Agricoltura e cambiamenti climatici: dalle politiche comunitarie ai Psr

Agricoltura e cambiamenti climatici: dalle politiche comunitarie ai Psr
a Università Politecnica delle Marche (UNIVPM), Dipartimento di Scienze Economiche e Sociali
Istituto Nazionale di Economia Agraria

Introduzione

I cambiamenti climatici rappresentano una triplice sfida per il settore agro-forestale: se da un lato è uno dei settori che maggiormente risente degli effetti dei cambiamenti climatici in atto e attesi, dall’altro è anche una fonte di emissioni di gas serra, e pertanto deve contribuire agli sforzi di mitigazione globali, sia diminuendo le proprie emissioni, sia sfruttando il suo potenziale naturale di serbatoio di carbonio nei suoli e nelle biomasse.
Nell’agenda politica comunitaria, le politiche di mitigazione e adattamento disegnate per affrontare tale sfida nascono separate ed è nella Pac e soprattutto nella politica di sviluppo rurale che sono declinate a livello locale. In questo breve articolo si vuole evidenziare come le politiche comunitarie di mitigazione e adattamento trovino naturale attuazione nei Psr (Programmi di Sviluppo Rurale) e come gli strumenti proposti dalla nuova programmazione possano contribuire al raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Cambiamenti climatici e agricoltura: le politiche UE

L’agricoltura italiana, come quella di tutti i Paesi dell’area mediterranea, è una delle più vulnerabili agli effetti dei cambiamenti climatici a livello europeo. Nonostante l’adattamento al clima sia una caratteristica intrinseca del settore primario, la portata, l’incertezza e la velocità dei cambiamenti climatici in atto e attesi, rendono necessario un aumento della sua capacità adattiva, per ridurne gli impatti, ma anche per cogliere le opportunità offerte dalle mutate condizioni climatiche.
Gli effetti dei cambiamenti climatici si rifletteranno sia sui privati, ovvero sui redditi degli addetti del settore, sia sui cittadini/consumatori, per gli impatti sull’approvvigionamento alimentare in alcune zone d’Europa, con un conseguente aumento delle importazioni di alcuni prodotti, maggiore instabilità dei prezzi, riduzione di alcune produzioni in determinate regioni e alterazioni nei modelli stagionali. I benefici derivanti dall’adattamento del settore ai cambiamenti climatici sono pertanto sia privati che pubblici ed è per questo che il ruolo della politica pubblica andrebbe definito chiaramente.
L’orientamento che emerge dalla strategia dell’UE, lanciata il 29 aprile 2013 (Com 2013/216), è quello di un approccio comune per l’inserimento dell’adattamento nelle politiche settoriali, insieme a strategie locali che consentano di attuare azioni più territorializzate.
L’approccio a livello comunitario è necessario poiché molti impatti sono di dimensione sovranazionale, pertanto i programmi dell’UE potrebbero integrare le risorse degli Stati membri per l’adattamento, favorendo potenziali economie di scala per la creazione di capacity building, la ricerca, l’informazione, la raccolta dei dati e il trasferimento delle conoscenze. Di più, i cambiamenti climatici incidono sul mercato unico e sulle politiche comuni (tra cui la Pac) e la vulnerabilità al cambiamento climatico può far nascere un nuovo contesto di solidarietà tra gli Stati Membri (SM).
Per garantire l’approccio comune, sono state avviate iniziative per integrare l’adattamento nelle politiche settoriali dell’UE. Per quanto riguarda la Pac, queste indicazioni sono contenute nel documento “Principi e raccomandazioni per integrare le considerazioni sull’adattamento ai cambiamenti climatici nei programmi di sviluppo rurale 2014-2020” che accompagna la Strategia europea di adattamento (Swd(2013)139 final).
Accanto alla strategia europea, gli SM stanno predisponendo, con un certo ritardo, le proprie Strategie Nazionali di Adattamento (Sna). In Italia, nel 2012, il Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio e del Mare ha avviato il processo per l’elaborazione della Sna, da cui è scaturito il documento: “Elementi per una Strategia Nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici”, sul quale il 29 ottobre 2013 è stata aperta una consultazione pubblica con le parti interessate, che si chiuderà il 31 dicembre1.
Precedentemente, nel 2011, il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, aveva presentato il libro bianco “Sfide ed opportunità dello sviluppo rurale per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici2, per fare il quadro dello stato delle conoscenze e delineare le sfide e le opportunità da cogliere per il settore agro-forestale in un contesto di cambiamenti climatici.
Oltre alle necessità di adattamento, l’agricoltura, come tutti i settori produttivi, ha anche un ruolo nella mitigazione delle emissioni. Per capire quale sia il contesto di riferimento delle politiche di mitigazione, è utile chiarire come avviene le contabilizzazione delle emissioni a livello internazionale. Secondo la metodologia Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) utilizzata ai fini del reporting per il Protocollo di Kyoto e il Meccanismo di monitoraggio dell’Ue3, le emissioni riconducibili ad un’azienda agricola rientrano in tre macro categorie: (a) “agricoltura”, che comprende emissioni da fermentazione enterica, gestione deiezioni, risaie, suoli agricoli4, bruciatura stoppie; (b) “Lulucf” (Land Use, Land Use Change and Forestry), che comprende assorbimenti ed emissioni di gas serra da uso del suolo e cambiamenti d’uso del suolo; (c) “energia”, che comprende le emissioni dovute all’utilizzo di macchine in agricoltura (mentre l’energia consumata dal settore è stimata alla fonte, ovvero a livello di produzione).
Questa separazione nella contabilizzazione si riflette in una separazione nell’agenda politica, per cui le politiche per la mitigazione delle emissioni hanno riferimenti normativi diversi per le singole fonti emissive. Per quanto riguarda l’agricoltura, è stato introdotto nel 2009 il principio della condivisione dello sforzo di mitigazione tra settori produttivi (dec.406/2009/EC), che prevede un target di riduzione congiunto delle emissioni del 13% rispetto al 2005 per agricoltura, trasporti, residenziale e rifiuti. Per il settore Lulucf solo di recente la dec.529/2013/UE ha introdotto norme comuni di contabilizzazione delle emissioni e sink derivanti dalla gestione di tutti i suoli, compresi i terreni agricoli, i prati pascoli e le foreste, rimandando al futuro la previsione di target di mitigazione. Il potenziale effetto della proposta sul settore agro-forestale sarà rilevante per la stima degli impatti di alcune pratiche di gestione del suolo (si pensi soprattutto agli effetti del greening e di alcune misure dello sviluppo rurale), offrendo così una valutazione quantitativa dei progressi fatti, allo scopo anche di migliorare la percezione dei contribuenti nei confronti della politica agricola. Infine, per quanto riguarda l’energia, ci sono sia politiche per la promozione della produzione di energia da fonti rinnovabili, per le quali il settore agro-forestale è un fornitore di materie prime, che iniziative comunitarie per l’aumento dell’efficienza nell’utilizzo delle macchine5.
In futuro, guardando alla comunicazione “Una tabella di marcia per il passaggio a un’economia competitiva a basse emissioni di carbonio”6, il ruolo dell’agricoltura nella mitigazione è destinato ad aumentare; infatti, per raggiungere l’obiettivo di ridurre le emissioni comunitarie dell’80-95% entro il 2050 (rispetto ai livelli del 1990), il settore agricolo dovrebbe ridurre le sue emissioni del 42-49% (Sec(2011) 289).
Un obiettivo simile è molto costoso, se non impossibile da raggiungere, guardando solo alle emissioni strettamente agricole. Occorre quindi allargare i confini del sistema di analisi, comprendendo anche tutte le emissioni dell’intera filiera. Pertanto, l’attenzione di molti studi di supporto alle politiche volge sempre di più alle dinamiche del consumo, per valutare il potenziale di abbattimento delle emissioni derivante da cambiamenti nei comportamenti dei consumatori (ad es. nella dieta. Cfr. Faber et al., 2012).

La politica di sviluppo rurale come sintesi delle strategie comunitarie

Le politiche climatiche europee brevemente descritte, danno un’idea del quadro generale entro cui si inserisce l’azione per il clima in agricoltura e delineano il ruolo della Pac, e soprattutto dello sviluppo rurale, quale strumento principale attraverso il quale convogliare sul territorio le politiche comunitarie per il settore agro-forestale.
Infatti, i Psr rappresentano dei documenti programmatici che traducono gli orientamenti generali delle politiche in azioni concrete disegnate per il territorio; in questo senso, l’integrazione tra fondi realizzata tramite l’accordo di partenariato risulta particolarmente positiva per realizzare una più efficace azione per il clima. In particolare, dal lato dell’adattamento i Psr rappresentano il modo più opportuno per declinare la Sna a livello locale. Dal lato della mitigazione essi sono quell’opportuno sistema di incentivi che, ad oggi, è il modo più adatto per favorire la transizione verso un’economia a bassa intensità di emissione in agricoltura (Sec(2011) 289).
Il tema clima non è certo una novità nella Pac, poiché era già presente negli Orientamenti strategici comunitari del 2006 ed è stato rafforzato in seguito all’Health check7, con una maggiore attenzione ad azioni finalizzate all’adattamento (aspetto meno enfatizzato nella prima versione del Piano Strategico Nazionale). Pertanto i Psr avevano già un ruolo fondamentale nell’azione per il clima nel settore. Tuttavia, con la futura programmazione, viene data una rilevanza sostanziale al tema in termini di esplicitazione degli obiettivi, che si traducono in fondi e strumenti messi a disposizione.
La rilevanza data al tema è evidente già dall’impianto generale del regolamento, per cui, in linea con la strategia Europa 2020 e con gli obiettivi generali della Pac, la gestione sostenibile delle risorse naturali e l’azione per il clima sono uno dei tre obiettivi strategici di lungo termine di tutta la politica di sviluppo rurale 2014-2020 (insieme alla competitività del settore agricolo e allo sviluppo rurale equilibrato) (Council of the European Union, 2013).
La base per garantire il sostegno del Feasr alle zone rurali dell’UE sarà data dalle priorità dei Psr. Nella tabella 1 si riportano le priorità tematiche più strettamente correlate all’azione per il clima, con le relative aree di intervento (c.d. focus area), gli articoli di particolare rilevanza per quelle priorità e quelli per così dire “trasversali”.
Le focus area di maggiore interesse per l’adattamento riguardano la priorità 4 sull’aumento della resilienza dei sistemi agricoli, ma anche la 5, tranne la 5d), sulla riduzione delle emissioni. Infatti, anche la focus area 5e) concorre all’adattamento del settore in quanto un suolo più ricco di carbonio è un suolo più resiliente, così come la 5a) e 5b), aumentando l’efficienza nell’uso delle risorse, rappresentano una misura di adattamento del settore in un’ottica di riduzione delle risorse stesse. A queste priorità va aggiunta parte della 3 sulla promozione dell’organizzazione di filiera, che fa riferimento all’obiettivo di “sostenere la prevenzione e la gestione dei rischi aziendali”, un’importante misura di adattamento per il settore.
Per quanto riguarda la mitigazione delle emissioni, le focus area specifiche sono la 5d) e 5e) sul sequestro di carbonio nei suoli e nelle biomasse, mentre la 5b) e 5c) hanno finalità più prioritariamente energetiche (con conseguenze sulle relative emissioni).

Tabella 1 - Le priorità “climatiche”, le focus area e gli articoli di particolare rilevanza

Tutte le sei priorità dello sviluppo rurale, inoltre, devono concorrere alla realizzazione degli obiettivi trasversali, tra cui l’azione per il clima (insieme all’innovazione e all’ambiente). La rilevanza degli obiettivi trasversali non è marginale, infatti, sebbene i Psr possano riguardare anche meno di sei priorità – qualora giustificato dall’analisi Swot (cfr. seguito) e dalla valutazione ex ante – le tematiche trasversali devono essere adeguatamente trattate in ogni aspetto dei Psr.
Un elemento molto interessante è rappresentato dalla presenza nei Psr di un’analisi Swot (punti di forza e di debolezza, opportunità e minacce) che dovrebbe permettere di rendere gli interventi più mirati a livello territoriale, anche sub-regionale. Nell’ottica dell’azione per il clima, l’utilizzo dell’analisi Swot dovrebbe essere utile per sviluppare le priorità e gli obiettivi chiave dei Psr in tal senso e identificare opzioni tecniche e relative misure che possono essere utilizzate per realizzare le priorità, evidenziando i possibili vantaggi e svantaggi collegati.
Tra le misure individuate, i pagamenti agro-ambientali, rinominati agro-climatico-ambientali (Aca) dovrebbero continuare a svolgere un ruolo di primo piano attraverso “l’introduzione o il mantenimento di pratiche agricole che contribuiscano a mitigare i cambiamenti climatici o che favoriscano l’adattamento ad essi e che siano compatibili con la tutela e con il miglioramento dell’ambiente, del paesaggio e delle sue caratteristiche, delle risorse naturali, del suolo e della diversità genetica.” (Com(2011) 627/3 def).
Per assicurare una maggiore efficacia ambientale, le misure Aca possono essere di base o mirate, ovvero legate a specifiche caratteristiche naturali o produzioni. Riconoscendo il ruolo fondamentale della formazione, a chi realizza interventi nell’ambito della misura sono inoltre fornite le conoscenze e le informazioni necessarie per la loro esecuzione e/o si subordina la concessione del sostegno a un’adeguata formazione.
Un’interessante opportunità è rappresentata dall’approccio collettivo alle misure Aca – promosso anche dall’articolo 36 sulla cooperazione, per realizzare azioni congiunte per la mitigazione dei cambiamenti climatici e l’adattamento ad essi – in virtù del fatto che le sinergie risultanti da impegni assunti in comune da un’associazione di agricoltori moltiplicano i benefici ambientali e climatici, nonché i benefici “informativi” in termini di diffusione di conoscenze e di creazione di reciprocità e fiducia necessarie per lo sviluppo di strategie locali.
Considerando che spesso esistono dei costi aggiuntivi connessi all’adempimento di un impegno, ma non direttamente imputabili all’esecuzione dello stesso o non inclusi nei costi o nel mancato guadagno, il regolamento prevede la copertura di questi costi di transazione fino ad un massimo del 20% del premio pagato per gli impegni Aca8. Ciò può rappresentare un aspetto sicuramente positivo, tuttavia la previsione di un tasso fisso per la copertura di tali costi, in alcuni casi, può non essere sufficiente. Pertanto, sarebbe stato auspicabile, secondo molti (cfr. Viaggi, 2013), dare maggiore attenzione alla loro minimizzazione nel definire le regole e le procedure.
Oltre all’aggregazione tra attori, è importante poter prevedere il ricorso all’aggregazione tra misure9 che traducano i progetti in azioni coordinate, molto importanti quando si parla di azione per il clima, in cui il ruolo delle sinergie è fondamentale e occorre evitare che le azioni di mitigazione e di adattamento si contrastino a vicenda.
Infine, anche nel caso dell’azione per il clima in agricoltura risulterà molto importante il ruolo dell’innovazione10, se si riuscirà a far sì che i progressi nella ricerca (ad es. sulle vulnerabilità, i rischi e le risposte) siano inseriti nelle programmazione. Ciò sarà possibile se si sfrutteranno i meccanismi di partnership e network, esistenti o nuovi, ovvero se gli attori rilevanti per l’azione per il clima saranno coinvolti nella preparazione, attuazione, sorveglianza e valutazione, con una vera progettazione partecipata e non solo una partecipazione formale, integrando gli esperti del clima nelle reti rurali consolidate e nel nuovo partenariato europeo per l’innovazione.
Gli strumenti economici forniti per raggiungere tali obiettivi rappresentano un altro elemento rilevante. Infatti, nel prossimo bilancio UE 2014-2020 circa il 20% del budget dovrà essere speso per azioni in favore del clima, e in particolare circa il 35% del bilancio di Orizzonte 2020 e il 20% delle risorse del Fesr (per gli investimenti in efficienza e fonti rinnovabili). Sul fronte Feasr, almeno il 30% del contributo totale a ciascun Psr deve essere speso per determinate misure di gestione delle terre e alla lotta contro i cambiamenti climatici. La riserva del fondo, che ha suscitato non poche reazioni contrarie in fase di discussione della proposta, trova giustificazione nel fatto che vi è un chiaro valore aggiunto dell’agire comunitario in tema di cambiamenti climatici e biodiversità, per gli effetti di spillover e la maggiore efficienza esecutiva.
Inoltre, per la spesa in materia di ambiente e cambiamento climatico, il tasso massimo di cofinanziamento potrà essere più elevato e gli SM hanno la possibilità di trasferire fino al 15% del loro massimale nazionale relativo ai pagamenti diretti allo Sviluppo rurale. Vi è poi la previsione di sottoprogrammi tematici nei Psr riguardanti la mitigazione e l’adattamento, per i quali le aliquote di sostegno possono essere maggiorate del 10%.
Oltre al fornire incentivi economici, uno degli scopi dello sviluppo rurale è quello di dare “incentivi informativi” finalizzati a spiegare i nuovi indirizzi e priorità istituzionali (Viaggi, 2013). In quest’ottica, appare molto rilevante la visione integrata promossa dalla programmazione 2014-2020, in cui si dà un ruolo centrale all’azione per il clima, intendendo con essa sia l’aumento della resilienza dei sistemi, che la mitigazione delle emissioni, che porta a superare, a livello regionale, la divisione che presenta l’agenda politica UE (cfr. par. precedente).
L’azione per il clima non è, come accennato, una novità nella Pac, che ha già fatto molto sia per mitigazione che per l’adattamento (cfr. seguito); quello che occorrerebbe è sfruttare gli strumenti messi a disposizione per attuare un approccio più integrato, che si basi sui risultati dell’analisi Swot per perseguire obiettivi territoriali specifici.
Sul fronte dell’adattamento, la Pac, con le sue riforme, ha già contribuito molto a migliorare la resilienza dei sistemi agricoli incoraggiando una cultura del cambiamento (anche grazie al disaccoppiamento degli aiuti) e creando un quadro di riferimento per una migliore gestione delle risorse. In futuro, la Sna, che è un criterio di adempimento per la priorità 3, sarà un riferimento, non un vincolo, nella stesura dei Psr, che rimangono lo strumento per una strategia regionale di adattamento in agricoltura, in considerazione della regionalizzazione degli impatti e della necessità di creare capacità adattativa a livello locale. Le misure da attuare dovrebbero servire non solo a compensare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici e a facilitare l’accesso degli agricoltori a strumenti di gestione del rischio, ma soprattutto a aumentare la capacità adattiva ex-ante del settore, riconoscendo il ruolo centrale alla formazione e informazione degli agricoltori.
Per quanto attiene alla mitigazione, le emissioni agricole sono già diminuite molto (-18% dal 1990 al 2011, Ispra, 2013) e la Pac ha contribuito a raggiungere questo risultato, sia in modo diretto, con misure di target ambientale, che indiretto, con politiche di stampo produttivo, ma con forte impatto sulle emissioni (come ad esempio l’istituzione delle quote latte, con elevati impatti sulle emissioni zootecniche, Eea, 2012)11. Inoltre le previsioni al 2020 prefigurano il raggiungimento dei target stabiliti per il settore (Mef, 2013). Tuttavia, il ruolo della Pac è destinato ad aumentare per i citati ambiziosi obiettivi della politica climatica al 2050. La differenza sarà data dalla capacità di diminuire le emissioni in modo economicamente sostenibile, ovvero senza ridurre le produzioni. In altre parole, quello che conterà davvero, per la Pac del futuro, sarà la relazione tra l’aumento della produttività del settore e il suo impatto ambientale12
È evidente, però, che una delle questioni cruciali in tema di mitigazione delle emissioni riguarda l’opportuna contabilizzazione delle stesse, per permettere un’effettiva verifica dell’efficacia della spesa in tal senso. Alcuni progressi sono stati fatti con la citata decisione sul Lulucf accounting, che dovrebbe permettere di cogliere, in modo armonizzato a livello europeo, gli effetti del greening sul primo pilastro e di alcune misure del secondo. Per quanto riguarda il greening, in particolare, la definizione stessa fa riferimento a pratiche volte a conseguire in via prioritaria obiettivi climatico-ambientali. Al di là dagli aspetti tecnici, la ratio è quella di aumentare la resilienza dei sistemi agricoli e i sink di carbonio nei suoli, ed i risultati dipenderanno soprattutto dalle superfici interessate13. Per quanto riguarda invece lo sviluppo rurale, permangono alcuni dubbi sull’efficacia delle metodologie di monitoraggio individuate14, il che non è solo un problema tecnico ma sostanziale, legato alla finalità delle politiche e al riconoscimento del ruolo dell’agricoltura come produttrice di beni pubblici ambientali, tra cui la stabilità climatica.
Un’ultima riflessione, sempre sulla stima delle emissioni, riguarda il tipo di approccio da utilizzare: infatti, se in futuro le politiche di mitigazione si orienteranno (come sembra) alla promozione di consumi sostenibili, occorrerebbe che anche le metodologie di stima delle emissioni si adeguassero, passando da un’ottica di processo a una di prodotto.

Alcune considerazioni conclusive

L’integrazione dell’azione per il clima nella Pac si attua con incentivi sia finanziari che informativi, con il greening come misura trasversale e azioni più mirate nei Psr, il tutto in un quadro di contabilizzazione più armonizzato (con il Lulucf accounting) che dovrebbe permettere di cogliere alcuni dei miglioramenti introdotti.
Tuttavia il greening è appunto una misura “comune”, sulla quale gli SM hanno scarso margine di azione. Lo sviluppo rurale, invece, rappresenta uno strumento più flessibile a disposizione delle Regioni per raggiungere obiettivi climatici, realizzando a livello locale la necessaria sintesi delle politiche comunitarie di mitigazione e adattamento.
Se, da un lato, il decentramento di politiche a livello territoriale può facilitare l’ottenimento di risultati più mirati, dall’altro, può rappresentare il rischio, qualora non ci sia la capacità di programmazione (e quindi di spesa) necessaria, di perdere l’opportunità di favorire l’adattamento e la mitigazione nel settore. Anche qualora questa capacità di programmazione vi fosse, si pone comunque il problema più generale dell’efficacia delle misure dello sviluppo rurale.
Dall’impianto della nuova programmazione vengono alcuni segnali positivi, sia sotto forma di incentivi economici che informativi, con una maggiore attenzione alla pianificazione, alla territorializzazione, all’integrazione tra fondi e azioni, attraverso lo sviluppo di progetti e pacchetti di misure che hanno ad oggetto lo sviluppo resiliente al clima.
Superati i problemi relativi all’efficienza delle azioni proposte e ad alcune barriere tecniche per la misurazione dei risultati, in futuro, la capacità dell’agricoltura e di altri settori rurali di attrarre finanziamenti dalle politiche climatiche dipenderà dalla valorizzazione della dimensione pubblica del settore come artefice di stabilità climatica e come primo fornitore di materie prime da impiegare nella bioeconomia (Com(2012)60final). Lo sviluppo rurale, incoraggiando una cultura del cambiamento, dovrebbe contribuire in modo primario a creare un quadro di riferimento per una migliore gestione delle risorse e lo sviluppo sostenibile dell’agricoltura europea, traghettando il settore da una politica di sostegno a una politica per la bioeconomia europea.

Riferimenti bibliografici

  • Cesaro L. (2010), I cambiamenti in itinere dei programmi di sviluppo rurale per contrastare i cambiamenti climatici; Agriregionieuropa, Anno 6, Numero 21

  • Coderoni S. (2011), L’accordo d’area della Valdaso. Un esempio di approccio territoriale per l’azione agroambientale, Agrimarcheuropa, n. 0

  • Coderoni e Esposti (2011), L'evoluzione delle emissioni agricole di gas serra nelle regioni italiane, Agriregionieuropa, anno 7, n.27

  • Condor R.D., Vitullo M. (2010), Emissioni di gas serra dall’agricoltura, selvicoltura ed altri usi del suolo in Italia, Agriregionieuropa, anno 6 n.21

  • Council of the European Union (2013), Proposal for a Regulation of the European Parliament and of the Council on support for rural development by the European Agricultural Fund for Rural Development (Eafrd), - Consolidated draft regulation, (Com(2011)0627 – C7-0340/2011 – Com(2012)0553 – C7-0313/2012 – 2011/0282(Cod)), Brussels, 26 September 2013

  • Eea (2012), “Annual European Union GHG inventory 1990–2010 and inventory report 2012”, Technical report 3/2012, European Environment Agency, Copenhagen, 2012

  • Faber J., Sevenster M., Smit Amm, Zimmermann K., Soboh R., van’t Riet J. (2012), Behavioural Climate Change Mitigation Options. Domain Report Food, Delft, CE Delft, April 2012

  • Ispra (2013), Italian Greenhouse Gas Inventory 1990-2011. National Inventory Report 2013, n.179/2013 Ispra, Roma

  • Materia V. C. (2013), Partenariato Europeo per l’Innovazione “Produttività e Sostenibilità in Agricoltura”: a che punto siamo?, Agriregionieuropa, anno 9, n. 35, pp 88-93

  • Mef (2013), Relazione del Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Allegato al Documento di economia e finanza 2013, deliberato Consiglio dei Ministri 10 aprile 2013

  • Vanni F. (2013), Il possibile impatto dell'applicazione del greening in Italia, Agriregionieuropa, anno 9, n.35, pp 29-32

  • Viaggi D. (2013), Rural Development in the Post-2013 Cap: Huge Opportunity or Devil in the Details? Forum. Intereconomics 2012, Doi: 10.1007/s10272-012-0435-6

  • 1. [link]
  • 2. [link].
  • 3. Per approfondimenti si veda Condor R.D., Vitullo M. (2010).
  • 4. Intendendo per questi le emissioni derivanti dagli input di azoto al suolo.
  • 5. Cfr: [link].
  • 6. La comunicazione “Una tabella di marcia per il passaggio a un’economia competitiva a basse emissioni di carbonio nel 2050” Com(2011) 112, fa parte dell’iniziativa “Un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse” (Com(2011) 21), presentata nell’ambito della strategia Europa2020.
  • 7. Per approfondimenti si veda, nella stessa rivista, Cesaro L. (2010).
  • 8. Se gli impegni sono assunti da associazioni di agricoltori o da associazioni miste di agricoltori e altri gestori del territorio, il massimale è del 30%.
  • 9. Un interessante esempio di pacchetto di misure attuato da un gruppo di agricoltori è dato dall’accordo agroambientale d’area nell’attuale programmazione (cfr. Coderoni S., 2011).
  • 10. Cfr. Materia (2013) stesso numero di questa rivista.
  • 11. Accanto alla Pac, ci sono poi quelle politiche ambientali che hanno un impatto sulle emissioni agricole, pur non avendo la mitigazione delle emissioni come obiettivo (ad es. la dir. Nitrati 91/676/Eec, la dir. National Emissions Ceilings 2001/81/CE e la dir. 2008/1/CE c.d. Ippc).
  • 12. Sulla relazione tra produttività del lavoro ed emissioni di gas serra in agricoltura si veda: Coderoni e Esposti, (2011).
  • 13. Cfr. Vanni (2013) nello stesso numero di questa rivista.
  • 14. Si pensi, a titolo di esempio, all’indicatore di contesto 45 “Emissioni del settore agricolo”, dato dal rapporto tra le emissioni agricole sulle quelle nette regionali. L’indicatore è evidentemente influenzato dal denominatore e può fornire indicazioni errate sulle performance del settore. Se, ad esempio, per effetto del calo delle emissioni energetiche il denominatore diminuisce più del numeratore, l’indicatore aumenterebbe, pur essendo le emissioni agricole diminuite.
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