Comunità di pratiche e innovazione

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Comunità di pratiche e innovazione
Istituto Nazionale di Economia Agraria

Introduzione

Il riferimento alle comunità di pratiche è diventato negli ultimi anni frequente non solo tra i formatori e gli insegnanti italiani, ma anche tra i ricercatori che si occupano di scienze umane, aprendo uno spazio interessante di riflessione in ambito accademico.
Tale interesse è dovuto allo spostamento dell’attenzione dal sapere al processo conoscitivo e, di conseguenza, ai processi di interazione sociale come contesti specifici di apprendimento (Alessandrini, 2007). Questo passaggio negli ultimi anni è avvenuto anche in Italia, anche se spesso più in termini teorici che nelle pratiche.
Nell’articolo presenteremo brevemente le caratteristiche di una Comunità di Pratica (Cdp) e le modalità per “coltivare” un Cdp in un contesto formativo e organizzativo, le relazioni che questo concetto può avere con l’innovazione. Esporremo inoltre il percorso che l’INEA e il CRA, con la collaborazione dell’Associazione “Alessandro Bartola”, stanno facendo con Cdp di ricercatori e tecnici nelle regioni del centro-sud.

Comunità di pratica e apprendimento

I primi studi sulle Cdp risalgono agli anni ottanta del secolo scorso ed erano finalizzati all’analisi del concetto di apprendimento situato (Pontecorvo, Ajello, Zucchermaglio, 1995). Il punto di partenza era l’analisi dell’apprendistato come forma particolare di acquisizione di conoscenze derivante dall’interazione tra gli apprendisti, gli istruttori e gli altri lavoratori. Lave e Wenger (1990) introducono nel dibattito anche il rapporto tra i membri della comunità in cui si svolge l’attività, che si configura come una sorta di relazione di “partecipazione evolutiva” e di trasformazione dell’identità del soggetto. Da qui l’elaborazione dei concetti di “partecipazione periferica legittimata” in riferimento ai processi di apprendimento e di Cdp, costrutto basato sui cardini “comunità”, “pratica” e “apprendimento situato”.
Il costrutto proposto ha due accezioni: una fa riferimento a una dimensione teorica e descrittiva ed è finalizzata ad analizzare un fenomeno presente nelle organizzazioni; l’altra è orientata alla formulazione di supporti operativi per il miglioramento delle organizzazioni. Wenger negli anni sviluppa e propone riflessioni soprattutto nell’ambito della seconda accezione.
Le Cdp sono definite come i “mattoni costitutivi di un sistema sociale di apprendimento poiché sono i contenitori sociali delle competenze che costituiscono questi sistemi” (Wenger, 2006), secondo una visione che considera l’apprendimento come parte integrante della vita quotidiana. Gli assunti alla base di tale concezione sono tre:

  • gli individui hanno una natura “sociale”;
  • la conoscenza consiste nella competenza in attività socialmente apprezzate;
  • il conoscere (knowing) consiste nella partecipazione ad attività socialmente apprezzate.

Wenger non fa riferimento a una teoria specifica dell’apprendimento, quanto a un insieme di idee e costrutti che spaziano dalla sociologia (da Durkheim a Giddens) alla psicologia e alla linguistica, dalla fenomenologia di Heidegger all’ecologia di Maturana e Varela, per arrivare all’idea di identità come narrazione, rischiando lo “sfondamento delle radici teoriche delle CdP in un insieme troppo vasto di idee e concetti che appartengono a tutta la storia del pensiero del XX secolo” (Alessandrini, 2007).
Le Cdp, che hanno un proprio ciclo vitale, sono caratterizzate da tre aspetti fondamentali:

  • l’impegno reciproco, e non solo la condivisione di interessi;
  • l’impresa comune, che permette l’acquisizione di una “competenza collettiva”, e l’apprendimento l’uno dall’altro;
  • la prassi condivisa, cioè l’insieme di risorse e pratiche condivise (repertorio comune).

Queste caratteristiche non implicano la vicinanza fisica ed è per questo che il concetto di Cdp ha trovato ampio spazio nelle virtual community. I più recenti contributi di Wenger (2007) propongono indicazioni per “coltivare” le Cdp e renderle “rigogliose”. Innanzitutto occorre definire bene il campo tematico (domain), che “crea un contesto comune e un comune senso di identità”. La comunità (community), inoltre, deve essere forte e incoraggiare “l’interazione e le relazioni basate sul rispetto e sulla fiducia reciproca”. La pratica (practice), infine, deve essere costituita dall’insieme di idee, strumenti, informazioni, stili e storie che i membri della comunità sviluppano, condividono e mantengono. Dati questi elementi di base, l’autore, suggerisce di promuovere l’uso delle Cdp in contesti di progettazione organizzativa non tradizionale, cioè non basati su strutture, ruoli e sistemi per il raggiungimento degli obiettivi prefissati. In sostanza, occorre evitare di predisporre strutture precostituite e lasciare che le Cdp si sviluppino in modo naturale. Esse devono inoltre avere scambi con l’esterno, per favorire una migliore comprensione del potenziale della comunità e accompagnare il cambiamento. Le Cdp devono poi promuovere diversi livelli di partecipazione; sviluppare spazi pubblici (eventi rivolti a tutti i membri della comunità) e privati (interazione one on one e face to face); far emergere il valore aggiunto della Cdp che cresce con il passare del tempo; combinare eventi familiari, che generano stabilità, con eventi “eccitanti”, in grado di produrre elementi di novità all’interno del gruppo; creare un ritmo scandito da specifiche sequenze di cose da fare in risposta alle esigenze di tutti i membri della Cdp.

La “trasmissione delle innovazioni” nel settore agricolo

Le implicazioni del concetto di Cdp per chi si occupa di innovazioni e di conoscenza sono molteplici. Innanzitutto l’impianto di riferimento, come abbiamo visto, rimanda a un’idea di conoscenza intesa non come “oggetto” che può essere trasferito da persona a persona, ma come costruzione condivisa e partecipazione a una pratica e non a una mera trasmissione di saperi codificati. Il contesto, inoltre, ha un ruolo fondamentale nello sviluppo delle competenze dei singoli e della comunità. Queste riflessioni ben si collegano all’idea di innovazione situata e quindi sostenibile, che nasce da una dimensione contestuale che include lo spazio fisico, sociale e produttivo. In questo senso, l’innovazione nasce dall’avvicinamento (o contaminazione) tra ingredienti eterogenei: “un processo che attraversa istituzioni, formando relazioni complesse ed inusuali tra sfere di attività differenti che, a loro volta, si basano su relazioni interpersonali: il mercato, il diritto, la scienza e la tecnologia” (Callon, 1999). La dimensione comunitaria, quindi, offre un terreno fertile per l’individuazione e la realizzazione di idee innovative basate sulla condivisione di visioni comuni, di know-how e pratiche.
Nel settore agricolo, come noto, il tema delle innovazioni è stato per tanto tempo affrontato in maniera a-contestualizzata, mettendo cioè al centro dell’attenzione le innovazioni stesse, senza tener conto dei contesti specifici e delle relazioni tra i cambiamenti indotti e il sistema produttivo nel complesso. Tale approccio ha portato spesso a modifiche radicali del territorio e delle imprese, che non sempre si sono rivelate sostenibili dal punto di vista economico, ambientale e sociale. Un approccio sistemico come quello proposto dalle Cdp, può certamente contribuire al consolidamento di questa diversa visione dell’innovazione, che dà un ruolo importante ai soggetti e ai problemi prima che ai possibili contenuti innovativi.

Le Cdp nel progetto Agritrasfer-in-Sud

Nell’ambito del Progetto Agritrasfer-in-Sud finanziato dal Mipaaf per il trasferimento delle innovazioni nelle regioni del centro-sud, il CRA e l’INEA hanno deciso di dare un ruolo importante alla formazione, utilizzandola come opportunità per avviare un processo di costituzione di comunità di pratiche tra ricercatori e tecnici/divulgatori regionali che si occupano delle stesse tematiche.
Sono state coinvolte circa 100 persone tra ricercatori del CRA e tecnici delle regioni del sud Italia per individuare percorsi di sviluppo a livello locale che utilizzassero le innovazioni prodotte nell’ambito dei progetti realizzati dal CRA. L’attività, tuttora in corso, si svolge con incontri in presenza e con l’utilizzo di una piattaforma di e-learning (il cui sviluppo è stato affidato all’Associazione “Alessandro Bartola”. L’attività di formazione è stata così organizzata:

  • individuazione degli ambiti di approfondimento (filiere e problematiche rilevanti);
  • attivazione di una piattaforma e-learning e predisposizione dei materiali;
  • Organizzazione di Cdp (ricercatori e tecnici) focalizzate su coltivazioni e problematiche specifiche (orticoltura, viticoltura, agrumicoltura, ecc.), con animatori e coordinatori delle attività;
  • realizzazione, per ciascuna Cdp, di giornate di lavoro, confronto e discussione in presenza.

Il percorso è finalizzato all’individuazione di percorsi locali di sviluppo che utilizzino i risultati delle innovazioni prodotte e analizzate nel progetto. L’idea, quindi, non è di “trasferire” le innovazioni, ma di “contestualizzarle”, cioè adattarle al contesto specifico, alle esigenze dei produttori locali e dei territori individuati.
Il lavoro ha finora permesso l’approfondimento di alcune tematiche, coinvolgendo i ricercatori in un processo di scambio di esperienze e di conoscenze, soprattutto in relazione alle problematiche evidenziate in una prima fase di lavoro comune, finalizzata all’individuazione dei bisogni di innovazione. Tale attività è stata avviata con un incontro che si è tenuto lo scorso luglio a Roma con l’obiettivo, appunto, di individuare per ogni Cdp di problematiche rilevanti relative ai diversi settori produttivi. La discussione è proseguita successivamente attraverso la piattaforma on line ed ha permesso anche l’individuazione delle priorità da affrontare in termini tecnici e scientifici e delle possibili soluzioni da adottare.
Ad oggi risultano registrati nelle Cdp oltre 150 persone: 45 nella Cdp cereali, 26 nella Cdp agrumi, 36 orticoltura, 31 viticoltura e 33 olivicoltura . La partecipazione risulta alta per quanto riguarda la visualizzazione del sito, meno per l’introduzione di nuovi contenuti. La partecipazione ai forum di discussione riguarda generalmente la funzionalità dello strumento o la richiesta di informazioni posta direttamente agli animatori. Molto ridotta appare tuttora la partecipazione attiva alle discussioni relative alle problematiche rilevanti e alle soluzioni da adottare.
Per stimolare la partecipazione, sono stati organizzati alcuni incontri per Cdp (novembre 2011-febbraio 2012) ai quali hanno partecipato molti ricercatori e tecnici, contribuendo all’approfondimento delle tematiche individuate e alla messa a punto di possibili soluzioni da presentare alle aziende. Inoltre, durante gli incontri, i partecipanti hanno suggerito l’allargamento delle Cdp ad altri soggetti potenzialmente interessati (tecnici delle organizzazioni professionali o privati, ricercatori delle università o di altri centri di ricerca, ecc.). Tale risultato fa pensare a un interesse generale per l’approccio e una valutazione positiva dell’esperienza finora condotta, ma evidenzia una difficoltà nell’utilizzo della comunicazione a distanza come strumento privilegiato per la realizzazione dell’attività.

Riflessioni conclusive

Le Cdp possono rilevarsi uno strumento utile nei processi formativi e nell’individuazione e realizzazione di percorsi locali di innovazione, ma vanno utilizzate in maniera tale da consentire la permeabilità con l’esterno, la flessibilità nell’organizzazione e nelle procedure, la loro rigenerazione continua. Esse, infatti, fanno leva sulle potenzialità delle comunità, ma ne subiscono tutti i limiti. Ne è testimonianza il fatto che i passi maggiori fatti nell’utilizzo di tali pratiche sono stati compiuti proprio a partire dalle critiche loro mosse e dal ribaltamento dei termini del concetto di Cdp (Gherardi, 2008). Parlare infatti di “pratiche di comunità” (Gherardi et al., 1998, Brown e Duguid, 2001; Shwan et al. 2002; Roberts, 2006), invece che di Cdp, consente di mettere in evidenza l’intreccio tra conoscere, fare e innovare, e di ridimensionare il ruolo della comunità. Questa, infatti, in quanto relativamente chiusa alle sollecitazione esterne, costituisce in alcuni casi una vera e propria barriera all’innovazione (Tagliaventi e Mattarelli, 2006).
Nel caso specifico delle Cdp tra ricercatori e tecnici, lo strumento ha dato finora solo in parte un reale contributo alla creazione di un sistema di comunicazione e lavoro più efficace all’interno del sistema della conoscenza in agricoltura. Uno dei limiti più evidenti di questa esperienza è senza dubbio l’eccessiva strutturazione delle Cdp, che lascia poco spazio al loro “naturale” sviluppo. Inoltre, la presenza di informazioni disponibili sulle innovazioni prodotte nei centri di ricerca del CRA, sposta l’attenzione sull’innovazione “confezionata” più che sulle questioni reali da affrontare in modo innovativo; tale problema, probabilmente può essere superato con il tempo, necessario a costruire l’identità della comunità e a consolidare l’impegno reciproco attorno all’impresa comune in ogni Cdp “costruita”.

Riferimenti bibliografici

  • Alessandrini, G. (a cura di) (2007), Comunità di pratica e società della conoscenza, Le Bussole, Carocci, Roma

  • Gherardi S. Nicolini D., Odella F. (1998), Towards a Social Understanding of how People Learn in Organizations”, in “Management Learning” n. 29

  • Gerardi S. (2008), Dalla comunità di pratica alle pratiche di comunità: breve stroria di un concetto in viaggio, in “Studi organizzativi”, n. 10

  • Lave, J., Wenger, E. (1990), Situated Learning: Legitimate Periperal Participation, Cambridge, UK: Cambridge University Press

  • Pontecorvo C., Ajello A.M., Zucchermaglio C. (1995), I contesti sociali dell’apprendimento, Led, Milano

  • Roberts J., (2006), Limits to communities of practice, in “Journal of Management Studies”, n. 43

  • Wenger, E. (2000), Comunità di pratica e sistemi sociali di apprendimento, in “Studi Organizzativi”, 1, pp. 11-34

  • Wenger, E. (2006), Comunità di pratica. Apprendimento, significato e identità, Raffaello Cortina, Milano (ed. or. 1998)

  • Wenger, E. (2006), in Zucchermaglio, Alby, 2006)

  • Wenger E., McDermott R., Snyder W.M., (2007), Coltivare comunità di pratica. Prospettive e esperienze di gestione della conoscenza, Milano, Guerini e associati

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Commenti

Condivido in particolare le perplessità conclusive sugli ostacoli all'innovazione derivanti dalle modalità di ''confezionamento'' della ricerca in agricoltura. Su nuove modalità per facilitare l'innovazione in agricoltura propongo un recente lavoro frutto di pluriennali esperienze in diversi contesti: http://dx.doi.org/10.1007/s11269-011-9880-4
Saluti PPR

Commento originariamente inviato da 'Roggero' in data 28/03/2012.