Quale Pac conviene adottare in Italia?

Quale Pac conviene adottare in Italia?

Introduzione

La più consistente novità nella riforma della Pac 2014-2020 è certamente nelle scelte attuative trasferite dall’UE agli Stati membri. Si tratta di decidere su una lista così numerosa e consistente di norme applicative che è estremamente difficile orientarsi, tali e tante sono le possibili varianti e implicazioni, così come le ricadute di ogni opzione sulle altre. D’altra parte, ogni decisione solleva interessi legittimi e, specie in un Paese così internamente differenziato come l’Italia, produce effetti contrapposti sul piano territoriale e sulle differenti specializzazioni e organizzazioni produttive.
Non a caso, il Mipaaf (come altri Ministeri analoghi in Europa) ha sollecitamente predisposto un questionario sulle principali decisioni da assumere, che è stato sottoposto alle Regioni ed alle forze sociali (Mipaaf, 2013). Nello stesso tempo, le istituzioni della ricerca sono state sollecitate da più parti a sviluppare analisi e fornire valutazioni sugli impatti delle opzioni alternative. In questo quadro, la Commissione agricoltura della Camera dei Deputati ha disposto anche un’audizione di docenti universitari, esperti in materia, che è disponibile on-line (Camera dei Deputati, 2013) [link].
Tentando di rispondere a queste sollecitazioni, questo lavoro, ha il compito di fornire alcune valutazioni sui possibili effetti delle opzioni alternative tra le quali l’Italia può scegliere e suggerire alcune linee di comportamento.

Chi è l’agricoltore attivo?

Rispondere alla domanda non è affatto semplice. In tabella 1 sono riportate le quantificazioni di differenti fonti statistiche (riferite per omogeneità al 2010) sulle unità tecnico-economiche e sui soggetti economici dell’agricoltura italiana. Come si nota, le differenze sono molto consistenti.

Tabella 1 - L’agricoltura in Italia sulla base delle differenti definizioni di azienda e di impresa

Un’altra lettura delle differenze è quella esposta in figura 1 dove, sulla base della dimensione economica (espressa in produzione standard), dell’incidenza dell’autoconsumo, della consistenza dell’occupazione in giornate di lavoro e del ricorso al contoterzismo, è stata realizzata una classificazione delle aziende censite nel 2010, suddividendole in prima istanza in “imprese” e “non-imprese”, e successivamente in ulteriori segmentazioni (Arzeni, Sotte, 2013; Sotte, Arzeni, 2013). Secondo questa quantificazione, le 310 mila imprese pienamente attive, che rappresentano complessivamente, tra grandi e piccole, il 19,1% delle aziende censite, lavorano il 63,6% di tutta la Sau, occupano il 57,2% di tutto il lavoro, e soprattutto assicurano l’82,8% del valore della produzione standard dell’agricoltura italiana. A questo nucleo di imprese si affianca un altro 13,9% di imprese disattivate, perché affidate in prevalenza a contoterzisti e con esiguo impiego di lavoro, e/o potenziali, perché ancora troppo sottodimensionate per assicurare un reddito comparabile con quello di altri impieghi (baseline: reddito medio in Italia di un lavoratore dipendente). Sull’altro fronte, si conta un 37,4% di aziende di autoconsumo esclusivo o prevalente e un 30,6% di aziende troppo piccole per essere considerate “impresa”: quest’ultime hanno in media 2,8 ettari di Sau e 3.730 euro di produzione standard all’anno.

Figura 1 - L’agricoltura in Italia tra imprese e non-imprese


Fonte: ns. elaborazioni su dati Istat – 6° Censimento dell’agricoltura

In figura 2 è rappresentato il peso percentuale dei pagamenti diretti sui ricavi totali percepiti dalle diverse tipologie di aziende censite rappresentate nella figura precedente (escluse quelle di solo autoconsumo). Purtroppo manca una analoga misura per il reddito aziendale, che sarebbe stata da preferire. È peraltro evidente che la frazione dipende sia dal numeratore: l’ammontare di pagamenti diretti percepito, che dal denominatore: il ricavi totali, che sono ovviamente molto maggiori nelle imprese che nelle non-imprese. Sta di fatto che, in termini di incidenza il peso dei pagamenti diretti prevale nelle non-imprese e nelle imprese disattivate, più che nelle imprese più attrezzate e strategicamente impegnate.

Figura 2 - Pagamenti diretti Pac sui ricavi totali aziendali

Fonte: ns. elaborazioni su dati Istat – 6° Censimento dell’agricoltura

Per rispondere alla domanda su chi includere tra gli agricoltori attivi è importante anche tenere in considerazione quanto previsto dall’art. 9.4 della proposta di regolamento sui pagamenti diretti: sono considerati agricoltori attivi coloro i quali percepiscono pagamenti diretti inferiori ad una determinata soglia. Lo Stato membro fissa la soglia di esenzione che non può eccedere i 5.000 euro.
Per comprendere quali sarebbero le implicazioni in Italia di una tale inclusione, la figura 3 presenta per ogni regione (con riferimento al 2012) il numero (asse a sinistra) e la percentuale (asse a destra) di beneficiari che in base alla norma potrebbero diventare “attivi per definizione”. A livello nazionale si tratta di 1.052.868 beneficiari su 1.214.018 (l’86,7%) che complessivamente ricevono 1.050 milioni di euro (25,9% del totale).

Figura 3 - Beneficiari dei pagamenti diretti Pac nel 2012 per importi fino a 5.000 euro

Numero beneficiari, % beneficiari sul totale dei beneficiari
Fonte: Ns. elaborazioni su rendicontazioni sui pagamenti Pac all’UE

La definizione di agricoltore attivo è evidentemente di cruciale importanza non solo per l’accesso ai pagamenti diretti e per il computo del loro importo unitario (le somme altrimenti dovute agli esclusi faranno aumentare il valore unitario dei titoli), ma anche perché solo gli agricoltori attivi hanno accesso a diverse misure dei programmi di sviluppo rurale: sviluppo delle aziende agricole e delle imprese (tra queste anche l’insediamento giovani, le indennità dovute alle zone soggette a vincoli naturali o altri vincoli specifici, il benessere animale, la gestione del rischio). Diverse soluzioni tecniche sono state avanzate in queste settimane per definire, a parte gli esclusi della black list, chi debbano essere gli agricoltori attivi: gli imprenditori agricoli professionali (Iap), i coltivatori diretti, gli iscritti al registro imprese delle Camere di Commercio, coloro che superano una dimensione economica minima, coloro che percepiscono almeno un livello soglia di pagamento diretto (Arzeni, 2013). Si possono anche adottare altri criteri basati sul reddito o sull’attività prevalente. Il suggerimento generale, che ci sentiremmo di avanzare a conclusione di quanto esposto, è quello di puntare ad una definizione restrittiva di agricoltore attivo, che miri a distinguere, tra i numerosissimi beneficiari potenziali, le imprese dalle non-imprese. Gli esclusi potrebbero essere in questo modo stimolati ad adeguarsi attraverso soluzioni aggregative. A questo fine potrebbero essere introdotte opportune misure di aiuto nei programmi di sviluppo rurale.

Regionalizzazione: quali regioni?

In base all’art. 20.1 della bozza di regolamento sui pagamenti diretti, lo Stato membro può decidere di applicare lo schema di pagamento di base a livello regionale. In tal caso deve definire le regioni sulla base di criteri oggettivi e non discriminatori di carattere agronomico, socio-economico o relativi al potenziale agricolo, oppure può riferirsi alle strutture istituzionali o amministrative (Pupo D’Andrea, Vanino, 2013). La battaglia è cominciata tra le Regioni con riferimento alla ripartizione amministrativa. Mentre altri Stati membri (es. Germania, Danimarca, Finlandia e tutti i paesi dell’Est Europa) hanno già adottato da tempo una formula di regionalizzazione, la ragione per cui l’Italia appare divisa e in ritardo è chiara. La distribuzione dei pagamenti diretti è in Italia particolarmente squilibrata, come si può osservare in figura 4 che riporta i valori nel 2012 per ettaro di Sau censita (riferita al 2010). Le regioni avvantaggiate (specie Lombardia, Veneto e Puglia) spingono per la ripartizione su base amministrativa, alle svantaggiate (specie Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Abruzzo e Sardegna) conviene un altro criterio, tra i quali quello dell’Italia “regione unica”, con un pagamento flat ad ettaro uguale su tutto il territorio nazionale.

Figura 4 - Pagamenti diretti Pac per regioni amministrative

Totale pagamenti diretti su media 2008-12 Sau censita (euro)
Fonte: Ns. elaborazioni su rendicontazioni sui pagamenti Pac all’UE

Ci sono comunque altre possibili letture della distribuzione territoriale dei pagamenti diretti, oltre a quella per regioni amministrative. In figura 5 sono rappresentati i pagamenti diretti per ettaro di Sau con riferimento a differenti gradi di ruralità dei comuni italiani, adattando per lo scopo di questo articolo la metodologia proposta da tempo dall’Ocse e recepita dall’Unione Europea (Oecd, 1994; Oecd, 1996; Eurostat, 2010). Sulla base della densità demografica, i comuni sono stati classificati in cinque classi: (a) rurale profondo (≤50 ab/km2); (b) rurale elevato (>50 e ≤100 ab/km2); (c) rurale leggero (>100 e ≤150 ab/km2); (d) urbano leggero (>150 e ≤200 ab/km2); (e) urbano (>200 ab/km2). È evidente in figura la relazione inversa molto netta tra pagamenti diretti e ruralità. Più il comune è urbano, più pagamenti diretti riceve, più aumenta il grado di ruralità più quelli scendono. I comuni profondamente rurali sono 2.201. Ad essi vanno in media 155 euro ad ettaro. Poi vengono i 1.644 del rurale elevato con 273. Quindi i 978 rurali con 353, i 599 urbani leggeri con 384. Last but not least, è proprio il caso di dire così, i 2.655 comuni urbani con 494 euro ad ettaro. In altre parole, rispetto al pagamento medio italiano ad ettaro, al rurale profondo arriva il 49%, mentre all’urbano va il 157%. Tre volte di più.

Figura 5 - Pagamenti diretti Pac per differenti gradi di ruralità dei singoli Comuni italiani

Totale pagamenti diretti su media 2008-12 Sau censita (euro)
Fonte: Ns. elaborazioni su rendicontazioni sui pagamenti Pac all’UE

La graduatoria per regioni amministrative cela questa evidenza. Che si riproduce anche all’interno delle singole regioni, come evidenziato in tabella 2. Per cui, per esempio, in Lombardia si sale gradualmente dai 242 euro ad ettaro del rurale profondo ai 646 dei comuni urbani, nelle Marche da 160 a 401, in Puglia da 280 a 588 e in Sardegna da 118 a 335. Paradossalmente un flat a livello nazionale (regione unica) penalizzerebbe fortemente la Lombardia a scapito della Sardegna se considerate complessivamente, ma farebbe crescere i pagamenti diretti ad ettaro ricevuti nel rurale profondo lombardo e farebbe diminuire all’opposto gli importi percepiti nei comuni urbani sardi.

Tabella 2 - Pagamenti diretti Pac per differenti gradi di ruralità dei singoli Comuni italiani in alcune regioni

Totale pagamenti diretti su media 2008-12 Sau censita (euro)

Quale formula adottare allora per la regionalizzazione? Il consiglio che i dati riportati suggerirebbero di avanzare è quello di puntare ad una redistribuzione sia pure graduale ma piena ed effettiva. Se davvero si vuole sostenere l’agricoltura nel complesso, in tutte le sue localizzazioni, e non soltanto quelle fin qui premiate dalla vecchia iniqua politica di sostegno dei prezzi, occorre almeno pareggiare il trattamento riservato a chi opera nel rurale più difficile con quello di chi vive e lavora in condizioni di migliore accessibilità, con meno limitazioni naturali, è più fornito di servizi e di alternative occupazionali e di reddito ed ha potuto giovarsi fin qui di un sostegno Pac più di favore.

Requisiti minimi: tra 100 e 400 euro, dove tirare la riga?

Sulla base dell’art. 10 della specifica proposta di regolamento, l’Italia può decidere di non erogare pagamenti diretti se l’ammontare degli aiuti complessivamente ricevuti nel 1° pilastro è inferiore ad una cifra da definire compresa tra gli attuali 100 euro e il massimo di 400 euro. In alternativa potrebbero essere escluse le aziende i cui pagamenti diretti sono richiesti per una superficie tra 0,5 e 1 ettaro. La figura 6 rappresenta quante aziende sarebbero risultate escluse dai pagamenti diretti nel 2012 nell’ipotesi di una cifra limite di 400 euro. A livello nazionale si tratta di 409.842 aziende (il 33,8% di tutti i beneficiari), mentre la spesa che si sarebbe resa libera sarebbe pari a 95,1 milioni di euro (2,3% del totale). In valori assoluti sarebbero state interessate soprattutto Puglia e Sicilia e, più in generale le regioni del Sud. In termini relativi, la regione più colpita sarebbe stata la Liguria (-59%). Ovviamente il numero di aziende escluse sarebbe sceso nell’ipotesi di cifre di esclusione inferiori: sarebbero state 168.812 (13,9%) nel caso di un requisito minimo di 200 euro e 304.854 (25,1%) se si fosse optato per i 300 euro. Nel caso specifico della applicazione delle soglie di esclusione nel periodo 2014-2020, le cifre degli esclusi qui rappresentate andrebbero aggiustate in relazione alla contrazione complessiva del massimale per i pagamenti diretti, alla loro suddivisione in varie componenti e all’effetto della regionalizzazione.

Figura 6 - Beneficiari dei pagamenti diretti Pac nel 2012 per importi fino a 400 euro

Numero beneficiari, % beneficiari su beneficiari totali
Fonte: Ns. elaborazioni su rendicontazioni sui pagamenti Pac all’UE

Evidentemente, nel caso italiano, la decisione relativa all’imposizione dei requisiti minimi è particolarmente importante. Perché il numero degli esclusi sarebbe comunque molto consistente, soprattutto nel Mezzogiorno, ma altrettanto consistente sarebbe lo sfoltimento del carico burocratico. D’altra parte, anche nell’ipotesi massima di un limite a 400 euro, si tratterebbe di interrogarsi sull’efficacia di un pagamento diretto in misura così modesta. Spesso l’utilità di pagamenti di così piccolo importo viene giustificata con l’obiettivo di sostenere le residue sacche di marginalità economica e sociale ancora presenti nell’agricoltura soprattutto del Sud, ma la Pac non ha compiti di assistenza sociale. L’ambiguità nasce anche per la discutibile natura dei pagamenti diretti: pagamento per beni ambientali? per la stabilizzazione dei redditi? sostegno al reddito? rendita fondiaria? premio per ottenere il consenso di chi altrimenti impedirebbe ogni riforma?. Altre volte si giustificano tali pagamenti come sostegno alle minime opere di manutenzione necessarie (es. potatura piccoli oliveti, ripulitura fossi, ecc.), ma non c’è nessuna garanzia che tali minime opere siano effettivamente stimolate dai pagamenti diretti mentre, se fossero effettivamente ritenute necessarie e di interesse pubblico, sarebbero semmai più efficaci misure direttamente indirizzate a quegli specifici obiettivi. Il suggerimento che in conclusione ci sentiamo di avanzare è di fissare i requisiti minimi ad una soglia elevata, vicina o uguale al massimo consentito di 400 euro, stimolando le piccolissime aziende ad unirsi in modo da superare la soglia di esclusione attraverso l’aggregazione e guadagnare così di nuovo il diritto al pagamento diretto. Anche a questo scopo potrebbero anche essere previsti i servizi aggregativi e le forme premialità all’associazione tra piccole aziende a carico del 2° pilastro.

Riduzione progressiva: tagliare sopra 150.000 euro?

L’art. 11 della proposta di regolamento sui pagamenti diretti prescrive che lo Stato membro deve ridurre almeno del 5% i pagamenti diretti per la parte eccedente i 150 mila euro (greening escluso). Lo Stato membro può decidere di escludere dal calcolo dell’ammontare oggetto di riduzione le spese relative ai salari legati all’attività agricola, incluse le tasse ed i contributi previdenziali. Gli Stati membri che applicano il pagamento ridistributivo e che utilizzano per esso almeno il 5% del massimale nazionale possono decidere di non applicare la riduzione progressiva.
In figura 7 è rappresentata la distribuzione per regione dei 1.440 beneficiari (0,12% del totale) che nel 2012 hanno percepito un pagamento diretto per un importo eccedente 150 mila euro. Pur essendo un numero particolarmente esiguo, questi hanno ricevuto una somma pari a 338,1 milioni di euro (il 9,6% del totale), che comunque sarebbe erosa solo in minima parte (2,2%) ove la riduzione, nel 2012, fosse stata applicata al livello minimo consentito. La somma si sarebbe ridotta ulteriormente se si fosse tenuto conto della riduzione possibile dei costi del lavoro e dell’esclusione del greening. Solo nell’ipotesi estrema, ma irrealistica, di un capping applicato su tutte le somme eccedenti i 150 mila euro, la somma trattenuta (a dati 2012) avrebbe avuto una relativa consistenza: sarebbe infatti stata pari a 172 milioni di euro (il 44,3% di quanto percepito dai beneficiari oltre la soglia dei 150 mila euro, il 4,2% della somma complessiva dei pagamenti diretti erogati). Ovviamente, negli anni dal 2014 al 2020, il numero di beneficiari esclusi e l’importo trattenuto si ridurrebbe ulteriormente rispetto all’esercizio qui svolto, riferito al 2012, in ragione della contrazione del massimale nazionale per i pagamenti diretti, del loro “spacchettamento” e soprattutto dell’esclusione dei pagamenti green e dei costi per il lavoro dal computo, nonché della regionalizzazione.

Figura 7 - Beneficiari dei pagamenti diretti Pac nel 2012 per importi superiori a 150.000 euro

Numero beneficiari, % beneficiari sui beneficiari totali
Fonte: Ns. elaborazioni su rendicontazioni sui pagamenti Pac all’UE

I dati riportati sono tali da suggerire di sottolineare la scarsa rilevanza della misura in Italia sia in termini di numero di soggetti coinvolti, che anche di volume di fondi che, come prescrive la proposta di regolamento, verrebbero spostati al 2° pilastro senza obbligo di cofinanziamento. La questione della riduzione dei pagamenti diretti oltre una certa soglia risponde evidentemente a motivazioni politiche volte a spegnere le polemiche sui pagamenti ricevuti (o presunti ricevuti) da alcuni percettori molto privilegiati (la regina Elisabetta, il principe di Monaco, …). Non ha invece particolare incidenza sul piano pratico. Resta il segnale che si vuole lanciare sulla vera natura dei pagamenti diretti: sostegno al reddito o pagamento per beni pubblici? Nel primo caso si potrebbe giustificare in teoria una riduzione consistente fino al capping, ma non solo dei pagamenti di importo elevato, anche di quelli di minore importo se percepiti da beneficiari ricchi. Nel secondo caso, non ci sarebbe nessuna giustificazione ad operare una decurtazione e anzi, ad una agricoltura particolarmente frammentata quale quella italiana, considerando che alcuni grandi beneficiari sono tali come conseguenza dell’accorpamento in forma cooperativa o societaria di aziende di minori dimensioni, si darebbe un segnale in senso opposto: meglio dividersi, che aggregarsi.

Piccoli agricoltori: adottare la misura e come?

Il regime speciale per i piccoli agricoltori, previsto agli articoli 47 e seguenti della proposta di regolamento per i pagamenti diretti, ipotizza un pagamento semplificato tra i 500 e i 1.250 euro, con esenzione dagli obblighi dell’eco-condizionalità e delle pratiche verdi (art 92 del regolamento orizzontale). La domanda a cui trovare una risposta in primo luogo è la seguente: quanti sono in Italia i soggetti potenzialmente interessati a cogliere questa opportunità?
Una parziale risposta può essere tratta dai dati relativi ai pagamenti diretti 2012 (Figura 8). In quell’anno, i beneficiari di una somma fino a 500 euro sono stati 491.630 (40,5%) per un totale di 131.3 milioni di euro (3,2% del totale delle erogazioni effettuate) e quelli per una somma minore o uguale a 1.250 euro 778.923 (64,2%), per un totale di 361,8 milioni di euro (l’8,9%). Naturalmente, il numero di coloro che potrebbero aspirare ad accedere al regime per i piccoli agricoltori dipende anche dal livello al quale viene fissato il pagamento minimo che dà luogo all’esclusione a priori del potenziale beneficiario.
Si tratta comunque di una massa molto consistente di soggetti, che potrebbe anche essere sottostimata sulla base dei dati esposti in relazione alla contrazione complessiva degli importi, anche se la regionalizzazione e la convergenza potrebbero giocare in senso inverso livellando verso l’alto i piccoli importi. Analogamente a quanto già emerso, sono in particolare le regioni del Mezzogiorno (Puglia e Sicilia in testa) quelle in cui si localizzano i potenziali beneficiari della misura. A queste si aggiungono Liguria e Veneto nel Nord, Toscana, Umbria e soprattutto Lazio nel Centro. Sulla base di questi dati è possibile una consistente adesione alla misura da parte dei beneficiari per piccoli importi e, di conseguenza, una consistente semplificazione amministrativa.

Figura 8 - Beneficiari dei pagamenti diretti Pac nel 2012 per importi fino a 1.250 euro

Numero beneficiari, % beneficiari su totale beneficiari
Fonte: Ns. elaborazioni su rendicontazioni sui pagamenti Pac all’UE

Data anche la numerosità dei potenziali beneficiari, per evitare inutili sovra- o sotto-compensazioni, la soluzione che appare più opportuna per il calcolo del pagamento è quella offerta dall’art. 49 comma 2, che consente allo Stato membro di erogare un aiuto corrispondente a tutti gli altri pagamenti diretti a cui avrebbe diritto l’agricoltore; tale somma può essere calcolata annualmente o una sola volta con riferimento al 2015. Seppure nel primo anno non si avrebbe di fatto una semplificazione, questa sarebbe consistente negli anni successivi. Unica pecca della misura è sul fronte ambientale per l’esenzione già citata dei piccoli agricoltori dall’eco-condizionalità e delle pratiche verdi. Una condizione, assieme alla semplificazione, che potrebbe indurre alla partecipazione anche molti dei beneficiari che si collocano poco al di sopra del limite dei 1.250 euro

Giovani agricoltori: la misura avrà effetto?

Con riferimento al ricambio generazionale, la proposta di regolamento sui pagamenti diretti introduce un pagamento supplementare a beneficio dei giovani con meno di 40 anni come misura obbligatoria alla quale destinare fino al 2% del budget complessivo. Ma quanti sono in Italia i potenziali beneficiari di una tale misura? Per rispondere alla domanda, limitatamente alle 1.168.549 persone fisiche beneficiarie dei pagamenti diretti nel 2012 la figura 9 presenta la distribuzione regionale dei 95.199 (8,1%) con età minore o uguale a 40 anni. La spesa ad essi erogata è stata pari a 445,3 milioni di euro (il 14,8% del totale). Naturalmente i giovani impegnati in agricoltura sarebbero risultati in numero maggiore se si fossero considerate anche le 45.469 persone giuridiche (molte delle quali condotte da giovani) beneficiarie dei pagamenti diretti. Questa componente, minoritaria in numero, ma con importi generalmente più elevati, non è però quantificabile sulla base dei dati a disposizione. Considerando che il 2%, cioè la massima percentuale a disposizione per questa misura, è pari a circa 68 milioni di euro in media per i sette anni 2014-2020 e che ovviamente un certo numero di giovani è escluso in quanto già insediato da più di 5 anni, si può stimare che il pagamento supplementare medio per giovane potrebbe aggirarsi, complessivamente, intorno a 1.000 euro/anno (Canali, Gjika, 2012, Corsi, Carbone, 2013). Si tratta di una cifra non del tutto irrilevante, ma comunque poco significativa a confronto delle misure per l’insediamento comprese nel 2° pilastro.

Figura 9 - Beneficiari dei pagamenti diretti Pac nel 2012 con età fino a 40 anni

Numero beneficiari, % beneficiari su totale beneficiari
Fonte: Ns. elaborazioni su rendicontazioni sui pagamenti Pac all’UE

D’altra parte, che sia il 2° pilastro lo strumento per il ricambio generazionale, in quanto più rivolto all’impresa ed alla sua proiezione strategica verso il mercato e verso i beni pubblici, lo rivelano i risultati, esposti in figura 10, di un recente studio sulla spesa Pac nelle Regioni convergenza (Sotte, 2013). La differenza in termini di età tra i beneficiari dei due pilastri è, in media, molto consistente (tra 8 e 10 anni). La figura peraltro suggerisce anche un’altra considerazione. Come si può notare con chiara evidenza, l’età media dei beneficiari Pac sia del 1° che, soprattutto, del 2° pilastro scende significativamente all’aumentare dell’importo erogato; e le età dei beneficiari dei Psr per importi superiori a 10.000 euro sono decisamente giovani (in particolare nel caso della Puglia, dove si scende sotto i 40 anni). Questa constatazione non esime dalla necessità di verificare con altri studi la direzione dei rapporti di causa-effetto tra età del titolare e dimensione dell’impresa: restano i giovani perché le imprese sono grandi e redditizie o le imprese sono redditizie perché ci sono i giovani? Probabilmente le due variabili, con un feedback virtuoso, interagiscono positivamente l’una sull’altra.

Figura 10 - Età media dei beneficiari dei pagamenti diretti e dei Psr nel 2012 (nelle regioni convergenza) per classi di importo percepito

Fonte: Ns. elaborazioni su rendicontazioni sui pagamenti Pac all’UE

In conclusione di questa riflessione sull’incidenza delle misure della Pac per il ricambio generazionale non può comunque essere sottaciuto come il resto della Pac, con la decisione assunta di confermare il regime dei pagamenti diretti per il settennio 2014-2020, sia pure nella versione riformata, operi in direzione opposta a quella del ricambio generazionale per l’effetto che produce sul mercato fondiario in termini di irrigidimento e incremento dei prezzi e soprattutto sugli affitti fondiari e quindi sull’accesso alla terra e sull’ampliamento delle imprese (Povellato, 2013).

Flessibilità: fino al 15% dal 1° al 2° pilastro o viceversa?

Sulla base dell’art. 14 della proposta di regolamento sui pagamenti diretti, lo Stato membro può decidere di trasferire risorse dai pagamenti diretti al 2° pilastro. Entro il 31 dicembre 2013 lo Stato membro deve comunicare alla Commissione la percentuale di massimale nazionale da trasferire al 2° pilastro. Tale percentuale non può andare oltre il 15% del massimale annuale. La stessa percentuale di risorse può essere trasferita dal 2° pilastro ai pagamenti diretti con le medesime modalità.
In una generale contrazione a livello europeo della spesa per l’agricoltura per il settennio 2014-2020 rispetto al precedente (pari a -5,9%), il 1° pilastro è sceso del 3,2%, mentre il sacrificio più rilevante (-13,5%) è stato imposto al 2°. Confrontando poi i valori terminali dei due settenni, quelli riferiti al 2013 e al 2020, si può osservare che la diminuzione in termini reali è ancora maggiore: -13% per il 1° pilastro e -18% per il 2°.
Questo costituisce un chiaro cambiamento di indirizzo rispetto al passato. Infatti, mentre la diminuzione imposta al 1° pilastro, ed in particolare alla componente dei pagamenti diretti, è sostanzialmente in linea con quanto è successo nel settennio trascorso tra il 2007 ed il 2013, riguardo alla politica di sviluppo rurale si osserva un netto cambio di direzione: dalla crescita progressiva al regresso. Di fatto non solo si è interrotta la cosiddetta modulazione, cioè il progressivo trasferimento di fondi dal 1° al 2° pilastro, ma si è addirittura prodotto l’effetto opposto: per contenere la contrazione nel 1° pilastro si è maggiormente sacrificato il 2°.
Diversamente che nell’UE in complesso, l’Italia, che è stata penalizza pesantemente nel finanziamento del 1° pilastro (-6,5%) in ragione della scelta dell’ettaro come parametro di base per il computo dei pagamenti diretti (aggravata da quella di utilizzare la superficie potenzialmente ammissibile al 2009, senza tenere conto della Sau a orticole, fruttiferi e viti), ha beneficiato di una sorta di compensazione sul 2°, che si è tradotta in una crescita dei finanziamenti del 1,4% (129 milioni di euro). Questo aumento è però del tutto insufficiente anche solo a mantenere il livello di sostegno operato attraverso i Psr nella programmazione 2007-2013. Tra le nuove misure inserite nel 2° pilastro ci sono infatti quelle relative alla gestione del rischio, che certamente comporteranno un onere ben superiore alle maggiori disponibilità (D’Auria, Di Domenico, Guido, 2013). È il caso di ricordare a questo riguardo che l’inserimento della gestione del rischio tra le misure da affrontare con maggiori risorse dalla Pac fu sostenuta per far fronte alla consistente volatilità dei mercati agricoli alla quale gli agricoltori sono stati esposti una volta tolte, o alleggerite, le protezioni di mercato. La collocazione delle relative misure all’interno del 2° pilastro è dunque del tutto inappropriata, come pressoché unanimemente è stato riconosciuto tanto in Italia che in Europa.
D’altra parte, come si può osservare dalle due cartine di figura 11, la spesa del 2° pilastro ha un consistente effetto di bilanciamento nei confronti delle distorsioni territoriali del 1°.

Figura 11 - Distribuzione della spesa 2012 Pac 1° e 2° pilastro in rapporto alla Sau censuaria 2010

Valori calcolati a livello di singoli comuni italiani
Fonte: Ns. elaborazioni su rendicontazioni sui pagamenti Pac all’UE

In considerazione di quanto esposto ed anche in considerazione che la gestione del rischio sarebbe opportuno fosse realizzata a livello nazionale, il suggerimento che ci sentiamo di avanzare è che questo programma sia finanziato (o almeno parzialmente finanziato) con una quota di fondi spostati dal 1° al 2° pilastro e gestiti a livello nazionale.

Cos’altro potrebbe accadere?

Resta ancora una domanda alla quale è necessario rispondere. È la riforma della Pac che emerge dalle proposte di regolamento una soluzione sufficientemente stabile e definitiva? Oppure si tratta di un altro passaggio verso ulteriori interventi di riforma? Questa riforma, approvata all’ultimo momento, anzi in ritardo, al punto da dover slittare l’applicazione dei pagamenti diretti al 2015, è evidentemente un compromesso estremamente instabile e iniquo. Si aggiunga poi la sua estrema complessità, che ne rende difficile la comprensione e la comunicazione agli stakeholder e alle loro organizzazioni, così come agli stessi decisori politici nazionali e locali. Si considerino le numerose deroghe inserite nei regolamenti (ne abbiamo contate 22 in quello per i pagamenti diretti) e deleghe alla Commissione (33 nello stesso regolamento), le duplicazioni e sovrapposizioni tra 1° e 2° pilastro. D’altra parte, l’escamotage di trasferire tantissime decisioni agli Stati membri non è coerente con il principio di sussidiarietà. Portare la politica vicino ai cittadini è corretto nel caso del 2° pilastro che si occupa di misure strutturali, ambiente e di territorio, ma è profondamente errato nel caso del 1° perché si rischia di alterare pesantemente il mercato unico, favorendo alcuni e penalizzando altri in base alla localizzazione, alla nazionalità e anche alla regione di appartenenza. Questa politica è anche incoerente con le altre politiche UE guidate come sono da programmi poliennali, dai principi del partenariato, del cofinanziamento e della governance multilivello, della concentrazione delle risorse e della coesione economico-sociale-territoriale.
Già è fissata nel 2016 una mid term review sul bilancio poliennale dell’UE. Una riflessione sul budget investe certamente anche la Pac per il suo peso ancora estremamente consistente, nonostante i tagli. Una riforma a metà percorso non sarebbe una novità: già la riforma Fischler del 2003, come l’Health Check del 2009 sono atti riformatori adottati mentre i sette anni del periodo di programmazione europeo erano in corso. D’altra parte, nel 2014 sarà eletto un nuovo Parlamento europeo e sarà nominata la nuova Commissione. Forse nel 2016 anche la morsa della crisi economica si starà allentando. È credibile che i futuri vertici dell’Unione (che scadranno nel 2019, quindi prima del settennio successivo al 2020) semplicemente accettino di gestire senza riformarla una tale politica che non hanno contribuito a definire e che nel corso della sua attuazione paleserà, come è prevedibile, tutte le contraddizioni che ora sono nascoste tra le righe dei regolamenti?
La nostra opinione, ma è ovvio che siamo nel futuribile, è che si presenterà nel 2016 (ben prima del 2020) l’occasione per un profondo ripensamento della Pac. Per questo motivo, mentre riteniamo che si debba compiere ogni sforzo per adeguare senza indugio la Pac attuale nel quadro dei margini di autonomia trasferiti agli Stati membri dal trilogo (qui abbiamo suggerito delle possibili direzioni), si tratti anche di cogliere l’occasione per dotare il paese di una strategia che guardi oltre gli interessi immediati che spingono (e i segnali non mancano) ad accanirsi per un osso sempre più piccolo e conteso.
D’altra parte, occorre ricordare che anche gli altri Stati membri stanno decidendo, alcuni in condizioni molto più agevoli e meno conflittuali dell’Italia perché, preveggentemente, hanno già affrontato il problema della regionalizzazione e della convergenza quando era ancora opzionale nella vecchia programmazione. È facile immaginare che, facendo leva sulle risorse e rispondendo alle sollecitazioni interne, possano mirare a conquistare spazi di mercato a scapito di chi indugi in difesa dei vecchi privilegi. Se non si vuol perdere in competitività, occorre coraggio. Speriamo che l’Italia dimostri di averlo.

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