Introduzione
I temi del benessere e della qualità della vita hanno da sempre caratterizzato il “sogno Europeo” (Rifkin, 2004). Più di recente, questi temi sono stati spesso declinati anche a livello territoriale, non solo in ambito urbano (Florida et al., 2013; Okulicz-Kozaryn, 2013), ma anche in ambito rurale. Ad esempio, il Programma di Sviluppo Rurale (Psr) 2007-2013 aveva dedicato un intero asse proprio al miglioramento della qualità della vita in tal zone (Asse 3). Alla base di quest’intervento c’era l’idea che, nelle campagne, la qualità della vita fosse inferiore rispetto alle città. In effetti, molte zone rurali fronteggiano un minor reddito pro-capite, mercati del lavoro più rigidi e dotati di minori livelli di professionalità, una più limitata presenza di attività manifatturiere e terziarie (Cagliero et al., 2012). Per usare le parole di Murdoch (2003), la stessa Commissione Europea pareva rigettare la visione dei ‘pastoralisti’ (ovvero una visione idilliaca della vita rurale, contraddistinta da coesione sociale, condivisione di valori e maggiore integrità morale), accogliendo invece quella dei ‘modernisti’, per la quale il mondo rurale presenta minore capacità innovativa e chiusura ai cambiamenti, necessitando dunque di aiuto e sostegno esterno.
In realtà, molti lavori empirici hanno in parte confutato tale visione, dimostrando come, proprio negli ultimi decenni, un’enorme vitalità (anche sotto forma di più robusta crescita economica) abbia interessato alcune aree rurali in Europa (Oecd, 2006). Inoltre, Shucksmith et al. (2009), utilizzando i dati della European Quality of Life Survey del 2003 relativi a 28 Paesi, hanno osservato che nei paesi della UE-12 le differenze tra aree urbane e aree rurali in termini di qualità della vita sono minime: esse si ampliano soltanto nei paesi più poveri dell’Unione, dove i territori rurali presentano condizioni più svantaggiate rispetto alle città.
Dunque, seguendo dinamiche di lungo periodo, le aree rurali presentano oggi caratteristiche differenziate, spesso legate a peculiarità locali (Sotte et al., 2012). Alla luce di queste dinamiche, il lavoro intende far luce sui legami che esistono tra ruralità e qualità della vita in Italia, utilizzando i dati pubblicati annualmente dal quotidiano “Il Sole 24 Ore” per le province italiane (Il Sole 24 Ore, 2013). Tali dati permettono, in primo luogo, di dar conto dell’estrema variabilità che caratterizza la qualità della vita nelle province del nostro paese. Inoltre, essi consentono di osservare anche il ruolo giocato dalla prossimità geografica e dalle crescenti interconnessioni tra aree rurali e aree urbane: anche il grado di ruralità o urbanità delle province limitrofe, infatti, sembra avere un effetto nel livello di qualità della vita osservato.
Un problema di definizioni
Definire la qualità della vita
Negli ultimi decenni, il tema della qualità della vita è stato ampiamente dibattuto soprattutto a livello internazionale (Stiglitz et al., 2008, Commissione Europea, 2009; Eenrd, 2010; Florida et al., 2013). Nonostante non esistano definizioni univoche, i principali studi hanno riconosciuto la natura multidimensionale del fenomeno (Layard 2005; Stiglitz et al., 2008) anche con riferimento alle aree rurali (Shucksmith et al., 2009; Manca e Pozzolo, 2012; Cagliero et al., 2012). Ad influenzare la qualità della vita non è solo la dimensione economica: rilevano anche elementi immateriali, come le relazioni sociali, la salute, la qualità ambientale. Stiglitz et al. (2008) hanno evidenziato come misurazioni convenzionali della ricchezza, basate sul reddito o sui consumi, siano di fatto inadeguate per una corretta valutazione della qualità della vita, se non sono accompagnate da altri indicatori di tipo non monetario.
Il presente lavoro adotta un approccio multidimensionale all’analisi della qualità della vita ricorrendo alla metodologia di misurazione proposta dal quotidiano finanziario “Il Sole 24 Ore”, nel dossier annuale sulla qualità della vita nelle province italiane (Il Sole 24 Ore, 2013). Senza ricorrere a valutazioni di tipo soggettivo circa le percezioni individuali, tale dossier tenta di misurare il fenomeno in modo ‘oggettivo’, attraverso la costruzione di indicatori di sintesi ottenuti a partire da 36 variabili elementari afferenti a sei diverse tematiche:
- tenore di vita;
- affari e lavoro;
- servizi e ambiente;
- ordine pubblico;
- popolazione;
- tempo libero1.
A partire dalle singole variabili elementari, la costruzione di un indice sintetico di qualità della vita avviene in due passaggi:
- standardizzazione degli indicatori elementari mediante “distanza da un riferimento”2;
- aggregazione degli indicatori standardizzati, mediante media aritmetica semplice.
Sono così ottenuti sei indicatori intermedi (uno per area tematica) e un indice sintetico di qualità della vita.
Diverse critiche sono state mosse a questa metodologia: ad esempio, la scelta di adottare un approccio compensativo tra singoli indicatori tematici (si veda, in merito, Mazziotta e Pareto, 2010) o ancora la mancata assegnazione di un peso differente a ciascuno di essi. Nonostante ciò, tale analisi ha anche il merito di permettere una prima quantificazione del fenomeno.
Senza entrare nel merito di tali critiche, nel presente lavoro, si è scelto di considerare sia l’indicatore complessivo di qualità della vita sia i singoli indicatori tematici: ciò permette, infatti, di condurre valutazioni separate rispetto alle singole componenti, che potrebbero avere un peso differente nella valutazione individuale del livello di qualità della vita.
Definire la ruralità
Al pari della qualità della vita, anche il concetto di ruralità si presenta, per definizione, alquanto sfumato. Tra i tentativi di classificazione internazionale più noti, Oecd (2006) ed Eurostat (2010) distinguono le regioni Nuts 3 prevalentemente rurali (PR); intermedie (IR) e prevalentemente urbane (PU). L’approccio proposto sconta alcuni limiti, tra cui il fatto che si basa su un unico criterio (quello demografico) e che non permette di superare compiutamente la dicotomia urbano-rurale (Camaioni et al., 2013). In realtà, negli ultimi decenni, le differenze tra città e campagna sono andate progressivamente sfumando (Sotte et al., 2012). Pertanto, anche le tassonomie proposte per leggere il territorio sono mutate e nuovi indicatori continui (capaci di catturare l’intero spettro di sfumature urbano-rurali esistenti) hanno affiancato le classificazioni categoriche della ruralità. Inoltre, sono stati proposti approcci multidimensionali in grado di descrivere la ruralità mediante set di variabili (socio-demografiche, economiche e territoriali). Si veda in merito la rassegna proposta da Copus et al. (2008). A livello nazionale, poi, sono state proposte classificazioni della ruralità a scala comunale, dunque con un grado di disaggregazione territoriale molto maggiore.
Tuttavia, ai fini del presente lavoro, si utilizzerà quale unità d’analisi di riferimento il livello provinciale (Nuts 3). I dati raccolti da Il Sole 24 Ore (2013), infatti, non presentano un livello di disaggregazione territoriale maggiore3. Nonostante tale scelta, si riconosce l’importanza di un approccio multidimensionale nell’analisi della ruralità. Si adotta, infatti, un indicatore di ruralità fuzzy (Fuzzy Rurality Index, Fri) calcolato da Pagliacci (2014): si tratta di un indicatore continuo, ottenuto applicando la logica fuzzy (Zadeh, 1968) a sei variabili, tra cui ruolo dell’agricoltura, densità della popolazione e uso dei suoli4. L’output del Fri varia tra 0 (minimo grado di ruralità) e 1 (massimo grado di ruralità), individuando così anche livelli intermedi di ruralità. La tabella 1 presenta alcuni indicatori di sintesi del Fri per l’Italia e per le ripartizioni territoriali Istat. La ruralità non è uniforme a livello territoriale: spostandosi da Nord a Sud, essa aumenta in modo sensibile. Per testare la robustezza dei risultati, in questo lavoro, la ruralità è espressa anche attraverso la classificazione Eurostat (2010), che, riprendendo e modificando la tassonomia inizialmente proposta da Oecd, permette di distinguere tra province prevalentemente rurali (PR), intermedie (IR) e prevalentemente urbane (PU).
Tabella 1 – Valori del Fri e numero di province per tipologia urbano-rurale, a livello nazionale e per ripartizioni territoriali Istat
Fonte: elaborazione personale su dati Pagliacci (2014)
Qualità della vita e ruralità: una relazione dal segno incerto
L’analisi congiunta di ruralità e qualità della vita, a livello nazionale, non sembra far emergere una relazione chiara. Considerando le tipologie urbano-rurali di Eurostat, l’analisi Anova5 non evidenzia differenze statisticamente significative tra province PU, PR ed IR. Adottando invece il Fri quale misura della ruralità, si osserva una correlazione negativa e statisticamente significativa: all’aumentare del grado di ruralità dunque diminuisce la qualità della vita. Dall’analisi dei sei sotto-indicatori calcolati da Il Sole 24 Ore (2013) emergono relazioni altrettanto incerte. L’analisi Anova evidenzia differenze significative soltanto per quanto concerne Tenore di Vita e Servizi e Ambiente (con performance migliori tra le regioni PU) e Ordine Pubblico (punteggi più elevati per le province PR). L’analisi condotta sul Fri mostra risultati solo in parte concordanti. Anche in questo caso si segnala un’unica relazione di segno positivo: quella tra ruralità e Ordine Pubblico (Tabella 2).
Tabella 2 – Qualità della vita e grado di ruralità: analisi Anova e coefficienti di correlazione di Pearson (p-value in parentesi)
*: statisticamente significativo al 5%
Fonte: elaborazione personale su dati “Il Sole 24 Ore” (2013)
Questi dati sembrano confermare un minor livello di qualità della vita nelle aree rurali italiane, specialmente in termini di tenore di vita e disponibilità di servizi. Tuttavia, tali risultati nascondono forti differenze regionali: come già osservato, infatti, il grado di ruralità non è uniforme da Nord a Sud.
La tabella 3 dunque riporta l’analisi di correlazione tra Fri e indicatore di qualità della vita per ciascuna ripartizione territoriale6. I risultati sono in parte inattesi. La correlazione tra indice generale di qualità della vita e ruralità non appare significativa nelle province del Nord-Ovest e del Centro; nelle restanti ripartizioni territoriali, invece, la correlazione è positiva (un aumento del grado di ruralità provinciale si accompagna cioè ad un aumento della qualità della vita). Anche dall’analisi delle singole componenti dell’indice, emergono risultati simili. Benché molte relazioni non siano significativamente diverse da zero (assenza di differenze tra aree urbane e aree rurali) alcuni dati meritano di essere evidenziati. A Nord-Ovest, ad esempio, la dotazione di servizi e infrastrutture è migliore nelle aree più urbane (ad esempio, Milano e Torino), mentre a Nord-Est si osserva una migliore dinamica demografica (variazione della popolazione giovane, quota di immigrati, percentuale di laureati) nelle province più rurali. Nelle regioni centrali, le province più rurali scontano un minore tenore di vita e una minore dotazione di servizi e infrastrutture (in questo caso, però, pesa il forte divario con Roma). Infine, mentre nelle regioni del Sud peninsulare, ordine pubblico e dinamica demografica sono positivamente correlate con il grado di ruralità, nelle due Isole si osserva un più alto tenore di vita nelle province più rurali (grazie, probabilmente, ad una maggiore diversificazione turistica di questi territori).
Tabella 3 – Qualità della vita e grado di ruralità per ripartizioni territoriali Istat: coefficienti di correlazione di Pearson (p-value in parentesi)
*: statisticamente significativo al 5%
Fonte: elaborazione personale su dati “Il Sole 24 Ore” (2013)
Questi dati sembrano essere, almeno in parte, discordanti rispetto ai risultati sulla qualità della vita nelle aree urbane e rurali dell’Unione Europea presentati da Shucksmith et al. (2009), sulla base della European Quality of Life Survey del 20037 . A livello nazionale, infatti, i dati de “Il Sole 24 Ore” fanno emergere una relazione negativa tra grado di ruralità e qualità della vita, mentre, controllando per ripartizione territoriale (che in Italia è una proxy molto forte del benessere socio-economico), tali differenze sembrano ridursi e, in taluni casi, cambiare di segno. Pur essendo consapevoli di alcuni limiti propri di questa analisi (ad esempio la stessa scelta delle variabili iniziali sulle quali è costruito l’indice di qualità della vita), sembrerebbe che gli ingenti flussi di contro urbanizzazione, osservati in Italia negli ultimi decenni, non siano guidati soltanto da fattori economici, in primis il minore costo della vita nelle aree rurali, ma anche da una migliore qualità della vita registrata in questi territori, specialmente nel Nord Est e nel Sud e Isole.
Il vantaggio di essere ‘vicini a’: gli spillover territoriali
È stato osservato come, nel paradigma della ruralità post-moderna, le aree rurali siano caratterizzate non solo da un crescente polimorfismo, ma anche da una forte interconnessione con le aree urbane (Sotte et al., 2012). Proprio per questo motivo, nel valutare la qualità della vita è opportuno prendere in esame anche le caratteristiche dei territori circostanti. Sempre più spesso, infatti, ci si sposta per motivi di lavoro o di piacere anche al di fuori della propria provincia di residenza: si può vivere in una provincia rurale, ma lavorare in un capoluogo urbano; risiedere in città ma spostarsi in collina nei week-end. Le implicazioni, anche in termini di qualità della vita, di tali spostamenti sono evidenti.
Rispetto alle tradizionali analisi esplorative di tipo spaziale (Moran, 1950), si è qui preferito mettere in relazione la qualità della vita osservata in una provincia con il grado di ruralità delle province limitrofe, testando così la presenza di spillover territoriali, legati alla presenza di aree urbane o aree rurali. Per ogni provincia italiana, dunque, è stato calcolato uno spatially-lagged Fri, ovvero il valore medio dell’indicatore Fri per l’insieme delle province vicine. Per province ‘vicine’ si fa qui riferimento a province che condividono un tratto di confine amministrativo (Anselin, 1988).
In tabella 4, sono riportati i coefficienti di correlazione tra qualità della vita e spatially-lagged Fri. Se i dati nazionali complessivi soffrono dello stesso bias già evidenziato in precedenza, i dati disaggregati per ripartizione territoriale permettono di far emergere alcuni risultati interessanti. A Nord-Est e nelle Isole, non è solo il grado di ruralità ad essere correlato positivamente con l’indice di qualità della vita (cfr. Tabella 3): anche il grado di ruralità delle province adiacenti presenta un’analoga correlazione positiva. Questi spillover territoriali sulla qualità della vita, che originano dalla ruralità delle province limitrofe, non sono invece osservati nelle altre ripartizioni. Rispetto ai singoli indicatori che compongono la qualità della vita, poi, a Nord-Ovest la vicinanza con le province più metropolitane (ad esempio, Torino e Milano) ha un effetto positivo sul tenore di vita e sulla dotazione di servizi, mentre la dimensione del tempo libero è positivamente influenzata dalla vicinanza a province maggiormente rurali (ad esempio, quelle alpine). Anche a Nord-Est si osserva una simile relazione con riferimento alla dimensione del tempo libero. Infine, nelle Isole, sono le province maggiormente rurali a presentare marcati spillover inter-provinciali, in termini di tenore di vita, dotazione infrastrutturale e di servizi, mercato del lavoro e tempo libero. L’unica dimensione della qualità della vita che non presenta nessun tipo di ricaduta territoriale sembra essere quella dell’ordine pubblico. Il dato, in realtà, non è sorprendente: tale aspetto, infatti, include variabili solo parzialmente influenzate da quanto osservato nelle province limitrofe.
Tabella 4 – Qualità della vita e grado di ruralità medio delle province circostanti, per ripartizioni territoriali Istat: coefficienti di correlazione di Pearson (p-value in parentesi)
*: statisticamente significativo al 5%
Fonte: elaborazione personale su dati “Il Sole 24 Ore” (2013)
Conclusioni
Il lavoro riporta i primi risultati di un’analisi sulla qualità della vita nelle province italiane. Senza focalizzarsi sulle singole posizioni delle classifiche, i dati pubblicati dal dossier annuale de “Il Sole 24 Ore” sono stati qui messi in relazione con le caratteristiche di ruralità delle province italiane. L’analisi porta a sostenere come, al netto del ben noto (e purtroppo consolidato) divario tra regioni settentrionali e meridionali, le province rurali non sembrino presentare livelli di qualità della vita inferiori rispetto a quelli osservati nelle aree metropolitane. Al contrario, tanto a Nord-Est quanto al Sud e nelle Isole, all’aumentare del grado di ruralità è associato un miglioramento dell’indicatore complessivo di qualità della vita. Inoltre, alla luce delle crescenti interconnessioni dei singoli sistemi economici provinciali e della crescente mobilità inter-provinciale della popolazione (quotidiana, settimanale o stagionale), si è scelto di osservare anche le relazioni esistenti tra qualità della vita e grado di ruralità delle province limitrofe. Tale approccio spaziale sembra supportare, almeno in parte, l’esistenza e la rilevanza di tali relazioni.
I risultati qui presentati, dunque, suggeriscono la necessità di una politica del territorio di più ampio respiro, anche per quanto concerne le sfide connesse con il tema della qualità della vita. Piuttosto che focalizzarsi sugli avanzamenti delle singole province nel ranking annuale, sarebbe auspicabile utilizzare l’utile analisi proposta da “Il Sole 24 Ore” come strumento di policy di lungo periodo, importante per comprendere le trasformazioni che stanno interessando i territori italiani (siano essi urbani oppure rurali). Purtroppo, i continui cambiamenti nella scelta degli indicatori elementari adottati nel definire l’indice annuale di qualità della vita, se da un lato sono necessari per rendere aderenti tali misurazioni ai continui cambiamenti della società italiana nel suo complesso, dall’altro non consentono di avere a disposizione vere e proprie serie storiche di dati effettivamente comparabili tra loro e dunque in grado di restituire un quadro meno mutevole rispetto alle singole rilevazioni annuali.
Nonostante questi limiti noti, l’importanza dell’analisi proposta da “Il Sole 24 Ore” rimane cruciale proprio per tentare di mettere in campo proposte di sistema che rispondano sempre meglio alle esigenze e alle necessità di territori tra loro sempre più interconnessi.
Riferimenti bibliografici
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Sitografia
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- 1. Si rimanda a Il Sole 24 Ore (2013), per una descrizione dettagliata delle variabili considerate. Il dossier è pubblicato ogni anno nel mese di dicembre. Quando quest’articolo è stato scritto, i soli dati 2013 erano disponibili.
- 2. Si considera la distanza dal più elevato valore provinciale, se la relazione tra indicatore semplice e qualità della vita è positiva; si considera la distanza dal valore più basso, nel caso contrario.
- 3. Questa scelta sconta non pochi limiti: in molti casi, infatti, le stesse province risultano territorialmente estese e molto eterogenee al proprio interno. Inoltre, nel presente lavoro non sono considerate le province di più recente istituzione (Monza e Brianza, Fermo, Barletta-Andria-Trani), ancorché presenti nella classifica de “Il Sole 24 Ore”. Le osservazioni utilizzate sono dunque 107.
- 4. In Pagliacci (2014), il Fri è calcolato per 1288 regioni Nuts 3 della UE-27. Qui si usano i soli dati relativi alle province italiane.
- 5. Attraverso l’analisi Anova (Analysis of Variance) è possibile testare l’ipotesi che le tre tipologie di province considerate presentino uno stesso valore medio per i vari indicatori di qualità della vita. Tra le assunzioni dell’Anova vi è l’ipotesi di varianza omogenea tra gruppi (omoschedatisticità), che è stata testata preliminarmente attraverso il test di Levene.
- 6. Non è stato possibile condurre l’analisi Anova sulle tre tipologie urbano-rurali di Eurostat, poiché nella ripartizione territoriale Sud una sola provincia è classificata come PU (cfr., Tabella 1). Ciò conferma, una volta di più, la necessità di migliorare la classificazione della ruralità ricorrendo ad indicatori continui.
- 7. Questa discordanza è in parte riconducibile al diverso livello territoriale d’analisi prescelto: pesano tuttavia anche le diverse metodologie utilizzate.