Potenzialità dell’ impiego dell’analisi ambientale e sociale del ciclo di vita del prodotto per la filiera ortofrutticola

Potenzialità dell’ impiego dell’analisi ambientale e sociale del ciclo di vita del prodotto per la filiera ortofrutticola
a Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari

Introduzione

Il consumatore moderno di frutta e verdura mostra una spiccata sensibilità verso i temi attinenti la sostenibilità ambientale e socio-economica, che si traduce a sua volta in fattori di scelta dei prodotti ortofrutticoli (Garipoli, 2012). In possesso di un determinato tipo di informazioni, il consumatore orienta così i suoi acquisti verso prodotti che rispondono ad una definizione di sostenibilità, divenuta nel tempo multidimensionale (Fabris, 2003). Queste informazioni diventano tanto più rilevanti, per quegli attributi di fiducia (credence) dei prodotti ortofrutticoli, che non possono essere verificati con certezza nemmeno dopo l’esperienza di consumo. Tra questi vi sono, ad esempio, caratteristiche quali la provenienza locale del prodotto, la naturalità, il sostegno ai produttori e il rispetto dei diritti dei lavoratori (Moser et al., 2011). In questo caso la decisione del consumatore verte esclusivamente sulla fiducia che nutre nei confronti delle informazioni contenute in etichetta, nei marchi o in altri elementi che contribuiscono alla costruzione di una reputazione del prodotto attraverso la comunicazione di alcuni dei suoi attributi estrinseci. Viene così ridotta l’asimmetria informativa e si trasforma l’attributo di fiducia in un attributo di ricerca, che fa sì che alcune informazioni possano essere quindi note ai consumatori prima dell’acquisto e a prescindere dall’esperienza di consumo.
La maggiore attenzione per gli equilibri sociali e ambientali e il come trasmettere correttamente questi aspetti rivestono dunque notevoli implicazioni per il sistema della filiera ortofrutticola. Nel momento di introdurre un nuovo prodotto, di differenziarlo o di valorizzarlo, sarà necessario considerare l’utilizzo delle risorse naturali, la minimizzazione degli effetti delle attività agronomiche sull’ambiente e sulla collettività, il modo e il luogo in cui esse sono prodotte, le caratteristiche e l'impatto ambientale e socio-economico del processo di elaborazione-trasformazione, la salubrità del prodotto realizzato, le caratteristiche della distribuzione, fino al recupero e alla gestione degli scarti. La soddisfazione di queste attese del consumatore richiede un totale coinvolgimento aziendale per mantenere, migliorare e comunicare le caratteristiche qualitative del prodotto e di chi lo produce, e si trasforma a sua volta in un incentivo ad adottare dei correttivi e miglioramenti delle proprie performance per gli attori di filiera (Goleman, 2009). Nell’ottica di rispondere a questa crescente domanda in modo adeguato e commisurato alle esigenze del consumatore, nel corso dell’ultimo decennio anche nel settore dell’ortofrutta, sono stati elaborati strumenti certificabili (certificazioni e disciplinari volontari di prodotto) e non, funzionali al solo prodotto o con una visione più allargata di filiera/sistema per valutare singolarmente e/o congiuntamente le diverse dimensioni della sostenibilità (ambientale, sociale e economica), di cui la tabella 1 ne riporta una sintesi.
Tra le certificazioni volontarie da parte di enti terzi, la Global Gap (fino al 2007 EurepGap), nata su iniziativa del Gruppo di Distributori europei Eurep (Euro-Retailer Produce Working Group) appare al momento l’iniziativa più trasversale alle diverse componenti della sostenibilità e alla filiera.
La certificazione si basa sul rispetto di buone pratiche agricole (Good Agricultura Practices da cui l’acronimo Gap) per i prodotti agricoli di origine vegetale, rispondendo alle esigenze dei consumatori in merito alla sicurezza alimentare, rintracciabilità, tutela e conservazione dell’ambiente, salute e sicurezza dei lavoratori. Il protocollo può essere adottato per singole fasi o sull’intera filiera, tramite un sistema di certificazione per moduli che nell’opzione 1 è rivolto alle aziende agricole, mentre nell’opzione 2 comprende la gestione del sistema di qualità da parte di aziende commerciali e di condizionamento di prodotti ortofrutticoli, che operano nelle fasi successive alla produzione agricola.

Tabella 1 - Sintesi dei principali strumenti (certificati e non) utilizzati nella filiera ortofrutticola


Se guardiamo al complesso degli strumenti oggi utilizzati nella filiera ortofrutticola emerge tuttavia la mancanza di un unico standard che abbia come oggetto la sostenibilità a 360° (ambientale, etica ed economica). Non sempre poi prevale una logica business to consumer in cui è il consumatore il destinatario finale delle informazioni contenute in questa tipologia di strumenti, ma ci si limita a seguire un percorso all’interno di un segmento della filiera.
Un‘innovazione che potrebbe avvantaggiare tutta la filiera ortofrutticola risiede nella recente estensione dell’approccio del Life Cycle Thinking alla dimensione sociale ed economica attraverso lo sviluppo della metodologia del Social Life Cycle Assessment.
Dopo una rassegna dell’analisi del ciclo di vita del prodotto (Life Cycle Assessment) alla filiera ortofrutticola e la presentazione dei caratteri di novità che risiedono nell’applicare la metodologia del Social Life Cycle Assessment, l’articolo riflette su come una valutazione di ciclo di vita che integri anche aspetti di natura socio-economica, possa presentare delle potenzialità specifiche per questo settore e quali siano al momento le principali problematiche metodologiche di applicazione.

L’evoluzione del Life Cycle Thinking: oltre il Life Cycle Assessment ambientale

Finora l’approccio del Life Cycle Thinking si è reso concreto attraverso la metodologia del ciclo di vita del prodotto, traduzione italiana di Life Cycle Assessment (Lca), strumento il cui riferimento normativo internazionale per l’esecuzione è rappresentato dalle norme Iso della serie 14040, nato per aiutare a quantificare, interpretare e valutare gli impatti ambientali di uno specifico prodotto o servizio, durante l'intero arco della sua vita. Date le sue specificità, che ben si adattano all’analisi del comportamento della filiera dalla fase di produzione fino allo smaltimento finale, ampio è stato il suo utilizzo per la valutazione dei sistemi ortofrutticoli. In molti casi ha favorito il paragone, in termini di rifiuti generati e di impatti sull’ambiente, tra prodotti che utilizzano diversi canali di distribuzione (vendita diretta, Gdo) (Sillig e Marletto, 2009), che impiegano diversi sistemi colturali (convenzionale vs biologico vs integrato) (Baroni et al., 2007; Wood et al., 2006) o con diverse tecniche e tipologie di coltivazione (tunnel, pieno campo) (Cellura et al., 2012) o che utilizzano diversi sistemi di trasporto e di packaging (sia come processo che come materiali) (Albrecht et al., 2013; Levi et al., 2011; Singh et al., 2006) o che hanno una diversa provenienza (locale o d’importazione) (Payen et al., 2015; Webb et al., 2013). In molti casi il Lca, evidenziando e localizzando le opportunità di riduzione degli impatti ambientali, ha rappresentato uno strumento di supporto alle decisioni (Stoessel et al., 2012) e un primo passo verso la realizzazione d’interventi migliorativi della sostenibilità della filiera, tra cui la sostituzione di materiali ecocompatibili a quelli tradizionali per la pacciamatura e per il packaging (Girgenti et al., 2014), l’adozione di soluzioni di risparmio energetico (Renz et al., 2014). In altri casi ancora la metodologia è stata utilizzata per informare il pubblico in merito all’impatto ambientale legato al ciclo di vita dei prodotti della filiera ortofrutticola mediante successiva convalida della Dichiarazione Ambientale di Prodotto (Epd®) come ad esempio nel caso delle mele italiane che fanno capo all’Associazione italiana delle Organizzazioni di produttori di mele, Assomela, che attraverso il Lca ha effettuato la quantificazione degli impatti ambientali associati al ciclo di vita delle mele relativi alla campagna 2012 (Epd, 2012).
Recentemente, l’approccio del Life Cycle Thinking inserito nel quadro teorico più ampio della Sostenibilità del Ciclo di Vita (Life Cycle Sustainability Analysis, Lcsa) (Kloepffer, 2008; Finkbeiner et al., 2010; Zamagni et al., 2013) a cui l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep) e la Society of Environmental Toxicology and Chemistry, (Setac), hanno dedicato una pubblicazione ad hoc (Unep/Setac, 2011), ha aperto la strada per la costruzione di una metodologia interdisciplinare volta a combinare ed integrare le valutazioni della sostenibilità per le componenti ambientale, sociale ed economica.
Accanto quindi alla valutazione ambientale del ciclo di vita di un prodotto (che oggi tendenzialmente non viene più definita dall’acronimo Lca, ma da quello E-Lca per sottolineare la connotazione ambientale) si vanno ad integrare una valutazione sociale (S-Lca che sta per Social Life Cycle Assessment) ed economica (Lcc che sta per Life Cycle Costing) del medesimo ciclo, come visibile in figura 1.

Figura 1 - Rappresentazione delle componenti dell’analisi di sostenibilità del ciclo di vita del prodotto (Life Cycle Sustainability Analysis, Lcsa)

Fonte: Unep/Setac (2011)

Ai fini di una valutazione complessiva della sostenibilità, i singoli addendi rappresentano valutazioni distinte del ciclo di vita per ogni ambito, coerenti per quanto riguardano i confini del sistema preso in esame, che vengono poi analizzate congiuntamente e bilanciate solo nella fase finale, attraverso un meccanismo che non è una semplice sommatoria, ma un’integrazione delle tre dimensioni, così come era già previsto ai primi esordi della metodologia che si limitavano alla componente ambientale e sociale (O’ Brien et al., 1996).
I risultati delle tre valutazione possono così essere integrati fra loro, conducendo così ad una descrizione più esauriente ed articolato degli impatti che si registrano nel ciclo di vita di un prodotto, permettendo così la possibilità di avere un giudizio sulla sua sostenibilità complessiva (Hunkeler e Rebitzer, 2005).

Il Lca sociale

Sostanzialmente sull’esistenza del metodo di Lca ambientale, già sufficientemente sviluppato all’interno del pensiero del Life Cycle Thinking, si sono creati così i presupposti per pensare che sia possibile valutare l’impatto sociale e socio-economico di un prodotto/servizio attraverso l’utilizzo di apposite variabili e strumenti per la loro quantificazione ripercorrendo le fasi su cui si struttura l’analisi del ciclo di vita secondo le norme standard definite dalle Iso 14040.
Va ricordato come questo allargamento concettuale ed analitico di prospettiva alla sfera socio-economica, sia anche una conseguenza diretta dell’evoluzione stessa del concetto di sostenibilità. Per oltre un decennio, infatti, con sviluppo sostenibile si è inteso quasi unicamente l’integrazione degli aspetti ambientali nei processi economici, il che si è tradotto a sua volta in una minor integrazione degli aspetti sociali negli ambiti di decisione politica rispetto a quelli ambientali. Tuttavia, il crescente interesse per la considerazione degli aspetti etici nella gestione della sostenibilità aziendale, ha spinto la comunità scientifica a interrogarsi su come prima interpretare e poi misurare gli impatti sociali, a fronte della loro immaterialità, del loro riferimento congiunto (bipolare) ad una dimensione sia individuale, che collettiva, della loro natura dinamica che rende difficile l’individuazione diretta di un nesso causa-effetto (Lehtonen, 2004).
Specificatamente rispetto a quella che è la finalità della Lca sociale, l’obiettivo è di valutare le conseguenze delle relazioni sociali (interazioni) che si creano all’interno del contesto (di produzione, di coltivazione, di commercializzazione) di un bene (prodotto, servizio) specifico e di capire come gli attori coinvolti nel processo possano condizionarle (positivamente o negativamente). Sulla falsariga di quella che è l’impostazione dell’Lca ambientale, non esiste un vincolo di scelta spaziale o temporale per la definizione dell’unità funzionale, ma viene richiesto quale prerequisito allo svolgimento dell’analisi la definizione dell’oggetto e il rispetto delle fasi attraverso cui si articola il metodo: definizione dell’obiettivo, analisi di inventario, valutazione dell’impatto e interpretazione. L’aspetto d’innovazione e di caratterizzazione rispetto all’Lca ambientale è rappresentato dall’inserimento della categoria degli stakeholder e delle rispettive sottocategorie di analisi lungo le fasi del ciclo di vita del prodotto preso in considerazione. Per rendere più agevole la comprensione di questo connotato metodologico della Lca sociale, il gruppo di studio Unep/Setac ha elaborato uno schema (Tabella 2), da considerarsi indicativo e non esaustivo di quelli che potrebbero essere gli stakeholder (categorie) e di indicatori (sottocategorie) da prendere in considerazione rispetto a quelli che sono gli obiettivi e i confini della valutazione (Unep/Setac 2009, 2010).

Tabella 2 - Categorie di stakeholder e sotto-categorie

Fonte: traduzione degli autori da Unep/Setac (2009, pag. 49)

I dati, a differenza dell’Lca ambientale, non sono dunque classificati secondo le diverse categorie d’impatto, ma rispetto agli stakeholder interessati. Questo tipo d’impostazione rende necessario nell’applicazione della metodologia il reperimento diretto di dati site-specific (Jørgensen et al., 2008; Dreyer et al., 2006) qualora non siano già disponibili dati e statistiche riferibili all’ambito di riferimento dello studio (Grieβhammer et al., 2006).
Proprio come già riscontrato per l’Lca ambientale, è necessaria tuttavia un’accurata selezione dei parametri da considerare per l’applicazione della Lca sociale e l’identificazione degli aspetti della produzione che hanno una rilevanza socio-economica coerenti con lo scopo dell’analisi. L’implementazione e la validazione degli indicatori proposti per le categorie di stakeholder sono tuttora in evoluzione. In tal senso, è in corso un tentativo di costruzione di un database denominato Social Hotspot Database (Shdb), utilizzabile all’interno del software open source openLca e SimaPro, per agevolare il reperimento dei dati e facilitare l’individuazione dei fattori di rischio sociali presenti all’interno del ciclo di vita dei prodotti (Benoit-Norris et al., 2012). L’iniziativa, promossa dall’organizzazione non-profit New Earth come seguito e in continuità all’attività intrapresa da Unep/Setac con la pubblicazione delle linee guida per la realizzazioni di studi di Lca sociale (Unep/Setac, 2009), fornisce a livello di paese, dati relativi alle sottocategorie di impatto che riguardano i diritti dei lavoratori, i diritti umani, la salute e la sicurezza, le pari opportunità, la governance e la comunità trasversalmente a 57 settori, compresi quelli della produzione agricola e agroalimentare.

Quale impiego per il settore ortofrutticolo?

Nonostante non vi sia una definizione condivisa di sostenibilità sociale, in un settore come quello dell’ortofrutta, la sua valutazione integrata ai risultati che provengono dall’analisi di carattere più strettamente ambientale, appare uno strumento che mostra interessanti potenzialità di applicazione. La condivisione dei medesimi confini di sistema e unità funzionale permette di avere un risultato combinabile per una descrizione più esauriente degli impatti che si registrano nel ciclo di vita di un prodotto (Unep/Setac, 2011) e la conseguente costruzione di un giudizio più articolato sulla sostenibilità complessiva di quanto analizzato. Aspetto che diventa ancor più rilevante in un settore che sempre più è orientato a costruire un "prodotto di qualità", caratterizzato non solo dalla genuinità intrinseca, ma anche dalla capacità di coinvolgere/integrare le diverse fasi della filiera (Briamonte e D’Oronzio, 2010), rappresentando gli interessi e le necessità degli stakeholder coinvolti, ivi compresi i produttori, i lavoratori salariati, i distributori, i consumatori e le istituzioni del territorio.
Queste tendenze sembrano infatti offrire maggiori spazi per il recupero di una dimensione locale/territoriale dello sviluppo delle filiere ortofrutticole. All’interno della diversità e frammentazione del sistema ortofrutticolo italiano, l'emergere e l'affermarsi di una nuova sensibilità sociale che possa essere trasmessa anche alla sfera economica e nelle forme di organizzazione della produzione, può essere utilizzata come fattore concorrente alla creazione di una certa reputazione aziendale e di filiera. Se considerata poi in una prospettiva di maggiore differenziazione/connotazione di prodotto e di recupero e rafforzamento dei legami agricoltura-territorio-ambiente, una delle leve su cui far presa potrebbe essere quella di rendere manifesto come le imprese s’inseriscano all’interno degli equilibri sociali e ambientali dei contesti locali di azione.
Si aprono così nuove possibilità per il permanere sul mercato e sul territorio delle piccole aziende a carattere famigliare e per le iniziative di cooperazione fra imprese volte ad accrescere il valore etico-sociale dei prodotti e dei territori nei quali operano.
La possibilità inoltre di ottenere e decodificare informazioni trasversali alla filiera e che ricomprendono i diversi stakeholder, sembra rispondere alla necessità di comprendere il grado di condivisione degli obiettivi e la cooperazione fra le imprese, requisiti per un reale passaggio da una responsabilità sociale di singola impresa a quella di filiera, se non addirittura di territorio. Questo coerentemente con una nuova logica di responsabilità sociale, dove la competitività non è data dalla sola capacità di stare e rispondere al mercato, ma anche dall’impegno e dalla garanzia del rispettare adeguati livelli di sostenibilità lungo la filiera e di contribuire al processo di sviluppo locale nei contesti territoriali di appartenenza.
Le problematiche di applicazione dell’approccio alla filiera ortofrutticola sono connaturate a quelle che sono le sue specificità, ma che al tempo stesso rappresentano i fattori che rendono potenzialmente interessante l’utilizzo della metodologia. Il carattere di diversificazione e frammentazione, il coinvolgimento di più attori della filiera, soprattutto quelli di piccola dimensione, le specificità che le produzioni assumono per lo sviluppo locale dei contesti di appartenenza, rendono necessario un lavoro capillare di raccolta di dati site-specific.
Questa parte deve essere tuttavia controbilanciata dal raggiungimento di un insieme condiviso e standardizzato d’indicatori validi trasversalmente al settore, che risponda alla domanda di trasparenza posta dai consumatori e di sinergia con una progettazione strategica con la governance locale, favorendo così una maggior diffusione del metodo nella sua applicazione specifica alla filiera ortofrutticola.

Considerazioni conclusive

Nonostante l’incertezza che riguarda ancora alcuni aspetti più specifici di carattere metodologico, ma che rappresenta al tempo stesso uno stimolo per avanzare su questo filone di ricerca, l’impiego congiunto dell’analisi ambientale e sociale del ciclo di vita del prodotto appare un approccio adatto a supportare un decision making orientato allo sostenibilità per la filiera ortofrutticola. Questo vale in particolar per quelle situazioni, dove già esistono accordi di filiera e si ha l’intenzione di implementare/valorizzare azioni sinergiche tra competitività e sostenibilità, che comprendono ad esempio l’erogazione di servizi a carattere sociale e ambientale per l’intera comunità, la progettazione strategica a livello territoriale, l’adozione di misure in grado di migliorare il potere contrattuale delle parti in causa e le condizioni dei lavoratori. Tema quest’ultimo che necessariamente va approfondito e comunicato con maggior trasparenza anche alla luce del crescente binomio agricoltura/immigrazione nel comparto.
Rispetto ad una certificazione, l’utilizzo combinato dei due strumenti appare dotato di una maggiore flessibilità in quanto potrebbe consentire di focalizzare le risorse e l’attenzione su alcuni aspetti specifici in materia di sostenibilità della filiera, ritenuti prioritari insieme a uno o più stakeholder di riferimento e pertinenti rispetto al prodotto considerato. Ciò non esclude tuttavia la possibilità di raccogliere informazioni che possano poi essere strumentali alla successiva adozione di certificazioni e/o etichettature volte a comunicare la sostenibilità del prodotto (come del resto già avviene nel caso dell’Lca ambientale) e che forse potrebbe facilitare l’adozione e la diffusione del modello di certificazione ambientale e sociale secondo lo schema del ciclo di vita, che oggi appare ancora limitato perché poco conosciuto e per lo sforzo di coordinamento che richiede agli attori di filiera. In questo contesto, l’aspetto della quantificazione dei costi di certificazione e da chi vadano sostenuti internamente alla filiera, se forse può sembrare prematuro data la necessità di rafforzare ulteriormente la metodologia attraverso l’applicazione a casi studio concreti, appare un aspetto non certo trascurabile. Infatti oltre a comprendere quale sia un costo commisurato ai benefici arrecati, serve capire come il valore aggiunto che l’adozione della metodologia può apportare, si distribuisca poi tra i diversi attori della filiera.

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