Capitale umano e produttività del lavoro agricolo nelle regioni dell’Unione Europea

Capitale umano e produttività del lavoro agricolo nelle regioni dell’Unione Europea
a Università di Foggia, Dipartimento PRIME
b Università di Napoli "Federico II", Dipartimento di Economia e Politica Agraria

Introduzione (1)

La qualità e la produttività dei servizi di lavoro che un individuo offre, sinteticamente denominati stock di capitale umano, derivano da attributi personali, quali forza fisica, abilità innata, salute, istruzione, formazione professionale ed esperienza lavorativa (Antonelli e Guidetti, 2008).
La letteratura economica e, in particolare, i modelli di crescita endogena, assegnano al capitale umano il ruolo di motore della crescita, cui va essenzialmente attribuito il circolo virtuoso che endogenamente alimenta il processo di crescita. In tali modelli, il processo di sviluppo è considerato quale risultato di forze endogene molteplici e interrelate, operanti all’interno di un sistema economico. Fra tali forze, il capitale umano assume un ruolo prioritario attraverso gli effetti di spillover sulla produttività delle risorse impiegate nel processo produttivo.
Schultz (1961) è il primo studioso ad evidenziare il contributo del capitale umano al processo di crescita e di sviluppo economico nel contesto degli studi di contabilità della crescita. Successivamente, a partire dai contributi seminali di Lucas (1988; 1993), il capitale umano, sia quello accumulato nel corso del processo produttivo che quello accumulato nel percorso educativo formale, è descritto come fonte endogena di progresso tecnico, sia esso attuato intenzionalmente dalle imprese o non intenzionalmente causato da esternalità (Carillo e Zazzaro, 2001; Carillo et al. 2008).
Più precisamente, il capitale umano produce due effetti: uno interno, di aumento della produttività del lavoro, derivante dalla accresciuta abilità ed efficienza del lavoratore più istruito; il secondo è un’esternalità che consiste nel miglioramento della produttività media di tutti i lavoratori coinvolti nell’attività produttiva. Questo effetto indiretto di spillover rende tutti gli altri addetti più produttivi, a seguito dell’accumulazione di capitale umano che un singolo individuo utilizza nella produzione; tale effetto comporta un aumento del livello medio del capitale umano esistente ed è non intenzionale nel senso che dipende dal modo in cui il lavoratore istruito interagisce con coloro che gli operano intorno. Lo spillover è tanto più forte quanto maggiore è il differenziale di capitale umano tra lavoratore istruito e coloro con cui interagisce (Weir e Knight, 2000). A livello aggregato, tali sinergie danno luogo a rendimenti di scala crescenti (Lucas, 1988) e generano un processo di crescita endogeno.
L’evidenza empirica conferma il ruolo dell’accumulazione di capitale umano nella crescita economica delle regioni italiane centro-settentrionali ma non di quelle meridionali (Mattana e Piras, 2008).
Verifiche empiriche dell’effetto del capitale umano sulla produttività delle risorse impiegate nell’agricoltura italiana sono state già effettuate (Maietta, 2004). E’ noto come il livello di capitale umano nell’agricoltura italiana sia basso, in assoluto e rispetto a quello di altri settori, e come ciò possa ritardare la domanda di innovazioni altamente competitive per la produzione di alimenti ma anche di energia e di servizi. Per fornire un rapido esempio, dai dati dell’ultimo censimento dell’agricoltura, risulta che solo l’1% delle aziende agricole possiede attrezzature informatiche; è altrettanto noto che sono state esigue le risorse destinate a favorire il ricambio generazionale in agricoltura e, indirettamente, un aumento del livello di istruzione dei conduttori di aziende agricole (Finuola et al., 2006).
D’altro canto, le competenze professionali richieste agli imprenditori agricoli dai mutati scenari di politica comunitaria sono molto complesse, comprendendo non solo conoscenze tecniche ma anche la capacità di acquisire rapidamente nuove conoscenze o di attivarsi per produrle, analogo discorso vale per le competenze professionali dei consulenti aziendali, privati o pubblici, molto spesso obsolete o incomplete per la funzione di trasferimento tecnologico richiesta a tale figura professionale.
In questo lavoro, dopo aver descritto la localizzazione del capitale umano nell’agricoltura delle regioni europee e verificato la posizione delle regioni italiane a tal riguardo, si analizzerà la relazione tra capitale umano e produttività del lavoro agricolo. In particolare, utilizzando i dati, prevalentemente di fonte EUROSTAT, riferiti alle regioni livello NUTS2 e relativi all’anno 2005, sarà effettuata una regressione per isolare l’effetto di questa variabile da altre suggerite in letteratura.

Il capitale umano nell’agricoltura delle regioni dell’Unione Europea

La variabile utilizzata per esprimere la dotazione di capitale umano nell’agricoltura delle regioni dell’UE 27, è la percentuale di conduttori di aziende agricole in possesso di titoli d’istruzione, secondaria o terziaria, specifici per il settore. Analizzando la tabella 1, si evince che in media il 35% dei conduttori delle aziende agricole nelle regioni europee possiede un livello di istruzione specifica secondaria o terziaria; si osserva, tuttavia, un’elevata variabilità passando da regioni quali Berlin e Flevoland, con valori uguali o superiori al 90%, a Malta del tutto priva di conduttori con titolo di istruzione secondaria o terziaria.

Tabella 1 - Statistiche descrittive della percentuale di conduttori di aziende agricole in possesso di istruzione secondaria o terziaria nelle regioni europee N. osservazioni 266 -

Fonte: Farm Structure Survey, EUROSTAT

Un’analisi più approfondita della variabile è consentita dalla figura 1, in cui sulle ascisse sono riportate le regioni ordinate in senso crescente di livello di istruzione e sulle ordinate le rispettive percentuali di conduttori in possesso dei titoli di istruzione suddetti.

Figura 1 - La percentuale dei conduttori di aziende agricole in possesso di istruzione secondaria o terziaria nelle regioni dell’UE

La numerosità delle osservazioni non consente una lettura agevole della figura; per tale motivo, non sono stati riportati i nomi sovrapposti e sono state separate le osservazioni “estreme”, ossia le regioni che rientrano nella coda superiore e nella coda inferiore della variabile di istruzione, code individuate sommando e sottraendo rispettivamente al valore medio della variabile di istruzione la sua deviazione standard.
La prima coda (Figura 2) è formata dalle regioni con una maggiore dotazione di capitale umano (con valori della variabile considerata uguali o superiori al 60%), in cui risiedono l’11% degli addetti agricoli dell’Unione Europea, quasi il 5% di aziende agricole e il 16% dei conduttori istruiti; inoltre, il rapporto tra agricoltori giovani (meno di 35 anni) e anziani (più di 55 anni) è in media di 1 a 4. Si tratta, prevalentemente, di regioni appartenenti alla Germania (32), ai Paesi Bassi (12), alla Francia (10) ed all’Austria (3).

Figura 2 – Le regioni europee nella coda superiore della distribuzione dell’istruzione dei conduttori di aziende agricole

La seconda coda (Figura 3) è formata dalle regioni con livelli di istruzione al di sotto della media europea (valori uguali o inferiori all’11%). In tali regioni risiedono il 45% degli addetti in agricoltura, il 55% delle aziende ma solo il 20% di conduttori istruiti; inoltre, il rapporto tra agricoltori giovani e anziani è, in media, di circa 1 a 10 (per la precisione i giovani sono l’8%). Si tratta di diverse regioni appartenenti ai nuovi Stati membri che, come è noto, sono caratterizzati da condizioni socioeconomiche meno fortunate. In particolare, ci si riferisce ad alcune regioni della Bulgaria (6), della Romania (8), dell’Ungheria (2), a Malta e a Cipro. Rientrano, inoltre, in questa frangia diverse regioni della Spagna (15), della Grecia (12), dell’Italia (10) e del Portogallo (5), oltre a due regioni della Francia e del Regno Unito.
Nello specifico, le regioni italiane che rientrano in questa frangia sono: Liguria, Lazio e Marche (con il 9% di conduttori istruiti), seguite da Basilicata, Campania e Sicilia (8%), Umbria (7%) e infine Puglia, Molise e Calabria (con valori, rispettivamente, pari a 6%, 6% e 4%) (Tabella 2). Dalla lettura della tabella appare evidente che la presenza, relativamente recente, di facoltà di Agraria nelle regioni meridionali, che avrebbero dovuto assicurare un forte legame con il territorio, non abbia avuto un effetto significativo sulla percentuale di conduttori di aziende agricole con titolo d’istruzione superiore.

Tabella 2 - Conduttori di aziende agricole in possesso di istruzione secondaria o terziaria nelle regioni italiane

Figura 3 - Le regioni europee nella coda inferiore della distribuzione dell’istruzione dei conduttori di aziende agricole

Infine, appare interessante esaminare l’evoluzione delle variabili relative al capitale umano in agricoltura e nell’intera economia in funzione dei successivi allargamenti dell’Unione Europea. Nello specifico, oltre alla percentuale di conduttori di aziende agricole con istruzione secondaria o terziaria, le variabili utilizzate per analizzare la dotazione di capitale umano sono la percentuale di adulti (25-64 anni) che frequentano scuole e corsi di formazione nelle aree rurali e la percentuale di adulti in possesso di diploma o di laurea.

Tabella 3 – Valori medi del livello di capitale umano per i diversi aggregati dell’UE

Fonte: EUROSTAT

L’analisi della tabella 3 evidenzia che i valori medi della percentuale di conduttori agricoli con diploma o laurea presentano un andamento decrescente man mano che si aggiungono altri stati; viceversa, il livello di istruzione nell’intera economia non è fortemente dissimile tra i vari aggregati esaminati. Tale evoluzione, che può risultare coerente con le aspettative relative all’aggiunta dei paesi PECO, quindi nel passaggio da UE-15 a UE-25 e a UE-27, sembra suggerire che la maggiore redditività dell’agricoltura comunitaria, assicurata dal sostegno pubblico, abbia consentito di trattenere capitale umano nel settore primario o almeno di limitarne la fuoriuscita. L’interpretazione proposta è supportata dal confronto con l’andamento del livello di capitale umano relativamente a tutta la popolazione: la distanza tra il livello di istruzione in agricoltura e quello dell’intera economia regionale è minima per i paesi firmatari del Trattato di Roma e si amplia progressivamente, al ridursi dell’appartenenza della regione all’UE. Il grado medio di ‘capitalizzazione’ umana nelle aree rurali delle nazioni firmatarie del Trattato è, quindi, relativamente alto: ciò spiega il valore inferiore della percentuale di adulti che seguono corsi di formazione professionale rispetto agli altri aggregati territoriali considerati.

La relazione tra capitale umano e produttività del lavoro agricolo nelle regioni dell’Unione Europea

In questo paragrafo vengono riportati i risultati di un’analisi di regressione della produttività del lavoro sugli indicatori di capitale umano e sulle variabili, le cui statistiche descrittive sono riportate nella tabella 4. La produttività del lavoro è espressa dal valore aggiunto per unità lavorativa annua (ULA), deflazionato con un indice di prezzi in base 2000, così come il valore dello stock di capitale fisico.

Tabella 4 - Statistiche descrittive delle variabili utilizzate nella regressione

Fonte: Cambridge Econometrics, EUROSTAT, OECD

I regressori, sono variabili utilizzate nella contabilità della crescita: lo stock di capitale fisico e umano per addetto, lo stock di capitale pubblico, lo stock di capitale tecnologico (R&S) e quello di capitale sociale. A queste sono state aggiunte variabili connesse alla struttura agraria e al grado di sviluppo economico, importanti ai fini della determinazione della relazione tra capitale umano e produttività delle risorse impiegate in agricoltura (Maietta, 2004). Tra le variabili di sviluppo economico regionale sono state verificate in alternativa, il prodotto interno lordo pro-capite, la spesa per consumi familiari pro-capite e il grado di terziarizzazione dell’economia. Solo quest’ultima variabile è risultata significativa; per caratterizzare meglio il grado di terziarizzazione dell’economia regionale, è stata, quindi, aggiunta anche la variabile relativa alla ricettività turistica. Non sono risultate significative le variabili di capitale tecnologico, approssimato sia con l’intensità regionale in R&S che con il numero di brevetti, relativi al settore agricolo, così come la variabile di capitale pubblico, rappresentato dalle infrastrutture fisiche; tali variabili sono state omesse nella specificazione finale per evitare di perdere osservazioni a causa dei dati mancanti. Per lo stesso motivo, tra le variabili di capitale sociale sperimentate, è stata riportata solo quella risultata significativa. Infine, è stata aggiunta una dicotomica per le aree prevalentemente rurali (2).
I risultati della regressione sono riportati nella tabella 5. La specificazione delle variabili è in logaritmi, ciò significa che è possibile leggere i coefficienti della regressione come elasticità della produttività del lavoro rispetto alle variabili indipendenti.
La qualità statistica della regressione è buona a giudicare dal valore dell’R2; tutte le variabili sono altamente significative.

Tabella 5 - I risultati della regressione. Variabile dipendente Log(Va/Ula)

*** significativa all’1% ** significativa al 5%

Le variabili che presentano una maggiore elasticità sono il livello di sviluppo economico (0.64), colto dal grado di terziarizzazione dell’economia regionale, e il grado d’integrazione verticale (0.36), rappresentato dal peso dell’occupazione nel settore alimentare sul totale dell’occupazione nel sistema agro-alimentare.
Tra le variabili settoriali, risultano rilevanti il contesto istituzionale, rappresentato dagli anni di appartenenza all’Unione Europea (0.19), e la struttura aziendale: in particolare, la presenza di grandi imprese (0.18), il grado di capitalizzazione fisica (0.13) ed umana (0.11).
Tra le variabili di segno negativo, sono significative il peso dell’area agricola sul territorio, la percentuale di pascoli sull’area agricola, il livello di criminalità contro la proprietà, che probabilmente coglie anche il recente diffondersi della criminalità organizzata in agricoltura, la dicotomica di area prevalentemente rurale e la ricettività turistica, che denota una più spiccata vocazione turistica regionale.

Conclusioni

Scopo di questo lavoro è stato di verificare la localizzazione del capitale umano nell’agricoltura delle regioni dell’Unione Europea e la relazione tra questa variabile e la produttività del lavoro agricolo.
In generale, la distanza tra il livello di istruzione in agricoltura, approssimato dalla percentuale di conduttori di aziende con diploma o laurea, e quello dell’intera economia, approssimato dalla percentuale di adulti con diploma o laurea, è minima per i paesi firmatari del Trattato di Roma e si amplia progressivamente, al ridursi dell’appartenenza della regione all’UE. Rispetto alle altre regioni europee, la dotazione di capitale umano in agricoltura è bassa nelle regioni dell’Italia meridionale e media in quelle dell’Italia centro-settentrionale.
Un’interpretazione compatibile con l’evidenza fornita è che la maggiore redditività dell’agricoltura comunitaria, assicurata dal sostegno pubblico, abbia consentito di trattenere capitale umano nel settore primario delle regioni con strutture agrarie più forti. In quelle con strutture agrarie più deboli, lo stesso sostegno pubblico ha comunque consentito la sopravvivenza di un’agricoltura incapace di accumulare capitale umano.
L’importanza del contesto istituzionale è confermata dai risultati della regressione che mostrano una relazione positiva e considerevole tra produttività del lavoro agricolo ed anni di appartenenza della regione all’Unione Europea, sebbene le variabili con maggiore elasticità siano il grado di terziarizzazione dell’economia e il grado d’integrazione verticale del sistema agro-alimentare.
La relazione tra capitale umano e produttività del lavoro è anch’essa importante con un’elasticità positiva e paragonabile a quella del capitale fisico e tale da annullare l’effetto negativo di una minore dotazione di capitale sociale.
I risultati ottenuti confermano l’importanza della formazione di capitale umano in agricoltura nell’offerta di appropriate competenze a giovani imprenditori, preparati nella conoscenza, pronti alla competizione internazionale e in grado di interagire con enti di ricerca nella richiesta di innovazioni adatte alle esigenze delle proprie aziende. Quanto detto vale, in particolare, per le regioni meridionali, in cui nonostante l’abbassamento del costo privato di investimento in capitale umano, dovuto alla presenza di sedi universitarie regionali, il livello medio di istruzione in agricoltura risulta ancora molto basso.

Note

(1) Si ringraziano vivamente Brunella Boselli, Beatrice Camaioni, Pol Marquer, Stefano Pascucci e Alberto Zezza, per l’aiuto fornito nella ricerca dei dati e Francesco Pecci e i tre referee anonimi per i preziosi suggerimenti. Di responsabilità delle autrici restano, ovviamente, eventuali errori od omissioni. Sebbene il lavoro sia frutto di riflessione comune, B. De Devitiis ha scritto il secondo paragrafo.
(2) e O.W. Maietta i rimanenti. 2 Secondo la definizione dell’OECD, una regione è prevalentemente rurale se più del 50% della popolazione risiede in aree rurali (con una densità demografica inferiore a 150 abitanti/km2) (AA.VV., 2007).

Riferimenti bibliografici

  • AA.VV. (2007), Rural Households’ Livelihood and Well-Being, United Nations, New York.
  • Antonelli G., Guidetti G. (2008), Economia del lavoro e delle risorse umane, UTET, Torino.
  • Carillo M.R., Moro B., Papagni E., Vinci S. (2008), Dualismo, nuove teorie della crescita e sviluppo del Mezzogiorno, Il Mulino, Bologna.
  • Carillo M.R., Zazzaro A. (2001), Istituzioni, capitale umano e sviluppo del Mezzogiorno, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli.
  • Finuola R., Giarè F., Marotta M. (2006), “Gli aspetti qualitativi del capitale umano in agricoltura”, in Vieri S., Prestamburgo M., Marotta M. (a cura di), L’agricoltura italiana. Sfide e prospettive di un settore vitale per l’economia della nazione, INEA, Roma.
  • Lucas R.E. (1988), “On the mechanics of economic development”, Journal of Monetary Economics, 22, 3-42.
  • Lucas R.E. (1993), “Making a Miracle”, Econometrica, 61, 251-272.
  • Maietta O.W. (2004), “Crescita della produttività e capitale umano nell'agricoltura italiana: un’analisi con dati provinciali dal 1951 al 1991”, La Questione Agraria, 4, 105-140.
  • Mattana P., Piras R. (2008), “Il contributo del capitale umano al processo di crescita: nuovi risultati per l’Italia da un panel di dati regionali”, in Carillo et al, op. cit.
  • Schultz T.W. (1961), “Investment in human capital”, American Economic Review, 51, 1-17.
  • Weir S., Knight J. (2000), “Education externalities in rural Ethiopia: evidence from average and stochastic frontier production functions”, Centre for the Study of African Economies, Oxford University.
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