Perchè interessarsi alla nozione di "evidence-based policy"? (versione integrale)

Perchè interessarsi alla nozione di "evidence-based policy"? (versione integrale)
a Institut National de la Recherche Agronomique (INRA)
b Collège de France
c Université Paris I, Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS)
d South African National Biodiversity Institute (SANBI)
e Université Rennes 1, Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS)
f Université fédérale rurale de Rio de Janeiro, Centre de la Formation Doctorale en Sciences Humain es (CPDA)
g Université Paris 5, Centre de la Recherche sur le Liens Sociaux (CERLIS)
h Cape Town University
i Université Paris Sud Orsay, Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS)
  Version française

Traduzione di Emilio Chiodo

Introduzione1

Agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso si sono sviluppati in medicina degli approcci denominati di evidence-based medicine (EBM). La parola evidence rimanda allo stesso tempo all’idea di validazione empirica e di prova scientifica. Questi metodi derivavano dalla constatazione che era sempre più difficile per i medici avere accesso alle conoscenze disponibili e farne un uso giudizioso. Metodi che, estesi ad altre sfere di decisione, hanno dato origine alla nozione di evidence-based policy (EBP), sempre più evocata nelle politiche di lotta alla povertà ma anche nel campo della giustizia, dell’educazione o in generale dello sviluppo. Hanno anche dato luogo a nozioni derivate come quella di evidence-based conservation (EBC), spesso impiegata nelle politiche di sviluppo durevole e di protezione della biodiversità.
Nel mondo francofono, il ricorso crescente alla nozione di evidence-based policy è spesso assimilato a una clausola retorica senza importanza o alla difesa di un modello normativo di decisione pubblica ancorato alla teoria delle scelte razionali. Ciò è dovuto senza dubbio al problema di traduzione della parola evidence e alla mancanza di conoscenza dei dibattiti e degli strumenti concreti che si sono sviluppati intorno a questi approcci. In effetti, in un numero crescente di campi di decisione il regime di accesso alle conoscenze si è trasformato profondamente, in particolare per quanto riguarda le conoscenze derivate dal mondo della ricerca (abbondanza sempre maggiore di conoscenze prodotte, difficoltà di accesso legata alla privatizzazione delle basi documentali scientifiche, ecc.). Le difficoltà incontrate dai decisori per sapere quali siano le conoscenze disponibili e gestirne l’accesso e l’uso diventano una posta in gioco importante, sia che si tratti di appoggiare alcune decisioni (evidence-based decision), di chiarirle (evidence-informed decision) o semplicemente di scegliere di non tenerne conto ma con cognizione di causa (evidence-aware decision). Si vedrà che la preoccupazione dell’efficacia delle azioni messe in atto dagli approcci evidence-based non può essere assimilata né a un semplice tentativo di depoliticizzare il dibattito, né a un pragmatismo semplificatore che considera come importante nell’azione solo ciò che è vantaggioso e comodo. Si inscrive piuttosto nelle preoccupazioni formulate da Dewey (1927) che riteneva prioritaria la necessità di condividere realmente le conoscenze, rendendole disponibili e socialmente accessibili, e di considerare questo processo come una delle dimensioni fondamentali dell’elaborazione delle politiche. Proprio perché questi elementi stanno assumendo sempre maggiore importanza, sembra utile discutere degli insegnamenti che possono essere tratti dai dibattiti sulla EBP, in quanto, mentre divengono oggetto di controversie tra filosofi, scienziati e attori dello sviluppo, tali approcci contribuiscono ad aprire delle prospettive nuove sull’analisi di come le conoscenze scientifiche entrano nelle politiche, comprese quelle sullo sviluppo.

Genesi della nozione

Nascita degli approcci di tipo Evidence-based

Gli approcci in termini di evidence-based decision (EBP), declinati più tardi nella forma di evidence-based policy (EBP), sono nati nel settore medico. Nel 1992 un testo fondatore pubblicato da una trentina di scienziati annunciava la nascita di un nuovo paradigma, la evidence-based medicine (EBM working group, 1992). Nei fatti si trattava piuttosto di sostenere una pratica medica in cui i clinici facessero "un uso coscienzioso, esplicito e giudizioso delle conoscenze scientifiche disponibili per decidere le cure da dare ai loro pazienti" (Sackett et al, 1996).
Questa formulazione potrebbe sembrare banale. Tuttavia alcune indagini realizzate in quel periodo presso medici generalisti hanno mostrato come molti di loro non conoscessero gli avanzamenti scientifici nel loro campo e fondassero la loro pratica su una routine basata spesso su conoscenze obsolete, per niente o poco aggiornate dopo la loro formazione universitaria. I pazienti non avevano dunque la garanzia di poter avere a disposizione il trattamento più adeguato né di beneficiare di un’informazione completa sulle soluzioni terapeutiche disponibili e sulla loro efficacia. Ma i medici interrogati affermavano come fosse per loro impossibile seguire una letteratura scientifica sempre più abbondante, sintetizzarla, attualizzarne le critiche e valutarne l’efficacia per la pratica clinica.
Prendendo atto di questa trasformazione profonda del regime di accesso alle conoscenze, i sostenitori del metodo EBM hanno preconizzato la realizzazione di diverse tipologie di azioni, quali:

  • far evolvere la formazione dei medici familiarizzando gli studenti in Medicina con la ricerca e la produzione scientifica e migliorando la formazione continua;
  • produrre analisi sintetiche sullo stato delle conoscenze su questioni precise, destinate ai medici e adatte alle loro condizioni di lavoro e alla pratica clinica (per esempio, realizzazione di meta-analisi attualizzate con regolarità sull’efficacia dei trattamenti delle patologie correnti, diffusi on-line e ad accesso libero);
  • rendere espliciti i criteri di qualità delle “prove” impiegate dai ricercatori e dai medici per giudicare l’efficacia dei trattamenti, l’affidabilità dei protocolli di diagnosi, ecc.;
  • predisporre un’organizzazione collettiva che facilitasse l’accesso alle conoscenze sintetiche prodotte, perché potessero essere utilizzate nella pratica quotidiana.

L’EBM ha suscitato un forte dibattito. Dopo la pubblicazione dell’articolo del gruppo di Evidence-based medicine (idem, 1992), che faceva appello a una vera e propria rottura epistemologica per la pratica medica, gli scambi di opinioni hanno a volte preso la forma di scontri tra due tesi ugualmente provocatorie, gli uni denunciando una medicina troppo propensa a ridurre la variabilità delle situazioni incontrate, cercando per forza di inquadrarla nelle strette caselle di fatti "stabiliti scientificamente" e che, a forza di cercare una scienza universale, si dimenticherebbe del paziente singolo, gli altri mettendo all’indice una medicina troppo persuasa della superiorità dell’esperienza clinica su tutte le altre forme di produzione di conoscenza e che, a forza di voler continuare a essere considerata "un’arte", si rifiuterebbe di attualizzare i suoi metodi e i suoi trattamenti.
Al di là di questi aspetti polemici, però, si è posta l’attenzione soprattutto sul problema di fondo dell’importanza che è opportuno accordare alle conoscenze scientifiche nella pratica e sul modo con cui se ne possa valutare la qualità. Si osserva a posteriori come sia stato raggiunto un consenso abbastanza ampio sulla necessità di sviluppare degli strumenti che permettano di avere una medicina attenta agli aspetti clinici ma anche in grado di valorizzare al meglio l’evoluzione delle conoscenze, per basare la decisione terapeutica su un ventaglio di possibilità sempre attualizzato, esplicitare i vantaggi di soluzioni alternative e permettere in questo modo anche al paziente di impegnarsi prima nella scelta di un trattamento.
Dalla fine degli anni Novanta il movimento EBM si è sviluppato nel mondo, portando alla costruzione di un insieme di metodi e di organizzazioni collettive ad hoc.

Lo sviluppo degli approcci in termini di Evidence-based decision

Questo sviluppo è stato accompagnato dalla realizzazione di una vera e propria “cassetta degli attrezzi” composta da diversi elementi, quali:

  • dei metodi destinati a creare degli stati dell’arte sintetici per l’azione, elaborati per rispondere a questioni pratiche specifiche (per esempio, riguardanti i trattamenti più efficaci per una data patologia: l’agopuntura è efficace per trattare la depressione? O riguardanti delle pratiche di cura: il ricovero a domicilio dà dei risultati meno buoni del ricovero ospedaliero tradizionale2?). Tali conoscenze sintetiche poggiano a loro volta su stati dell’arte sistematici realizzati secondo criteri espliciti e, dove possibile, su meta-analisi quantitative che propongono una reinterpretazione globale dei risultati basandosi su differenti campioni di popolazione;
  • una riflessione approfondita sulla valutazione della qualità delle conoscenze disponibili, sul loro carattere più o meno generale, sulle prove che le corroborano e i principi di gerarchizzazione di queste prove;
  • dei metodi per orientarsi nella letteratura scientifica (come leggere un articolo scientifico e giudicare la qualità delle prove in esso proposte?).

Una parte della cassetta degli attrezzi è poi destinata ai ricercatori, perché producano conoscenze scientifiche più facilmente utilizzabili nella pratica. Per esempio, delle guide metodologiche che precisino ex-ante le condizioni che una sperimentazione deve rispettare perché se ne possano valutare in maniera rigorosa i suoi effetti ex-post.

Questi diversi aspetti metodologici potrebbero sembrare familiari ai ricercatori, ma tale familiarità è ingannevole. Così, uno "stato dell’arte sistematico realizzato secondo criteri espliciti" risponde a norme metodologiche precise che ne fanno un esercizio molto particolare. Ogni tappa della sua realizzazione è guidata da una questione iniziale esplicitamente formulata da chi opera nella pratica che, dal punto di vista della ricerca, può sembrare troppo restrittiva. Per esempio, se una questione riguarda l’efficacia di un trattamento, ci si attende una risposta che indichi in modo molto preciso se esistono delle prove che il trattamento in questione funzioni oppure no, precisando come queste prove sono state stabilite e quale sia il loro grado di affidabilità; il "perché" di tale efficacia è quindi provvisoriamente non analizzato3. Le conoscenze (specialmente negli articoli scientifici) sono quindi esaminate (e selezionate) secondo criteri di qualità espliciti che derivano direttamente da questa volontà di aiutare una decisione pratica (risultati fondati su un contenuto empirico, esplicitazione del loro campo di validità, affidabilità delle prove rispetto al campo di azione considerato in funzione di una griglia esplicita di gerarchizzazione delle prove, ecc.). Lo stato dell’arte ha quindi l’obiettivo di fare il punto sulle controversie relative alla questione posta e mostra esplicitamente l’universo di riferimento su cui poggia (banche dati, tipi di riviste, procedure di ricerca quali parole chiave, query, ecc.) e di cui ha realizzato un’esplorazione sistematica.
Siamo dunque abbastanza lontani dalla pratica corrente di realizzazione degli stati dell’arte a fini di ricerca che, tirando le fila a partire da un insieme di riferimenti conosciuti (autori o riviste), mirano ad analizzare gli sviluppi più rilevanti di un programma di ricerca o di una controversia, ma possono rispondere a più preoccupazioni simultaneamente (per esempio, raccogliere dei dati di fatto su un fenomeno ma anche evidenziare l’emergere di nuove linee di ricerca, ecc.).
Questa precisazione è importante per più ragioni. In primo luogo, per segnalare che le ricerche metodologiche in corso su approcci evidence-based non sono un semplice rivestimento di procedure che sarebbero da molto tempo conosciute e dominate. Poi, perché la semplicità dei principi informatori dell’approccio non deve mascherare le difficoltà che si incontrano nella loro messa in pratica. Tornando all’esempio degli stati dell’arte sistematici, una cosa è mirare a un’analisi esaustiva della letteratura su un dato soggetto, un’altra è realizzarla effettivamente tenuto conto del numero e dell’eterogeneità delle produzioni scientifiche. I ricercatori che vi si dedicano, anche in campi diversi dalla medicina, osservano che sono necessarie più settimane per precisare la questione di partenza e i criteri di qualità che saranno accettati, stabilire delle richieste soddisfacenti, delimitare l’universo dei documenti da analizzare e definirne le conseguenze sui limiti di validità dell’esercizio. Tutto ciò prima di ottenere diverse centinaia o migliaia di referenze che occorre poi selezionare e analizzare secondo criteri di qualità gerarchizzati in funzione di obiettivi pratici… Il costo di un tale stato dell’arte è così stimato in 35.000 euro in media, ma alcuni molto complessi, realizzati da centri specializzati, possono raggiungere i 200.000 euro (Fox, 2005). Tutte cose impossibili da realizzare in un gruppo ristretto di ricerca.
Proprio per questo organizzazioni collettive dotate di finanziamenti specifici, che fungono da interfaccia tra ricerca e decisione (la decisione del medico e del paziente in medicina, la decisione politica, ecc.), hanno elaborato strumenti condivisi di diffusione (banche dati di documenti o riviste specializzate on-line, ecc.) costantemente aggiornati. Inoltre, nelle facoltà di medicina sono stati messi in atto dei percorsi di formazione agli approcci EBM (messa in opera di strumenti statistici, letture critiche di articoli scientifici, dominio dell’accesso all’informazione, formazione all’epistemologia).
L’EBM ha suscitato in questo modo una riflessione approfondita sul ruolo e sui limiti di utilizzo delle conoscenze scientifiche nelle decisioni, e tale da coinvolgere tanto i medici che le associazioni di pazienti e di ricercatori di diverse discipline (medici, biologi, statistici, sociologi, economisti, filosofi della scienza…) (Fagot-Largeault, 2005). Poco a poco gli approcci EBM si sono diffusi in tutti i paesi e, parallelamente, i loro principi sono stati trasposti ad altri livelli di organizzazione ed estesi alla gestione dei sistemi sanitari nazionali ed internazionali. E’ così che l’OMS rivendica oggi l’uso di un approccio in termini di evidence-based policy.

Approcci a volte invisibili nei paesi non anglofoni

Dalla fine degli anni Novanta le riflessioni sugli approcci di evidence-based decision sono state riprese in altri campi dell’intervento pubblico - educazione, giustizia, protezione dell’ambiente, politiche di sviluppo, ecc. - anch’essi posti di fronte alla trasformazione del regime di accesso alle conoscenze4. Esse sono state anche portate avanti da alcune istanze governative, principalmente il governo laburista britannico della fine degli anni Novanta, suscitando delle controversie estremamente vivaci (Davies, Nutley, 2001). Tuttavia, in numerosi paesi non anglofoni, come la Francia, le discussioni su tali approcci vengono ignorate o occultate5. In Francia, le ricerche sulle relazioni tra scienza e decisione pubblica sono in gran parte dei lavori che riguardano la sociologia della scienza. Esse danno un posto centrale alla questione della combinazione di conoscenze scientifiche e profane, all’essere esperti e alla co-produzione di conoscenze (Gibbons et al, 1994; Nowotny, Scott, Gibbons, 2003). Ma le riflessioni su come favorire l’accesso diretto dei decisori pubblici alle conoscenze scientifiche o quelle riguardanti gli approcci evidence-based restano limitate.
Non cercheremo qui di individuare tutte le ragioni di tale situazione, ma ne saranno considerate solo due.
La prima riguarda la difficoltà di traduzione della parola evidence della nozione di evidence-based policy. In francese coesistono più traduzioni insoddisfacenti di questa espressione, con connotazioni diverse: "politica fondata sulle prove" o "politica fondata su dati provanti", o "politica fondata su livelli di prove", o ancora su delle "evidenze fattuali". Ognuna di queste traduzioni pone l’accento su una specifica preoccupazione:

  • “prova” o “dato provante” per segnalare l’importanza di disporre di conoscenze affidabili per sostenere le azioni e garantire per quanto possibile la loro efficacia rispetto agli obiettivi perseguiti;
  • “livelli di prove” per sottolineare che è opportuno gerarchizzare le conoscenze disponibili;
  • “evidenze fattuali”, “reti empiriche” per ricordare che le “evidenze/prove” di cui si tratta sono fondate su dati empirici e corroborate dai fatti.

Nel momento in cui si traduce questa espressione, la sua estensione viene a volte bruscamente ridotta. Evidence-based policy può essere tradotta nello stesso testo in più modi diversi (per esempio, IAASTD, 2008). Senza conoscere i dibattiti e l’arsenale metodologico che accompagnano lo sviluppo degli approcci EBD, la traduzione riduce il riferimento a un approccio specifico a un principio di senso comune6. Lo stesso malinteso può accadere negli incontri cui partecipano francofoni e anglofoni: per esempio, in una discussione sulla messa in atto di una misura agro-ambientale, dei negoziatori anglofoni deplorano il fatto che un altro paese fondi le sue proposte su perizie che non sono evidence-based; è sottinteso che il livello degli esperti coinvolti è giudicato insufficiente, dal momento che l’osservazione è basata sui metodi utilizzati per istruire il contenuto tecnico del dossier.
Una seconda fonte di malintesi a proposito delle riflessioni sull’Evidence-based policy deriva dal fatto che queste sono state a volte puramente e semplicemente assimilate alla difesa di un modello normativo di decisione politica ancorato alla teoria delle scelte razionali, più o meno conforme al tipo ideale del “rational comprehensive model” descritto da Linblom (1959). La situazione è in verità più complessa. Ciò che è in gioco nei dibattiti è la possibilità per i decisori pubblici di fare l’uso più giudizioso possibile delle conoscenze disponibili, indipendentemente dal posto che intendono dare a queste conoscenze nei loro processi decisionali. Così Omamo (2004) propone di parlare di Evidence-based practice per descrivere i mezzi particolari che sono messi in atto per agevolare l'accesso e l'impiego controllato delle conoscenze disponibili nella decisione pubblica, e ritiene che le riflessioni su queste pratiche - o almeno su una parte di esse - siano in un certo modo ortogonali a quelle sui modelli di decisione pubblica (modello razionale, razionalità limitata, modello incrementale, ecc.), poiché lavori condotti a partire da queste varie scuole di pensiero osservano che la decisione pubblica incontra problemi nuovi per accedere alle conoscenze disponibili ed utilizzarle, e raccomandano la mobilitazione di strumenti evidence-based. Come sottolinea S. Nutley (2003), in numerosi casi, le espressioni “evidence-informed policy” o “evidence-aware policy” sarebbero del resto più adeguate a designare il campo di questi dibattiti, ma l'espressione sintetica “evidence-based policy” si è imposta.
È per questo che parliamo qui di approcci “in termini di evidence-based policy”, in senso ampio, per esplorare i dibattiti che si sviluppano intorno a questa nozione, senza che ciò rinvii ad un modello normativo di decisione pubblica.

Pertinenza dell’estensione del campo del dibattito

L’estensione degli approcci evidence-based a nuovi campi di azione è pertinente e utile? La questione si è posta a noi, ricercatori di diverse discipline, osservando come l’emergere di nuove contraddizioni tra le politiche di sviluppo agricolo e di protezione della biodiversità (per esempio Adam et al., 2004) si traducesse nella proliferazione di norme regolamentari aventi un contenuto tecnico normativo vincolante per gli agricoltori e come, parallelamente, si moltiplicassero le dichiarazioni di preoccupazione per le difficoltà crescenti incontrate dall'intervento pubblico per informare le sue scelte con conoscenze adeguate, di cui l’affidabilità potesse essere valutata (per esempio, programma Most Unesco7; IAASTD, 2008; CE, 2007).
Si tratta quindi degli stessi tipi di problemi verificatisi nel settore della medicina? Per rispondere a questa domanda era necessario verificare, da un lato, che nell’elaborazione di misure di intervento pubblico vi fosse effettivamente una ricerca attiva di conoscenze “validate” per elaborare diversi possibili scenari, prevedere il loro impatto attraverso la messa in opera di un appropriato dispositivo di valutazione e precisare il contenuto tecnico delle misure da mettere in atto. Dall’altro, che le problematiche affrontate e le soluzioni proposte in campo medico potessero essere fonte di insegnamenti più generali.

La ricerca di conoscenze “validate” e la loro accessibilità

Abbiamo dunque testato alcuni degli strumenti elaborati dall’EBP analizzando il modo in cui è stato elaborato il contenuto tecnico di misure di intervento pubblico riguardanti contemporaneamente lo sviluppo agricolo e la protezione della biodiversità, in Francia, Sud Africa e Brasile8. Sono state realizzate delle inchieste, fondate su dati dichiarati da 83 persone ufficialmente incaricate della redazione di questi contenuti tecnici, utilizzando i principi metodologici degli approcci EBD per diagnosticare le difficoltà di accesso alle conoscenze scientifiche. Sono stati in tal modo analizzati diversi tipi di conoscenze: conoscenze scientifiche, cioè legate a una teoria, con procedure e criteri di validazione espliciti e risultati pubblicati accettati dalla comunità scientifica, in modo da garantire che le conoscenze prodotte vadano oltre la soggettività dei ricercatori (Fagot-Largeault, 2002); conoscenze tradizionali (es. i saperi tradizionali degli agricoltori), termine con cui si designano le conoscenze acquisite per osservazioni cumulative, nella pratica e nelle generazioni, da diversi tipi di attori e al di fuori di una procedura scientifica; conoscenze gestionali, derivate cioè dall’esperienza della messa in pratica delle misure di intervento (saperi degli ingegneri, dei manager)9.
I risultati mostrano che, se una parte delle persone intervistate non ha tentato di cercare delle conoscenze affidabili per prendere le sue decisioni, altri hanno cercato di appoggiarsi su conoscenze stabilite scientificamente, non per giustificare a posteriori le scelte effettuate, ma per esplicitare il ventaglio delle scelte possibili, precisare il contenuto tecnico delle misure e valutarne l’impatto potenziale sulla protezione della biodiversità e/o sul funzionamento dei diversi tipi di aziende agricole interessate. Ma per questi decisori, benché lavorino in importanti amministrazioni, principalmente ministeri, l’accesso alle conoscenze esistenti resta difficile. Ci sono in primo luogo delle ragioni materiali, particolarmente rilevanti in Francia dove l’accesso a banche dati di articoli scientifici è poco sviluppato10. Anche quando le banche dati sono accessibili, molto poche delle persone incontrate hanno il tempo e competenze11 necessarie per utilizzarle. In più, le persone interrogate dichiarano che spesso l’assenza di metodi e di conoscenze sintetiche adeguate12 impedisce di avere una visione globale dello stato dell’arte delle conoscenze esistenti e della loro affidabilità per sostenere le azioni previste.
In altri termini, come in campo medico, le persone incaricate di concepire la dimensione tecnica di scenari alternativi o di definire il contenuto tecnico di misure di intervento si trovano di fronte un universo confuso e per la maggior parte inaccessibile, al momento in cui cercano di appoggiare le loro riflessioni sulle conoscenze esistenti. Queste osservazioni corroborano quindi i risultati ottenuti in altri campi - giustizia, educazione, politiche sociali, ecc. - che hanno suscitato un’ampia riflessione sulla possibilità di sviluppare degli approcci in termini di EBP per concepire dei programmi di intervento settoriali (Nutley, 2003).

La pertinenza della trasposizione di strumenti metodologici: gli stati dell’arte sistematici secondo criteri espliciti

Constatare che i progettisti di misure regolamentari che cercano di appoggiarsi su delle conoscenze scientifiche vi hanno alla fine fatto poco ricorso porta a chiedersi quali conoscenze effettivamente disponibili avrebbero potuto essere mobilitate.
Per rispondere a questa domanda abbiamo realizzato degli stati dell’arte sugli aspetti tecnici principali delle misure oggetto di studio, secondo i metodi raccomandati negli approcci EBD, ispirati dalla fondazione Cochrane13 che propone la redazione di “stati dell’arte sistematici secondo criteri espliciti” (EASCE) (Higgins, Green, 2008). Pensavamo di poter realizzare uno stato dell’arte abbastanza completo della letteratura scientifica sugli aspetti tecnici centrali delle misure dei nostri studi di casi. Sono così stati realizzati con questo fine più test del metodo EASCE14. I risultati mostrano allo stesso tempo l’interesse del metodo e la difficoltà ad applicarlo:

  • a causa dell’eterogeneità delle forme di presentazione delle conoscenze disponibili nelle banche dati (ad esempio politiche delle parole chiave diverse secondo gli editori), la sola definizione delle richieste per ottenere una prima lista di referenze necessita da due a tre settimane di lavoro, semplicemente per calibrare le domande e assicurarsi che almeno gli articoli di cui si conosce la corrispondenza al tema rientrino nelle liste proposte;
  • l’abbondanza di pubblicazioni disponibili rappresenta un ulteriore ostacolo; una richiesta semplice sfocia in un elevato numero di referenze, anche in un universo di riviste limitato15. Inoltre l’approccio non è di tipo bibliometrico, in quanto è necessario leggere gli articoli per selezionarli e fare lo spoglio di quelli selezionati, e ciò richiede diversi mesi di lavoro anche per una questione molto circoscritta. Ad esempio nel Regno Unito nel quadro della EBC borse post dottorato sono state assegnate per realizzare stati dell’arte su questioni limitate (si veda il sito EBD dell’Università di Birmingham);
  • un’ulteriore difficoltà riguarda il fatto che l’universo delle riviste accessibili è molto diverso da un’istituzione all’altra e da un paese all’altro secondo gli abbonamenti sottoscritti. E’ quindi impossibile distribuire i compiti in modo rigoroso, in quanto la stessa ricerca da risultati diversi secondo il luogo in cui è effettuata in quanto non può essere applicata allo stesso universo;
  • la necessità di associare più campi disciplinari (es. per trattare le interazioni tra processi sociali e processi ecologici) è ugualmente fonte di difficoltà, poiché i laboratori hanno accesso a riviste sia nel campo delle scienze sociali che delle scienze della natura.

Tali difficoltà, che portano a diverse migliaia di riviste da consultare, non sono gestibili da un gruppo limitato di individui, siano ricercatori o operatori di una amministrazione. Anche in questo caso si ritrovano quindi gli stessi problemi sollevati nel campo della medicina.
I problemi incontrati nel testare il metodo EASCE non discreditano però l’approccio utilizzato; si tratta di problemi comuni a tutti gli stati dell’arte, solo in questo caso meglio formalizzati e quantificati, mentre generalmente sono passati sotto silenzio. I risultati confermano che è necessario socializzare questa riflessione in quanto la produzione di questo tipo di meta-conoscenze, che sono sempre più necessarie, non può essere presa in carico seriamente da individui il cui tempo di lavoro è dedicato principalmente ad altri compiti, sia che si tratti di coloro che predispongono i contenuti tecnici delle misure che di ricercatori. Occorre quindi interrogarsi sulla configurazione che potrebbero prendere nuove organizzazioni collettive, con personale e finanziamenti dedicati a queste attività, quali quelle messe in piedi in certi paesi (Regno Unito) o da istituzioni internazionali (Banca Mondiale, Unesco, OMS…), e riflettere sulle questioni scientifiche e politiche sollevate dalla creazione di tali organizzazioni.

La Questione della derarchizzazione delle "Prove"

Lo sviluppo delle strategie evidence-based è stato accompagnato da vivaci discussioni riguardanti l’importanza relativa da accordare alle conoscenze scientifiche e all’esperienza e i criteri di gerarchizzazione delle prove. Infatti, si tratta di un punto sensibile delle relazioni tra scienza e pratica che si ritrova in tutti i campi di azione.

La combinazione di conoscenze scientifiche e di saperi “profani”: simmetria, gerarchia o complementarietà?

E’ generalmente accettato che la decisione pubblica si basi su diversi serbatoi di conoscenze (saperi tradizionali, conoscenze gestionali basate sull’esperienza, conoscenze scientifiche, ecc.). Per prendere decisioni, queste conoscenze vanno messe sullo stesso piano, occorre stabilirne una gerarchia o ancora riconoscerle come complementari ma con proprietà epistemologiche distinte? Alcune raccomandazioni sulla coproduzione di conoscenze rivendicano una sorta di equivalenza dei saperi e cercano di collegare nell'azione conoscenze attinte da varie fonti, formalizzandole eventualmente in strumenti informatizzati d'aiuto alla decisione. Questo tipo d'approccio si sviluppa nelle politiche ambientali - in particolare per la gestione dell'acqua - in cui vengono costituiti forum ibridi che riuniscono i portavoce di gruppi di attori selezionati secondo diverse modalità. Il loro scopo è di favorire le procedure d'apprendimento per prendere delle decisioni, in un universo incerto, e fare emergere delle soluzioni consensuali (almeno tra i partecipanti diretti). Le opinioni di esperti (sui vari interessi presenti, ecc.) spesso vi sono utilizzate in sostituzione delle conoscenze in scienze sociali che mancano o sono supposte mancare16.
Gli approcci evidence-based propongono un contrappunto a tali dinamiche. In primo luogo sono fondati sull’idea che, una volta scelto di basarsi sulle conoscenze per agire, non bisogna rinunciare ad usare quelle più affidabili, la cui efficacia per l’obiettivo sia stata provata nel modo più convincente e che offrono il miglior livello di prove. Così le conoscenze gestionali, fintantoché la loro efficacia e la loro innocuità non siano state testate, non possono essere considerate come equivalenti a un’analisi basata su osservazioni costruite secondo procedure esplicite e adeguatamente testate.
Di fatto, però, occorre constatare che questa posizione fa fatica ad imporsi. Per numerosi ricercatori provenienti dalla biologia o da discipline biotecnologiche, se il ricorso ai soli saperi tradizionali solleva dubbi quando riguardano elementi che rientrano nel campo delle scienze naturali o biotecnologiche (ad esempio interazioni tra le pratiche agricole e l'inquinamento delle falde freatiche), al contrario, gli enunciati delle scienze sociali, dal momento che sono formulati in modo chiaro e letterario, sono spesso assimilati a semplici opinioni, indipendentemente dai dispositivi d'osservazione e d'analisi sui quali poggiano. Questa squalifica porta alla nascita di modelli che sono evidence-based nella loro componente ecologica e biotecnologica, ma che si basano solo su opinioni raccolte tramite approcci partecipativi per quanto riguarda le variabili rilevanti per le scienze sociali.

I tipi di prove pertinenti. Esistenza? Causalità? Efficacia? Innocuità?

La confusione che accompagna a volte il confronto tra diversi tipi di conoscenze è legata anche alla mancanza di riflessione sui tipi di prove che possono essere utilizzate per concepire, mettere in atto e valutare le politiche. Il dibattito sull’EBM ha portato a proporre differenziazioni semplici dei tipi di prove. Anche se queste distinzioni rimangono molto schematiche in rapporto agli sviluppi del pensiero filosofico su questo tema (Cartwright et al., 2007), si possono a questo proposito distinguere:

  • “prove di esistenza”: una cosa esiste (es. osservazioni naturalistiche per inscrivere delle specie in un inventario utilizzabile per la gestione della biodiversità, censimenti per enumerare una popolazione);
  • “prove di causalità”: una relazione causale viene stabilita tra due avvenimenti specifici (per esempio, tenute uguali tutte le altre condizioni, due pratiche di pascolo distinte hanno effetti diversi osservabili in modo ripetuto attraverso indicatori di biodiversità dei pascoli interessati);
  • “prove di efficacia”: un’azione produce il risultato desiderato17 (es. una misura agro-ambientale che combina sovvenzioni e obblighi regolamentari ha un effetto positivo su degli indicatori di biodiversità);
  • “prove di innocuità”: un’azione non presenta effetti negativi (es. una certa politica di protezione della biodiversità non ha effetti specificamente sfavorevoli sulle aziende agricole più povere).

Queste distinzioni hanno importanza per le politiche di sviluppo. Come in medicina è utile chiarire lo stato delle prove e le relazioni tra le stesse. In effetti, nei dibattiti che accompagnano la scelta di politiche alternative, le argomentazioni tra esistenza, causalità, efficacia ed innocuità si mischiano spesso in modo confuso. Ad esempio, le prove di causalità sono cruciali per l’elaborazione teorica e il progresso dei programmi di ricerca o per immaginare nuove forme di azione. Ma quando si tratta di valutare gli effetti di un’azione, le prove di efficacia giocano un ruolo fondamentale. E le relazioni tra prove di casualità e prove di efficacia sono complesse e discutibili.
Ad esempio, vi sono delle situazioni in cui degli interventi riescono senza che se ne conosca il motivo. Così dei risultati convergenti di meta-analisi condotte con gli approcci evidence-based mostrano che, in alcune condizioni, un trattamento con l'agopuntura contro il vomito è efficace. Questa efficacia può essere provata con tutte le precauzioni metodologiche usate negli approcci EBM18. Di conseguenza, vengono emesse delle raccomandazioni perché questa tecnica sia utilizzata, ad esempio in accompagnamento alle chemioterapie19, anche se resta difficile spiegare attraverso quali meccanismi questo punto d'agopuntura produca questo effetto. In questo caso specifico, i) il test di efficacia è effettuato anche se la causalità resta oscura, ii) essendo il test positivo, l'impiego di questo trattamento è raccomandato in un certo numero di circostanze, iii) questi test di efficacia sono effettuati per ogni tipo di patologia che l'agopuntura pretende di trattare, senza che una prova d'efficacia in un campo possa essere considerata un riconoscimento generale di quest'approccio terapeutico, in quanto i test si rivelano negativi per numerose altre patologie. Così facendo, il metodo si scosta da tre posizioni opposte: quelle che respingono l'interesse a testare saperi tradizionali o saperi legati all’esperienza fino a quando non si possano immaginare ipotesi razionali per spiegare la loro efficacia; coloro che raccomandano l'impiego di questi saperi senza subordinarli a test di efficacia preliminari; coloro che mettono allo stesso piano tutti i tipi di saperi senza porre la questione della loro affidabilità. Trasposti allo sviluppo, questi principi generali sono sempre più spesso ripresi nei testi sullo sviluppo. Il campo d'indagine così aperto è considerevole (ad esempio, necessità di testare l'efficacia di numerose pratiche agricole tradizionali per il raggiungimento di obiettivi di protezione ambientale, cfr IAASTD, 2008).
In molte situazioni le cause sono troppo intrecciate perché sia possibile prevedere l’efficacia di una forma di intervento. Questo fenomeno è conosciuto molto bene in EBM con le malattie a causalità multifattoriale così come nell’analisi delle relazioni scienza/politica (Weber, 1919). Una teoria scientifica, per quanto sofisticata, deriva sempre da una riduzione metodologica e non può avere l’ambizione di rendere conto dell’infinità di cause che producono un avvenimento reale. La progressione delle teorie scientifiche descrive sempre delle relazioni di causalità limitata. Queste possono aiutare ad immaginare forme di azione ma, nella maggior parte dei casi, sono insufficienti per fondare da sole delle politiche la cui efficacia sia garantita. Così, a proposito delle politiche agro-ambientali, Sutherland et al. (2006) mostrano che le domande di politiche riguardano fenomeni dalle causalità troppo complesse per permettere una risposta nel registro evidence-based. Se qualche raro autore difende l’idea che gli approcci evidence-based debbano essere usati con funzione normativa, è generalmente accettato che questi approcci non hanno il compito di definire le politiche, ma solo di chiarirle (Nutley, 2003). Proprio per tener conto di questo iato irriducibile molti testi internazionali (il programma Most dell’Unesco, IAASTD, ecc.) raccomandano la coesistenza di diverse forme di relazione tra scienza e decisione pubblica, così che, per esempio, le discipline delle scienze sociali forniscano le conoscenze scientifiche sui meccanismi che sottendono alle trasformazioni economiche e sociali per alimentare discussioni in forum ibridi, in cui interagiscano diversi tipi di conoscenze.
Però la questione della valutazione dell’efficacia dell’intervento pubblico non può essere elusa. In effetti, anche se non si conoscono molto bene i meccanismi per cui un’azione produce i suoi effetti, questi ultimi possono essere descritti, misurati e comparati agli obiettivi. Per questo numerosi approcci evidence-based propongono delle metodologie per produrre prove d’efficacia di alcune forme di intervento pubblico, quando ciò è giudicato necessario e pertinente. Rimanendo ai nostri studi di casi, le analisi svolte nei tre paesi del programma mostrano che le forme di valutazione previste riguardano sempre i mezzi utilizzati (budget, numero di aziende agricole, ecc.) ma mai l’impatto effettivo rispetto agli obiettivi di partenza (conservazione della biodiversità effettivamente misurata, articolazione degli obiettivi sociali ed ambientali, ecc.). Questi risultati confermano recenti analisi che hanno mostrato l’incapacità di fornire delle prove di efficacia delle politiche agro-ambientali europee, nonostante l’ampiezza del budget che le riguarda (Kleinj, Sutherland, 2003). Infatti, tutto funziona come se il fatto di aver concepito delle misure di intervento a partire da relazioni teoriche di causalità sia considerato sufficiente per garantirne l’effetto. Queste constatazioni e i dibattiti che le accompagnano invitano al rinnovamento degli approcci di valutazione, per valutare l’impatto effettivo dell’intervento pubblico indipendentemente dagli schemi di causalità che lo sottintendono.

La gerarchizzazione delle prove

La riflessione sulla differenziazione delle conoscenze non si limita a distinguere tra diversi tipi di saperi e di prove. Una parte importante della riflessione EBM riguarda anche la gerarchizzazione dei livelli di prove, per uno stesso tipo di prova. Per esempio non tutti i protocolli sono equivalenti per produrre una prova di efficacia e le procedure EBM propongono classificazioni mirate a determinare la qualità delle prove prodotte per ordine crescente di affidabilità. La tabella seguente presenta l’esempio di una tale classificazione e della sua trasposizione ad oggetti di ricerca sullo sviluppo durevole.

* Verifiche cliniche che implicano almeno un trattamento di controllo (per esempio placebo), delle misure specifiche dei risultati per valutare il trattamento studiato e un metodo imparziale per includere i pazienti nell’analisi (“randomizzazione” = selezione aleatoria).

L’idea stessa di questa classificazione non è banale. Dalle nostre indagini abbiamo osservato che non tutti sono dotati degli strumenti metodologici che permettono di ordinare gerarchicamente la qualità delle conoscenze scientifiche cui hanno accesso, mentre questi strumenti si possono apprendere. Allo stesso tempo molti articoli scientifici offrono poche informazioni su come le conoscenze sono state effettivamente prodotte, sui loro limiti di validità empirica e forniscono prescrizioni più che dimostrare dei risultati.
Ma la semplicità apparente di questo principio di gerarchizzazione non deve mascherare che suscita molte questioni dal momento che si devono combinare vari tipi di prove. In effetti, secondo l'approccio teorico, secondo la disciplina, secondo l'oggetto trattato, è più o meno facile costruire prove di livello elevato e lo statuto di metodo di riferimento (“gold standard”) dei risultati ottenuti grazie a verifiche randomizzate controllate è fonte di numerose controversie. Così, l’introduzione di questa norma nei dibattiti può facilmente tradursi in un'esclusione delle conoscenze apportate dalle scienze sociali, con l'argomentazione che i livelli di prova forniti sono meno elevati che in ecologia o in medicina. Il problema può anche porsi nell'ambito di una stessa disciplina. Ad esempio, in ecologia, lo studio della colonizzazione di habitat favorevoli per la fauna e la flora è fatto in condizioni empiriche diverse: si possono fare prove randomizzate a livello di parcella, ma non a livello di paesaggio, che è tuttavia il livello al quale occorre essere efficaci per gestire la biodiversità20. Questa questione si pone anche in modo molto acuto per apprezzare l'importanza relativa che è conveniente attribuire ad alcuni risultati di economia dello sviluppo che traspongono il metodo delle verifiche randomizzate controllate alle scienze sociali (ad esempio Chattopadhyay, Duflo, 2004), mentre questo metodo può essere applicato soltanto ad un numero molto limitato di situazioni. Occorre dunque guardarsi dalla tentazione di privilegiare le prove di livello elevato a scapito delle prove pertinenti per l'azione prevista. Per le politiche di sviluppo, che devono spesso mobilitare conoscenze di fonti diverse, questa questione della concorrenza tra prove diviene una sfida fondamentale.

Considerazioni Conclusive

Invitando ad analizzare da vicino gli approcci evidence-based, non vogliamo farne l’apologia o difendere l’idea che abbiano la vocazione a divenire egemonici. Ma vogliamo segnalare come abbiano sollevato un gran numero di questioni pertinenti. Il regime di accesso alle conoscenze scientifiche si è trasformato profondamente. Ne risultano delle difficoltà e delle sfide scientifiche, sociali e politiche nuove, che non possono essere ignorate, quali che siano le scuole di pensiero a cui si fa riferimento per analizzare come le conoscenze scientifiche entrano nell’elaborazione delle politiche pubbliche. I dibattiti che si sono sviluppati intorno agli approcci evidence-based invitano a una riflessione di fondo su queste trasformazioni, sul modo in cui possono essere prodotte, valutate e rese accessibili delle conoscenze e meta-conoscenze affidabili per l’aiuto alla decisione pubblica.
Si disegna quindi un vasto campo di ricerca. Per l’agenda di ricerca così aperta più punti sembrano fondamentali.
In primo luogo occorre realizzare un importante lavoro metodologico per riappropriarsi degli strumenti della cassetta degli attrezzi evidence-based, testarli nel campo delle politiche dello sviluppo, misurarne i vantaggi e i limiti, formalizzare le scelte concettuali che sottendono la costruzione di diversi strumenti e meta-conoscenze e condividere la riflessione tra ricercatori, studenti e gli altri attori coinvolti. Numerosi dibattiti riguardano i metodi propriamente detti (ad esempio, le procedure di campionamento per condurre osservazioni controllate) ma questi non sono il solo campo sensibile. L'elaborazione teorica che accompagna il dibattito sulle EBP progredisce generalmente a partire dall'analisi di conoscenze disciplinari ed in una prospettiva “unitaria” della scienza. Ma, in ogni disciplina, coesistono approcci teorici eterogenei, ciascuno avente delle zone grigie specifiche, legate al modo in cui semplifica la realtà per costruire i suoi oggetti (Berthelot, 2001; Cartwright, 1999; Mitchell; 2002). Per il momento questa pluralità delle teorie è generalmente relegata in una scatola nera. Così facendo, i limiti di ogni teoria sono passati sotto silenzio, proprio quando lasciano alcune leve d'azione fuori del campo della loro analisi (ad esempio diverse forme di regolazione istituzionale per degli approcci economici che lasciano le istituzioni al di fuori dei loro modelli).
Diviene inoltre urgente trattare le cause intrinseche per cui lo iato tra ricerca e decisione pubblica si sta approfondendo. Le prove necessarie al progresso delle teorie possono essere infatti radicalmente diverse rispetto a quelle utili per l’azione. In generale sarebbe utile che i limiti delle conoscenze candidate a supportare le decisioni siano esplicitati (per esempio debole contenuto empirico dei modelli su cui si basano le “prove” proposte, assenza di prove di innocuità, ecc.) e che tali limiti possano essere tenuti in conto sia per la programmazione delle ricerche che per la loro utilizzazione. Ciò riguarda le conoscenze derivate dalla ricerca, ma anche le conoscenze co-prodotte combinando diversi tipi di saperi.
L’emergere di un nuovo campo di conoscenze, incentrato sulla produzione di meta-conoscenze come interfaccia tra scienza e società, è anche portatore di sfide etiche e di potere che occorre analizzare. Le conseguenze di scelte metodologiche alternative devono essere ulteriormente esplorate nel campo delle politiche per lo sviluppo. Si tratta ad esempio, per gli approcci EBP, degli effetti di discriminazione nell'attuazione di metodi sperimentali di valutazione (tipo di popolazione considerata per costruire le prove d'efficacia, questioni etiche poste dallo statuto del “gruppo testimone” quando la misura risulta efficace in una situazione in cui le persone sono in stato di miseria o di pericolo, ecc.).
Occorre ugualmente studiare come diverse configurazioni istituzionali contribuiscano a determinare il modo in cui possono essere regolati i problemi di concorrenza tra prove, analizzare le capacità ineguali di stati e gruppi sociali di impadronirsi di queste riflessioni e mettere in campo i mezzi materiali necessari per predisporre i dispositivi concreti che permettano di accedere alle conoscenze disponibili e di costruire meta-conoscenze in grado di far valere e difendere i propri interessi (banche dati, riviste on-line, équipe di statistici, borse di studio per realizzare rassegne sistematiche, ecc.).
Occorre infine riposizionare questi approcci in una prospettiva più ampia, che permetta di comparare vantaggi e limiti delle differenti forme con cui le conoscenze scientifiche possono entrare nella decisione pubblica (approcci partecipativi, expertise, ecc).
E questa lista non è esaustiva. L’agenda di ricerca è appena aperta.
La riflessione sulla scelta delle prove da utilizzare per diversi tipi di obiettivi, che è oggetto di numerosi sviluppi, è qui appena sfiorata. Ma questi esempi mostrano come abbia una portata ben più ampia dello stretto campo della medicina. Più che un insieme di norme, emerge la proposizione di griglie di analisi in grado di individuare il tipo di prova adeguata alle diverse tappe dell’azione (diagnosi, ideazione delle misure, messa in opera, valutazione) e i tipi di prove apportati (o richiesti) dai diversi attori. Se tali griglie di analisi non risolvono il problema della concorrenza tra prove, esse possono quantomeno contribuire a fare chiarezza. Anche se questa questione della concorrenza tra prove resta centrale, non vi è alcuna tentazione relativista nelle pratiche evidence-based così esplorate. Le esigenze di validazione delle conoscenze scientifiche danno alle stesse uno statuto particolare per fondare le scelte operative, anche se le decisioni non possono praticamente mai essere basate solo su di esse. Pertanto le riflessioni sui tipi di prove fanno emergere come non ci sia necessariamente convergenza tra gli obiettivi delle ricerche principalmente teoriche e di quelle necessarie per l’azione: le prove di efficacia e innocuità, cruciali per scegliere azioni alternative, possono essere di interesse limitato per il progresso delle teorie, così come le prove di causalità, fondamentali per la ricerca teorica, sono spesso prodotte in situazioni controllate molto lontane dalle condizioni della pratica. Lo stesso vale per la corroborazione ai fatti. I difensori degli approcci EBP sostengono che questa è cruciale per l’azione e gli approcci in termini di EBP sono profondamente ancorati alla verifica empirica. Per questo alcuni approcci evidence-based si sviluppano ai margini delle linee di ricerca dominanti, specialmente in economia. Gli apporti che ci si può attendere da essi per la progressione teorica sono quindi ineguali secondo le linee di ricerca. Possono contribuire al progresso delle teorie quando queste sono attente alla verifica di ipotesi realistiche, ma possono restare relativamente scollegati dal cuore della produzione accademica quando le teorie si esonerano da questo legame agli aspetti empirici. Le informazioni di ritorno a beneficio della teoria degli approcci EBP possono allo stesso modo essere limitati quando apportano prove di efficacia di alcune azioni senza che progressi teorici sui meccanismi soggiacenti permettano di spiegare le cause di quest'efficacia.
Ma proprio perché non vi è una convergenza “naturale” tra produzione e uso delle conoscenze scientifiche, la creazione di strumenti specifici è necessaria per meglio collegare ricerca e decisione pubblica, senza rinunciare al principio stesso che la produzione di conoscenze scientifiche abbia delle proprietà epistemologiche peculiari, anche nelle scienze sociali.

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  • Weber M., 1959 (1919), Le savant et le politique, préface de R. Aron, Paris, Plon

  • 1. L’articolo è il frutto di un programma di ricerca (EBP-Biosoc) coordinato da C. Laurent e finanziato dall’Agenzia nazionale della ricerca (ANR) francese. È pubblicato sulla rivista Revue Tiers Monde, n.200, ottobre-dicembre 2009, con il titolo “Pourquoi s’intéresser à la notion d" «evidence-based policy»?”. Traduzione e adattamento dal francese di Emilio Chiodo.
  • 2. Si veda ad esempio la base dati della fondazione Cochrane sugli stati dell’arte sistematici: [link]
  • 3. Il ragionamento è differente quando la questione sia relativa a una diagnosi e non a un trattamento.
  • 4. Si vedano, ad esempio, nel campo delle politiche di conservazione della biodiversità (evidence-based conservation) le riflessioni su questo tema (Pullin et al, 2004; Sutherland et al, 2004) e il sito dell’Università di Birmingham dedicato a questo tema o, ancora, sulle problematiche dello sviluppo, The coalition for Evidence-based policy (The Council for Excellence in Government, Washington, USA), sito “Evidence-based policy helpdesk”.
  • 5. Le nostre osservazioni sull’elaborazione di programmi agro-ambientali mostrano che vengono fatti riferimenti a questi approcci in Sud Africa, ma per niente in Brasile e quasi per niente in Francia.
  • 6. Abbiamo notato la stessa cosa nelle traduzioni di testi internazionali in spagnolo, portoghese o cinese (cfr. annexe Laurent, Baudry et al., 2008).
  • 7. [link]
  • 8. In Francia, la misura Natura 2000, una misura relativa all’eco-condizionalità del I Pilastro della PAC (Superfici con coperture ambientali) e una del II Pilastro (Contratti d’agricoltura durevole). In Africa del Sud, il programma di lavori pubblici Working for water. In Brasile, tre misure per la protezione della foresta Atlantica nello Stato di Rio. Il metodo e i risultati sono descritti in dettaglio in Laurent, Giraud et al, 2008.
  • 9. Per una riflessione dettagliata sui tipi di conoscenze mobilitati da uno studio di caso sulla preservazione della biodiversità, si veda ad esempio A. Selmi (2006).
  • 10. Nel nostro studio, i servizi dei ministeri francesi interessati non avevano accesso alle banche dati di articoli scientifici (Web of Science, Jstor, Econlit, ecc.) al momento dell’indagine (2007). La situazione è differente in Sud Africa (accesso alle banche dati grazie a un accordo istituzionale con l’Università del Capo) e in Brasile (accesso a numerose pubblicazioni principalmente nella banca dati Scielo a libero accesso e abbonamenti pagati dal Governo brasiliano).
  • 11. Formazione di base alla ricerca bibliografica.
  • 12. È principalmente citata spontaneamente all’inizio dell’intervista la mancanza di stati dell’arte attualizzati che facciano il bilancio delle conoscenze disponibili, precisando il loro campo di validità e lo stato delle controversie.
  • 13. La Cochrane Collaboration è una organizzazione internazionale no-profit nata nel 1993 con lo scopo di raccogliere, valutare criticamente e diffondere le informazioni relative alla efficacia degli interventi sanitari (N.d.T.)
  • 14. Sono stati realizzati dei test dai ricercatori e diversi stage di studenti vi sono stati dedicati, guidati da Burel, Carneiro, Guedes Brunei, Laurent, Leite, Ricroch e Tinel (Agerber, Clermont, 2007; Boiron, 2007; Gonzalez-Sigler, 2007; Sureau, 2007; Rente, Leao, 2007; Pinheiro Medeiros, 2007; Toulouse, Dekeuwer, 2008).
  • 15. La richiesta “agricoltura & biodiversità” da luogo a più di 8.000 referenze sulla sola base Web of knowledge.
  • 16. In occasione delle nostre indagini, nei tre paesi, persone interrogate hanno indicato di avere cercato - invano - dei dati in scienze sociali per tentare di prevedere l'impatto sociale delle misure analizzate. Tuttavia, si osserva anche che i rappresentanti delle scienze sociali competenti nel campo di indagine non sono sempre invitati quando si tratta di fare il bilancio delle conoscenze utilizzabili per progettare delle misure agro-ambientali.
  • 17. Questione che si declina in efficacy (può funzionare?), effectiveness (funziona nella pratica?) ed efficiency (è una buona soluzione tenuto conto delle risorse di cui si dispone?) (Cochrane, 1972).
  • 18. Al contrario, numerosi altri test (effetti dell’agopuntura sull’epilessia, sui dolori lombari, ecc.) danno risultati negativi o giungono alla conclusione che mancano i dati di qualità per produrre delle meta-analisi di qualità sufficiente per provare l’efficacia del trattamento.
  • 19. Cfr. Cochrane (1972), “agopuntura”.
  • 20. Systematic Review 11 - The Effectiveness of Land-Based Schemes (incl. Agri-Environment) at Conserving Farmland Bird Densities within the U.K. [link].
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