Ho accolto con qualche esitazione l’invito di Franco Sotte a condurre una riflessione sull’area tematica “Economia dell’azienda agraria”, prendendo le mosse dal manuale di Michele De Benedictis e Vincenzo Cosentino (DBC) – L’economia dell’azienda agraria – Teoria e metodi (Il Mulino, 1979) – un testo che oggi si colloca sulla soglia dei trent’anni dalla sua pubblicazione. L’esitazione era dovuta soprattutto al fatto che da troppo tempo ormai i miei interessi di studio e di ricerca si erano diretti verso altre direzioni e sul manuale si era nel frattempo andato depositando un consistente strato di “polvere intellettuale”. Pur nella consapevolezza di una tale remora, sono però anche pervenuto alla conclusione che, quando si è giunti alla stagione dei bilanci, questi, anche se parziali e tutt’altro che conclusivi, è bene che vengano comunque stilati. In questa chiave, rivolgerò le mie riflessioni in due direzioni temporali: sul primo fronte, credo sia opportuno prendere le mosse dalle motivazioni e dalla logica che a suo tempo guidarono l’impostazione e la stesura del DBC; sul fronte dell’attualità, alla luce di ciò che, in termini essenziali, è mutato in quest’ultimo trentennio, condurrò una riflessione preliminare sul taglio e i contenuti di un testo volto oggi a coprire il medesimo ambito tematico.
Economia dell’azienda agraria: trent’anni addietro
Il DBC reca, come data di pubblicazione, il 1979, ma – è bene tenerlo presente – la sua gestazione, sotto forma di dispense didattiche, tenne occupati i due autori per un decennio abbondante. Quando poi consideriamo la loro graduale ma convinta decisione di convertire le dispense in un manuale, nel senso pieno del termine, non va certo dimenticato il contesto – disciplinare e “accademico” – nel quale tale decisione era giunta a maturazione. I primi anni 60 – i più anziani tra i colleghi ancora sulla breccia lo ricorderanno – erano stati caratterizzati da un serrato confronto, a volte non privo di asprezze, relativo alle finalità da assegnare all’area tematica “economia dell’azienda agraria” e, di conseguenza, agli strumenti cui fare ricorso per il perseguimento di queste stesse finalità. Semplificando all’estremo, su un primo fronte erano attestati coloro che ritenevano che le finalità della disciplina fossero precipuamente descrittive e classificatorie e che, sul piano della strumentazione analitica e metodologica, la costruzione serpieriana, nella sua largamente riconosciuta organicità, conservasse piena ed esaustiva validità.
La tesi del fronte contrapposto – riprendendo qui quanto affermato nell’introduzione del DBC – si fondava sulla convinzione che i contenuti di questa branca dell’economia dovessero rispondere ad un duplice finalità analitica: da un lato la messa a punto di strumenti di analisi teorica e quantitativa capaci di interpretare e prevedere il comportamento reale degli imprenditori agricoli, dall’altro lato formulare regole di comportamento ottimale, ossia criteri di scelta cui gli imprenditori dovrebbero attenersi nel perseguimento dei loro obiettivi. Tale tesi traeva peraltro sostegno dai notevoli progressi compiuti, soprattutto negli anni 50 e 60, in entrambe le aree: sempre richiamandoci all’introduzione del DBC, vi si affermava che «i collegamenti tra l’analisi dei processi decisionali e l’impostazione neoclassica della teoria dell’impresa si [erano] andati rinsaldando ed estendendo sino a formare un corpo di notevole autonomia e completezza». Per giunta, la formulazione della teoria della produzione a coefficienti fissi aveva costituito «la premessa per proficui sviluppi anche sul terreno dell’analisi quantitativa. In questa direzione, infatti, la strumentazione analitica che l’economista può impiegare per lo studio dei problemi decisionali a livello aziendale si è andata notevolmente diversificando: accanto al pilastro tradizionale costituito dal bilancio dell’azienda […] si rinviene oggi un set di strumenti che consente di affrontare in modo più articolato l’analisi delle scelte imprenditoriali: le funzioni di produzione aziendali e gli altri metodi di analisi dell’efficienza; le diverse formulazioni dei modelli di pianificazione […]; i modelli di comportamento in condizioni di conoscenza imperfetta».
Sotto il profilo della “costruzione” del testo, al fine di fornire una risposta convincente alla precipua finalità didattica del manuale, si era ritenuto necessario operare una distinzione netta tra strumentazione teorica – l’applicazione appunto della microeconomia neoclassica alle specifiche problematiche dell’impresa agraria – e strumentazione quantitativa. Il notevole spazio riservato alla illustrazione dell’apparato teorico trovava anche motivazione, non lo si dimentichi, nella scarsa preparazione economica degli studenti delle facoltà di agraria, che all’epoca arrivavano a frequentare i corsi di economia agraria avendo alle spalle solo le poche nozioni apprese nel corso di “Istituzioni di economia e statistica”.
Dopo la pubblicazione del manuale, la risposta da parte degli studenti e dei colleghi titolari della disciplina, fu, tutto considerato, positiva, anche quando la consideriamo sotto il profilo della “vita accademica” del testo, che fu soddisfacentemente longeva. Quanto alle reazioni dei colleghi, mi fa piacere ricordare, anche per la sede in cui compaiono queste note, la recensione che a ridosso della pubblicazione, ne fece, da par suo, Alessandro Bartola: nel quadro di un giudizio complessivamente positivo sull’operazione di innovazione metodologica di cui il volume era portatore, venivano tuttavia avanzate due obiezioni. Sul fronte della strumentazione teorica, si obiettava all’esclusivo ricorso, come quadro di riferimento, alla microeconomia neoclassica, quando un utile rafforzamento – veniva suggerito – sarebbe stato conseguito collocando la trattazione anche «nel contesto più ampio delle discipline aziendalistiche». La seconda obiezione riguardava l’eccessiva prudenza con cui – a suo parere – venivano presentate le potenzialità operative dei modelli e degli strumenti di pianificazione aziendale. Entrambe le osservazioni erano indubbiamente centrate e, soprattutto per la seconda, ve ne era consapevolezza da parte degli autori. Sarebbe stato infatti nostro intendimento, anche per porre rimedio in qualche misura all’inevitabile obsolescenza del testo, produrre attraverso il tempo una serie di “esercitazioni” con il duplice scopo di cogliere l’evolversi dei problemi fronteggiati dall’impresa agraria e così testare la rispondenza operativa degli strumenti di pianificazione. Ma la tragica scomparsa di Vincenzo Cosentino, pochi mesi prima della pubblicazione del manuale, vanificò anche questo progetto. E quando, una dozzina d’anni dopo, Il Mulino mi propose di curare una seconda edizione del DBC, l’economia dell’azienda agraria faceva già parte del mio passato.
Economia dell’azienda agraria: oggi
Visto dall’angolazione del presente, il DBC appare decisamente confinato in un’altra era, da qualsiasi punto di vista lo si voglia considerare. Partendo da questo riconoscimento e ricollocandomi per un minuto nella veste di antico cultore della materia, mi viene però da chiedermi quali finalità e quali contenuti debbano oggi caratterizzare un corso dedicato ad esplorare l’area tematica “economia dell’azienda agraria”. Come prima, e immediata, reazione sul piano didattico, muterei la denominazione in “economia dell’impresa agraria”, per ragioni che mi paiono evidenti, anche in una logica di impostazione tradizionale, di stampo serpieriano. Quanto al contenuto, le poche riflessioni che seguono si basano su alcune premesse: 1) che il corso faccia parte del piano di studi della laurea triennale; 2) che gli studenti giungano alla frequenza del corso con una adeguata preparazione sui fondamenti di microeconomia; 3) che la finalità centrale sia quella di fornire allo studente la strumentazione analitica per affrontare, sul piano operativo, il set di problemi con cui l’impresa agraria deve oggi fare i conti.
Ed è quest’ultima premessa che ci fornisce una prima chiave per la definizione dei contenuti didattici della disciplina: se appare scontato affermare che l’impresa agraria è oggi sempre più chiamata ad operare in un contesto caratterizzato da accentuata dinamicità e complessità, non si può certo dare per nota, da parte dello studente, un’adeguata conoscenza del contesto stesso. D’altro canto, anche per il docente – mi sembra opportuno sottolinearlo – riuscire a fornire una trattazione analitica e aggiornata del contesto, nelle sue molteplici dimensioni e componenti, nonché dell’insieme di interazioni che da esso discendono per le scelte tecniche ed economiche dell’impresa agricola, mi pare costituisca una sfida di un qualche impegno. Non mancano certo contributi di riflessione (1) sui processi che sul fronte tecnologico, della domanda dei beni e dei servizi, delle misure di politica agraria, hanno concorso a modificare lo scenario di riferimento per l’imprenditore, ma, da ciò che mi risulta, una loro ricomposizione organica e articolata sul piano didattico mi pare rimanga un’opportunità da cogliere appieno. Il tramonto, presumibilmente definitivo, del modello di agricoltura “monofunzionale”, volta essenzialmente alla massimizzazione dell’efficienza tecnica in un contesto in cui le garanzie offerte dalla politica agricola comune pressoché annullavano il rischio di mercato, porta dunque con sé un’esigenza di ripensamento e di riscrittura del capitolo sulle scelte imprenditoriali, sempre meno riconducibili alla trattazione astratta proposta dalla microeconomia neoclassica. Senza pretesa di completezza, il nuovo capitolo dovrà riuscire a tratteggiare un quadro nel quale: 1) le scelte imprenditoriali di impiego delle risorse vanno esercitate rispetto ad un ventaglio di opzioni quanto mai ampio e all’interno del quale la diversificazione delle attività aziendali spazia in ambiti profondamente diversi per modalità di generazione dei beni e/o servizi, della loro erogazione, delle professionalità richieste, dei soggetti che concorrono alla ultimazione dei processi ma anche dei soggetti acquirenti dei beni e servizi in questione (2); 2) viene opportunamente evidenziata la maggiore importanza assunta dagli aspetti finanziari e di come questi, sia nell’ambito di reperimento dei capitali che di collocazione dei prodotti, comportino una molteplicità di rapporti con soggetti esterni; 3) viene sottolineata, con le sue forti implicazioni programmatorie, la crescente natura contrattualistica assunta dalle forme di sostegno offerte dall’intervento pubblico.
Ma a quale apparato teorico fare ricorso per l’analisi di un tale coacervo di scelte aziendali? Senza entrare nel merito, mi pare che una risposta andrebbe cercata in due ambiti analitici. In una prima direzione, le acquisizioni teoriche da parte della microeconomia non tradizionale, per ciò che concerne l’analisi dei costi di transazione, dei diritti di proprietà, dei modelli di agenzia, ossia il corpo della cosiddetta “nuova teoria dell’impresa”, possono costituire lo zoccolo strumentale per l’analisi delle scelte a forte valenza contrattuale. Il secondo ambito – e qui Bartola aveva colto nel segno – va definito con riferimento ad alcuni capitoli dell’area tematica “Economia aziendale”, specie per ciò che concerne le relazioni tra le aziende, i mercati, i settori, gli aspetti gestionali e di strategia, gli aspetti organizzativi (3).
Da ultimo, quale spazio riservare ai “metodi”? Se torniamo per un minuto all’accezione con cui il termine veniva impiegato nel DBC, anche in questo caso l’obsolescenza mi sembra pressoché totale. Ritengo sia il caso di accantonare del tutto gli strumenti che nel DBC erano di fatto rivolti al ricercatore (funzioni di produzione, programmazione lineare) e porre viceversa l’enfasi sugli strumenti di gestione e controllo – con una particolare attenzione agli indici di bilancio – nonché su quelli di pianificazione (il cosiddetto business plan mi pare costituisca un buon esempio).
Non credo sia il caso di andare oltre. Mi risulta che di recente siano comparsi alcuni testi riconducibili all’area “Economia dell’azienda agraria”. È nei miei propositi prenderne visione prossimamente, ma ho preferito stendere queste poche note partendo da una situazione di tabula rasa, dovuta alle ragioni che ho ricordato all’inizio. Se gli autori dei testi e, in ambito più ampio, i titolari della disciplina ritenessero di far conoscere le loro reazioni a quanto qui affermato, ne sarei molto lieto.
Note
(1) Diversi contributi su Agriregionieuropa hanno trattato, da più angoli visuali, le ragioni e la natura del mutato scenario di riferimento. Si veda, ad esempio, l’articolo di Franco Sotte “L’impresa agricola alla ricerca del valore”, Agriregionieuropa, Anno 2, n. 5, pp. 4-8.
(2) Accanto agli sbocchi convenzionali, i soggetti acquirenti possono essere le scuole nel caso di servizi didattici, le Asl nel caso di servizi alle persone (anziani, disabili), gruppi di acquisto, enti locali interessati a esternalità positive e servizi ambientali, ecc...
(3) Un buon testo di riferimento è quello di Airoldi G., Brunetti G., Coda V. (1994), Economia Aziendale, Il Mulino, Bologna.