambiamento dell’approccio strategico allo sviluppo locale, ed è probabilmente questa la vera innovazione che consente ai territori rurali di determinare il loro futuro e non solo di subire, o nel migliore dei casi mitigare, le conseguenze sfavorevoli indotte dagli scenari globali.
Riferimenti bibliografici
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A. López-Claros (2010), Policies and Institutions Underpinning Country Innovation: Results from the Innovation Capacity Index, The Innovation for Development Report 2010–2011, EBS - European Business School
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D. Storti (2021), Il punto sulla Strategia Nazionale Aree Interne e la sua integrazione nella nuova programmazione nazionale/comunitaria, Agricalabriaeuropa n.3, pp. 2-6.
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D. Storti, V. Provenzano, A. Arzeni, M. Ascani, F.S. Rota (2020), Sostenibilità e innovazione nelle filiere agricole delle aree interne, Scienze Regionali n.60, AISRE, Franco Angeli
- 1. L’indebolimento del tessuto sociale ed imprenditoriale dei territori rurali sta producendo una perdita di conoscenze pratiche in quanto con sempre maggiore difficoltà vengono tramandati i saperi dei mestieri tradizionali, eppure queste conoscenze che fanno parte dell’identità territoriale, costituiscono un elemento caratterizzante del loro sviluppo.
- 2. La riflessione prende spunto da alcuni lavori presentati al convegno AISRE del 2018 (Storti et al., 2020), e sviluppa ulteriori considerazioni sulla base di alcune esperienze territoriali.