Introduzione
Secondo la Direttiva europea Quadro sulle Acque (European Commission, 2000; qui, Dqa), gli Stati membri dell'UE devono implementare sistemi di gestione dell'acqua e metodi per la sua tariffazione che assicurino un adeguato recupero dei costi dell'acqua anche nel caso dell'agricoltura (Dono e Giraldo, 2012). In Italia l'estrema eterogeneità e le condizioni di eccezionalità che caratterizzano i contesti in cui avviene la distribuzione dell’acqua al settore agricolo impediscono l'adozione di linee guida uniformi di prezzo. Inoltre, alcune specificità giuridiche degli Enti che forniscono l’acqua richiedono uno specifico adattamento dei principi della Dqa alla situazione del nostro Paese. Infine non va trascurato l’effetto dell’applicazione di tali sistemi in condizioni di Cambiamento Climatico (CC) che accrescono le esigenze idriche delle attività agricole. Di seguito si riportano alcune riflessioni su questi aspetti, con alcune conclusioni di vari studi recenti su questi temi.
Aspetti dell’efficienza e del recupero dei costi della fornitura dell’acqua per l’irrigazione
Le norme che regolano la fornitura idrica in agricoltura in Italia prevedono che gli Enti impegnati in questo compito, ossia i Consorzi di bonifica ed irrigazione per gran parte del territorio italiano, possono recuperare i costi sostenuti attraverso un potere specifico di tassazione loro conferito dagli articoli 10 e 11 del regio decreto 13 Febbraio 1933, n. 215 e dall'art. 860 del codice civile. Questi articoli prevedono che i proprietari di immobili nell’area fornita, tra i quali anche lo stesso Stato, le Province e i Comuni, debbano pagare in funzione dei benefici ottenuti dall'irrigazione per la superficie agricola posseduta. La valutazione di questi benefici è incorporata in appositi indici che sono contenuti nel Piano di Riparto dei Consorzi e che sono utilizzati per ripartire i costi di gestione e manutenzione del sistema per l'irrigazione tra gli agricoltori ad essi associati. Quest’aspetto è interessante perché significa che gli agricoltori non sono clienti, ma soci del Consorzio ed in quanto tali sono tenuti a pagare le spese di manutenzione e gestione delle infrastrutture irrigue. Per questo motivo, invece di definire i pagamenti degli agricoltori come tariffe, è giusto chiamarli contributi per l'irrigazione. Zanni et al. (2012) esaminano la struttura di questi costi e discutono i prelievi esercitati dai Consorzi sottolineando che questi pagamenti hanno un particolare status giuridico, perché la legge riconosce che i Consorzi di bonifica e irrigazione sono enti pubblici e hanno il potere di imporre tributi alle proprietà associate. In questo senso, il contributo assume il tratto pubblicistico tipico della tassazione, non rientrante nella disciplina di scambio privatistica. Il suo "scopo fiscale" è quello di dividere i costi relativi ad una spesa di interesse generale, comportante la necessità di interventi pubblici, tra le categorie sociali che ne beneficiano (Cassazione, SS.UU., 2008/11/02, n. 3171).
Tali contributi includono canoni di concessione pagati alle Regioni per la concessione dell’acqua, i costi per la gestione delle fonti (per esempio, dighe o altri impianti di accumulo dell'acqua), quelli per la manutenzione ordinaria delle reti e degli impianti di sollevamento, i costi per la distribuzione dell’acqua, in particolare quelli per l’energia necessaria al sollevamento e quelli per il lavoro, le spese di amministrazione e una quota parte dei costi generali dei Consorzi. Si noti che nella maggior parte dei casi, i sistemi di accumulo e distribuzione dell’acqua gestiti dai Consorzi sono stati sviluppati principalmente con fondi pubblici, il che significa che i costi a lungo termine (ammortamenti e interessi) non sono inclusi nei bilanci degli Enti che forniscono la risorsa idrica alle imprese agricole, i quali, dunque, gestiscono solo il servizio di distribuzione dell'acqua.
Tutti questi costi sono in parte coperti da contributi che alcune Regioni erogano ai Consorzi, per compensare gli handicap strutturali in cui opera l’agricoltura del loro territorio, che comportano maggiori costi energetici per il sollevamento e la distribuzione.1
Una volta sottratti i contributi versati dalle Regioni per la partecipazione alle spese dell’energia, i costi residui sono pagati ripartendoli tra gli agricoltori in base ai benefici portati dall’irrigazione a ciascuno di essi. La ripartizione di tali costi è fatta in modo molto diverso nei vari Consorzi. L’Inea ha più volte studiato il sistema consortile italiano, analizzando la struttura dei contributi per l'irrigazione e il modo in cui questi incidono sulle attività degli agricoltori associati (Dono et al, 2003; Dono, 2008; Zucaro, 2008; Inea, 2014). Ne sono emersi una ventina di sistemi di calcolo dei contributi per l'irrigazione che gli agricoltori devono pagare, con casi in cui sistemi diversi sono applicati ai diversi distretti dello stesso Consorzio. I sistemi di calcolo più ricorrenti sono basati sul volume di acqua erogata, le aree servite, o le colture coltivate, anche se la differenza basilare tra questi sistemi sta nella struttura di tipo binomiale o monomiale del contributo. Il primo tipo di contributo include una componente fissa per il recupero dei costi fissi, come la manutenzione, e una che recupera le spese che variano con il volume di acqua utilizzata: ovviamente, per applicarlo è necessario poter controllare, attraverso dei contatori, l'effettivo utilizzo dell'acqua. Quando ciò è difficile, o ci sono differenze marginali tra superfici irrigate e irrigabili, si applica un contributo monomio che l’azienda paga in base alla superficie irrigabile e in base ai benefici ricevuti dall’irrigazione. Dunque, in uno stesso Consorzio il contributo può variare tra aziende in base alla natura del suolo, alla distanza dai punti d'acqua, all'elevazione (che determina il tipo di distribuzione, per gravità o sollevamento), alle colture, con le loro diverse esigenze di irrigazione.
È evidente, però, che l'aspetto base di cui bisogna tener conto nella valutazione di tali contributi unitari non è il loro valore assoluto, ma la capacità di coprire effettivamente i costi operativi di gestione dell’irrigazione e, allo stesso tempo, di indurre un uso efficiente delle risorse idriche da parte degli agricoltori, come richiesto dalla Dqa. A questo scopo, Giraldo et al. (2014) hanno cercato di valutare l’aumento di efficienza conseguibile con sistemi di pagamento che addebitano agli agricoltori il costo effettivo sostenuto per fornire loro dell'acqua. A tale scopo gli Autori hanno costruito un modello economico dell’agricoltura servita dal Consorzio di Bonifica dell'Oristanese (Cbo) ripartendone il territorio in 5 categorie di distretti irrigui che sono diversi per tecnologia e, dunque, costi di distribuzione dell’acqua.2 Hanno quindi simulato l’applicazione del metodo di pagamento esistente, basato sull’ettaro/coltura, e poi quello di un metodo basato sul costo stimato. A tale scopo hanno inserito all’interno del modello territoriale la funzione di costo di distribuzione dell’acqua stimata per il Cbo da Dono et al. (2013), che mette in relazione il livello dei costi sostenuti dal Consorzio con l’estensione delle superfici irrigate e il volume di adacquamento ad ettaro. Il confronto tra i risultati delle due simulazioni indica gli aumenti di efficienza ottenibili con un sistema di pagamento dell'acqua in grado di trasferire perfettamente alla singola azienda le informazioni sul costo per la distribuzione idrica, attribuendoglielo completamente.3 I risultati della simulazione di questo sistema, che è conforme alla Dqa, mostrano che la sua applicazione genererebbe un incremento totale di efficienza molto limitato. Anzi, gli Autori sottolineano che l’effetto netto potrebbe anche essere negativo se si considerassero i costi di implementazione del nuovo sistema di pagamento, che in molti casi può richiedere modifiche della rete di un certo rilievo (si pensi solo all’applicazione dei contatori) e anche apprezzabili oneri operativi. Non va poi trascurata la riduzione di attività del settore e, quindi, il calo dell’impiego di lavoro che vi si associa, particolarmente grave in un’area afflitta da alti tassi di disoccupazione. Infine, vi sono i notevoli impatti redistributivi tra le tipologie aziendali e le aree del Cbo.
Dono et al (2010, 2012) sostengono che nel considerare tutti questi effetti non si deve trascurare che i sistemi collettivi di distribuzione dell'acqua in agricoltura spesso operano in condizioni di sottoutilizzo degli impianti. Queste condizioni sono dovute al fatto che gli impianti sono stati progettati in periodi in cui le politiche agricole prospettavano possibilità di espansione delle produzioni agricole ben diverse da quelle attuali. Si pensi, ad esempio, al livello di attività e alle prospettive di espansione produttiva nei comparti del pomodoro da industria e della barbabietola da zucchero negli anni 70-80. Dunque, molti impianti sono stati progettati per livelli di attività ben superiori a quelli attuali, e questo concorre a generare una condizione corrente di loro sottoutilizzo; talora quest’ultima è anche accentuata dall’aumento di carenza idrica generata dal CC che è già in corso (Pasqui et al, 2011). Ebbene, questa condizione di sovradimensionamento e, quindi, sottoutilizzo degli impianti, crea inefficienze di una certa importanza, aumentando i costi medi del funzionamento dei sistemi al di sopra di quelli che si avrebbero in condizioni di loro sfruttamento ottimale. Gli Autori si chiedono se sia giusto, e utile a rendere più efficiente l’uso dell’acqua, trasferire agli agricoltori un divario di costi che non è determinato dalle loro scelte economiche ma dalla progettazione del sistema in un quadro di politica agricola ben diverso da quelli attuali.
Un altro aspetto su cui si raccomanda l’attenzione nel trasferire a carico degli agricoltori un maggiore recupero dei costi della distribuzione idrica collettiva riguarda l’incentivo a ricorrere ad altre fonti di approvvigionamento idrico. In particolare, si considera che in presenza di altre fonti idriche (pozzi privati delle aziende) aumentare i costi di approvvigionamento da fonti collettive potrebbe spingere gli agricoltori ad accrescere i prelievi da acque sotterranee, nonostante i costi aggiuntivi per il pompaggio dell'acqua. Il problema si porrebbe soprattutto se l’adozione di metodi di pagamento di tipo volumetrico e il maggiore recupero dei costi a carico degli agricoltori inducessero un aumento delle estrazioni idriche dai pozzi che, a sua volta, depauperasse le risorse di falda, accrescendo il grado di salinizzazione di quelle acque nelle aree costiere (Dono e Mazzapicchio, 2010; Dono e Giraldo, 2012). Questo tipo di effetti potrebbero accentuarsi in una condizione di CC, che con l’aumento delle temperature e dell’evapotraspirazione accentua i fabbisogni irrigui delle colture. Nel prossimo paragrafo tratteremo alcune implicazioni di questi cambiamenti sull’irrigazione.
Alcuni effetti del CC sulle attività irrigue
L’Indice di Aridità (IA) – definito come rapporto tra precipitazione ed evapotraspirazione potenziale - esprime l'equilibrio tra afflussi e perdite d’acqua a diverse scale temporali (da quella giornaliera fino a quella annuale). Se si calcola il suo valore su base annuale per la media del territorio italiano, emerge un peggioramento; dalla sostanziale parità nel trentennio 1961-1990 (0,99) a uno squilibrio con perdita netta nel trentennio 1971-2000 (0,93). Questo si deve sia alla riduzione delle precipitazioni, sia all’aumento dell’evapotraspirazione delle colture (Pasqui et al., 2011). In termini generali, il CC dovrebbe esacerbare carenze di approvvigionamento di acqua per uso agricolo, laddove esistono, e potrebbe generarle in aree dove l'offerta attuale è sufficiente, a causa della concorrenza tra i diversi usi delle risorse idriche nei periodi di massima domanda. Questo quadro ha spinto a realizzare vari studi sul ruolo dell’irrigazione collettiva. Ad esempio, Dono et al. (2013) hanno studiato la situazione del bacino del Cuga nel nord ovest della Sardegna, concludendo che l'adattamento ai CC può essere meglio supportato migliorando le condizioni dei sistemi di irrigazione collettiva piuttosto che intervenendo su singole aziende agricole, come fanno molte delle misure della politica di sviluppo rurale (Psr). Le condizioni climatiche di quell’area sono tipiche mediterranee e la sua irrigazione, che interessa colture foraggere, viticole e orticole, è supportata da una diga multiuso il cui riempimento dipende dalle piogge in autunno e inverno, e cui si attinge da aprile a ottobre. Gli Autori mostrano che anche nelle condizioni di stabilità climatica del passato l’alternanza dei regimi stagionali termo-pluviometrici poteva determinare una condizione di relativa carenza idrica e conseguenti danni economici. La probabilità di avere condizioni di questo tipo si accentua in uno scenario di futuro prossimo ottenuto estrapolando al decennio presente le condizioni climatiche verificatesi negli 11 anni 2000-2010. Infatti, questo scenario si caratterizza per un aumento stabile del fabbisogno irriguo delle colture e una diminuzione delle precipitazioni, che riduce la probabilità di conseguire il massimo riempimento della diga. L’effetto di queste condizioni sull’agricoltura di quel territorio è simulata con un modello di programmazione stocastica discreta che rappresenta le scelte degli agricoltori nelle condizioni d’incertezza determinate dalla variabilità climatica. I risultati mostrano una riduzione delle superfici irrigate e del reddito agricolo, con gli effetti maggiori sulle tipologie aziendali più piccole, più intensive di lavoro e di utilizzo dell’irrigazione. Questi risultati sono in gran parte dovuti alla diminuzione dell’accumulo d’acqua nella diga e ciò suggerisce che è fondamentale migliorare le politiche e le infrastrutture di gestione delle acque di irrigazione collettiva.
In base dei risultati dello stesso studio, Dono et al. (2014) indagano la possibile efficacia dello strumento di assicurazione e stabilizzazione del reddito (Income Stabilization Tool - Ist) fornito dalla programmazione 2014-2020 della politica di sviluppo rurale. Questo sistema compensa cadute apprezzabili dei redditi agricoli (-30%) e la conclusione è che esso potrebbe non essere adatto a contrastare gli effetti del CC nel prossimo futuro. Infatti, le condizioni climatiche che nel presente generano gli scarti negativi dei redditi agricoli, nel futuro che è stato simulato non sono più un’eccezione ma si presentano come condizione di maggiore frequenza, da cui ci si discosta molto poco. Così, poiché Ist e gli altri strumenti assicurativi che proteggono contro le avversità e gli eventi catastrofici, si attivano solo in condizioni estreme rispetto alla norma, si rischia che gli stessi agricoltori li considerino inadatti ad affrontare una condizione di relativa carenza idrica stabile. Ne potrebbe conseguire che una parte delle risorse destinate dal Psr a finanziare l’attivazione di questi strumenti rimanga inutilizzata, con conseguente minore sostegno all'adattamento al CC. La conclusione è che una maggiore attenzione al miglioramento delle infrastrutture di irrigazione e di gestione potrebbe rappresentare la strategia più efficace.
A questi effetti si associano altri cambiamenti importanti messi in evidenza dai risultati del progetto Agroscenari [link] che ha sviluppato un approccio multidisciplinare per esaminare l’insieme degli impatti del CC sulle attività agricole condotte in sette aree campione del nostro Paese. In questo caso gli scenari climatici che rappresentano le condizioni del presente, identificato con il decennio 2000-2010, e quelle del futuro, il decennio 2020-2030, sono stati ottenuti utilizzando un Sistema Regionale di Modellizzazione Atmosferica (Rams). Gli effetti di questi scenari sulle produzioni agricole e zootecniche sono stati poi simulati impiegando modelli matematici di simulazione colturale tipo Epic (Erosion Productivity Impact Calculator) (Sharpley and Williams, 1990) e Dssat (Decision Support System for Agrotecnology Transfert) (Jones et al., 2003) e specifici modelli zootecnici. Infine, le implicazioni di queste condizioni produttive e climatiche sulle scelte e i risultati economici delle imprese agricole sono state simulate con modelli di programmazione lineare e programmazione stocastica discreta (Dono et al., 2013). Tra gli effetti rilevanti vi è l'aumento dei prelievi dai pozzi agricoli, molto consistente nelle aree meno fornite dai sistemi per l’irrigazione collettiva, e molto preoccupante nella regione mediterranea, in cui l’eccessivo sfruttamento delle falde acquifere già ne determina estesi fenomeni di salinizzazione. Queste condizioni richiedono di aumentare l'efficienza di gestione dei sistemi collettivi e anche di estendere le loro reti alle aree attualmente non servite dalla loro fornitura idrica. Problemi analoghi si pongono nelle aree fornite da sistemi collettivi che attingono a risorse fluviali non stoccate. Infatti, l’aumento delle esigenze irrigue, fin dalla primavera nel sud Italia, all’estate nel centro-nord, e l’intensificazione produttiva dovuta all’effetto fertilizzazione della maggiore concentrazione di CO2 atmosferica, potrebbero incrementare l’uso delle acque fluviali fino al loro potenziale massimo di alcune fasi della campagna irrigua, per poi passare ad accrescere l’uso acque di falda [link].
Considerazioni conclusive
Per definire misure di gestione e prezzi per l'acqua di irrigazione che rispondano efficacemente agli obiettivi della direttiva quadro sulle acque, vanno appropriatamente caratterizzate le condizioni economiche generali in cui l'intero sistema agricolo utilizza la risorsa. Inoltre, i livelli di pagamento andrebbero differenziati in base alle caratteristiche della rete di irrigazione collettiva, identificando il costo di funzionamento del servizio di fornitura di acqua. In particolare, non va trascurato il fatto che alcuni sistemi di pagamento, come ad esempio quello volumetrico, possono richiedere di adeguare la rete idrica per misurare la quantità effettiva di impiego dell'acqua di singole aziende e ciò comporta di dover sostenere costi significativi di investimento, che vanno opportunamente valutati.
Nel perseguire le condizioni per il recupero dei costi dei servizi idrici per l'agricoltura non bisogna dimenticare che un obiettivo fondamentale della Dqa è di spingere gli utilizzatori ad un uso efficiente dell'acqua, che, tra l’altro, deve anche implicare la tutela della sua qualità. Altresì bisogna ricordare che il funzionamento del sistema è caratterizzato da elementi di inefficienza che non sono dovuti alle scelte delle singole imprese. Questi elementi accrescono il livello dei suoi costi operativi che dunque è inopportuno trasferire integralmente alle imprese. Inoltre, è importante che qualsiasi aumento dei pagamenti richiesti per le forniture dei sistemi collettivi non incoraggi gli agricoltori a passare ad altre fonti d'acqua, con aumenti di utilizzo che, ad esempio, possono accentuare la salinizzazione delle falde acquifere nelle zone costiere, o possono pregiudicare le condizioni di deflusso minimo vitale dei corsi d'acqua. Tra l'altro, si deve considerare che questi prelievi possono aumentare con la crescita delle esigenze di irrigazione causate dal CC. Così, va sempre verificato se una politica dei prezzi volta ad aumentare l’efficienza nell’uso dell'acqua, e del sistema che la fornisce, non abbia anche l’effetto di aumentare le esternalità negative associate all'uso eccessivo di altre fonti di approvvigionamento della risorsa idrica.
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Siti di riferimento
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Agroscenari, [link]
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- 2. Il modello è di tipo regionale e presenta 13 tipi di aziende che rappresentano l’agricoltura del territorio. Inoltre esso è calibrato utilizzando l'approccio della programmazione matematica positiva.
- 3. Gli Autori fanno notare che i guadagni di efficienza sono un massimo teorico perché l'analisi non considera i costi di transazione necessari a implementare il sistema.