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Introduzione
Per il comparto ortofrutticolo la qualità riveste una particolare importanza se si considera la peculiarità dei prodotti, caratterizzati da deperibilità, stagionalità e una grande vulnerabilità agli andamenti meteorologici.
La qualità è un concetto complesso da definire soprattutto per i prodotti ortofrutticoli per i quali può assumere connotazioni diverse a seconda che si considerino le caratteristiche intrinseche (freschezza, maturazione, colore, sapore, ecc.) o estrinseche, ossia derivanti da tecniche di produzione o da politiche di marchio, ma soprattutto a seconda che si consideri il punto di vista del produttore o quello del consumatore.
Dal lato del consumatore vi è una crescente attenzione a una qualità espressione di diversi aspetti (Scalise, 2014): qualità intrinseche dei prodotti freschi; processi produttivi rispettosi dell’ambiente; prodotti rispettosi della salute umana e apportatori di benefici specifici; prodotti espressione del proprio territorio e di autenticità.
Dal punto di vista del produttore la ricerca della qualità si è evoluta, in risposta a una domanda di qualità più elevata e a un contesto di mercato fortemente competitivo, divenendo via via più complessa: se in passato, secondo uno schema semplificato, si tendeva a far prevalere e, dunque, a soddisfare un unico requisito qualitativo (ad esempio, l’aspetto esteriore dei frutti) ponendo in secondo piano altri aspetti qualitativi (Bertazzoli, 1996), oggi si tende, invece, a raggiungere contestualmente più obiettivi qualitativi che racchiudono tanto gli aspetti igienico-sanitari, i requisiti organolettici, i contenuti di salubrità, quanto altre caratteristiche che si aggiungono nel percorso a valle della fase strettamente agricola o, ancora, elementi identitari quali l’appartenenza a un territorio, l’adesione a un disciplinare di produzione, l’adozione di specifiche tecniche di produzione e/o di commercializzazione.
Ciò sta a significare che un obiettivo di qualità “multidimensionale” di un prodotto difficilmente può essere perseguito da un singolo soggetto, ma richiede un percorso di integrazione in un sistema di imprese che persegua una strategia collettiva di qualità dei prodotti.
Quali numeri per l’ortofrutta italiana di qualità
Nel settore ortofrutticolo la qualità può assumere, dunque, molteplici sfaccettature e diversi gradi di complessità in un processo di stratificazione dei caratteri e degli attributi dei singoli prodotti che può coinvolgere l’intera filiera. Ciò rende particolarmente difficile pervenire a una stima dell’ammontare della produzione ortofrutticola di qualità.
Per procedere a una valutazione economica, ancorché parziale, di questa importante componente è necessario far riferimento alle categorie di qualità certificata, i cui regimi sono disciplinati da norme nazionali o internazionali, come nel caso delle certificazioni pubbliche (es., Dop-Igp, biologico, integrato) o scaturiscono da protocolli specifici, come nel caso delle certificazioni private.
I numeri disponibili sulla produzione di qualità dell’ortofrutta italiana non consentono, però, di avere un quadro completo dei diversi regimi e di quantificarne, dunque, la reale rilevanza economica. Soltanto per i prodotti a denominazione di origine è possibile disporre di informazioni di maggior dettaglio che si estendono anche alla dimensione economica delle singole produzioni certificate Dop e Igp. Di natura strutturale, e anche produttiva a partire dal 2013 (Sinab, 2014), sono, invece, i dati riferiti al regime biologico; ancora non disponibili sono le informazioni per quanto riguarda la produzione integrata che, solo di recente, è approdata a una disciplina nazionale (legge n. 4/2011) che ha istituito il “Sistema di qualità nazionale di produzione integrata” (Sqnpi).
I prodotti ortofrutticoli con certificazione di origine costituiscono un patrimonio importante, rappresentato da 96 riconoscimenti (32 Dop e 64 Igp)1 - l’aggregato più numeroso dell’agro-alimentare – benché in termini quantitativi e di dimensione economica abbiano una rilevanza tuttora limitata, appena il 3-4% se rapportato alla produzione ortofrutticola nel suo complesso2. Il raggruppamento è fortemente concentrato, giacché due soli prodotti (es., Mela Alto Adige Igp e Mela Val di Non Dop) coprono circa l’80% del fatturato. Questi due prodotti rappresentano, com’è noto, due esperienze di successo che vantano un’organizzazione produttiva e strategie commerciali e di marketing consolidate (Giacomini et al., 2007; Caccamisi, 2009).
Anche per quanto concerne i prodotti ortofrutticoli in regime biologico l’incidenza all’interno del settore è assai ridotta, essendo stimata attorno al 3% della produzione e a quasi l’8% degli ettari investiti. Si distinguono comunque gli agrumi, che sono il comparto con la quota più elevata di produzione ottenuta con metodo biologico, corrispondente al 9% circa in termini di quantità e a ben il 17% della superficie agrumicola.
La qualità dell’ortofrutta nei programmi operativi delle Op
Di maggiore interesse sembrano essere le informazioni sull’ortofrutta di qualità che si possono trarre in riferimento alle Organizzazioni di produttori (Op) e alle loro Associazioni (Aop)3. I dati sono desumibili dalle Relazioni generali sull’attività svolta dalle Op che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf) deve trasmettere ogni anno alla Commissione europea, in ottemperanza alle norme di applicazione del regolamento (CE) n. 1234/2007 (Ocm unica). La politica comunitaria per il settore ortofrutticolo pone al centro dell’azione esercitata dalle Op, attraverso i programmi operativi, il miglioramento e la salvaguardia della qualità dei prodotti dei propri associati, nonché l’adeguamento della produzione alla domanda anche dal punto di vista qualitativo. Nella Strategia nazionale 2009-2013 messa a punto dal Mipaaf per i programmi operativi delle Op (Petriccione, 2009) erano state individuate, a tal fine, alcune strategie che, tenendo conto della situazione dell’ortofrutticoltura italiana nonché dell’evoluzione dei consumi, erano finalizzate allo sviluppo e alla valorizzazione della produzione ortofrutticola italiana (Mipaaf, 2008, p. 39):
- sviluppare politiche di marca dei produttori in grado di differenziare i prodotti;
- segmentare ulteriormente l’offerta attraverso un aumento del contenuto di servizio dei prodotti;
- sviluppare un progetto di valorizzazione condiviso fra produzione e distribuzione, che aumenti l’appeal delle produzioni ortofrutticole italiane.
Da un punto di vista operativo le Op devono predisporre un programma di investimenti “sovvenzionabili” individuando interventi che, ai fini del miglioramento della qualità dei prodotti ortofrutticoli, rispondono a una serie di obiettivi operativi esplicitati nel documento di Strategia nazionale (Mipaaf, 2008, p. 63): “a) contraddistinguere le produzioni ortofrutticole con contenuti che permettono una maggiore distintività, per conseguire un vantaggio competitivo e un migliore posizionamento economico; b) coordinare programmi di controlli sulla qualità alla luce anche delle nuove norme di commercializzazione4; c) omogeneizzare l’offerta attraverso una programmazione varietale e colturale.”
Le informazioni disponibili per pervenire a una stima della produzione ortofrutticola di qualità che passa attraverso il sistema delle Op possono essere tratte dalle citate Relazioni, facendo riferimento a diverse tipologie di indicatori, definite dall’iniziale regolamento applicativo (n. 1580/2007), volti a verificare sia lo stato di attuazione della politica comunitaria di settore, sia i relativi effetti sul sistema produttivo.
Un primo indicatore da prendere in considerazione fa riferimento agli investimenti riservati dalle Op alle azioni di miglioramento della qualità dei prodotti, nonché alla spesa sostenuta per realizzarli. Il Rapporto di valutazione della Strategia nazionale (Ismea, 2012) evidenzia, relativamente al quadriennio 2008-2011 di applicazione della riforma 2007 dell’Ocm ortofrutta, come la quasi totalità delle Op5 (95%) abbia attivato questo tipo di azione destinando ad essa la quota di spesa più elevata (26,7% nella media del periodo) fra quelle sostenute nell’ambito dei propri programmi operativi. Il 55% degli investimenti per azioni di miglioramento della qualità è stato realizzato nel Nord-est (soprattutto Emilia-Romagna, e anche Trentino-Alto Adige), dove opera quasi il 19% delle Op ortofrutticole.
Prendendo in considerazione il volume della produzione commercializzata dalle Op che risponde ai “regimi di qualità” (produzione biologica certificata; indicazioni geografiche protette e denominazioni d'origine protette; produzione integrata certificata; regimi privati di certificazione della qualità dei prodotti) è possibile rilevare una situazione iniziale, che coincide con l’avvio del periodo di programmazione delle Op6, dalla quale emerge che i prodotti “di qualità” ricoprivano a livello nazionale una quota del 46% dell’intera produzione ortofrutticola commercializzata dalle Op (Figura 1). Grazie agli investimenti realizzati, oltre il 30% dei quali ha riguardato le attività di miglioramento e innovazione nella tecnica colturale (Ismea, 2012), tale quota ha raggiunto, nel 2010, il 65% circa, con un tasso di crescita che ha toccato il 43%, notevolmente superiore a quello assai ridotto (poco più dell’1%) fatto registrare dal complesso della produzione commercializzata dalle Op.
Nell’articolazione territoriale la situazione si presenta ovviamente differenziata: nelle due aree del Nord i tre quarti della produzione ortofrutticola commercializzata dalle Op aderiscono a un qualche regime di qualità; segue con una quota del 60% circa l’ortofrutta meridionale; nettamente più distanziate le altre aree. Vi è da sottolineare, al riguardo, il notevole incremento fatto registrare dalla quota dei prodotti “di qualità” nel Nord-est e dovuto, come si è appena detto, a un programma di investimenti che ha privilegiato le attività volte al miglioramento e alla salvaguardia della qualità delle produzioni ortofrutticole.
Figura 1 - Quota % della produzione ortofrutticola “di qualità” sulla produzione commercializzata dalle Op e variazione al 2010, per area geografica
Fonte: ns. elaborazioni su dati Mipaaf, Relazione annuale sui programmi operativi, 2010
Entrando nel dettaglio dei singoli “regimi di qualità” si colgono alcuni elementi interessanti di analisi (Figura 2). In primo luogo, tra i regimi adottati si distinguono soprattutto le produzioni integrate certificate, la cui quota sulla produzione commercializzata dalle Op è passata dal 35% a quasi il 43%, e, in misura minore, quelle con certificazioni private della qualità che si attestano al 16,7%, una quota più che raddoppiata rispetto al periodo iniziale. Ciò è il risultato del rapido diffondersi, anche nel settore ortofrutticolo, dei sistemi di certificazione degli standard di qualità e sicurezza dei prodotti, adottati in misura crescente dalla grande distribuzione per rispondere alle specifiche esigenze di qualità e sicurezza degli alimenti espresse dai consumatori (Perito, 2009; Petriccione et al., 2011).
A livello territoriale i due regimi presentano, pur con le dovute proporzioni e con qualche eccezione, una diffusione abbastanza omogenea tra le aree. Tuttavia, nel caso della produzione integrata emerge con evidenza come la metà circa dell’ortofrutta prodotta nelle due aree del Nord (il 57% nelle regioni occidentali, il 49% in quelle orientali) abbia adottato tale metodo di coltivazione. Ciò è il palese risultato dell’applicazione di disciplinari di produzione integrata a sistemi produttivi molto avanzati sotto il profilo dell’organizzazione e dell’integrazione di filiera che pongono particolare attenzione agli aspetti legati alla salubrità dei prodotti e al rispetto dell’ambiente. Si tratta, nel caso specifico, di due sistemi produttivi altamente significativi dal punto di vista territoriale ed economico:
- il sistema di produzione delle mele in Trentino-Alto Adige, dove un ruolo centrale nella gestione del prodotto (sotto il profilo della qualità) e del mercato (sotto il profilo della valorizzazione del prodotto) è svolto dai Consorzi di produttori (Giacomini et al., 2007; Caccamisi, 2009);
- il sistema di produzione del pomodoro destinato alla trasformazione che fa capo al Distretto del pomodoro da industria del Nord Italia7, riconosciuto nel 2011 come Organismo interprofessionale (Canali, 2012), il quale attraverso lo strumento del contratto quadro ha messo a punto un disciplinare per la valutazione della qualità del pomodoro destinato alla trasformazione industriale e relative procedure di controllo.
Tabella 1 - Volumi della produzione ortofrutticola commercializzata dalle Op per “regimi di qualità” e aree geografiche, indicatori baseline
Fonte: ns. elaborazioni su dati Mipaaf, Relazione annuale sui programmi operativi, 2010
Nel confrontare il metodo di produzione integrata con quello biologico, dalla figura 2 risulta evidente come quest’ultimo, a differenza del primo, abbia tutt’ora uno scarso rilievo nell’ambito dei quantitativi di ortofrutta commercializzati dalle Op, avendo registrato percentuali molto basse in quasi tutte le circoscrizioni. L’unica eccezione è rappresentata dall’area insulare, dove la produzione biologica (essenzialmente agrumi) assume una quota di gran lunga più significativa rispetto alle altre aree, eguagliando la quota rivestita dalla produzione integrata.
Figura 2 - Quota % della produzione ortofrutticola “di qualità” sulla produzione commercializzata dalle Op e variazione al 2010, per regime di qualità e area geografica
Fonte: ns. elaborazioni su dati Mipaaf, Relazione annuale sui programmi operativi, 2010
Anche nel caso dei prodotti a denominazione di origine la quota evidenziata sulla produzione ortofrutticola organizzata è assai modesta (3,1%) - benché sia quasi raddoppiata rispetto agli anni di avvio della programmazione da parte delle Op - e presenta una forte concentrazione nel Nord-est, nell’ambito del quale ricade il 92% circa dell’ortofrutta Dop e Igp commercializzata dalle Op in Italia (Tabella 1). Questa situazione, d’altro canto, non può non rispecchiare quanto rilevato per il complesso del settore ortofrutticolo, tanto più che attraverso le Op passano i due terzi circa della produzione ortofrutticola nazionale Dop e Igp. Si tratta di un dato di grande rilievo che sottolinea il ruolo importante giocato dal sistema produttivo organizzato, che ha dimostrato, come nel caso della realtà trentina della melicoltura, di saper coordinare e far convergere verso un obiettivo comune (strategia collettiva di valorizzazione dei prodotti) una pluralità di soggetti diversi (Carbone, 2006), nella condivisione di un insieme di regole codificate e formalizzate (Arfini, Belletti, Marescotti, 2010).
Considerazioni conclusive
I dati analizzati testimoniano come nel settore ortofrutticolo i sistemi di qualità delle produzioni tendano ad affermarsi in quelle aree e in quei contesti dove è storicamente presente un tessuto produttivo organizzato e integrato che ha consolidato un proprio percorso di qualificazione e valorizzazione dei prodotti.
Le esperienze alle quali si è fatto riferimento rappresentano delle eccellenze in tal senso: il sistema produttivo delle mele, con i Consorzi di produttori e le Associazioni delle organizzazioni di produttori in Trentino-Alto Adige, e quello del pomodoro da industria, con il Distretto del pomodoro da industria per il Nord Italia, dimostrano, infatti, l’importanza che assume un’efficace organizzazione dell’offerta e/o di filiera per intraprendere tale processo. Si tratta di sistemi produttivi avanzati che fanno leva su diversi aspetti importanti, fra i quali: una forte concentrazione dell’offerta assicurata da una reale organizzazione dei produttori; una condivisione di interessi da parte di tutti i soggetti coinvolti nel ricercare la qualità dei prodotti e nel renderla riconoscibile sul mercato (come nel caso delle mele trentine); l’adozione di innovazioni (di prodotto, di processo e organizzative), necessarie per intraprendere un’azione strategica che veda i produttori assumere un ruolo attivo nel processo di qualificazione e differenziazione dei prodotti e, nel contempo, ne rafforzi la posizione contrattuale sul mercato (Bertazzoli, 2002; Bertazzoli et al., 2004; Giacomini et al., 2007).
Accanto a tali evidenze, nell’ortofrutta italiana si contano tante altre esperienze importanti, per quanto economicamente meno rilevanti, che si stanno diffondendo su tutto il territorio nazionale di qualificazione e valorizzazione dei prodotti, con casi di eccellenza riconoscibili sul mercato.
Altre iniziative, invece, incontrano difficoltà nel rendersi riconoscibili al consumatore a causa soprattutto di una scarsa caratterizzazione qualitativa dei prodotti, come nei casi della “Pera dell’Emilia Romagna Igp” e della “Pesca e Nettarina di Romagna Igp”; e ciò nonostante sia stato intrapreso un percorso di valorizzazione dei prodotti attraverso lo sviluppo di una politica di marca (Giacomini et al., 2007; Giacomini, Mancini, 2012).
Le diverse esperienze testimoniano, in ogni caso, il gran fermento di un mondo produttivo che si sta organizzando per rendere più efficiente e competitivo un sistema che può trarre forza e vantaggio (con adeguato ritorno economico) dalla qualità dei propri prodotti e da politiche coordinate di valorizzazione.
Riferimenti bibliografici
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- 1. Dati aggiornati al 18 settembre 2014 (Istat, 2014).
- 2. Con riferimento al totale delle Dop e Igp l’incidenza dei prodotti ortofrutticoli è di circa il 7%, pur collocandosi al terzo posto nella graduatoria dei valori di mercato (Qualivita-Ismea, 2013).
- 3. Nel quadriennio 2008-2011 nel settore ortofrutticolo operano 278 Op e 13 Aop, contribuendo per oltre il 40% al valore della produzione nazionale di ortofrutta (Ismea, 2012).
- 4. I prodotti ortofrutticoli sono sottoposti all’obbligo di conformità a specifiche norme di qualità (requisiti qualitativi minimi, calibrazione, tolleranze, presentazione, ecc.) per poter essere commercializzati sui mercati comunitari e con i Paesi terzi. La Commissione europea ha disposto, con il regolamento (CE) 1221/2008, una semplificazione delle norme di commercializzazione, limitandole a soli dieci prodotti (mele, agrumi, kiwi, lattughe, pesche e nettarine, pere, fragole, peperoni dolci, uva da tavola, pomodori), che rappresentano la gran parte degli scambi di ortofrutta a livello europeo.
- 5. Il numero medio di Op/Aop che hanno attivato, nel periodo considerato, le diverse misure nell’ambito dei programmi operativi ammonta a 227 unità.
- 6. Nella maggior parte dei casi l’avvio dei programmi operativi coincide con l’entrata in vigore della riforma dell’Ocm ortofrutta (1 gennaio 2008).
- 7. Il Distretto oltre a coinvolgere le regioni del Nord-est (Emilia-Romagna, Veneto e Provincia Autonoma di Bolzano) si estende anche alle regioni Nord-occidentali (Lombardia e Piemonte), dove si è avuto uno sviluppo considerevole della produzione di pomodoro da industria, spiegando in tal modo la quota importante rivestita dalla produzione integrata in questa area.