La sicurezza alimentare nel negoziato Wto sull’agricoltura

La sicurezza alimentare nel negoziato Wto sull’agricoltura
a Università della Calabria, Dipartimento Economia, Statistica e Finanza

Sicurezza alimentare e Wto

Obiettivo di questa breve nota è fare il punto sullo stato e sulle prospettive del negoziato Wto in corso, dal punto di vista specifico delle questioni rilevanti per la sicurezza alimentare dei paesi più poveri. In particolare, l’attenzione è rivolta alle possibili ricadute per le politiche volte a ridurre l’insicurezza alimentare in situazioni di emergenza, quindi per le politiche di breve periodo.
Sebbene l’importanza del ruolo che le politiche commerciali e le politiche agricole giocano nelle strategie per la sicurezza alimentare (di breve e di medio periodo) e la riduzione della povertà sia evidente, solo di recente il tema della sicurezza alimentare è entrato veramente tra i temi al centro dei negoziati commerciali multilaterali nel Wto.
Nel corso dell’Uruguay round - l’ultimo round negoziale che ha visto la conclusione, nel 1994, e che per la prima volta ha reso le politiche rilevanti per l’agricoltura, interne e commerciali, soggette a vincoli concordati su base multilaterale - il tema della insicurezza alimentare e della specificità delle politiche che possono contribuire a ridurla non è mai entrato tra quelli centrali del negoziato. Il risultato non poteva quindi che essere un “Accordo sull’Agricoltura” in cui il problema dell’insicurezza alimentare è toccato del tutto marginalmente. L’articolo 12 stabilisce che i paesi che introducono politiche volte a ridurre o impedire l’esportazione di prodotti alimentari debbano farlo “tenendo nel dovuto conto” gli effetti di tali politiche sulla sicurezza alimentare dei paesi membri importatori; un impegno generico e per il mancato rispetto del quale non sono previste sanzioni, col risultato che esso è rimasto sulla carta. Il punto 3 dell’Allegato 2 all’Accordo sull’Agricoltura include tra le politiche da comprendere nella “scatola verde” (cioè tra quelle da non considerare nel calcolo della misura aggregata del sostegno interno per la quale è previsto un ammontare massimo consentito): (a) la spesa per la creazione di scorte da utilizzare a fini di sicurezza alimentare, a condizione però che gli alimenti siano acquistati ai “prezzi correnti di mercato” e (b) la spesa per interventi interni di aiuto alimentare ai bisognosi.
Tra gli impegni sottoscritti al termine dell’Uruguay round c’è anche la “Decisione sulle misure concernenti i possibili effetti negativi del programma di riforma sui paesi meno sviluppati e sui paesi in via di sviluppo importatori netti di alimenti”. Essa prevede l’impegno ad introdurre meccanismi in grado di assicurare che l’implementazione degli accordi sottoscritti non abbia effetti negativi sulla disponibilità di alimenti nei paesi più poveri, soprattutto in quelli meno sviluppati importatori netti. Non solo anche questa decisione è rimasta sulla carta, ma non ha avuto seguito neanche l’impegno a prendere in esame i possibili effetti negativi degli accordi sottoscritti alla conclusione dell’Uruguay round in occasione delle periodiche Conferenze Ministeriali del Wto e di realizzare un loro monitoraggio sistematico nell’ambito dei lavori della Commissione sull’agricoltura.
Le cose sono progressivamente cambiate negli anni successivi. Già nel corso del dibattito che ha portato alla definizione dell’agenda negoziale del nuovo round, all’inizio del decennio scorso, diversi paesi, tanto sviluppati che in via di sviluppo, hanno proposto di inserirvi molte questioni rilevanti per la sicurezza alimentare dei paesi più poveri. Ciononostante, la Dichiarazione di Doha che ha dato l’avvio al nuovo round negoziale - a dispetto di un linguaggio nel preambolo fortemente caratterizzato dalla sottolineatura dell’importanza del negoziato per lo sviluppo economico dei paesi più poveri (da cui l’etichetta di Doha Development Agenda round) - ha definito un’agenda negoziale in cui, sostanzialmente, i temi della sicurezza alimentare hanno trovato, ancora una volta, ben poco spazio.
È solo più tardi che la sicurezza alimentare ha trovato spazio nel negoziato agricolo nel Wto. Ciò è stato determinato e reso possibile da una serie di fatti nuovi.
Il primo è senz’altro costituito dal consolidarsi del potere negoziale dei paesi in via di sviluppo più grandi (soprattutto Cina, India e Brasile), che ha reso i negoziati Wto non più terreno di decisione appannaggio esclusivo dei paesi sviluppati più forti.
Il secondo è costituito dalla grave crisi che nel 2007/08 ha interessato i mercati dei prodotti alimentari più importanti per l’alimentazione di gran parte della popolazione povera, i cereali, con una forte, rapida impennata dei prezzi, seguita da una loro relativa stabilizzazione, ma su livelli più alti rispetto a quelli precedenti la crisi. Si è passati, cioè, da una situazione di mercati internazionali globali caratterizzati da una relativa abbondanza e prezzi bassi, a mercati caratterizzati da una relativa scarsità e prezzi alti. Fino alla crisi del 2007/08 l’agenda negoziale era stata fortemente condizionata dallo scenario di mercato contrassegnato da prezzi dei prodotti alimentari relativamente bassi e in progressiva diminuzione (in termini reali), che ha fatto sì che l’attenzione da parte dei paesi in via di sviluppo fosse soprattutto concentrata sulla necessità di garantirsi la possibilità di proteggere i produttori interni dalle importazioni. Il documento che fa il punto sul negoziato agricolo al momento della sua interruzione (Wto, 2008), e che dà conto dei risultati raggiunti quando la crisi non aveva ancora fatto sentire i suoi effetti sulle posizioni negoziali, mostra chiaramente i segni della preoccupazione da parte dei paesi in via di sviluppo di mettersi in condizione di proteggere il mercato interno dagli effetti di bassi prezzi internazionali degli alimenti (basti pensare, ad esempio, all’introduzione nel capitolo relativo ai vincoli di riduzione della protezione tariffaria dell’eccezione, limitata ai soli paesi in via di sviluppo, costituita dai “prodotti speciali” (Laborde e Martin, 2011; Wto, 2008), e alle proposte relative all’introduzione di un “Meccanismo Speciale di Salvaguardia” per consentire ai paesi in via di sviluppo di aumentare la protezione tariffaria in presenza di un forte aumento delle importazioni o di una forte diminuzione del loro prezzo (Grant e Meilke, 2011; Wto, 2008). La sicurezza alimentare è emerso come uno dei temi rilevanti nel negoziato multilaterale soltanto negli anni successivi, con il riposizionamento degli interessi negoziali dei paesi poveri importatori netti di alimenti: dalla necessità di proteggere l’agricoltura interna da importazioni a prezzi bassi, a quella di riuscire a garantire ai propri consumatori un’offerta di alimenti sufficiente e a prezzi relativamente bassi.
Una terza novità importante è data dalla reazione di molti paesi esportatori all’impennata dei prezzi dei cereali e del riso del 2007/08 e, di nuovo, in occasione di quella, sia pure meno marcata, del 2010/11, quando un gran numero di questi (prevalentemente paesi in via di sviluppo) ha introdotto misure volte a ridurre o impedire le esportazioni per contenere l’aumento dei prezzi sul mercato interno, facendo però in questo modo crescere ancora di più i prezzi sul mercato internazionale e rendendo più acuti i problemi di insicurezza alimentare dei paesi poveri importatori netti.
Una quarta novità rilevante per spiegare l’aumentata attenzione per i temi della sicurezza alimentare nel Wto è stata la richiesta avanzata da parte di un gruppo di paesi in via di sviluppo di considerare tra le politiche contenute nella scatola verde, cioè tra quelle esenti dai vincoli sul sostegno interno, gli acquisti pubblici di cibo sul mercato interno nell’ambito di strategie per la sicurezza alimentare, anche quando essi avvengono a prezzi maggiori di quelli di mercato.

Gli sviluppi recenti del Doha Development Agenda round

Il Doha round si è rivelato il round negoziale di gran lunga più lungo e complesso nella vita del Gatt, prima, e del Wto, poi. Negli oltre 13 anni trascorsi dal suo avvio (il doppio del tempo necessario a trovare un’intesa nell’Uruguay round), il momento in cui si è arrivati più vicini a raggiungere un accordo è stato nel luglio del 2008, quando, al termine di una estenuante riunione negoziale a Ginevra (durata 9 giorni, la più lunga nella storia del Gatt e del Wto) i paesi hanno dovuto prendere atto dell’impossibilità di convergere su un testo che fosse accettabile da tutti. I temi più importanti sui quali non si è riusciti a trovare un compromesso sono risultati essere quello dell’accesso ai mercati per i prodotti non agricoli e, nel negoziato agricolo, l’introduzione di un “Meccanismo Speciale di Salvaguardia” per consentire ai paesi in via di sviluppo di limitare temporaneamente le loro importazioni in presenza di un forte aumento delle stesse o di una forte riduzione del loro prezzo, l’“iniziativa sul cotone” e la protezione delle denominazioni di origine (nel linguaggio negoziale, indicazioni geografiche). A quel punto il negoziato è stato, di fatto, sospeso.
Il processo che ha portato alla nomina nel novembre 2013 del brasiliano Roberto Azevêdo a Direttore Generale del Wto ha sicuramente contribuito a riavviare il negoziato, consentendo di raggiungere un accordo nella Conferenza Ministeriale di Bali del dicembre di quello stesso anno. L’importanza dell’accordo di Bali sta soprattutto nel fatto che un accordo sia stato raggiunto, per se, a prescindere, cioè, dai suoi contenuti; esso costituisce infatti il primo accordo nei quasi 20 anni di vita del Wto (l’ultimo era stato l’accordo di Marrakech che aveva concluso l’Uruguay round). L’accordo raggiunto a Bali comprende un certo numero di decisioni su temi specifici, nessuno dei quali di primaria importanza nell’agenda negoziale del Doha round. Le due decisioni più rilevanti sono probabilmente quelle relative alla “facilitazione del commercio internazionale” (una serie di impegni volti a garantire procedure rapide e trasparenti nelle operazioni di sdoganamento e di controllo delle merci al loro arrivo nel paese importatore, con l’effetto di ridurre i costi di transazione internazionali), e quello sulle modalità di implementazione delle quote a tariffa ridotta quando queste sono sotto-utilizzate. A Bali i paesi si sono anche impegnati a definire entro la fine del 2014 un “piano di lavoro” per portare a conclusione il Doha round. Un elemento importante dell’accordo di Bali è costituito dall’impegno a non aprire dispute fino a quando non verrà trovata una “soluzione definitiva” al problema - da adottare in occasione della XI Conferenza Ministeriale, prevista nel dicembre del 2017 - sulle politiche in essere di costituzione di scorte da parte di paesi in via di sviluppo nell’ambito di strategie per la sicurezza alimentare, anche quando queste determinano il mancato rispetto dei vincoli in materia di sostegno interno all’agricoltura. La questione era stata in precedenza ripetutamente sollevata da alcuni paesi in via di sviluppo (Bellmann et al., 2013), ma questo impegno ha trovato spazio nel pacchetto delle decisioni prese a Bali solo grazie alla posizione intransigente assunta dall’India, che ha manifestato la sua ferma determinazione a non sottoscrivere alcun accordo se non fosse stato approvato anche questo. La posizione assunta dall’India trova spiegazione nell’approvazione nel settembre del 2013 del National Food Security Act (Nfsa), un ambizioso programma di aiuto alimentare che prevede massicci acquisti sul mercato interno a prezzi pre-fissati superiori a quelli di mercato. Con il Nfsa l’India si propone di distribuire alimenti (riso, grano e miglio) a prezzi fortemente sussidiati - o, in qualche caso, gratuitamente - ai 2/3 della sua popolazione. Il Nfsa espande significativamente il numero dei beneficiari rispetto ai programmi di aiuto alimentare esistenti nel paese e ci si aspetta che determini una riduzione delle esportazioni dell’India dei prodotti interessati, con effetti negativi sulla sicurezza alimentare degli altri paesi poveri.
Quello che è successo nel negoziato Wto dopo Bali è qualcosa che nessuno aveva previsto: nel luglio 2014 l’India, con una decisione senza precedenti, ha bloccato l’implementazione dell’accordo sulla facilitazione del commercio ponendo il veto sull’approvazione del “protocollo sugli emendamenti”, un atto amministrativo, di natura esclusivamente formale, necessario per includere l’accordo sottoscritto a Bali nelle regole Wto rendendolo così concretamente applicabile. L’India ha subordinato il via libera all’implementazione dell’accordo sulla facilitazione del commercio alla rapida conclusione del negoziato relativo alla “soluzione definitiva” del problema del trattamento nel Wto delle politiche di costituzione di scorte giustificate sulla base di esigenze di sicurezza alimentare. In sostanza, l’India ha deciso di provare a “costringere” gli altri paesi membri ad una rinegoziazione dell’orizzonte temporale entro cui tale questione avrebbe dovuto essere risolta rispetto a quanto era stato deciso a Bali solo qualche mese prima, quando la data era stata indicativamente fissata nella fine del 2017.
L’impasse è stata risolta da un accordo raggiunto bilateralmente lo scorso novembre tra l’India e gli Stati Uniti, accordo che è stato poi fatto proprio anche dagli altri paesi membri. La soluzione trovata è stata quella di concordare una “interpretazione” dell’accordo di Bali, chiarendo che le politiche di costituzione delle scorte in questione non potranno essere soggette a dispute anche oltre la data del dicembre 2017, fintantoché non verrà trovata una “soluzione definitiva” al problema. L’accordo raggiunto in novembre prevede anche l’impegno a fare il possibile per trovare un’intesa sulla “soluzione definitiva” al problema entro la prossima Conferenza Ministeriale, prevista alla fine del 2015 (invece che per quella successiva, nel 2017). In sostanza, l’India ha ottenuto, non la rapida decisione sulla questione che pretendeva, ma la certezza che il National Food Security Act non possa essere oggetto di dispute, indefinitamente visto che una “soluzione definitiva” sulla questione può essere trovata solo con il suo voto a favore. Questo accordo ha consentito la contestuale approvazione del protocollo necessario per consentire l’avvio dell’implementazione dell’accordo sulla facilitazione del commercio. Allo stesso tempo è stato anche deciso di spostare in avanti - a luglio 2015 - la scadenza per la definizione di un nuovo “programma di lavoro” in vista di una possibile conclusione del Doha round.

La sicurezza alimentare nell’agenda negoziale post-Bali

I problemi relativi all’insicurezza alimentare, tipicamente, hanno bisogno di essere affrontati con misure di intervento diverso, in grado di affrontare il problema nelle sue dimensioni di breve e di medio periodo. Nel periodo più lungo l’obiettivo non può che essere l’eliminazione della povertà ed una crescita sostenibile della disponibilità di alimenti che tenga il passo con la crescita attesa della popolazione (a livello globale, ma anche, almeno in una certa misura, locale). Nel breve periodo, invece, il problema è quello di avere a disposizione meccanismi di protezione adeguati a garantire, nel caso si abbia una crisi alimentare, una rete di sicurezza che si faccia carico di quanti non sono in grado di avere accesso ad alimenti sufficienti, in quantità e qualità.
L’evoluzione delle dinamiche dei mercati dei prodotti alimentari negli ultimi anni - tanto di quelle relative alla produzione che di quelle che hanno interessato i consumi - ha determinato cambiamenti rilevanti anche nelle politiche utili per fronteggiare i problemi di insicurezza alimentare, sia di breve che di medio periodo. L’aumento della volatilità dei mercati dei prodotti alimentari (anche come risultato della maggiore integrazione dei mercati globali degli alimenti con quelli delle fonti energetiche e con i mercati finanziari) e la maggiore frequenza con cui si verificano eventi atmosferici avversi “estremi” (come risultato dei cambiamenti climatici in corso) hanno reso ancora più necessarie politiche in grado di garantire efficaci reti di sicurezza, che possono essere di natura anche molto diversa, da attivare in caso di necessità.
L’accresciuta sfiducia da parte dei paesi in via di sviluppo importatori netti di alimenti nei mercati internazionali come fonte di approvvigionamento nei periodi di crisi (come risultato anche delle politiche di restrizione delle esportazioni poste in essere da molti paesi in occasione dell’ impennata dei prezzi nel 2007/08 e, di nuovo, nel 2010/11) ha indotto molti di essi ad un riposizionamento delle strategie per la sicurezza alimentare, rendendole più legate rispetto al passato ad una capacità di reazione a livello nazionale (piuttosto che multilaterale), e ridando fiato a strategie centrate su un grado di autosufficienza alimentare relativamente elevato, con gravi effetti negativi sull’efficienza dell’uso delle risorse nazionali disponibili.
Dal punto di vista del negoziato Wto tre appaiono essere le questioni più importanti per le politiche di breve periodo rilevanti per la sicurezza alimentare:

  • la disciplina delle politiche di sostegno della produzione interna poste in essere nell’ambito di strategie nazionali di costituzione di scorte da utilizzare in situazioni di crisi per la sicurezza alimentare del paese;
  • l’introduzione di meccanismi di salvaguardia che garantiscano ai paesi in via di sviluppo la possibilità di intervenire con misure temporanee, in deroga alle “regole” esistenti, in caso di situazioni di emergenza per la sicurezza alimentare del paese;
  • la disciplina delle politiche di restrizione temporanea delle esportazioni in presenza di forti impennate dei prezzi sui mercati internazionali.

La necessità, quindi, è quella, da un lato, di introdurre vincoli, oggi assenti, sull’uso in caso di necessità di politiche in grado di determinare un miglioramento della propria sicurezza alimentare a scapito di un peggioramento di quella dei paesi più poveri (come nel caso delle politiche di restrizione delle esportazioni), dall’altro di garantire ai paesi più poveri caratterizzati da gravi problemi di insicurezza alimentare la possibilità di intervenire in situazioni di emergenza con misure di tipo temporaneo anche quando queste sono in contrasto con le regole che essi hanno sottoscritto in sede Wto.
Dal punto di vista del ruolo che un’istituzione come il Wto è chiamato a svolgere, vi sono due elementi importanti che vanno considerati e che premono nella direzione di fornire risposte efficaci alle tre questioni indicate sopra: quello della coerenza dei vincoli che esso prevede per le politiche nazionali distorsive del commercio internazionale (non c’è nulla che possa giustificare, da un punto di vista astratto, l’asimmetria che esiste tra le discipline in materia di sussidi all’esportazione e di politiche di restrizione delle importazioni, da un lato, e l’assenza di discipline per le politiche di restrizioni delle esportazioni, dall’altro), e quello del ruolo del Wto come facilitatore del coordinamento tra le politiche dei paesi (evitando che possano decidere di introdurne di tali da determinare la reazione da parte degli altri, con un effetto domino in grado di portare ad una situazione finale in cui tutti i paesi si vengano a trovare in una situazione peggiore di quella iniziale, come nel caso delle restrizioni alle esportazioni introdotte nel 2007, soprattutto per il riso).
Accanto alle tre aree negoziali indicate sopra, legate alle politiche di intervento per la sicurezza alimentare in caso di crisi, ve ne sono naturalmente molte altre rilevanti per la sicurezza alimentare in un’ottica di più lungo periodo, comprese, ad esempio, quelle relative al trattamento delle politiche da parte dei paesi poveri destinate a favorire lo sviluppo dell’agricoltura e a sostenere l’aumento della produzione interna, all’introduzione di deroghe alla riduzione della protezione alla frontiera per i cosiddetti “prodotti speciali”, e all’effettiva implementazione della decisione del 1994 relativa ai possibili effetti negativi della liberalizzazione del commercio per i paesi più poveri importatori netti di alimenti.
Ampia convergenza esiste sul fatto che l’attuale disciplina delle politiche nel Wto, quella scaturita nel 1994 dalla conclusione dell’Uruguay round, è sostanzialmente insoddisfacente dal punto di vista delle necessità dettate dalla volontà di aggredire il problema dell’insicurezza alimentare. Le opinioni risultano invece meno univoche quando la domanda diventa quella dell’adeguatezza alle esigenze di contrasto dell’insicurezza alimentare dell’accordo che era sembrato a portata di mano al momento della sospensione del negoziato nel 2008. La mia opinione è che i temi che sono stati indicati più sopra come difficilmente prescindibili per un’agenda negoziale che veramente, e non solo a parole, voglia porre tra i suoi obiettivi anche quello di favorire gli sforzi dei paesi poveri per ridurre le dimensioni del fenomeno della sotto-nutrizione, restano fuori dall’ipotetico possibile accordo che traspare dall’ultima bozza del documento delle “Modalità” (Wto, 2008): non c’è nulla relativamente alle politiche di costituzione di scorte attraverso l’acquisto di alimenti sul mercato interno a prezzi sussidiati; proprio i meccanismi di salvaguardia hanno costituito il tema sul quale si è dovuto registrare il fallimento del negoziato; e la disciplina delle politiche di restrizione temporanea delle esportazioni non è mai stata veramente neanche discussa. Una lettura degli elementi delle “Modalità” su cui nel 2008 si era registrata una convergenza invece sostanzialmente positiva dal punto di vista delle politiche per la sicurezza alimentare è quella proposta da Matthews (2014b) e Diaz-Bonilla (2013).

Cosa succederà?  

Cercare di prevedere quale possa essere l’esito del negoziato è naturalmente un esercizio tanto complicato quanto aleatorio.
L’accordo raggiunto alla fine del 2013 a Bali aveva generato un moderato ottimismo, raggelato però solo pochi mesi dopo dalla decisione, senza precedenti, dell’India di bloccare il processo formale di implementazione delle decisioni assunte alla Conferenza Ministeriale. Il superamento della difficile impasse nel novembre scorso ha reso possibile il riavvio di un’intensa attività negoziale che, sulla base dei segnali arrivati da Ginevra nelle ultime settimane, sembra essere genuinamente volta alla ricerca di una strada che consenta la conclusione del round, una ricerca che rimane però estremamente difficile.
La discussione che dovrebbe portare entro luglio alla definizione del “programma di lavoro” per portare a conclusione il Doha round vede due posizioni contrapposte: una che, sostanzialmente, vedrebbe di buon occhio una ripartenza del negoziato dal punto in cui esso si è arenato nel 2008, quindi, per quanto riguarda il negoziato agricolo, dal testo della bozza delle “Modalità” del dicembre di quell’anno (Wto, 2008), puntando a risolvere le questione rimaste insolute; l’altro che ritiene anche oggi molto difficile il raggiungimento di un accordo sulle questioni su cui non si era riusciti a trovare una soluzione nel 2008 e che, prendendo anche atto di condizioni di mercato oggi molto diverse da quelle all’avvio del round nel 2001, propone di ridefinire, almeno in parte, l’agenda negoziale includendovi anche temi nuovi (facilitando per questa via anche la possibilità di far emergere il necessario consenso sull’insieme delle decisioni).
Allo stato sembrerebbero prevalere coloro che preferirebbero non allontanarsi troppo dall’agenda del 2001 e ripartire nel negoziato da dove si era arrivati nel luglio del 2008, cercando un’intesa sui temi rimasti non risolti in materia di accesso ai mercati dei prodotti non agricoli, servizi e agricoltura, ponendo se mai un’attenzione maggiore che nel passato alle esigenze specifiche dei paesi in via di sviluppo. Questo vorrebbe dire aprire la porta alla possibilità di includere nella negoziazione i temi rilevanti per la sicurezza alimentare: quelli su cui un accordo non si era trovato, quelli che sono stati considerati nel negoziato, ma solo marginalmente e quelli che, invece, sono stati sin qui, sostanzialmente, ignorati1. Il fatto che il quadro degli elementi dell’accordo che servirebbero per aiutare i paesi più poveri ad intervenire per ridurre la loro insicurezza alimentare appaia abbastanza chiaro non garantisce affatto che essi troveranno posto nell’accordo conclusivo del round, posto che ad un accordo si riesca ad arrivare. Le nuove discipline e le maggiori flessibilità che faciliterebbero le strategie di riduzione dell’insicurezza alimentare dei paesi più poveri avrebbero un “costo” non solo per i paesi più ricchi, ma anche per i paesi in via di sviluppo più grandi esportatori di alimenti. Sia i primi che i secondi decideranno se accettare o meno le componenti specificamente pro-sicurezza alimentare di un’ipotesi di accordo solo sulla base della loro convenienza complessiva a sottoscriverlo, cioè solo se otterranno benefici sufficienti nelle altre aree dell’accordo. Si tratta di un delicato equilibrio negoziale, il cui raggiungimento non può affatto essere dato per scontato. I prossimi mesi saranno cruciali per valutare la probabilità che si arrivi ad una conclusione del Doha round: vedremo se i paesi riusciranno a trovare entro la scadenza prevista di luglio un accordo sul “programma di lavoro” e cosa succederà alla Conferenza Ministeriale prevista nel Dicembre di quest’anno a Nairobi.
Non è affatto detto, quindi, che si arrivi ad un accordo che chiuda il round e, anche se si dovesse arrivare ad un accordo, non è detto che questo contenga tutto o buona parte di ciò che sarebbe auspicabile per quanti considerano prioritaria la lotta all’insicurezza alimentare, giudicando insopportabile che ancora oggi siano cronicamente malnutrite più di 800 milioni di persone, l’11,3% degli abitanti del pianeta (Fao, Ifad e Wfp, 2014).

Riferimenti bibliografici

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  • 1. Per motivi di spazio e per il relativamente elevato grado di dettaglio in cui sarebbe necessario addentrarsi, non è possibile discutere in questa nota le possibili soluzioni per un accordo su ciascuna delle questioni individuate più sopra come rilevanti per la sicurezza alimentare; per esse si rimanda ai lavori di Anania (2013), Diaz-Bonilla (2014), Grant e Meilke (2011), Matthews (2014a e 2014b) e Montemayor (2014). Per un’analisi dei problemi che restano da risolvere per poter giungere ad un accordo nel negoziato agricolo si rimanda a Bureau e Jean (2013), Martin e Mattoo (2011), Matthews (2014c) e Meléndez-Ortiz, Bellmann e Hepburb (2014).
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